Tribunale di Mantova – Giudice unico Dr. Laura De Simone –
Sentenza del giorno 26 luglio 2005. Revocatoria
di rimesse in conto corrente - Interruzione del processo – Fusione per incorporazione
della parte – Legittimazione passiva – Cessione del ramo d’azienda bancaria –
partecipazione al processo del cessionario ex art. 111 c.p.c. – Eccezione di
estinzione – Decadenza – Legittimazione passiva del cessionario ex art. 58
t.u.l.b. In ipotesi di fusione per incorporazione
della parte, il giudizio deve proseguire nei confronti dell’incorporante, a
nulla rilevando, in questo caso, il fatto che nel frattempo sia avvenuto il
trasferimento a titolo particolare del diritto controverso a seguito di
cessione del ramo d’azienda bancaria; in tale ipotesi, infatti, il successore
a titolo particolare potrà unicamente essere chiamato o intervenire nel
processo ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 111 c.p.c. Qualora, invece, la successione a titolo
particolare abbia avuto luogo prima dell’inizio del processo e l’atto di
cessione di azienda bancaria includa tutti i rapporti attivi e passivi
facenti capo al cedente, si deve ritenere, anche alla luce del disposto
dell’art. 58 t.u.l.b, che legittimato passivo dell’azione revocatoria sia il
solo cessionario. Revoca di rimesse su conto scoperto –
Prova e opponibilità degli affidamenti – Forma scritta – Necessità. Con l’entrata in vigore dell’art. 3 della L.
17.2.1992 n. 154 – poi recepito nell’art. 117 del T.U. D. lgs. 1.9.1993 n.
385 - il contratto di apertura di credito, così come tutti i contratti bancari,
deve necessariamente stipularsi per iscritto a pena di nullità. In assenza di adeguata prova documentale in ordine
alla sussistenza di un contratto di apertura di credito, tutte le rimesse
affluite su conto corrente con saldo passivo devono considerarsi di natura
solutoria e come tali revocabili. Revocatoria
di rimesse in conto corrente - Criterio del saldo disponibile – Ricostruzione
dei saldi infragiornalieri – Ordine dei movimenti risultante dall’estratto
conto - Inadeguatezza. Le risultanze dell’estratto conto non consentono di
ricostruire l’ordine temporale in cui si sono susseguite le operazioni
nell’ambito della stessa giornata, non essendo nella maggior parte dei casi
consentito neppure al correntista di riscontrare l’orario esatto in cui le
singole operazioni sono state compiute dalla Banca e quindi di contestarne
l’ordine come riportato. Non può, infatti, negarsi l’assoluta casualità con
cui le operazioni della medesima giornata vengono contabilizzate
nell’estratto conto, considerato che nello stesso momento potrebbero incrociarsi
operazioni compiute da varie postazioni interne dell’Istituto di credito, con
altre effettuate in via centralizzata ed automatica ed altre ancora eseguite
allo sportello dietro richiesta del cliente. In assenza di prova fornita dal fallimento circa
la cronologia delle operazioni, appare opportuno utilizzare il criterio più
favorevole alla banca, secondo il quale devono essere computate prima le
rimesse a credito e poi quelle a debito. Revocatoria di rimesse in conto
corrente – Partite bilanciate – Eccezione in senso stretto - Decadenza –
Onere della prova della finalità dell’operazione a carico della banca -
Sussistenza. L’affermazione secondo la quale determinate
rimesse non sono revocabili in quanto rientranti nella fattispecie delle c.d.
partite bilanciate è, nella sostanza, un’eccezione di compensazione,
qualificabile come eccezione in senso stretto non rilevabile d’ufficio e che
deve essere sollevata, a pena di decadenza, nella comparsa di costituzione o
al più tardi nel termine di cui all’art. 180, II co. c.p.c. La prova dell’esistenza di partite bilanciate non
può dirsi assolto con l’allegazione della mera coincidenza cronologica tra le
operazioni di versamento e di pagamento, essendo necessaria la prova della
finalità dell’operazione, dovendosi accertare che entrambe le partite siano
state effettuate in presenza di una specifica ed inequivoca volontà del
correntista. Ne consegue che un lieve sfasamento temporale tra
le operazioni non è sufficiente ad escludere l’esistenza di partite bilanciate
qualora risulti il nesso logico tra le operazioni in termini di volontà. Revocatoria fallimentare – Prova della scientia decoctionis in
capo alla banca – Soggetto qualificato – Analisi per indici di bilancio – Notizie
stampa – Iscrizioni ipotecarie – Sussistenza. Rientra nei compiti dell’Ufficio Fidi di ogni
Istituto bancario effettuare un’analisi dei bilanci delle società con cui i
rapporti sono intrattenuti al fine di acquisire informazioni per l’istruzione
delle pratiche di fido e per valutare, attraverso dati oggettivi,
confrontabili con parametri standard e con clientela omogenea per dimensione
e settore d’attività, l’efficienza, la redditività, la liquidità e la
consistenza patrimoniale del cliente. La conoscenza dello stato di insolvenza da parte
della banca può quindi essere desunta a fronte di indici di bilancio che,
letti in un quadro organico ed in presenza di un elevato livello di
indebitamento della società, permangano per lungo tempo al di sotto degli
standard di normalità, rappresentando tale elemento un chiaro e significativo
segnale di una situazione finanziaria lontana da condizioni di equilibrio sia
di breve che di lungo periodo. Concorrono a formare la scientia decoctionis altri
elementi quali: -la presenza di una pluralità di ipoteche sui beni
della società fallita e soprattutto il rapido incremento delle iscrizioni,
sintomo evidente di una decrescente affidabilità al cospetto del settore
bancario; -le notizie riportate sui giornali nazionali,
anche finanziari, dell’epoca ove, in più occasioni, abbiano pubblicato
articoli nei quali si evidenzia la tensione finanziaria della società e del
gruppo, nonché la preoccupazione del sistema bancario per detta situazione
aziendale; -il conferimento ad un advisor dell’incarico di
iniziare l’elaborazione di un piano di ristrutturazione finanziaria con
convocazione di tutti gli istituti di credito ad una riunione a tal fine organizzata
e la formalizzazione scritta di una richiesta di finanziamenti; -la revoca degli affidamenti da parte di numerosi
istituti di credito; Il testo integrale: SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato in data
25.6.2001 il Fallimento Belleli S.p.A., in persona del curatore fallimentare dott.
