Tribunale di Mantova, Sez. II – Giudice
Unico Dr. Alessandra Venturini – Sentenza del giorno 8 luglio 2005. Si segnale il contrasto giurisprudenziale con la
sentenza del Tribunale
di Mantova 3 giugno 2004 Fallimento
– Inefficacia ex art. 64 l.f. - Pagamento del debito del terzo – Rapporto tra
fallito e creditore – Gratuità – Esclusione. L'adempimento
del debito altrui costituisce atto a titolo gratuito solamente nel rapporto
fra il creditore accipiente ed il debitore mentre in quello fra il fallito ed
il creditore esso costituisce sempre un atto estintivo di un'obbligazione
derivante da causa onerosa. (artt.
1180 c.c.; 64 l.f.). Amministrazione
controllata - Pagamento del debito del terzo – Inefficacia. E'
inefficace in quanto esulante dall'ordinaria amministrazione l'adempimento
del debito del terzo (comunque non autorizzato dal G.D.) eseguito da società
ammessa alla procedura di amministrazione controllata. (artt.
167 e 188 l.f.). Trattandosi
di inefficacia ex lege, la pronuncia emessa ex artt. artt. 167 e 188 l.f. ha
natura dichiarativa con la conseguenza che, sull'importo dovuto in
restituzione, gli interessi sono dovuti in misura legale dalla data del
ricevimento del pagamento sino al saldo. N.
540/2003 R.G. Svolgimento del processo Con
atto di citazione notificato il 3/02/2003 il Fallimento Belleli S.p.a. in
liquidazione, in persona del curatore fallimentare, conveniva in giudizio Alfa
S.r.l., chiedendo declaratoria di inefficacia, ai sensi dell’art. 64 L.F.,
del pagamento eseguito da Belleli s.p.a. a mezzo bonifico bancario con valuta
18.10.1995, a favore della convenuta, dell’importo di £ 35.429.404, con
conseguente condanna di Fil Pempto s.r.l. alla restituzione della suddetta
somma, oltre agli interessi legali dalla data del decreto di ammissione di
Belleli S.p.a. alla procedura di amministrazione controllata; declaratoria di
inefficacia, ai sensi dell’art. 188 L.F. in relazione all’art. 167 L.F., del
pagamento eseguito da Belleli S.p.a., a mezzo di bonifico bancario con valuta
27.03.1996, a favore della convenuta, dell’importo di £ 5.661.544 e,
conseguentemente, la condanna di Alfa s.r.l. a restituire tale somma, con
interessi legali dalla data del pagamento al saldo; in via subordinata il fallimento
attore chiedeva la revoca, ai sensi dell’art. 67, 2° c. L.F., dei due pagamenti
sopra indicati, con condanna della convenuta alla restituzione dell’importo
complessivo di € 21.221,70, con interessi legali dalla data della domanda al
saldo. La
curatela fallimentare allegava che pochi giorni prima della presentazione
dell’istanza di ammissione alla procedura di amministrazione controllata (cui
Belleli S.p.a. era stata poi ammessa con decreto del Tribunale di Mantova in
data 16/11/1995) la fallita aveva eseguito numerosi pagamenti di debiti
facenti capo a soggetti terzi, senza riceverne alcun tornaconto, fra i quali
il pagamento reso a favore di Alfa s.r.l, a mezzo bonifico bancario disposto
in data 16.10.95, con valuta 18.10.95, relativo ad obbligazione facente capo
a De Cardenas s.r.l. e precisamente al saldo delle fatture Alfa emesse nei
confronti di quest’ultima, n. 4832 e n. 4835 del 30.9.95, dell’importo,
rispettivamente, di £ 20.989.068 e £ 14.440.336; successivamente, nel corso
della stessa procedura di amministrazione controllata, Belleli S.p.a. aveva
eseguito, senza alcuna autorizzazione dell’Autorità competente, altro
pagamento, dell’importo di £ 5.661.544, a mezzo di bonifico bancario disposto
ed eseguito in data 27.03.1996 in favore della convenuta, rimessa anche
quest’ultima effettuata per saldare un debito non facente capo a Belleli
S.p.a, bensì a De Cardenas s.r.l., riportato dalla fattura n. 01197 del
20.03.1995, emessa per lo stesso importo. Alla
procedura di amministrazione controllata erano seguite, senza soluzione di
continuità, ammissione di Belleli S.p.a., nel 1997, a concordato preventivo e
dichiarazione di fallimento della stessa, pronunciata con sentenza del
Tribunale di Mantova n. 70 del 19.11.1998. Ritenuti
sussistenti nel caso i presupposti di applicazione della normativa richiamata,
parte attrice sosteneva pertanto l’inefficacia dei suddetti versamenti nei
confronti del fallimento e comunque la loro revocabilità, poiché attuati in
violazione delle regole volte a tutelare la par condicio creditorum. In
particolare, in ordine alla domanda formulata in via subordinata, il
Fallimento attore allegava come la conoscenza dello stato di insolvenza, da parte
della convenuta, poteva legittimamente presumersi sulla base di macroscopici
elementi indiziari, costituiti dalla notorietà che era stata conferita alla
situazione critica di Belleli (leader mondiale nell’impiantistica e
nell’installazione di piattaforme off-shore, attiva sul mercato interno e su
quello internazionale, con decine di stabilimenti sia in Italia che
all’estero) e dal risalto che ad essa era stato dato da numerosi articoli
apparsi nei mesi da maggio ad ottobre 1995, sui principali organi di
informazione, locali e nazionali; dalla esistenza di molteplici iscrizioni
ipotecarie e privilegi speciali per importi di miliardi, dai preclari
problemi occupazionali di Belleli s.p.a. che per mesi non fu in grado di
pagare le retribuzioni di migliaia di dipendenti, i quali indissero forme di
protesta che a volte sfociarono in gesti clamorosi; dall’esistenza di azioni
legali intraprese dai creditori insoddisfatti e dai pignoramenti eseguiti
nell’estate del ’95 presso l’unità produttiva; lo stato di decozione in cui
versava ormai Belleli s.p.a., aggiungeva parte attrice, non poteva quindi
essere ignoto alla convenuta, operante nello stesso settore merceologico o comunque
in settori contigui, nella medesima zona commerciale. Con
comparsa depositata il 22.04.2003 si costituiva Alfa s.r.l., contestando, in
fatto ed in diritto, le pretese di controparte. La
