Distanze nelle costruzioni - Calcolo
della distanza dal confine - Parete finestrata - Distanza minima - Principio
di prevenzione - Applicabilità - Limiti - Conseguenze. Tribunale di Mantova, Sez. I –
Giudice unico Dott. Andrea Gibelli - Sentenza del giorno 7 gennaio 2004. In realtà, come è stato
osservato, il sistema codicistico delle distanze legali non ha come scopo
precipuo quello di far sopportare in parti uguali ai confinanti il sacrificio
(consistente in una parte in fondo da lasciare inedificata) comportato dallo
spazio che il legislatore ha ritenuto debba necessariamente intercorrere tra
due costruzioni sorgenti su fondi finitimi, se esse non siano unite o
aderenti. Come pure è stato osservato la vera
ratio delle norme in questione è invece quella di evitare che tra costruzioni
vicine si creino intercapedini che, per la loro esiguità, abbiano a risultare
pericolose (sotto il profilo dell’insalubrità nonché dell’ordine pubblico) e
su tale assunto si fonda il principio della prevenzione il cui contenuto
consiste in ciò che il proprietario che costruisca per primo (preveniente) è,
in linea di principio, libero di farlo finanche sul confine, con la sola
avvertenza che, a seconda della scelta da lui operata, il vicino (prevenuto),
avrà dal canto suo a disposizione, nell’edificare, una serie di alternative
alle quali il preveniente dovrà a sua volta sottostare. il
testo integrale: Svolgimento
del processo Con atto di citazione in data 28/5/97, ritualmente notificato, Rossi Sandro, residente in Canicattì, evocava in giudizio Verdi Claudio, Verdi Ettore e Bianchi Rita, tutti residenti in Magnacavallo, esponendo: 1) di
essere proprietario di un immobile posto in Comune di Magnacavallo Via
Fianchetti identificato in NCEU del predetto Comune al Fg. 16 mapp.li 19/2 –
83 – 20 – 22 ed in N.C.T. al Fg. 16 mapp. 86; 2) che
l’area edificabile distinta col mapp. 86 confinava ad ovest con l’area di cui
al mapp. 93 di proprietà di Verdi Claudio con l’usufrutto di Verdi Ettore e
Bianchi Rita; 3) che
nel 1980 i confinanti avevano costruito sul predetto mapp. 93 un fabbricato
alla distanza di circa m. 0,50 dal confine con la proprietà dell’attore; 4) che
tale fabbricato – edificato abusivamente e condonato con concessione in
sanatoria n. 229 del 19/2/91 – aveva un’altezza di circa m. 2,30, una lunghezza
di m. 12,25, una larghezza di m. 3,80 ed era provvisto di due finestre verso
il confine Rossi; 5) che la
costruzione era posta nella zona B1 definita “zona di recupero” dal P.R.G.