****, conveniva in giudizio la Banca Cassa di Risparmio di Torino S.p.A.
affinché fossero revocate, ai sensi dell’art.67 comma 2 L.F., le rimesse
eseguite dalla Belleli S.p.A. sul c/c n.1369983/52 acceso presso la Filiale
di Verona della Banca Cassa di Risparmio di Torino S.p.A., nel periodo
compreso tra il 16.11.1994 ed il 16.11.1995, per complessive £.5.368.745.080
(ora € 2.772.725,44). Esponeva il Fallimento attore che le
rimesse eseguite sul conto corrente acceso presso la convenuta presentavano tutte natura solutoria, essendo volte a
ridurre l’esposizione maturata nei confronti della Banca in assenza di
concessione di affidamento. Inoltre l’Istituto di credito conosceva lo stato
di insolvenza della Belleli S.p.A., essendo la situazione di decozione del
Gruppo Belleli, a quell’epoca, ormai nota a tutta l’opinione pubblica, per le
allarmanti notizie di stampa divulgate. Nello specifico la Banca convenuta
aveva sempre avuto un quadro effettivo e completo della situazione
finanziaria e patrimoniale dell’azienda, avendo esaminato i bilanci della società fallita e conoscendo
necessariamente le molteplici iscrizioni di ipoteche e di privilegi speciali
risultanti dai pubblici registri, nonché la revoca degli affidamenti alle
varie società del Gruppo operata da diversi Istituti di credito. Si costituiva ritualmente in giudizio la
Banca Cassa di Risparmio di Torino S.p.A. insistendo per il rigetto della
domanda proposta, osservando che non poteva affermarsi la natura solutoria
delle rimesse indicate dalla curatela, atteso che la fallita godeva di un’apertura di credito sul conto corrente,
ed ancora che molte delle operazioni di cui era chiesta la revoca dovevano
considerarsi bilanciate. Contestava poi la convenuta che il dies a quo dell’azione revocatoria potesse
farsi decorrere dall’ammissione alla procedura di amministrazione
controllata. Rilevava, infine, di non aver conosciuto lo stato di insolvenza
della Belleli S.p.A. e che la documentazione dimessa dal Fallimento sul punto
non poteva ritenersi idonea prova dell’assunto. Nel corso del procedimento, il 13.12.2002
la Cassa di Risparmio di Torino S.p.A. notificava all’attore che essa, in
data 19.6.2002, era stata fusa per incorporazione in UniCredito Italiano
S.p.A., a cui era seguito il conferimento dell’azienda bancaria in Unicredit Banca S.p.A.. Il Fallimento Belleli S.p.A. riassumeva il
giudizio, interrotto con la notificazione dell’evento interruttivo, nei
confronti di Unicredit Banca S.p.A.. Unicredit Banca S.p.A. si costituiva in
giudizio richiamando le difese di merito della Banca Cassa di Risparmio di
Torino S.p.A.. Successivamente, con memoria di
costituzione depositata all’udienza del 30.1.2004, si costituiva in giudizio
ex art.300 c.p.c. Unicredit Banca d’Impresa S.p.A. esponendo che con decorrenza
1.1.2003 Unicredit Banca S.p.A. aveva conferito il ramo aziendale relativo ai
rapporti qualificati dalla Banca come “corporate”, tra cui era la posizione
Belleli S.p.A., in capo a Unicredit Banca d’Impresa S.p.A., richiamando nel
merito le difese svolte da Unicredit Banca S.p.A.. Il processo era istruito con l’audizione
dei testi introdotti da parte attrice e l’espletamento di una consulenza
tecnica di natura contabile. Con
separato atto di citazione notificato in data 24.11.2003 il Fallimento
Belleli S.p.A. conveniva in giudizio Unicredit Banca S.p.A. affinché fossero
revocate, ai sensi dell’art.67 comma 2 L.F., le rimesse eseguite dalla
Belleli S.p.A. su altro c/c, il
n.2117800/96, sempre acceso presso la Filiale di Verona della Banca
Cassa di Risparmio di Torino S.p.A. nel periodo compreso tra il 16.11.1994 ed
il 16.11.1995 per complessive £.1.817.341.532 (ora € 938.578,57). Si
costituiva in giudizio Unicredit Banca S.p.A. eccependo preliminarmente il
proprio difetto di legittimazione passiva, avendo la medesima prima
incorporato la Banca Cassa di Risparmio di Torino S.p.A., ma poi conferito il
ramo d’azienda “corporate” in
Unicredit Banca d’Impresa S.p.A. a far tempo dal 1.1.2003. Nel merito
eccepiva la convenuta l’insussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi
dell’azione intrapresa. Le due cause erano riunite, per ragioni di
connessione oggettiva e soggettiva, con provvedimento del 17.2.2004. Rigettate le ulteriori istanze istruttorie
formulate, sulle conclusioni come sopra riportate, la causa veniva trattenuta
per la decisione all’udienza del 21.12.2004, ove era concesso alle parti il
termine di cui all’art.190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e
memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente deve essere affrontata la
questione processualcivilistica dell’interruzione del processo, ex art.300
c.p.c., postasi nella causa n.2327/01 R.G., per perdita di capacità processuale
della società convenuta, e dell’individuazione del soggetto nei cui confronti
la riassunzione doveva essere effettuata. Ritiene il giudicante che, nell’ipotesi di
fusione per incorporazione di una società parte processuale, il giudizio
debba proseguire nei confronti dell’incorporante, e questo per il fatto che
la società assoggettata a fusione si estingue e la società incorporante le
succede in ogni rapporto sostanziale e processuale, in una situazione
corrispondente a quella della successione a titolo universale mortis causa (Cass. 2 agosto 2001
n.10595; Cass.22 giugno 1999 n.6298, questo stesso giudice Trib.Mantova
18.6.2003). Nella specie, quindi, essendosi la Banca
Cassa di Risparmio di Torino S.p.A. fusa per incorporazione in Unicredito
Italiano S.p.A., è nei confronti di questo soggetto giuridico che il giudizio
avrebbe dovuto essere riassunto. Il trasferimento a titolo particolare del
diritto controverso, quale si è verificato per effetto della cessione del
ramo d’azienda da Unicredito Italiano S.p.A. a Unicredit Banca S.p.A., avvenuto
successivamente all’incorporazione, è
regolato processualmente dall’art.111 c.p.c., norma che prevede la
prosecuzione del processo tra le
parti originarie, e unicamente consente al successore a titolo particolare di
intervenire o essere chiamato in causa o eventualmente di proporre appello
avverso la sentenza, per cui appare
possibile affermare l’irrilevanza del trasferimento rispetto al processo in
corso. A nulla rileva, al fine di individuare il
soggetto nei cui confronti operare la riassunzione, il disposto del comma V
dell’art.58 t.u.l.b., in base al quale
– per decorso dei tre mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale dell’avvenuta cessione - il cessionario dell’azienda bancaria
risponde in via esclusiva dell’adempimento delle obbligazioni oggetto della
cessione, atteso che la norma invocata regolamenta i rapporti di natura
sostanziale tra cedente, cessionario e debitori e creditori ceduti
nell’ipotesi di cessione a banche di aziende, rami d’azienda e beni
individuati in blocco, senza statuire alcunché con riferimento alla