convenuta allegava di non aver mai intrattenuto rapporti commerciali con Belleli
S.p.a., ma esclusivamente con De Cardenas s.r.l.; con riferimento al pagamento
delle fatture oggetto di causa affermava che, a seguito di sollecito,
quest’ultima aveva comunicato di aver provveduto ad ordinare il bonifico; né
Belleli S.p.a., né De Cardenas s.r.l., avevano mai informato Alfa s.r.l. del
fatto che il pagamento delle fatture sarebbe avvenuto da parte della Belleli;
nessuna comunicazione, infine, aveva mai ricevuto la convenuta circa lo stato
di amministrazione controllata della Belleli s.p.a. Ciò
premesso in fatto parte convenuta contestava che il termine a ritroso, ex
art. 64 l.f., relativo alla determinazione del “periodo sospetto”, potesse
calcolarsi, come sostenuto dall’attore, dalla data di ammissione
all’amministrazione controllata, anziché dalla data di dichiarazione di
fallimento; poiché erano ampiamente trascorsi due anni dalla sentenza
dichiarativa di fallimento i pagamenti effettuati dalla Belleli non potevano
essere revocati; in subordine eccepiva la prescrizione dell’azione,
decorrendo il relativo termine quinquennale dalla data del provvedimento di
ammissione alla procedura di amministrazione controllata. Contestava
altresì l’applicabilità, nel caso di specie, dell’art. 64 L.F., non potendo
considerarsi il pagamento effettuato da Belleli s.p.a. atto a titolo
gratuito, trattandosi di adempimento, da parte del terzo, di un’obbligazione
derivante da causa onerosa (pagamento di forniture regolarmente eseguite nei
confronti di De Cardenas), caratterizzando, semmai, la gratuità, solo il
rapporto tra solvens ed acquirente liberato; aggiungeva che la De Cardenas
risultava ammessa al passivo del fallimento Belleli ed aver eseguito numerosi
pagamenti per conto di questa, circostanze sintomatiche della esistenza di
rapporti contrattuali tra le due imprese, che potevano giustificare la
compensazione dei rispettivi crediti, si chè, anche sotto tale profilo,
l’atto non poteva che essere qualificato come oneroso. La convenuta avanzava
istanza affinché il Tribunale, qualora ne ravvisasse l’opportunità,
disponesse l’integrazione del contraddittorio nei confronti della soc. De
Cardenas, ora in concordato preventivo. In
ordine alla domanda subordinata di revocatoria ex art. 67, 2° c. L.F., svolta
da controparte, Alfa s.r.l. negava di aver avuto conoscenza, al momento dei pagamenti
dedotti in lite, dello stato di insolvenza della società poi fallita e contestava
il valore, a prova contraria, delle circostanze addotte dal fallimento attore,
così come l’inefficacia del pagamento eseguito da Belleli nel corso della
procedura di amministrazione controllata, trattandosi di pagamento di
fornitura utile alla prosecuzione dell’esercizio della società, per il quale
non era necessaria alcuna autorizzazione. In
ulteriore subordine parte convenuta chiedeva che gli interessi sulle somme eventualmente
dovute al fallimento attore venissero calcolati con decorrenza dalla data
della domanda giudiziale. Esperiti
gli adempimenti preliminari, concessi termini ex art. 183 V° c. e art. 184
c.p.c. e depositate dalle parti le relative memorie, il Giudice, con
ordinanza del 5.2.2004 ammetteva le prove rilevanti richieste da parte
convenuta, assunte nel corso delle successive udienze. Conclusa
l’istruttoria, all’udienza del 22.02.2005, precisate dalle parti le rispettive
conclusioni, come in epigrafe riportate, la causa veniva trattenuta in decisione,
previa assegnazione dei termini di cui all’art. 190 1° c. c.p.c. per il
deposito di comparse conclusionali ed eventuali repliche. Motivi Devono
essere rigettate le eccezioni sollevate in via preliminare dalla convenuta in
ordine alla determinazione del c.d. “periodo sospetto”, in cui gli atti
astrattamente inefficaci o revocabili sono stati compiuti dal soggetto poi
dichiarato fallito, ed alla prescrizione delle relative azioni, svolte in
relazione a tutte le domande proposte dal fallimento attore. Secondo
l’ormai consolidato orientamento della Suprema Corte (v. per tutte Cass. Civ.
n.10792/99 e n. 6019/2003), che ha trovato conferma da parte della stessa
Corte Costituzionale (v. Corte Cost. sent. n. 110/95, ord. n. 224/95 e n.
12/97) nel caso di consecuzione di procedure concorsuali (amministrazione controllata,
concordato preventivo, fallimento), il termine a ritroso per l’esercizio
della revocatoria fallimentare decorre infatti dalla data del provvedimento
di ammissione alla prima procedura, distinguendosi le diverse procedure non
in ragione della sussistenza o meno di uno stato di insolvenza dell’impresa
(presupposto di ognuna), ma in relazione al diverso giudizio prognostico
sulla reversibilità o meno della verificata crisi economica in cui l’impresa
versa. Il
“periodo sospetto”, nella fattispecie in esame, si colloca pertanto entro i
due anni antecedenti all’ammissione di Belleli S.p.a. alla procedura di
amministrazione controllata (decreto in data 16.11.1995, i cui effetti
retroagiscono alla data della domanda, depositata il 2.11.1995). Il
termine di prescrizione di cinque anni per l’utile esercizio dell’azione
decorre invece, diversamente da quanto sostenuto dalla convenuta, non
dall’apertura della procedura minore (data che rileva ai fini sopra
indicati), ma dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento, “in
applicazione del principio generale che la prescrizione comincia a decorrere
dal momento in cui il diritto può essere fatto valere … né, nel caso in cui
l’ammissione alla procedura di amministrazione controllata preceda la
dichiarazione di fallimento, la decorrenza del termine può farsi risalire
all’inizio di detta procedura, poiché l’azione revocatoria costituisce manifestazione
di un diritto potestativo proprio del solo curatore fallimentare, e non anche
del commissario giudiziale dell’amministrazione controllata” (v. Cass. Civ.