del Comune di Magnacavallo e che lo strumento urbanistico prevedeva che le
nuove costruzioni nella zona B1 dovessero sorgere in aderenza ai fabbricati
esistenti o, diversamente, ad una distanza minima dai confini di m. 5 in
applicazione del D.M. n. 1444 del 2/4/68 il quale prescrive un distacco
minimo tra le pareti finestrate di edifici antistanti pari a m. 10; 6) che il
fabbricato eretto dai convenuti sul mapp. 93 violava la distanza minima dal
confine con la proprietà Rossi; 7) che
esso fabbricato inoltre aveva due vedute sul fondo vicino poste a distanza
inferiore a quella di legge; 8) che la
presenza della costruzione illegittima costituiva un reale vincolo
edificatorio a carico della proprietà dell’attore impedendogli di procedere
alla edificazione di un fabbricato che aveva previsto di costruire sulla
propria area (a distanza di m. 5 dal confine col mapp. 93) e per il quale in
data 20/3/95 aveva presentato al Sindaco del Comune di Magnacavallo un pre –
progetto che aveva ottenuto parere negativo in quanto la costruzione avrebbe
dovuto essere realizzata alla distanza minima di m. 10 dall’edificio
esistente sulla proprietà Verdi; 9) che
stante il mancato rispetto delle norme in materia di distanze i convenuti
dovevano essere condannati alla riduzione in pristino ed al risarcimento dei
danni per le violazioni delle distanze del fabbricato e delle vedute e per
l’impedimento a costituire sull’area dell’attore. Ciò
premesso Rossi Sandro chiedeva l’accoglimento delle sopra riportate
conclusioni. In via
istruttoria l’attore chiedeva disporsi CTU al fine di descrivere la costruzione
eretta dai convenuti con particolare riguardo alle dimensioni ed al
posizionamento rispetto al confine con la proprietà e di accettare la sua
conformità alle prescrizioni in materia di distanze tra fabbricati contenute
negli strumenti urbanistici ed edilizi del Comune di Magnacavallo e nella
normativa vigente. Si
costituivano ritualmente i convenuti i quali anzitutto eccepivano il difetto
di giurisdizione o comunque il difetto di interesse ad agire da parte
dell’attore nonché la prescrizione dell’azione e l’incompetenza per valore
dell’adito Tribunale dovendosi ritenere competente il Pretore di Mantova. Nel
merito i convenuti contestavano quanto ex adverso dedotto ed
insistevano per il rigetto delle domande attoree. Assunta prova
per testi veniva disposta consulenza tecnica di ufficio. Chiamato il CTU a
chiarimenti e precisate le conclusioni come sopra riportate la causa,
all’udienza del 23/9/2003, veniva trattenuta per la decisione previa
assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito delle
comparse conclusionali e delle memorie di replica. Motivi della decisione
Come è
risultato dall’espletata CTU l’immobile per cui è causa “risulta
costituito da una autorimessa in struttura leggera di fibrocemento applicato
su struttura portante in ferro, ancorata a basamento in getto di calcestruzzo
e pavimentazione in gres rosso. Le pareti hanno spessore di cm. 5, la
copertura rimane pure in fibrocemento su traversi ad “omega” con lastra piana
nervata all’intradosso e lastra ondulata all’estradosso. Sul fronte presenta
una sporgenza a tettoia su struttura di ferro estremamente precaria, con
pavimentazione in lastre quadre di cemento ed un camino alto – tipo
“barbecue” in mattoni a facciavista… La costruzione si sviluppa in tre
ambienti distinti: 1) tettoia e garage con
porta basculante in ferro e finestra sul lato est, verso la proprietà
dell’attore, di dimensione cm. 54x72, alto dal pavimento cm. 110 e con
distanza da soffitto di cm. 29. Tale vano può ospitare una autovettura e
misura circa cm. 370x610, con altezza cm. 210. Da questo si accede ad un vano
più piccolo. 2)
vano rustico con accesso dal precedente tramite porta, dotato di finestra
identica alla precedente e sulla medesima parete, stessa struttura e stessa
altezza e larghezza, ma di lunghezza di cm. 140 circa. Infine, sul retro. 3) un
modesto ripostiglio con accesso dal lato ovest tramite porta in ferro e vetro
di dimensioni cm. 125x185, il vano ha larghezza ed altezza invariate ma è
profondo soli cm. 180 ed adibito a deposito attrezzi da giardino e similari. L’intero
fabbricato, quindi, misura esternamente metri 12,25 di
lunghezza per metri 3,70 di larghezza costante e di altezza esterna variabile
da cm. 2.18 verso lato sud e cm. 2.90 verso il lato nord. L’uso
della costruzione, come detto è ad autorimessa e deposito rustico”. Ciò detto
per quanto riguarda la dimensione della costruzione, il CTU ha precisato
ulteriormente che la stessa “sorge a cm. 42 dalla linea di confine,
individuata alla base della recinzione divisoria dei due lotti di proprietà
di attore e convenuti, da entrambe riconosciuta come corretta …”. A norma
dell’art. 32 sub 3) delle N.T.A. della variante del P.R.G. del Comune
di Magnacavallo adottata con delibera n. 96 del 28/12/94 “in tutte le
nuove costruzioni la distanza minima dal confine di proprietà sarà pari ad ½
dell’altezza del fabbricato con un minimo di ml
5,00. E’ ammessa la costruzione a confine
solamente nei casi previsti ed individuati nella normativa delle singole zone
omogenee od in caso di convenzione tra i privati confinanti. L’atto,
debitamente registrato, dovrà essere allegato alla pratica edilizia prima del
rilascio della concessione”. Le N.T.A.