legittimazione processuale relativamente alle controversie in corso al
momento della cessione per cui devono trovare applicazione i generali
principi processuali sopra
richiamati. La
mancata riassunzione del processo nei confronti del soggetto legittimato a
proseguirlo avrebbe senz’altro comportato l’estinzione del giudizio, se
l’eccezione fosse stata tempestivamente formulata da parte convenuta nella
prima difesa utile, a mente dell’ultimo comma dell’art.307 c.p.c.. Poiché ciò non è avvenuto, l’estinzione
non può più essere pronunciata e occorre valutare la fondatezza della domanda
nei confronti del soggetto a cui il ricorso in riassunzione è stato
notificato. Si osservi, infatti, che la Curatela con
il ricorso in riassunzione ha riproposto le domande, inizialmente svolte
contro la Banca Cassa di Risparmio di Torino S.p.A., nei confronti di Unicredit
Banca S.p.A. e questa si è costituita in giudizio, quale cessionaria del ramo
d’azienda, non negando la propria legittimazione, facendo proprie le difese
originariamente svolte dalla Banca Cassa di Risparmio di Torino S.p.A e
chiedendo che la pronuncia fosse compiuta nei suoi confronti. In effetti, se si considera che per regola
generale quando l’evento successorio è reso manifesto, la sentenza ha
efficacia diretta nei confronti del successore (art.111 IV co. c.p.c.), deve
ritenersi che nella specie la Unicredit Banca S.p.A. abbia legittimazione
processuale ordinaria, affermando in capo a sé la titolarità dei rapporti di
cui in questa sede si discute. Successivamente poi, a seguito della scissione
parziale della società Unicredit Banca S.p.A. e trasferimento del ramo
aziendale alla Unicredit Servizi Corporate S.p.A., che dalla data della
scissione ha modificato la propria denominazione in Unicredit Banca d’Impresa
S.p.A., è intervenuta volontariamente
in giudizio la Unicredit Banca d’Impresa S.p.A. anch’essa affermando e
documentando la propria legittimazione processuale e riportandosi alle difese
di merito svolte da Unicredit Banca S.p.A., che a sua volta aveva richiamato
le difese della Banca Cassa di Risparmio di Torino S.p.A.. Si precisa che la costituzione è avvenuta
ai sensi degli artt. 300 e 302 c.p.c., presupponendosi una successione a
titolo universale tra i due Istituti di credito. In realtà la scissione operata
da Unicredit Banca S.p.A. che ha trasferito un ramo d’azienda alla Unicredit
Servizi Corporate S.p.A., contestualmente ridenominata Unicredit Banca
d’Impresa S.p.A., ha determinato un fenomeno di successione a titolo
particolare tra i due soggetti, non essendo venuto meno quello da cui la
scissione ha avuto origine, con conseguente applicazione anche in questa
ipotesi dell’art.111 c.p.c. e segnatamente del suo terzo comma. Deve,
pertanto, qualificarsi quale frutto di intervento volontario la
partecipazione al giudizio di Unicredit banca d’Impresa S.p.A.. La questione diviene, a questo punto, di
merito poiché vi sono due soggetti che si affermano titolari sul lato passivo
del rapporto in discussione. Non risultando contestate dalle parti le vicende
successorie a titolo universale e particolare sopra descritte, la titolarità
sostanziale del rapporto controverso, in questa sede, va individuata sulla
base del già citato art.58 t.u.l.b.,
che stabilisce che decorsi tre
mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’avvenuta cessione
(nella specie non è discusso che sia avvenuta il 3.6.2003) il cessionario
dell’azienda bancaria risponde in via esclusiva dell’adempimento delle
obbligazioni oggetto della cessione. Poiché nella cessione da Unicredit Banca S.p.A. a Unicredit Banca d’Impresa
S.p.A. è senz’altro ricompresa la posizione Belleli S.p.A., il soggetto
passivo della pretesa creditoria azionata può essere identificato
nell’attuale convenuta Unicredit Banca d’Impresa S.p.A.. Ipotesi
tutta diversa si è verificata con riguardo alla causa n.5165/03. All’epoca di notificazione dell’atto di
citazione, avvenuta il 24.11.2003, la titolarità del rapporto controverso, in
virtù delle vicende successorie sopra descritte, faceva già capo a Unicredit
Banca d’Impresa S.p.A. (v. atto di scissione del 27.12.2002 e relativi
allegati, doc.1 di parte convenuta) e non
a Unicredit Banca S.p.A.. Nel novembre del 2003 Unicredit Banca
S.p.A. non era né il soggetto originario in favore del quale le rimesse che
si intendono revocare erano state effettuate, né il soggetto subentrato in
via sostanziale nella titolarità del rapporto. Peraltro non può invocarsi, come
pretenderebbe la curatela, il dettato degli artt.2560 c.c. o il vecchio testo
dell’art.2504 octies co. 3 c.c., avendo il legislatore con il disposto
dell’art.58 T.u.l.b. chiaramente inteso differenziare la disciplina della cessione dell’azienda bancaria rispetto
all’ordinaria cessione d’azienda o scissione di società regolate dal codice
civile (Trib. Bassano del Grappa 23.4.2002). Va poi ritenuto che nel conferimento di
azienda bancaria in cui, come nella specie, è fatto puntuale riferimento a
tutti i rapporti attivi e passivi facenti capo alla conferente, siano necessariamente
ricomprese anche le situazioni di soggezione rispetto ad eventuali azioni revocatorie
esercitabili dal fallimento, in quanto nel trasferimento delle poste attive,
pur se non specificatamente menzionate, rientrano anche le soggezioni e gli
oneri connessi ai rapporti giuridici precedenti, tra i quali, dunque, anche
le eventuali azioni revocatorie (App.Milano 31.1.2003, Trib.Milano
29.1.2001). A prescindere da qualsiasi altra
considerazione, quindi, la domanda proposta nei confronti di Unicredit Banca
S.p.A. nella causa n.5165/03 R.G. deve essere rigettata. Passando
al merito, e pertanto con esclusivo riferimento alle domande svolte nella controversia
n.2327/01 R.G., deve osservarsi che, secondo la distribuzione dell’onere
probatorio sancita dall’art.67 L.F.,
la Curatela fallimentare deve dimostrare l’esistenza delle rimesse,
l’effettuazione delle stesse nel periodo sospetto, nonchè la scientia decoctionis da parte della
Banca, mentre quest’ultima ha l’onere di provare la natura non solutoria dei
versamenti, documentando l’esistenza, all’epoca delle rimesse, di un
contratto di apertura di credito e/o eventualmente la presenza di operazioni
bilanciate. Profilo temporale Sotto il profilo temporale i limiti posti
dall’art.67 II co. L.F. debbono ritenersi rispettati atteso che, nel caso di
consecuzione di procedure concorsuali, per giurisprudenza consolidata e condivisibile,
il termine a ritroso per la revoca dei pagamenti compiuti dall’imprenditore
decorre dalla data del provvedimento di ammissione alla prima procedura -nel
caso di specie l’amministrazione controllata a cui la Belleli S.p.A. è stata
ammessa con decreto del 16.11.1995 - (Cass.2.9.1996 n.7994, Cass.6.6.1997
n.5071- nello stesso senso Corte Costituzionale nella sentenza n.110/1995 e
nelle ordinanze n.224/1995 e n.12/1997). Presupposto oggettivo dell’azione Sussistenza di rimesse revocabili-