n. 5071/97, conforme a Cass. Civ. n. 7994/96). Nel
caso le domande di parte attrice devono quindi ritenersi tempestivamente
formulate entro il termine di prescrizione dell’azione, essendo stata
pronunciata dichiarazione di fallimento di Belleli S.p.a. con sentenza di
questo Tribunale in data 19.11.98, depositata il 23.11.98, ed essendo stato
l’atto introduttivo del presente giudizio notificato in data 3.02.2003. Ciò
premesso, nel merito le diverse domande proposte dalla curatela fallimentare
risultano solo in parte fondate. In
ordine alla domanda di inefficacia, ex art. 64 L.F., del pagamento eseguito
da Belleli s.p.a. in favore della convenuta in data 16.10.1995, va rilevato
che, secondo quanto allegato da entrambe le parti e dalle stesse documentato,
tale pagamento non aveva ad oggetto un debito proprio della società poi
fallita, bensì un’obbligazione facente capo a De Cardenas s.r.l. (società cui
partecipava Belleli S.p.a., che ne aveva acquistato quote sociali in data
29.12.94, v. visura camerale, doc. 19 parte convenuta), per due forniture di
merce, regolarmente assolte da Alfa s.r.l., come comprovato da copia
dell’ordine, fatture e bolle di consegna sottoscritte dall’acquirente (v.
doc. da 2 a 11 parte convenuta). Sono
stati altresì dimessi dal fallimento attore ordine, da parte di Belleli
s.p.a., a Dresdner Bank di effettuare bonifico bancario a favore di Alfa per
la somma di £ 35.429.404 e conferma dell’avvenuta esecuzione del bonifico,
con valuta 18.10.95, da parte dell’istituto di credito (v. doc. 8 e 9 parte
attrice). Costituisce
fatto pacifico pertanto che l’atto solutorio posto in essere da Belleli
s.p.a. rientri nella fattispecie dell’adempimento del terzo, ex art. 1180
c.c. Com’è
noto si discute da tempo in dottrina sul carattere di gratuità od onerosità
del pagamento del debito altrui eseguito dal fallito, discussione che ha dato
origine ad orientamenti contrastanti nella giurisprudenza di legittimità e di
merito sull’applicabilità o meno, nella fattispecie, dell’art. 64 l.f., sul
presupposto che la qualificazione gratuita od onerosa dell’atto debba essere
valutata ex latere solventis o ex latere accipientis. Le
diverse tesi sono state richiamate dalle parti, ovviamente il fallimento
attore fondando la domanda proposta sull’orientamento secondo il quale
l’adempimento del terzo configura per il fallito un atto a titolo gratuito,
in quanto privo di una controprestazione diretta da parte del creditore
accipiente, e sostenendo la convenuta, come ribadito anche dalle più recenti
pronunce della Suprema Corte in materia, che l’adempimento del debito altrui
possa configurare atto gratuito solo nel rapporto tra lo stesso ed il
debitore, mentre nel rapporto tra il fallito e il creditore l’adempimento è
sempre atto estintivo di un’obbligazione derivante da causa onerosa (v. Cass.
Civ. nn. 15515/2001, 9560/91, 5548/83). Questo
giudice ritiene che l’interpretazione sostenuta da parte attrice e dalla prevalente
giurisprudenza di merito non possa essere accolta. Le
principali ragioni su cui si fonda l’affermazione della gratuità del
pagamento del debito altrui da parte del fallito, con valutazione da
compiersi esclusivamente ex latere solventis, e la conseguente
assoggettabilità dell’atto all’inefficacia ex lege prevista dall’art. 64
l.f., in sintesi possono così essere riassunte: la struttura del negozio
solutorio richiamata dalla Suprema Corte, per cui di gratuità si può parlare
solo nel rapporto solvens-debitore, secondo l’inquadramento civilistico
dell’adempimento del terzo ex art. 1180 c.c., non può operare nel sistema
fallimentare, in cui l’art. 64 l.f. offre una protezione eccezionale ai
creditori del fallito, consentendo di valutare la gratuità ex parte
debitoris, a prescindere dalla onerosità della prestazione del terzo, nonché
dal negozio in cui la stessa è inserita, dovendo essere valutato solo
l’effetto patrimoniale dell’atto nei confronti del fallito; nel sistema della
revocatoria fallimentare il legislatore attribuisce rilevanza esclusiva alla
depauperazione del patrimonio del fallito, che si traduce nella menomazione
della par condicio creditorum, ed
infatti negli art. 65 e 67 l.f. a nulla rileva la liberalità o doverosità del
pagamento, essendo la graduazione della tutela dei creditori soddisfatti
correlata unicamente alla anormalità dell’atto estintivo, che giustifica un
diverso regime della prova della scientia decotionis, né rileva la doverosità
del pagamento del debito scaduto, non assoggettato a revocatoria ordinaria ed
invece revocabile ai sensi dell’art. 67, 2° c. l.f.; ciò dimostra che il
legislatore fallimentare prende in considerazione, come causa giustificativa
dell’inefficacia del pagamento, la sola posizione del solvens, mirando
l’istituto alla tutela del patrimonio di questi, nella prospettiva dei
creditori concorrenti nel successivo fallimento; ove nell’ipotesi di atti
estintivi di debiti altrui il pregiudizio, giustificativo della sanzione,
fosse riguardato ex parte creditoris si avrebbe l’incongrua equiparazione,
quanto a trattamento, del pagamento di un credito, pur sussistente ed
effettivo verso il fallito, e il pagamento di un credito a favore di soggetti
che nessuna legittima aspettativa di soddisfazione possono vantare nei
confronti dell’imprenditore insolvente, o, ancora, la prevalenza della tutela
di questi rispetto alla tutela di chi ha ricevuto il pagamento di un credito
dovuto, ma adempiuto dal debitore prima della sua scadenza; l’adempimento del
debito del terzo viene in considerazione quale atto di disposizione del
fallito, senza che il medesimo abbia ricevuto in cambio un qualche
significativo vantaggio; come tale l’atto è quindi assoggettabile alla
sanzione di inefficacia di diritto di cui all’art. 64 l.f., posto in apertura