relative alla zona B1 nella quale si trova la costruzione prevedono tra l’altro
che “nuove costruzioni potranno sorgere in aderenza ai fabbricati
esistenti, diversamente dovranno rispettare dai confini di proprietà una
distanza minima di ml. 5,00 ad eccezione dei garages che potranno sorgere in
confine purché non superino l’altezza massima di ml. 2,70, non occupino più
di 1/3 della lunghezza del confine tra privati e mantengano una distanza di
almeno 10 ml. Dal confine verso la strada o spazi pubblici ……”. Da ultimo
l’art. 44 del vigente Regolamento Edilizio del Comune di Magnacavallo prevede
al punto 6 che “L’edificazione in fregio al confine con spazi privati è
ammessa, nel rispetto delle Norme Tecniche di Attuazione del P.R.G., nei casi
seguenti: a)
nuove costruzioni conformi a previsioni di strumenti esecutivi del P.R.G. (piani
di intervento urbanistico di iniziativa privata o comunale); b)
nuove costruzioni conformi a convenzioni, anche tra privati che regolino
l’apertura di luci, vedute dirette, balconi o altri sporti, terrazze,
lastrici solari e simili; c)
nuove costruzioni in aderenza a muri di fabbricati esistenti purché risulti
un corretto inserimento edilizio ed urbanistico; d)
nuove costruzioni pubbliche o di interesse pubblico; e)
nuove costruzioni accessorie alle attività produttive, purché non superino
l’altezza di 4.50 m e la superficie di 150 mq.,sulle aree in zona Dl
(produttiva); f)
autorimesse private, purché non superino l’altezza massima di 2.70 m. e non
occupino più di 1/3 della lunghezza del
confine tra privati e mantengano una distanza di almeno 10 m. dal confine
verso la strada o spazi pubblici (zone B); g)
recinzioni con le caratteristiche descritte al successivo articolo 5l; h)
cabine per impianti tecnologici e simili, purché non siano palesemente antiestetiche
e purché venga rispettata la sicurezza della circolazione stradale”. Ciò
premesso si osserva quanto segue. Secondo
la difesa dell’attore non può applicarsi nel caso di specie il criterio della
prevenzione atteso che lo strumento urbanistico prevede una distanza minima
da calcolare con riferimento al confine. La difesa
dei convenuti, pur riconoscendo “che la giurisprudenza ormai consolidata ha
più volte affermato che il principio della prevenzione non trovi applicazione
allorché i regolamenti locali impongono (come nella fattispecie di cui si
tratta) di osservare una distanza inderogabile dai confini” ha tuttavia
replicato che “la giurisprudenza medesima ha precisato che in tali ipotesi il
criterio della prevenzione torna però ad operare se nei regolamenti medesimi
sia prevista comunque (come nella fattispecie concreta in esame), la facoltà
di costruire in aderenza od in appoggio”. A fronte
di tale replica la difesa dell’attore ha sostenuto che comunque “anche nel
caso in cui lo strumento urbanistico -
edilizio, pur stabilendo le distanze dal confine, consenta di edificare in
aderenza o in appoggio, colui che costruisce per primo ha soltanto due
possibilità: o costruire fino all’estremo limite del confine od arretrare la
fabbrica alla distanza prescritta” ed ha aggiunto che “anche in questa
ipotesi, al preveniente non è mai consentito di edificare a distanza
inferiore dal confine, come invece avvenuto nella fattispecie (a cm. 42 dal
confine)” richiamando sul punto quanto statuito da Cass. Civ. sez. II
5/10/2000 n. 13286. La tesi
dell’attore non può essere condivisa. Come ha
avuto modo di statuire la stessa Sezione seconda della Suprema Corte, con
decisione successiva a quella richiamata, “in tema di distanze legali,
solo se i regolamenti edilizi stabiliscono espressamente la necessità di