Contratto di apertura di credito – Opponibilità alla curatela Poiché la revocatoria di cui al secondo
comma dell'art.67 L.F. colpisce i pagamenti dei debiti liquidi ed esigibili,
con riguardo alla revoca di rimesse in conto corrente, assumono
rilevanza solamente le rimesse
compiute su conto scoperto, vale a dire passivo non affidato oppure passivo
oltre l'affidamento concesso dalla banca. L'orientamento giurisprudenziale
ormai consolidato e qui condiviso è stato introdotto dalla Corte di
Cassazione con la sentenza 18.10.1982 n.5413, ove si osservava che
“nell'ipotesi di conto corrente
bancario in cui la provvista sia costituita da un'apertura di credito, ai fini della revocatoria fallimentare, nei
confronti della banca,
dei versamenti effettuati sul suo
conto dal correntista poi fallito (o
da terzi), è necessario che dallo svolgimento
del conto rimanga accertato che, nel periodo
considerato dall'art. 67,
comma 2, della
legge fallimentare, si sia verificato (per l'utilizzazione
fattane dal correntista) uno " scoperto " del conto per avere la banca pagato, per conto del
cliente, una somma superiore a quella postagli a disposizione e che il successivo versamento sia stato imputato dalla banca
a pagamento del relativo debito sorto in capo al correntista (stante l'immediata esigibilità del corrispondente credito): solo in questo caso, infatti,
può farsi luogo alla revocatoria,
poiché, ove tale scoperto non si sia
verificato, il versamento nel conto (si tratti di
un versamento in
contanti del correntista, o
di un bonifico di somme
provenienti da terzi, ovvero
di un giroconto) configura un
mero accreditamento di somme
per la reintegrazione
della somma posta dalla banca a disposizione del
correntista, di volta in volta decurtata da operazioni passive, che, in sé stesso, non è atto né
gratuito, né oneroso e, quindi, non è soggetto alla revocatoria fallimentare, consistendo, invece,
in una mera operazione contabile” (nello stesso
senso più di recente a solo titolo esemplificativo Cass. 26.2.1999 n.1672,
Cass.26.8.1996 n.7829, Cass.22.3.1994 n.2744, Trib.Milano 21.2.2002). La Banca, quindi, che allega di aver
concesso al un fido al cliente poi fallito, deve prima di tutto provare la
sussistenza del dedotto affidamento, affinché le rimesse sul conto nel periodo
sospetto possano ritenersi ripristinatorie di una provvista e non già
solutorie. A
tal fine parte convenuta produce unicamente una lettera di patronage a firma
dell’amministratore delegato di Belleli Holding Industriale S.p.A. in data
27.4.1994. A prescindere dalla concludenza, ai fini
che qui interessano, del documento prodotto, che non indica né il conto
corrente in favore del quale l’affidamento sarebbe concesso, né la tipologia di affidamento, né la
decorrenza, né l’importo attribuito, osserva questo giudice che, con
l’entrata in vigore dell’art.3 della L.17.2.1992 n.154 – poi recepito nell’art.117
del T.U. D.lgs.1.9.1993 n.385 - il contratto di apertura di credito, così
come tutti i contratti bancari, deve necessariamente stipularsi per iscritto
a pena di nullità (v.Trib.Torino
13.1.2003, Trib.Napoli 16.1.2001). Poiché non è in discussione che il
contratto di cui si tratta sia stato redatto successivamente all’entrata in
vigore delle disposizioni normative indicate, la forma scritta per la sua
stipulazione doveva ritenersi obbligatoria. In assenza di adeguata prova documentale
in ordine alla sussistenza di un contratto di apertura di credito,
asseritamene datato 28 aprile 1994, tutte le rimesse affluite sul conto corrente n.1369983/52 con saldo
passivo devono considerarsi come solutorie e non già ripristinatorie della
provvista, assumendo la veste di
pagamenti rilevanti ai fini della revocatoria fallimentare. Saldi di riferimento-criterio del saldo
finale giornaliero Al fine di determinare l’andamento del
conto al momento dell’effettuazione delle rimesse della cui revocabilità di
discute, questo Giudice ha ritenuto di aderire all’indirizzo ormai consolidato
della Corte di Cassazione secondo cui
deve farsi riferimento al saldo disponibile, risultante dalla interpolazione
del saldo contabile (per tutte le operazioni a debito e per i versamenti in
contanti e per i bonifici) e del saldo per valuta (per gli accrediti di
titoli di terzi), salva la prova in questo secondo caso dell’anteriorità
dell’incasso rispetto alla valuta o comunque dell’anteriorità della
disponibilità da parte del cliente (Cass.22.3.1994 n.2744, Cass.19.1.1998
n.462, Cass.26.1.1999 n.686). Per ciò che riguarda i saldi
infragiornalieri si ritiene che il criterio più prudente da utilizzare, in
assenza di prova fornita dal Fallimento circa la cronologia delle operazioni,
sia quello più favorevole alla Banca computando prioritariamente tutte le
rimesse a credito (Cass.17.12.1994 n.10.869, Trib.Napoli 15.3.2002,
Trib.Torino 24.5.1999). Non appare, in particolare, condivisibile l’orientamento del Tribunale di Milano che, in
assenza di prova contraria, quando in una medesima giornata sono eseguite
plurime operazioni disegno opposto, considera i movimenti secondo l’ordine
indicato nell’estratto conto, sulla considerazione che l’estratto conto è il documento che viene inviato al correntista
e che, se non è contestato, deve considerarsi approvato dal cliente
(Trib.Milano 30.7.2001, Trib.Milano 16.11.1989). Questo giudice ritiene che l’ordine delle
operazioni eseguite in un’unica giornata e riportate nell’estratto conto non
necessariamente individui la cronologia delle singole operazioni, non assumendo alcun rilevo in proposito la
mancata contestazione dell’estratto conto, che è da riferirsi unicamente alle operazioni di addebito e di accredito
nella loro realtà fattuale. Il dato temporale delle operazioni
infragiornaliere nell’estratto conto rimane generalmente equivoco, non
essendo nella maggior parte dei casi consentito neppure al correntista
riscontrare l’orario esatto in cui le singole operazioni sono state compiute
dalla Banca e quindi di contestarne l’ordine come riportato. Del resto non
può negarsi l’assoluta casualità con cui le operazioni della medesima
giornata vengono contabilizzate nell’estratto conto, considerato che nello
stesso momento potrebbero incrociarsi operazioni compiute da varie postazioni interne dell’Istituto
di credito, con altre effettuate in via centralizzata ed automatica ed altre
ancora eseguite allo sportello dietro
richiesta del cliente. Partite bilanciate La curatela ha indicato in modo
analitico le rimesse che ritiene
revocabili, avendo depositato uno schema al quale si è richiamata in atto di
citazione (doc.4 di parte attrice). Le stesse sono state confermate dal
Consulente tecnico nominato (v. allegato 1 all’elaborato peritale). Per la prima e unica volta in sede di
consulenza tecnica la banca convenuta ha affermato la sussistenza di
specifiche operazioni bilanciate eseguite il 20.1.1995, 29.5.1995, 28.6.1995,
8.8.1995, 18.8.1995. L’eccezione è tardiva, trattandosi di