della Sezione III della L.F., intitolata “Degli effetti del fallimento sugli
atti pregiudizievoli ai creditori”, il che sta a significare che anche tale
norma, come quelle seguenti, intende porre rimedio al pregiudizio che i creditori
hanno subito per effetto dell’atto dispositivo (v. per tutte Trib. Vicenza
17/7/97, in cui tali motivi, già contenuti in precedenti pronunce, sono stati
ampiamente illustrati e sostanzialmente ripresi dalla successiva
giurisprudenza di merito, che ha aderito a questa impostazione). Ritiene
chi scrive che le argomentazioni addotte non possano fondare, nel sistema
fallimentare, una diversa qualificazione dell’adempimento del terzo, nei rapporti
solvens-creditore, rispetto a quanto avviene nel sistema ordinario civilistico. Va
innanzi tutto ricordato che ai sensi dell’art. 1180 c.c. “l’obbligazione può
essere adempiuta da un terzo, anche contro la volontà del creditore, se
questi non ha interesse a che il debitore esegua personalmente la
prestazione”; ad eccezione di tale ipotesi, e del caso in cui venga
manifestata opposizione da parte del debitore, il creditore non può quindi
rifiutare l’adempimento del terzo, che estingue l’obbligazione nei rapporti
creditore-debitore originario. L’intervento
del terzo può essere spontaneo o dovuto, in base ad un obbligo assunto verso
il debitore (purché, in questo secondo caso, tale obbligo non abbia rilevanza
all’esterno e non abbia efficacia diretta per il creditore, ipotesi invece
della delegazione di pagamento od accollo); lo stesso, secondo il prevalente orientamento,
costituisce atto negoziale, essendo caratterizzato dalla volontà del solvens
di adempiere ad un’obbligazione altrui; nell’ipotesi in cui manchi una causa
onerosa, che giustifichi la liberazione del debitore da parte del terzo, si
sarà quindi in presenza di un atto a titolo gratuito, nell’ipotesi in cui
l’adempimento del terzo sia stato eseguito in virtù dell’esistenza di un
precedente rapporto di provvista esistente fra solvens e debitore originario
l’atto, sempre nei confronti di quest’ultimo, assumerà la qualificazione di
oneroso; nei confronti dell’accipiens invece il negozio solutorio, attesa la
sua funzione estintiva di un’obbligazione pecuniaria, non potrà che avere causa onerosa. Ciò
premesso la fattispecie deve essere esaminata in relazione alla specificità
del sistema fallimentare. Al
di là delle distinzioni sottese alla teoria indennitaria e antindennitaria
delle revocatorie fallimentari, è indubbio che il legislatore abbia
perseguito lo scopo di tutelare i creditori del fallito sotto un duplice
profilo, e cioè elidendo il pregiudizio che gli atti di disposizione del
patrimonio compiuti anteriormente alla dichiarazione di fallimento possano
aver arrecato alla massa dei creditori (mediante l’inefficacia o la revoca di
atti depauperativi del patrimonio) e ripristinando la par condicio creditorum
che tali atti abbiano alterato. Non
diversamente da quanto accade nel sistema del codice civile il legislatore,
nella disciplina “degli atti pregiudizievoli ai creditori” ha tuttavia
diversamente graduato la reazione dell’ordinamento agli atti dispositivi o
traslativi posti in essere dal fallito, a seconda che l’atto sia a titolo
gratuito o a titolo oneroso (e, fra questi ultimi, operando distinzioni sotto
il profilo della tipologia dell’atto, della sua collocazione temporale, della
presenza o meno di anomalie e sotto il profilo dello stato soggettivo dell’accipiens),
nell’ambito di un giudizio di comparazione fra l’interesse del terzo e
l’interesse della massa dei creditori, che conduce a soluzioni, in relazione
alla caducità degli atti, articolate e distinte; pur nell’ambito di una
categoria generale degli atti “pregiudizievoli” sussiste pertanto una distinzione
netta, quanto a presupposti ed effetti, fra le diverse azioni di inefficacia
e revocatorie, che non si fondano sull’unico principio del pregiudizio
arrecato dall’atto alla garanzia patrimoniale dei creditori. A contrario può anzi rilevarsi che proprio
in materia di revocatoria ex art. 67 l.f. il legislatore ha risolto il conflitto
fra l’interesse dei creditori ed il terzo, che con il fallito abbia
validamente concluso un atto a titolo oneroso, sulla base della buona o mala
fede di quest’ultimo, in una prospettiva in cui il riferimento è unicamente
la sfera dell’accipiens: negata o non dimostrata la conoscenza, in capo a
questi, della scientia decotionis, l’atto a titolo oneroso, pur
pregiudizievole, mantiene infatti la sua efficacia. Gli
atti a titolo gratuito, in tale contesto, compiuti nei due anni anteriori
alla dichiarazione di fallimento, vengono sanzionati, ex art. 64 l.f., con
una inefficacia ex lege, che consegue automaticamente al fallimento (e che
viene eventualmente accertata con sentenza dichiarativa); si tratta di
inefficacia relativa, che opera solo rispetto ai creditori, rimanendo l’atto
pertanto pienamente valido ed efficace tra le parti; la norma prescinde non
solo dalla conoscenza, da parte del beneficiario, di uno stato di insolvenza
del disponente, ma dalla stessa sussistenza di tale stato, e, si sostiene,
dalla stessa qualifica di imprenditore commerciale dell’autore dell’atto, al
momento del suo compimento. E’
evidente che tale norma è il risultato di un bilanciamento di interessi,
operato dal legislatore, tra chi certat de damno vitando e chi certat de
lucro captando, con totale soccombenza degli interessi di questi ultimi, i
quali non hanno ragione di essere tutelati proprio in virtù del fatto di aver
beneficiato di un’attribuzione patrimoniale senza aver subito alcun
corrispondente sacrificio (con ovvia e conseguente impossibilità di
insinuazione al passivo, facoltà invece riconosciuta al creditore del
fallito, che per effetto della revoca abbia restituito quanto ricevuto). Se