rispettare determinate distanze dal confine, vietando la costruzione sullo
stesso, non può trovare applicazione il principio della prevenzione;
viceversa qualora tali regolamenti consentano la predetta facoltà di
costruire sul confine (in aderenza o in appoggio), come alternativa
all’obbligo di rispettare una determinata distanza da esso, si versa in
ipotesi del tutto analoga, sul piano normativo, a quella prevista e disciplinata
dagli artt. 873 ss c.c., con la conseguente operatività del principio della
prevenzione, in base al quale chi edifica per primo sul fondo contiguo ad
altro ha una triplice facoltà alternativa: a) costruire sul confine; b)
costruire con distacco dal confine, osservando la distanza minima imposta dal
codice civile ovvero quella maggiore distanza stabilita dai regolamenti
edilizi locali; c) costruire con distacco dal confine a distanza inferiore
alla metà di quella prescritta per le costruzioni su fondi finitimi, salva in
tal caso la possibilità per il vicino, che costruisca successivamente, di
avanzare la propria fabbrica fino a quella preesistente, pagando la metà del
valore del muro del vicino, che diventerà comune, e il valore del suolo occupato
per effetto dell’avanzamento della fabbrica” (Cass. Civ. Sez. II 7/8/2002
n. 11899; nello stesso senso del resto anche Cass. Civ. Sez. II 22/3/1996 n.
2473 richiamata dalla difesa dei convenuti). Tale
orientamento pare condivisibile atteso che affermare l’operatività del
criterio della prevenzione vuol dire riconoscere che chi costituisce per
primo ha una triplice (e non solo duplice come vorrebbe la difesa
dell’attore) facoltà alternativa, che è appunto quella richiamata nella testè
citata sentenza, e ciò coerentemente appunto col significato che è proprio
del criterio della prevenzione. Pur
dovendosi riconoscere che la costruzione de qua (che si trova a cm. 42
dalla linea di confine tra le proprietà) viola la distanza di metri cinque
con la proprietà dell’attore non può quindi trovare accoglimento la domanda
di cui sub b) delle conclusioni precisate dall’attore e sopra
riportate. Invero
(come si legge nella motivazione di Cass. Civ. Sez. II 22/3/96 n. 2473) “ove
sia applicabile il principio della prevenzione (fondo del prevenuto
inedificato nella zona di confine) non basta, per ottenere l’arretramento,
che il preveniente abbia fabbricato a distanza dal confine inferiore alla
metà di quella stabilita fra costruzioni dall’art. 873 c.c. o dal regolamento
locale, perché in tal caso, l’arretramento della fabbrica è invece affidato
dalla legge alla libera scelta del preveniente, in alternativa all’estensione
della medesima sino al confine, scelta da esercitarsi dietro interpello da
parte del prevenuto che intenda costruire contro o in aderenza alla fabbrica
del preveniente (e nella specie manca qualsiasi domanda in tal senso da parte
dell’attore). In altre parole: non può configurarsi come dovere di
arretramento quel che la legge configura come diritto del preveniente; la
violazione della distanza minima dal confine (metà di quella stabilita tra
costruzioni) è sanzionata, contemperandosi le situazioni soggettive di
entrambi i confinanti, dall’assoggettamento del preveniente al sacrificio
della proprietà del suolo fino al muro ed alla comunicazione forzosa del muro
stesso. In conclusione, nella specie non risulta violata né la norma di cui
all’art. 873 (il fondo del prevenuto è inedificato) né la norma di cui
all’art. 875, donde la non invocabilità della riduzione in pristino di cui
all’art. 872 – 2”. La tesi
attorea pare riconducibile ad una interpretazione degli artt. 872, 873 e seg.