eccezione in senso stretto che come tale andava proposta, a pena di
decadenza, nella comparsa di costituzione o tutt’al più entro il termine assegnato
ai sensi dell’art.180 II co. c.p.c.. Si osservi che, nella sostanza si tratta
di un’eccezione di compensazione, mai rilevabile d’ufficio per espresso
disposto dell’art.1242 I co.c.c.. Anche a prescindere da questo assorbente
rilievo processuale, l’eccezione è comunque nel merito infondata. In linea di principio va condiviso
l’orientamento giurisprudenziale per cui non sono revocabili, non avendo
natura solutoria, le cosiddette operazioni bilanciate e cioè quegli accrediti
sul conto corrente effettuati dal correntista al fine di costituire la
provvista per l’esecuzione di specifiche operazioni a debito, quali ordini di
pagamento a favore di terzi, accettati ed eseguiti dalla banca
(Cass.26.1.1999 n.686, Cass.17.7.1997 n.6558, Cass.17.12.1994 n.10.869,
C.App.Milano 11.10.1994). Con tali operazioni la Banca non fa credito al
correntista ma esegue un incarico ed il cliente, dal canto suo, non paga un
debito ma somministra i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato
(art.1720 c.c.). L’onere della prova incombente sulla Banca
non può tuttavia dirsi assolto con l’allegazione della mera coincidenza
cronologica tra le operazioni di versamento e di pagamento, essendo
necessaria la prova della chiara finalità dell’operazione, dovendo
riscontrarsi che entrambe le partite siano state effettuate con una specifica
ed inequivoca volontà del correntista. L’indispensabilità di conoscere la natura
dell’operazione giustificativa dell’accreditamento si impone proprio per
stabilire se sia intervenuto un accordo tra il cliente e la banca che consenta
di non considerare la somma versata sul c/c quale copertura, anche parziale,
dello scoperto e di valutare quindi revocabile non già l’accreditamento sul
c/c ma il pagamento effettuato con la somma accreditata dalla Banca per conto
del cliente in favore di un terzo beneficiario. Anche un lieve sfasamento temporale tra le
operazioni, in sé, può non escludere il riscontro di partite bilanciate,
purché tuttavia emerga chiaramente il nesso logico tra le operazioni in termini
di volontà. Al contrario, nella fattispecie che
esamina, nessuna prova risulta
fornita relativamente alle operazioni di accredito e di addebito riscontrate
nelle date sopra indicate e contraddistinte unicamente dalla descrizione
“divisa”. Al di là della coincidenza temporale e della vicinanza degli
importi, la Banca convenuta neppure prospetta le specifiche operazioni che
nel caso vennero posta in essere e nessun documento agli atti consente di
porre in consequenzialità le operazioni. Nella specie non è pertanto riscontrabile
la compensazione, la correlazione logica tra le partite, che consente di escludere il carattere
solutorio delle rimesse. Dunque, le operazioni indicate da parte
convenuta non possono ritenersi bilanciate. Eventus damni Non si pone in dubbio l’esistenza dell’eventus damni attesa la presunzione,
prevista dal legislatore, di pregiudizio per i creditori conseguente agli atti di disposizione del
patrimonio compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento
(Cass.12.1.2001 n.403, Cass.30.3.2000 n.3878). Presupposto soggettivo dell’azione Sotto questo profilo, l’indagine che deve essere compiuta consiste nel
riscontrare se la Banca, sulla base degli elementi conosciuti o conoscibili a
sua disposizione, non poteva non rendersi conto dello stato di dissesto
economico in cui versava il debitore. In linea generale, essendo raro che la
curatela fornisca elementi di prova diretta della scientia decoctionis (es. confessione, es. prove che consentano
di riscontrare che l’accipiens era
stato informato dal solvens della
crisi dell’impresa), la prova è offerta per presunzioni, basata su elementi
indiziari che per assumere significatività devono presentare i
requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art.2729 c.c.. E’ pacifico in giurisprudenza che le
presunzioni relative alla scientia
decoctionis, quando parte convenuta è un Istituto di credito, devono
essere valutate in maniera rigorosa,
trattandosi di un operatore economico dotato di speciale sensibilità critica
e in condizione di apprezzare segnali che per altri operatori avrebbero
scarso significato. Questo non solo perché, generalmente, l’operatore
bancario rileva con più attenzione e con più prudenza di altri operatori economici
gli elementi che possono denotare una crisi imprenditoriale dovendo
preoccuparsi del recupero del credito erogato, ma anche perché svolgendo
sovente la Banca un servizio di cassa ed avendo a disposizione i bilanci
delle società, può valutare prima e meglio di chiunque altro quelle
situazioni di illiquidità e di difficoltà economica tali da far presumere uno
stato di insolvenza (Cass.21.1.2000 n.656, Cass.11.11.1998 n.11369,
Cass.12.5.1998 n.4769). Certamente tuttavia non è sufficiente la
qualifica soggettiva del convenuto per ritenere sempre sussistente la
conoscenza dello stato di insolvenza dei debitori falliti, essendo
comunque indispensabile
l'accertamento in concreto di
elementi conosciuti o conoscibili che nello specifico caso rendano
desumibile la scientia decoctionis. Nella fattispecie in esame, all’esito
dell’istruzione probatoria esperita, le circostanze emerse sono le seguenti: 1) BILANCI
Conformemente alle istruzioni di vigilanza
della Banca d’Italia ed all’art.53 t.u.l.b. del 1993, la Banca convenuta ha
richiesto annualmente alla società fallita i bilanci dell’impresa e consolidati
del Gruppo. Risultano agli atti i bilanci al
31.12.1992, al 31.12.1993, al 31.12.1994 della Belleli S.p.A. e consolidati
del Gruppo al 31.12.1992 e al 31.12.1993. Nel corso del giudizio è stata espletata
una consulenza tecnica di natura contabile finalizzata all’esame dei bilanci
prodotti, da cui emergono in maniera chiara alcuni dati significativi ai fini
che qui interessano. Va certamente rilevato che la comparabilità dello stato patrimoniale
della Belleli S.p.A. al 1992 con quelli del 1993 e 1994 è fortemente
influenzata dall’operazione di conferimento nella società fallita, con effetto
dal 31.12.1993, della quasi la totalità delle attività e delle passività
della Belleli Impianti S.p.A. e della Belleli Industrie Meccaniche S.r.l.,
come si evince nella nota integrativa al bilancio 1993. In ogni caso i bilanci più significativi
per l’indagine da svolgersi restano quelli al 31.12.1992 e al 31.12.1993,
essendo presumibile che il bilancio al 31.12.1994 sia entrato nella disponibilità
dell’Istituto di credito solo nell’estate del 1995, quando ormai la maggior
parte delle rimesse di cui si discute era stata effettuata. Tenuto conto anche questi aspetti, si
ritiene che le conclusioni a cui è pervenuto il CTU, dott ***, possano essere
pienamente condivise, in quanto
congruamente motivate, prive di vizi logici e supportate da riscontri