la qualificazione della gratuità (che secondo la teoria generale del negozio
giuridico si riscontra ogni volta in cui all’attribuzione in favore di un
soggetto non faccia riscontro un’attribuzione a carico dello stesso), ai fini
dell’applicazione dell’art. 64 l.f. (in cui tale termine, come correttamente
sostenuto dalla tesi qui avversata, va comunque inteso nella sua accezione
più ampia, non limitata al concetto di liberalità), non pone particolari problemi
in relazione agli atti bilaterali, difficoltà sorgono in relazione a rapporti
soggettivamente ed oggettivamente complessi ed agli atti in sé neutri sotto
il profilo onerosità-gratuità. Le
fattispecie sono numerose e distinte (e pertanto non paragonabili) e ciascuna
non può essere esaminata astraendo da un rapporto più complesso una singola relazione
bilaterale (nel caso dell’adempimento del terzo il solo rapporto
solvens-accipiens) e, in questa, compiere una qualificazione astraendo
ulteriormente dalla causa giustificativa dell’atto. A
parere di chi scrive, a fronte di un atto di disposizione del fallito, che
esplica i propri effetti nella sfera giuridica di più soggetti, la questione
che per prima si pone all’interprete è costituita dall’individuazione del
soggetto passivo dell’azione in concreto esperibile, alla luce dei
presupposti e degli effetti della normativa specifica, sopra evidenziati; in
presenza di un negozio solutorio di per sé neutro (dalla cui struttura non è
cioè possibile desumere la natura gratuita od onerosa della causa), quale è
l’adempimento del terzo, non è sufficiente, allo scopo, esaminare la sola
posizione del fallito, presentandosi il pagamento (che è atto di esecuzione
del negozio solutorio), se valutato astrattamente (e cioè avendo riguardo
unicamente all’assenza di vantaggio o controprestazione diretta in favore del
solvens), secondo la stessa prospettazione qui non condivisa, come atto gratuito
sia nei confronti dell’accipiens che nei confronti del debitore originario. L’indagine
deve quindi necessariamente essere estesa ai diversi rapporti esistenti tra i
vari soggetti del rapporto trilaterale (nei quali, tutti, il pagamento
produce effetti) e posto che l’adempimento deriva sempre da una causa onerosa
nel rapporto accipiens-debitore originario, solo quest’ultimo, a fronte
dell’apparente assenza di una causa giustificativa onerosa nei suoi rapporti
con il solvens, potrà essere
identificato come il soggetto passivo dell’azione di inefficacia, ossia, tenuto
conto della ratio della norma, come il soggetto che ha beneficiato di un atto
dispositivo da parte del fallito senza alcun corrispondente sacrificio
patrimoniale; in tal senso la valutazione sulla gratuità o meno dell’atto
dovrà quindi essere compiuta, oltre che ex latere solventis, anche ex latere
accipientis. Non
si tratta, come sostenuto, di preferire un soggetto che nessuna aspettativa
poteva avere sul patrimonio del fallito (l’accipiens) ai creditori
soddisfatti di quest’ultimo (inconferente sotto tale profilo appare il
richiamo all’art. 65 l.f., norma che sancisce l’inefficacia ex lege del
pagamento di debiti “che scadono nel giorno della dichiarazione di fallimento
o posteriormente, se tali pagamenti sono stati eseguiti dal fallito nei due
anni anteriori alla dichiarazione di fallimento”, avendo evidentemente la
norma la diversa ratio di ripristinare la par condicio creditorum, a fronte
dell’evidente anormalità del pagamento di un creditore che, attesa la
naturale scadenza del debito, avrebbe avuto diritto di soddisfarsi solo nella
procedura concorsuale, in moneta fallimentare), ma, come sopra sottolineato,
di correttamente individuare l’azione esperibile a tutela dei creditori ed il
soggetto passivo di tale azione. Ben
potrà, infatti, la curatela agire (sanzionando l’art. 64 l.f. genericamente
“gli atti a titolo gratuito” e quindi riferendosi non solo agli atti giuridici in senso stretto, ma ai
contratti, a singoli atti negoziali, a negozi collegati o complessi) nei
confronti del debitore originario, qualora il pagamento sia stato eseguito
dal fallito per spirito di liberalità (e si versi per esempio in ipotesi di
donazione indiretta) o comunque in assenza di un rapporto di provvista,
essendo onere di quest’ultimo eventualmente dedurre e dimostrare l’esistenza
di una causa onerosa; o ancora, qualora la curatela possa già disporre di
elementi che depongano per questa seconda ipotesi, agire nei confronti del
beneficiario sia utilizzando gli strumenti previsti in materia di revocatoria
fallimentare (sia sotto il profilo dell’anormalità del mezzo di pagamento,
che della conoscenza dello stato di insolvenza, ecc.), che le altre azioni
ordinarie a tutela dei creditori (quale la revocatoria ordinaria). Ciò premesso deve del pari
disattendersi la tesi intermedia secondo la quale, considerato l’atto
compiuto nei confronti dell’accipiens atto gratuito ex latere solventis, e
quindi esperibile l’azione ex art. 64 l.f. nei confronti del primo (convenuto
in giudizio, ai fini della qualificazione dell’atto, con riguardo esclusivamente
al rapporto solvens-accipiens), il creditore possa comunque in corso di causa
fornire prova dell’esistenza di un rapporto a titolo oneroso fra solvens e
debitore originario, idoneo ad escludere la gratuità dell’attribuzione (e
quindi assegnando efficacia, questa volta ai fini dell’accoglimento o del
rigetto della domanda, sempre in relazione alla qualificazione dell’atto, al
solo rapporto solvens – debitore), non fondandosi su presupposti diversi
della tesi sopra disattesa, e apparendo anzi contraddittoria nella sua
struttura e in contrasto con il principio di disponibilità e vicinanza della
prova, richiedendo all’accipiens una dimostrazione che questi, in ipotesi del
tutto estraneo ai rapporti fra solvens e debitore originario, può legittimamente