c.c. secondo la quale sarebbe sempre possibile chiedere la riduzione in
pristino in seguito alla mancata osservanza delle distanze previste dalle
disposizioni del codice civile ovvero dalle norme integratrici da queste
richiamate e ciò in base all’assunto che tali inosservanze integrerebbero in
ogni caso una violazione delle disposizioni stesse passibile della condanna
alla riduzione in pristino ex art. 872 comma 2 c.c. In
realtà, come è stato osservato, il sistema codicistico delle distanze legali
non ha come scopo precipuo quello di far sopportare in parti uguali ai
confinanti il sacrificio (consistente in una parte in fondo da lasciare
inedificata) comportato dallo spazio che il legislatore ha ritenuto debba
necessariamente intercorrere tra due costruzioni sorgenti su fondi finitimi,
se esse non siano unite o aderenti. Come pure è
stato osservato la vera ratio delle norme in questione è invece quella
di evitare che tra costruzioni vicine si creino intercapedini che, per la
loro esiguità, abbiano a risultare pericolose (sotto il profilo
dell’insalubrità nonché dell’ordine pubblico) e su tale assunto si fonda il
principio della prevenzione il cui contenuto consiste in ciò che il
proprietario che costruisca per primo (preveniente) è, in linea di principio,
libero di farlo finanche sul confine, con la sola avvertenza che, a seconda
della scelta da lui operata, il vicino (prevenuto), avrà dal canto suo a
disposizione, nell’edificare, una serie di alternative alle quali il
preveniente dovrà a sua volta sottostare. Per
completezza si osserva che nel caso di specie, per valutare le possibilità
concrete dell’attore nella costruzione dell’edificio che ha intenzione di
realizzare, non si potrà prescindere dal fatto che la parete del fabbricato
di cui si discute, prospiciente il confine con le ragioni Rossi, è parete
finestrata. La difesa
dei convenuti ha in comparsa conclusionale ricordato che, in tema di distanze
tra fabbricati, l’esercizio della facoltà del prevenuto di chiedere, ai sensi
dell’art. 875 c.c., la comunione forzosa del muro del preveniente, non
situato sul confine, allo scopo di fabbricare contro il muro stesso, non è
impedito dal fatto che sul muro che si vuole rendere comune risultino aperte
vedute iure proprietatis (Cass. Civ. Sez. Unite 1/8/2002
n. 11489). Sul punto
va ricordato ancora che la Suprema Corte ha avuto modo anche di chiarire
quale sia l’interpretazione da dare all’art. 9 n. 2 D.M. 2/4/1968 n. 1444 in
applicazione del principio della prevenzione. Secondo
Cass. Civ. Sez. II 7/3/2002 n. 3340, in caso di realizzazione di pareti
finestrate, “fermo restando che, per motivi di logica, prima ancora che di
equità, è da escludere che il preveniente possa realizzare una parete
finestrata alla distanza dal confine prevista dall’art. 905, primo comma
c.c., imponendo al prevenuto di arretrarsi da tale confine fino a rispettare
la distanza di mt. 10 da tale parete, la disciplina in tema di distanze va
trovata integrando le previsioni di cui all’art. 9 n. D.M. 2 aprile 1968 con
il principio di prevenzione, nei limiti in cui lo stesso può trovare
applicazione. Se il preveniente costruisce una parete finestrata ad una
distanza pari o superiore a mt. 5 dal confine non vi sono
problemi. Il prevenuto potrà, a sua
volta, realizzare un edificio con una parete, finestrata o meno, ad una
distanza pari ad almeno mt. 10, anche se inferiore a mt. 5 dal confine. E’ da
ritenere che comunque debba trovare applicazione l’art. 905 c.c. – Ove il
preveniente dovesse realizzare una parete finestrata ad una distanza dal