documentali. In
particolare il consulente è stato incaricato di riclassificare i bilanci
della società fallita, determinando i principali i indici di bilancio – con
specifico riferimento agli indici di liquidità, di indebitamento, di garanzia
dei debiti a medio e lungo termine e quant’altro reputato significativo al
fine richiesto – ponendo in risalto le risultanze sotto il profilo della
composizione della liquidità, della struttura finanziaria e della redditività
e riscontrando la rispondenza o meno degli indici accertati rispetto agli standard di normalità. Rientra nei compiti dell’Ufficio Fidi di
ogni Istituto bancario effettuare un’analisi dei bilanci delle società con
cui i rapporti sono intrattenuti e questo al fine di cogliere quelle
informazioni, circa la realtà
aziendale, essenziali per l’istruzione delle pratiche di fido e per valutare,
attraverso dati oggettivi, confrontabili con parametri standard e con
clientela omogenea per dimensione e settore d’attività, l’efficienza, la redditività, la liquidità
e la consistenza patrimoniale del proprio cliente. E’ anche lecito supporre che la struttura
organizzativa dell’Istituto di Credito convenuto comprendesse un ufficio
specializzato nella gestione dell’area grandi clienti – tra i quali verosimilmente
rientrava Belleli S.p.A. se si considera la costante e rilevante esposizione
debitoria evidenziata dagli estratti conto in atti -, appositamente
predisposto per la cura dei rapporti con i clienti di maggiori dimensioni.
Ragionevolmente deve ritenersi che,in quella sede, vi fossero tutte le
competenze ed esperienze necessarie per valutare la situazione della fallita
ad un livello anche superiore a quello dell’operatore economico di media
capacità del settore creditizio. Il metodo più diffuso utilizzato per trarre
dai bilanci le valutazioni indispensabili circa lo stato di salute delle
aziende è l’analisi per indici, che si effettua calcolando rapporti tra
valori ed altre quantità tratte dallo stato patrimoniale e dal conto
economico in precedenza rielaborati. Circa
gli indici riscontrati nel caso di specie, da pag. 22 a pag.35 dell’elaborato
peritale, va evidenziato in particolar modo
quanto segue.
Per quanto riguarda i bilanci di Bellei S.p.A.: - l’indice
di liquidità o acid test, che esprime la capacità dell’azienda di far
fronte alle passività correnti ricorrendo unicamente alle liquidità
immediate, al netto del magazzino (algebricamente è dato dal rapporto tra
liquidità immediate e passività correnti), per l’intero triennio esaminato,
presenta valori al di sotto degli standard di normalità; - l’indice
di disponibilità o current ratio, che individua la capacità dell’azienda
di soddisfare l’indebitamento a breve attraverso le proprie attività correnti
(algebricamente è dato dal rapporto tra attività correnti e passività
correnti), riflette una situazione appena compatibile con il limite minimo
degli standard di normalità; - l’indice
di indebitamento, che evidenzia il peso dei mezzi propri nella copertura
del capitale investito o totale attività (algebricamente è dato dal rapporto
tra patrimonio netto e totale attività), si presenta lontano dagli standard
di normalità; - l’indice
di garanzia dei debiti a medio e lungo termine, che segnala la
possibilità della società di reperire ulteriore credito a medio e lungo
termine (algebricamente è dato dal rapporto tra attività immobilizzate e
passività consolidate), riflette valori lontani da quelli che caratterizzano
una struttura equilibrata; - il
margine di tesoreria, che è costituito dalla differenza tra le attività correnti
al netto del magazzino e le passività correnti, e se negativo segnala
difficoltà finanziarie dell’azienda nel breve periodo, è sempre ampiamente
negativo per tutto il triennio esaminato; - il
quoziente primario di struttura, che è costituito dal rapporto tra
capitale netto o mezzi propri
ed immobilizzazioni nette ed
indica la quota parte di immobilizzazioni finanziate con mezzi propri senza
ricorso a mezzi di terzi, per l’intero triennio risulta decisamente negativo; - il
R.O.E. o redditività del capitale proprio, che è costituito dal rapporto
fra utile d’esercizio e patrimonio netto ed indica, in buona sostanza, la
redditività del capitale di rischio, cioè dei mezzi impiegati nell’azienda
dai soci. Il valore dell’indice per essere soddisfacente dovrebbe essere
almeno pari al tasso rappresentato dal costo del denaro a breve termine ed
esente da rischi, ma nel triennio
esaminato risulta ad esso
inferiore; - il
R.O.I. o redditività del capitale investito, che è costituito dal rapporto fra reddito operativo (ossia il reddito
prima delle imposte, degli oneri finanziari e degli oneri e /o proventi estranei
alla gestione caratteristica dell’impresa) ed il totale delle attività, ed esprime la redditività
operativa del complesso del capitale investito nell’azienda, sia quello
proprio che quello di terzi. Il valore minimo soddisfacente dell’indice
dovrebbe consistere in una percentuale pari al tasso rappresentativo del
costo medio del denaro (media di quello a rischio e a lungo termine, esente
da rischio e a breve termine), ma nel triennio esaminato risulta ad esso inferiore; -il
capitale circolante netto, che è dato dalla differenza fra le attività
correnti e le passività correnti, e segnala la capacità dell’impresa di far
fronte ai propri impegni finanziari di breve periodo con le risorse della
gestione corrente, e per esservi equilibrio finanziario dovrebbe essere
assolutamente positivo, mentre nella specie è ampiamente negativo (salvo per
il 1994 in cui è positivo ma il valore è di scarsa entità). Per
quanto riguarda i bilanci consolidati del Gruppo: - l’indice
di liquidità secca o acid test, per l’intero biennio esaminato, presenta
valori al di sotto degli standard di normalità; - l’indice
di disponibilità o current ratio per l’intero biennio esaminato, presenta
valori inferiori agli standard di normalità; - l’indice
di indebitamento, per l’intero biennio esaminato, riflette valori lontani
dagli standard di normalità; - l’indice
di garanzia dei debiti a medio e
lungo termine, presenta sempre valori lontani da quelli che
caratterizzano una struttura equilibrata; - il
margine di tesoreria è sempre negativo; - il
quoziente primario di struttura risulta ampiamente negativo; - il
R.O.E. o redditività del capitale proprio inferiore al minimo; - l
R.O.I. o redditività del capitale investito tende ad approssimarsi alla
soglia accettabile; - il
capitale circolante netto risulta ampiamente negativo. Osserva
il CTU che “il permanere nel tempo della quasi globalità degli indici calcolati
al di sotto degli standard di normalità rappresenta un chiaro e significativo
segnale di una situazione patrimoniale e finanziaria lontana da ordinarie
condizioni di equilibrio sia di breve che di lungo periodo” (pag.37
dell’elaborato). E’ poi vero, come sottolineato dalla dott.