non essere in grado di fornire. Per
quanto esposto deve quindi affermarsi che nell’ipotesi di adempimento del
terzo, non può trovare applicazione, nei confronti dell’accipiens, la
disposizione dell’art. 64 l.f., potendo tale atto considerarsi gratuito, sia
valutato ex latere solventis che ex latere accipientis, esclusivamente nei
rapporti fra solvens e debitore originario. Diversamente
opinando si giungerebbe a risultati con effetti non solo di incongruenza, ma
di totale estraneità anche al sistema fallimentare. Come
sopra ricordato il creditore, che abbia effettuato una prestazione in favore
di un determinato soggetto, non può rifiutare l’adempimento dell’obbligazione
di questi da parte di un soggetto terzo (a meno che abbia interesse
all’esecuzione personale dell’obbligazione da parte del debitore, fattispecie
che è stato ritenuto possa ravvisarsi nel caso in cui il creditore sia a
conoscenza della stato di insolvenza del terzo, alla luce del rischio di
subire una possibile azione revocatoria). Nel
caso di adempimento di un’obbligazione altrui da parte dell’imprenditore poi
fallito, il creditore, che non ne conosca lo stato di insolvenza, è quindi
tenuto, ex lege, ad accettare il pagamento; una volta intervenuto il
fallimento tale pagamento viene dichiarato inefficace come atto a titolo gratuito, con conseguente
obbligo del creditore di restituire quanto ricevuto. Poiché
l’atto rimane perfettamente valido fra le parti, essendo l’inefficacia relativa
e quindi operando nei confronti dei soli creditori del fallito, non può
esservi alcuna reviviscenza dell’obbligazione originaria (prevista dall’art.
1276 c.c. invece in ipotesi di delegazione, espromissione ed accollo), per
cui il debitore potrà continuare ad opporre l’estinzione della stessa al
creditore, sulla base del pagamento eseguito dal fallito (non può quindi
condividersi l’affermazione secondo la quale se si sanziona con l’inefficacia
ex lege l’attribuzione gratuita per sé considerata si ovvia al pregiudizio
procurato alle ragioni creditorie e, al tempo stesso, si elide l’effetto
indiretto, “vale a dire la liberalità nei confronti di colui rispetto al
quale si è prodotta”: così Trib Genova 2/10/84). In
tale ipotesi il creditore non potrà invocare, nei confronti del debitore
originario, neppure il disposto dell’art. 2041 c.c., stante l’assenza dei
presupposti di applicazione della norma e in particolare del requisito della
mancanza di una giusta causa dell’arricchimento, trovando l’attribuzione
patrimoniale in favore del debitore originario la propria causa
giustificatrice nel suo rapporto con il fallito (come statuito dalla Suprema
Corte infatti “poiché la mancanza di una giusta causa nell’attribuzione
patrimoniale, ai fini dell’indennizzo per ingiusto arricchimento ai sensi
dell’art. 2041 c.c., non si identifica con il danno soggettivamente ingiusto
sofferto dalla parte depauperata, ma va accertata con riferimento alla
posizione giuridica dell’arricchito, sussiste detta causa giustificatrice
anche se essa derivi da un contratto intercorrente non tra il depauperato e
l’arricchito, ma tra questi ed un terzo, almeno finché tale rapporto non sia
annullato, rescisso o risolto” v. per tutte Cass. Civ. 7627/2002); né il
creditore, come già ricordato, potrà insinuarsi al passivo fallimentare, non
vantando alcun credito proprio nei confronti del fallito. Verrebbero
quindi posti integralmente a carico del creditore, che non ha ricevuto in
realtà alcuna attribuzione gratuita, né ha avuto alcun rapporto contrattuale
con il fallito, gli effetti dell’insolvenza di quest’ultimo. Ciò
sia quando il pagamento abbia avuto nei confronti del debitore originario causa
gratuita (si pensi all’ipotesi classica del padre che, con fini di
liberalità, corrisponda il prezzo di un immobile acquistato dal figlio: in
tal caso il venditore, secondo la tesi della gratuità ex latere solventis,
sarebbe tenuto a restituire il corrispettivo, mentre il figlio continuerebbe
a mantenere la titolarità e disponibilità del bene “donato”), sia nella
diversa ipotesi in cui invece esista un rapporto di provvista fra solvens e
debitore e il pagamento sia stato posto in essere per compensare rispettive
ragioni di credito. In
quest’ultimo caso l’azione di inefficacia nei confronti dell’accipiens, che
sempre consente al fallito di far salvo l’effetto estintivo della
compensazione del proprio debito nel rapporto di provvista, e quindi di
conseguire comunque un vantaggio ulteriore (con la restituzione di quanto
versato a compensazione di quel debito), può ulteriormente consentire al
fallimento di ottenere la restituzione di pagamenti che, se eseguiti invece
nei confronti del diretto creditore del fallito (debitore dell’accipiens) nel
secondo anno antecedente la dichiarazione di fallimento, non avrebbero potuto
in ipotesi neppure essere revocati, stante la diversa durata del “periodo
sospetto” prevista dal legislatore nei due diversi tipi di azione. Un
secondo esempio può forse ancor meglio chiarire l’incongruenza della tesi contrastata. Si
pensi all’ipotesi in cui, in un gruppo di società collegate, esistano una
società A con un patrimonio sociale pari a 100 ed un’esposizione debitoria
pari ad 80, due società, B e C, entrambe con una capacità patrimoniale di 30
e debiti per 50 (insufficiente quindi a soddisfare tutti i propri creditori);
la società A potrebbe decidere di impiegare il proprio patrimonio, per le
ragioni più disparate (ad esempio perché l’attività produttiva viene svolta
da B e C), per pagare tutti i debiti di queste ultime, che potrebbero così
continuare ad operare sul mercato, evitando l’apertura di procedure
concorsuali e comunque mantenendo la completa disponibilità del proprio
rispettivo patrimonio (ipotesi peraltro che, nei rapporti infragruppo ben