confine inferiore a mt. 5, il vicino non sarà tenuto ad arretrare la propria
costruzione fino a rispettare la distanza di mt. 10 da tale parte, ma potrà
imporre al preveniente di chiudere le aperture e costruire (evidentemente con
parete non finestrata) rispettando la metà della distanza legale dal confine,
ed eventualmente procedere all’interpello di cui all’art. 875, secondo comma,
cod. civ., se non fosse stata rispettata dal preveniente la distanza minima
di mt. 1,5 dal confine. In altri termini, la logica e l’equità espressa dal
generale principio di prevenzione impongono di interpretare l’art. 9 n. 2,
cit., nel senso che tra una parete finestrata e l’edificio antistante va
rispettata la distanza di mt. 10, con obbligo del prevenuto di arretrare la
propria costruzione fino ad una distanza massima di mt. 5 dal confine, se il
preveniente, nel realizzare tale parete finestrata, ha rispettato una
distanza di almeno mt. 5 dal confine”. Per
quanto riguarda la domanda di condanna al risarcimento del danno va anzitutto
osservato, relativamente all’eccepita prescrizione, che sul punto deve
condividersi la tesi della difesa dell’attore atteso che, trattandosi di
fatto illecito permanente, la decorrenza del termine di prescrizione non si
verifica dalla ultimazione dell’opera ma si rinnova di momento in momento
avendo inizio da ciascun giorno rispetto al fatto già verificatosi e al
corrispondente diretto al risarcimento del danno. Peraltro,
per quanto si è sopra detto, nulla può essere riconosciuto in relazione alla
lamentata violazione della distanza della costruzione dal confine, mentre la
domanda può trovare accoglimento limitatamente alla pure lamentata apertura
di vedute a distanza inferiore a quella di legge (art. 905 c.c.). Secondo
il consolidato orientamento della Suprema Corte sul punto il danno è in re
ipsa identificandosi nella violazione stessa. I
convenuti vanno quindi condannati in solido al risarcimento del danno in
favore dell’attore che può essere liquidato equitativamente all’attualità in
€ 3.098,74. Sussistono
giusti motivi per la compensazione nella misura dei due terzi delle spese del
giudizio ponendosi il residuo che si liquida in € 1.434,16di cui € 116,66 per
esborsi, € 531,07 per diritti, € 666,66 per onorari, € 119,77 per rimborso
spese generali oltre a quanto dovuto per legge a carico dei convenuti in
solido. Le spese
della ctu e del supplemento di ctu, come liquidate, vanno poste
definitivamente a carico di attore e convenuti nella misura della metà. P Q M
Il
Tribunale ogni istanza eccezione e deduzione disattesa così provvede: 1)
Accertato che la costruzione per cui è causa si trova alla distanza di cm. 42
dal confine tra le ragioni delle parti rigetta la domanda di cui sub b)
delle conclusioni precisate dall’attore dovendosi ritenere operante nella
fattispecie il criterio della prevenzione; 2)
Condanna i convenuti in solido al risarcimento del danno derivante dalla violazione
delle norme sulle distanze per l’apertura di vedute dirette che liquida in €
3.098,74 all’attualità; 3)
Dichiara compensate nella misura di due terzi le spese del giudizio ponendosi
il residuo che si liquida in € 1.434,16 di cui € 116,66 per esborsi, € 531,07
per diritti, € 666,66 per onorari, € 119,77 per rimborso spese generali oltre
a quanto dovuto per legge a carico dei convenuti in solido; 4) Pone
definitivamente le spese di ctu e del supplemento di ctu come liquidate a
carico di attore e convenuti nella misura della metà. Così
deciso in data 07/01/2004 dal TRIBUNALE ORDINARIO di Mantova.
IL
GIUDICE
Dott. Andrea Gibelli |