***, che gli standard di normalità rappresentano solo valori indicativi di
riferimento, da valutare alla luce delle tendenze congiunturali del settore
di appartenenza dell’impresa, ma proprio per questa ragione è opportuno e
significativo non isolare i singoli valori ma di leggerli in un quadro
organico, collegati tra loro in maniera tale da consentire ad essi di
esprimere i vari aspetti della gestione aziendale. Così, “a titolo esemplificativo
si pensi all’indice di liquidità, il cui standard di normalità è definito
dalla dottrina pari a 1 e che assume valori massimi pari a 0,737 per la
Belleli S.p.A. e 0,587 nel Gruppo. Anche a volersi considerare “accettabili”
tali valori,…, non può senz’altro essere considerata “normale” l’entità in termini negativi
assunta dal margine di tesoreria nelle corrispondenti annualità, pari
rispettivamente a -262 e -499 miliardi di lire. Analogamente, anche a volersi
ipoteticamente considerare “accettabili” i valori calcolati per l’indice di
disponibilità, non si può non rilevare il valore negativo assunto dal
capitale circolante netto nel 1992 e nel 1993”. Ed ancora “l’elevato livello
di indebitamento riscontrabile sia nella Belleli S.p.A. che nel Gruppo
Belleli, in considerazione della relativa onerosità ed in presenza dei sopra
citati squilibri, non poteva non rappresentare un forte campanello d’allarme
per un attento lettore dei bilanci. Infatti non possono essere trascurati i
sensibili condizionamenti che l’eccesso di indebitamento comporta,
costringendo solitamente nel tempo l’azienda ad orientare le proprie scelte n
direzioni che ostacolano il raggiungimento di obiettivi quali la produttività
e la redditività a vantaggio della liquidità” (pag. 39 dell’elaborato). Conclude il CTU rilevando che, nel
complesso, dalla riclassificazione dei bilanci operata secondo gli indici
citati, si evidenzia “una situazione aziendale caratterizzata da un
significativo squilibrio finanziario sia nel breve che nel medio-lungo
periodo (la quasi totalità dei quozienti e dei margini di liquidità e
solidità risultano, infatti, lontani dagli standard di normalità), da una
accentuata sottocapitalizzazione, da un elevato livello di indebitamento e da
una redditività mai negativa ma, comunque, insoddisfacente. E’ da ritenere
che il quadro complessivo come sopra prospettato non potesse non essere colto
da un operatore economico di medie capacità del settore creditizio” (pag.40
della relazione). Le considerazioni espresse vanno
senz’altro condivise, in quanto la presenza di indici di bilancio
generalmente lontani da standard di normalità, il numero rilevante e sempre
crescente delle garanzie prestate, una redditività della gestione inferiore
al costo del denaro, anche soppesati disgiuntamente da qualsiasi altro
elemento di valutazione – che pure l’Istituto possedeva, come in seguito si
vedrà - non potevano non essere percepiti, già negli anni 1993 e 1994, come
segnali di una grave crisi soprattutto finanziaria della società poi fallita. 2) GARANZIE
REALI Il Fallimento attore ha altresì effettuato
una molteplicità di produzioni documentali dalle quali è possibile desumere
che la situazione di insolvenza della società fallita era, non solo conosciuta
da chi aveva rapporti diretti con la Belleli S.p.A., come i fornitori abituali
e gli Istituti di Credito, ma addirittura di pubblico dominio, all’epoca del
pagamenti revocandi. Innanzi tutto si considerino la pluralità
di ipoteche iscritte sui beni della fallita (v.doc.9 del fascicolo di parte
attrice e bilanci in atti), elemento a cui generalmente la giurisprudenza riconosce
una rilevanza presuntiva
(Cass.23.1.1997 n.699, Cass.14.4.1983 n.2607, Trib.Cagliari 26.2.1998). Ha evidenziato il CTU che le ipoteche,
congiuntamente alle altre garanzie reali prestate dalla società, tra il 1992 e il 1994, hanno
subito un incremento pari a circa il 35%, e dai bilanci si riscontra che
l’importo complessivo era di 132 miliardi nel 1992, per diventare 179 miliardi
nel 1993 e 242 miliardi nel 1994. Si
tratta di valori di per sé significativi e che assumono ancora maggior
pregnanza se rapportati all’ammontare complessivo delle attività. Una crescita
così importate delle garanzie reali prestate è sintomo forte di una mutata e
sempre minore affidabilità riconosciuta all’azienda proprio dal sistema
bancario che dette garanzie ha preteso a sostegno dei finanziamenti erogati. 3) NOTIZIE DI STAMPA Ulteriore segno esteriore dello stato di
insolvenza a cui la giurisprudenza riconosce rilevanza presuntiva sono le
notizie riportate dalla stampa nell’epoca di riferimento (Cass.7.2.2001
n.1719, Cass. 23.1.1997 n.699, Trib.Roma 31.1.1987). Riguardo
gli articoli dei giornali prodotti, preme soffermarsi sullo specifico
contenuto delle notizie divulgate che non poteva non destare allarme nei creditori della società,
soprattutto se significativamente esposti. Giornali nazionali, quali il Corriere
della Sera, Il Giorno, L’Unità, ed anche finanziari, come Il Sole 24 Ore e Milano Finanza, hanno in
più occasioni pubblicato articoli, sin dal 1994, in cui si evidenzia la
tensione finanziaria della società e del Gruppo nonché la preoccupazione del
sistema bancario per detta situazione aziendale, fino a che, nell’estate del
1995, hanno iniziato a riportare che la Belleli S.p.A. non erogava, se non
con grandi ritardi, gli stipendi ed i salari dei dipendenti tanto di Mantova
quanto di Taranto, e gli Istituti di credito stavano valutando ogni possibile
rimedio al grave indebitamento del Gruppo, con l’affidamento dell’incarico
all’advisor Vitale e Borghesi di redigere un piano di ristrutturazione
industriale e finanziario dell’intero Gruppo. Si consideri che il problema degli
stipendi ed il rischio di licenziamenti era stato particolarmente avvertito a
Mantova e a Taranto, città sedi degli stabilimenti Belleli, ove risultavano