potrebbe essere considerata atto a titolo oneroso – come già sostenuto dalla
giurisprudenza – qualora un qualche vantaggio od interesse economico possa
derivare anche alla società che ha effettuato l’operazione); la società A,
utilizzata tutta la propria capacità patrimoniale pari a 100, prima
sufficiente ad adempiere ai propri debiti, verrebbe invece a trovarsi
nell’impossibilità di soddisfare i propri creditori, in uno stato quindi di
totale insolvenza, tale da determinarne il fallimento. A
questo punto, in accoglimento della tesi qui contestata, il vittorioso esperimento
dell’azione ex art. 64 l.f. da parte del fallimento di A, non nei confronti
della società B e C, ma nei confronti dei creditori di queste, che erano
stati pagati dalla fallita, consentirebbe rapidamente a quest’ultima di
recuperare integralmente il proprio patrimonio di 100, di soddisfare quindi
tutti i propri creditori per 80 e di tornare in bonis. Non
solo con un patrimonio di 100 si otterebbe lo scopo di estinguere obbligazioni
per un valore di 180 (i debiti per 50 di B e C ed i debiti per 80 di A), con
il vantaggio per A di vedersi restituito un attivo di 20, ma ciò sarebbe
avvenuto, in realtà, utilizzando il patrimonio dei soli creditori di B e C,
sui quali verrebbe integralmente riversata, senza alcuna possibilità di
recupero, l’insolvenza di A, B, e C. E’
evidente che un simile effetto risulterebbe non solo contrario ai principi in
materia di responsabilità patrimoniale del debitore, secondo il diritto
comune, ma altresì estraneo alle finalità ed alla ratio del procedimento
fallimentare (volte alla reintegrazione del patrimonio del fallito, alla
realizzazione della par condicio creditorum ed alla ripartizione della
perdita, derivante dall’insolvenza, tra il maggior numero possibile di
soggetti che hanno avuto rapporti con l’impresa dissestata, secondo criteri
oggettivi). Pur
essendo l’esempio sopra riportato un’ipotesi di scuola, formulata in termini
estremi, le conclusioni non mutano nei casi, ben più reali e sicuramente
frequenti, in cui, come nella fattispecie in esame, il patrimonio di una
società venga comunque utilizzato in parte per soddisfare debiti di società
collegate o partecipate, casi rispetto ai quali l’applicazione “automatica”
dell’art. 64 l.f., così come interpretato dalla tesi sopra richiamata,
comporterebbe comunque il “trasferimento” di una parte dell’insolvenza
dell’intero gruppo societario solo su alcuni dei creditori particolari delle
diverse società, i quali non avrebbero possibilità di ottenere soddisfazione
delle proprie ragioni di credito, né nell’ambito di procedure concorsuali, né
nei confronti delle società originarie debitrici. Operazione,
questa sì, che potrebbe ben prestarsi, se consapevolmente posta in essere e
diretta, a danneggiare irreparabilmente determinati creditori, in favore di
altri. Per
tutte le ragioni esposte non può quindi affermarsi che nel sistema fallimentare
l’art. 64 l.f. offra una protezione eccezionale ai creditori del fallito,
tale da consentire “di valutare la gratuità ex parte debitoris, a prescindere
dalla onerosità della prestazione del terzo, nonché dal negozio in cui la
stessa è inserita” (v. Trib.Vicenza 17/7/97 già cit.). A
conclusione di questo lungo excursus (peraltro necessario, stante il forte contrasto
giurisprudenziale in materia) deve quindi rigettarsi la domanda di inefficacia
ex art. 64 l.f., svolta in via principale dal fallimento Belleli S.p.a. nei
confronti della convenuta, escludendosi che l’adempimento del debito del
terzo costituisca per quest’ultima “atto a titolo gratuito”. Deve
qui confermarsi il rigetto, già pronunciato in corso di causa, della preliminare
istanza di integrazione del contraddittorio nei confronti di De Cardenas in
concordato preventivo, avanzata da Alfa s.r.l., non sussistendo alcuna
ipotesi di litisconsortio necessario, o di comunanza di causa, non avendo né
l’attore né la convenuta formulato, espressamente od implicitamente, alcuna
domanda nei confronti della suddetta società. Deve
ora esaminarsi la domanda, svolta in via subordinata da parte attrice, di revoca
del medesimo pagamento, ex art. 67, 2° c. l.f., azione sicuramente esperibile
anche nella fattispecie oggetto di causa. Come
sopra ricordato diversi sono infatti i presupposti delle due azioni; il
legislatore ha assogettato a revoca i “pagamenti di debiti liquidi ed
esigibili” eseguiti dal fallito, indipendentemente dalla causa gratuita od
onerosa dell’atto giuridico, senza alcuna distinzione in ordine al soggetto
beneficiario del pagamento (che può essere quindi sia il creditore del
fallito, sia, come nel caso, un soggetto terzo), a fronte della conoscenza,
che deve essere dimostrata dalla curatela, in capo all’accipiens, dello stato
di insolvenza del debitore, condizione necessaria e sufficiente, oltre al
dato temporale del compimento dell’atto, per ritenere che chi ha ricevuto il
pagamento fosse consapevole del pregiudizio arrecato alla massa dei creditori
e, come tale, non tutelabile a fronte dell’interesse di questi ultimi di veder
reintegrata la garanzia patrimoniale del debitore. Tale
conoscenza avrebbe consentito altresì al creditore, nel caso dell’adempimento
del terzo ex art. 1180 c.c., come già ricordato, di opporre legittimo rifiuto
al pagamento. Il
mancato esercizio di tale facoltà, nella consapevolezza dell’insolvenza del
debitore, giustifica pertanto l’esperibilità dell’azione anche nei confronti
di soggetti terzi rispetto ai creditori, pur comportando per questi le
rilevanti conseguenze già sopra esposte. Accertato
che il pagamento per cui è causa si colloca entro l’anno antecedente il
16.11.1995 (data del decreto di ammissione di Belleli S.p.a. alla
amministrazione controllata) e disattesa l’eccezione di prescrizione,
sollevata dalla convenuta, deve quindi accertarsi se sussista, nella
fattispecie, l’ulteriore presupposto soggettivo dell’azione, costituito dalla
prova della conoscenza dello stato di insolvenza in capo a quest’ultima. Il
fallimento attore ha prodotto numerosi articoli di quotidiani a diffusione
nazionale e locale, e di carattere economico, che tra i mesi di luglio ed
ottobre 1995 pubblicarono ripetutatamente notizie relative alla crisi del
Gruppo Belleli, ed in particolare sull’elevato livello di indebitamento dello
stesso, sui difficili rapporti con le banche, sulle gravi inadempienze nei
confronti di fornitori e dipendenti (mancato pagamento degli stipendi dal
maggio 1995) e sui tentativi di recupero della crisi, succedutisi nel tempo;
ha prodotto certificazioni attestanti le procedure esecutive promosse a
partire dal settembre ’95 nei confronti della fallita, relazione notarile
attestante che all’epoca vi erano numerose iscrizioni ipotecarie gravanti
sugli immobili della Belleli, e copia delle richieste di rientro da parte di istituti
di credito, documenti tutti attestanti la grave crisi di liquidità del gruppo
Belleli. Se
alcune di tali circostanze possono sicuramente assumere rilevanza presuntiva
della conoscenza, in capo ai creditori di Belleli s.p.a., dello stato di
insolvenza della propria debitrice nel periodo “sospetto”, non consentono di
ritenere che tale conoscenza sia stata però concreta ed effettiva in capo
alla convenuta, che, come da questa dimostrato (v. deposizioni testimoni
parte convenuta), non ha mai avuto alcun rapporto commerciale con Belleli
S.p.a., ma unicamente con De Cardenas s.r.l. (il teste a prova contraria
indotto da parte attrice, Gemelli Aldo, ha riferito dell’esistenza di fatture
emesse nel 1993 nei confronti di Belleli Industrie Meccaniche s.r.l., società
diversa da Belleli s.p.a., fatture comunque assai risalenti nel tempo, che
non fondano la tesi di rapporti commerciali in essere fra la fallita e la
convenuta, e l’inserimento nella c.d. “vendor list” di Belleli s.p.a. del nominativo
di Alfa s.r.l., anche questo elemento, che in assenza di prova sull’esistenza
di effettivi rapporti, nulla dimostra in merito); deve quindi ritenersi che
nessun interesse avesse la convenuta nel seguire, sugli organi di stampa, le
vicende relative a Belleli s.p.a., o ad informarsi sull’esistenza di iscrizioni
pregiudizievoli a carico del patrimonio della fallita, né, quindi, che fosse
in concreto a conoscenza dello stato di insolvenza di quest’ultima. Anche
tale domanda deve essere pertanto rigettata. Merita
invece accoglimento l’ulteriore domanda di declaratoria di inefficacia del
pagamento svolto da Belleli S.p.a. in amministrazione controllata in favore
di Alfa srl, in data 27.03.96, per
l’importo di £ 5.661.544, pagamento del debito del terzo (a saldo di fattura
emessa nei confronti di De Cardenas s.r.l.), e pertanto atto che, come tale,
esula dall’ordinaria amministrazione, non avendo alcuna finalità di utile
gestione e risanamento dell’impresa, ed anzi, come sostenuto da parte attrice,
atto che deve considerarsi incompatibile con le finalità della procedura
concorsuale (e come tale non rientrante neppure fra gli atti che il giudice delegato
potrebbe autorizzare). Il
pagamento, comunque non autorizzato dal giudice delegato, deve quindi dichiararsi
inefficace, ai sensi del combinato disposto degli artt. 188 e 167 l.f., indipendentemente
dalla conoscenza o meno, in capo all’accipiens, dell’esistenza della
procedura di amministrazione controllata (presupposto non richiesto dalla normativa
e trattandosi peraltro di evento, relativo all’impresa, conoscibile, in quanto
sottoposto a regime di pubblicità legale). In
conseguenza dell’ammissione dell’impresa alla procedura di amministrazione
controllata si verifica infatti la “cristallizzazione della massa passiva,
sicché i pagamenti eseguiti in violazione della par condicio creditorum,
inefficaci rispetto ai creditori anteriori all’apertura della procedura, sono
del pari inefficaci anche nei confronti dei creditori ammessi al passivo nel
consecutivo fallimento (v. per ipotesi analoghe di applicazione del combinato
disposto degli articoli sopra richiamati, Cass. civ. n. 5883/82, Trib. Milano
18.04.94). Alla
declaratoria di inefficacia consegue la condanna della convenuta alla restituzione
dell’importo corrispondente. Poiché
trattasi di inefficacia ex lege (avendo la presente pronuncia sul punto natura
meramente dichiarativa) su detto importo sono inoltre dovuti interessi legali
dalla data del ricevuto pagamento al
saldo. Considerato
il contrasto giurisprudenziale in materia e la parziale soccombenza delle
parti si ritiene sussistano nel caso giusti motivi per la compensazione delle
spese di lite dalle stesse rispettivamente sostenute. P.Q.M. Il
Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando,
ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così giudica: Rigetta
la domanda di declaratoria di inefficacia, ex art. 64 l.f., del pagamento
eseguito da Belleli s.p.a., a mezzo bonifico bancario, con valuta 18.10.1995,
in favore della convenuta; dichiara,
ai sensi del combinato disposto degli art. 188 e 167 l.f., l’inefficacia del
pagamento effettuato da Belleli S.p.a. in amministrazione controllata in
favore di Alfa s.r.l., in data 27.03.96, per l’importo di £ 5.661.544; conseguentemente
condanna la società convenuta, in persona del legale rappresentante pro tempore,
al pagamento, in favore del Fallimento Belleli S.p.a. in liquidazione, in persona
del curatore fallimentare, della somma di € 2.923,94, oltre ad interessi legali
dal 27.03.96 al saldo; rigetta
la domanda svolta in via subordinata da parte attrice; dichiara
compensate fra le parti le spese di lite rispettivamente sostenute. |