impiegati nell’insieme oltre 3000 dipendenti, e per questo le vicende
relative all’andamento della società erano riportate con frequenza, in particolar modo, nei
giornali locali. Riferiscono decine di articoli pubblicati
sulla Gazzetta di Mantova e sulla Voce di Mantova che in questa città si
susseguirono nell’estate del 1995 manifestazioni sindacali dentro e fuori gli
stabilimenti, scioperi e persino interventi dell’amministrazione comunale,
provinciale e regionale. Analogamente in giornali del Sud riportano che a Taranto, nello stesso periodo, le manifestazioni
dei lavoratori e dei sindacati erano frequentissime (Quotidiano di Taranto
22.7.1995, La Gazzetta del Mezzogiorno del 2.8.1995). Si pensi che le
proteste dei lavoratori di quella sede erano tanto accese da aver portato a
blocchi stradali, quali l’occupazione della Strada Statale 106 per Reggio
Calabria e della Strada Statale 7
per Massafra (v. articoli Quotidiano di Taranto del 20.7.1995), a scioperi e
persino all’incatenamento di un dipendente Belleli e della sua famiglia ai
cancelli dell’azienda (v. Corriere del Giorno 3.8.1995, La Gazzetta del
Mezzogiorno, Quotidiano di Taranto 3.8.1995). L’assiduità delle notizie ed il tenore
complessivo delle stesse, quand’anche intervallate da qualche positiva
descrizione delle acquisizioni di nuove commesse, aveva reso senz’altro di
dominio pubblico la grave crisi economica e finanziaria del Gruppo e questo
non solo nelle due città menzionate ma sull’intero territorio nazionale. Si
pensi anche che gli Istituti di Credito generalmente sono particolarmente
attenti alle notizie divulgate dai giornali in merito ai propri importanti
clienti e questo proprio per acquisire il numero maggiore di elementi esterni
di valutazione dell’andamento aziendale e non limitarsi alle informazioni
fornite dal cliente stesso. 4) INTERVENTO DELL’ADVISOR Nel maggio del 1995 alcune banche estere
che operavano con il gruppo Belleli si erano rivolte alla Vitale Borghesi
& C. S.p.A., primaria società di consulenza in ambito finanziario,
affinchè fosse offerto agli Istituti di credito un quadro indipendente della
situazione economica e finanziaria del Gruppo (v. deposizioni Arnaldo
Testoni, Francesco Roselli, Italo Scaietta). Immediatamente la Vitale
Borghesi ha preso contatto con tutte
le banche con cui il Gruppo operava - compresa la convenuta – al fine di
iniziare l’elaborazione di un piano di ristrutturazione finanziaria, ed il 1
agosto del 1995 ha organizzato una riunione in Milano tra tutti gli Istituti
di Credito per riferire sommariamente in ordine ai primi riscontri
effettuati. Nell'occasione è stata rappresentata la
fragilità finanziaria del Gruppo, le difficoltà che incontrava nel far fronte
a nuove commesse e a portare a termine le commesse già acquisite, e la possibilità
di superamento della crisi e normalizzazione delle condizioni operative delle
società solo a fronte di interventi di finanza straordinari a cui avrebbero
dovuto partecipare pro-quota il maggior numero possibile di banche vicine al
Gruppo (v. deposizione Arnaldo Testoni). Quand’anche Banca Cassa di Risparmio di
Torino S.p.A. non abbia presenziato alla riunione, essa era stata invitata
dall’advisor a partecipare, come tutte le altre Banche, ed in ogni caso ha ricevuto la notizia
dell’esito attraverso la lettera del 3 agosto 1995 in atti (doc.17 di parte
attrice). Il contenuto della missiva è inequivoco, la Vitale Borghesi ha
riassunto in essa gli esiti della riunione e formalizzato la richiesta di
finanziamenti: 1) di £.9.000.000.000
con surroga sugli stipendi, 2) di £.36.000.000.000, garantito da crediti
Enel, da altri crediti e da flussi delle commesse, 3) di £.70.000.000.000 a
fronte di operazioni straordinarie
già avviate, 4) di £.70.000.000.000 a 5 anni. Garanzie offerte erano le
fideiussioni personali della famiglia Belleli e pegni sul 100% delle azioni
Belleli Industrie Meccaniche S.p.A. e sul 100% delle azioni di Nuova
Cimimontubi Holding S.p.A.. Non vi è dubbio che la Banca Cassa di risparmio di Torino S.p.A.
- a fronte del mandato assegnato all'advisor e soprattutto a fronte della
conclamata necessità del Gruppo di interventi tanto ingenti ed urgenti da
adottare di concerto tra tutti gli Istituti di credito, primo tra tutti il
pagamento degli stipendi - non possa non essersi resa conto della gravità
della crisi in cui tutte le società del Gruppo Belleli ormai si trovavano. 5) REVOCHE DEGLI AFFIDAMENTI La Curatela ha altresì documentato
che già a far tempo dall’autunno del 1993
almeno una quindicina di Istituti di Credito avevano revocato gli affidamenti
in essere con il Gruppo Belleli chiedendo il sollecito rientro
dall’esposizione debitoria ed in molti casi minacciando il ricorso ad una
tutela giudiziale del credito. Ciò significa che piccole e grandi banche
di ogni parte d’Italia avevano colto i segnali della profonda crisi in cui la
società di trovava ed avevano chiaramente percepito l’incapacità della
Belleli S.p.A. di far fronte ai propri impegni. Una breve riflessione si impone con
riguardo alla rilevanza della conoscenza dello stato di insolvenza del Gruppo
(v.sul punto Cass.20.5.1997 n.4473, Cass.3.6.1995 n.6285). Nelle considerazioni
sino ad ora espresse si è più volte fatto riferimento alla conoscenza da
parte dell’Istituto di credito della crisi del Gruppo più che della singola
società qui interessata. Va osservato che il Gruppo Belleli di cui sino ad
ora si è parlato svolgeva, in principalità, un’attività di fornitura e
montaggio di impianti di grosse dimensioni (realizzazione di centrali
elettriche convenzionali e centrali nucleari, piattaforme petrolifere,
impianti petroliferi e petrolchimici, ecc.) attraverso l’acquisizione di
commesse sia in Italia che all’estero. Pur mantenendo ciascuna società del
Gruppo piena autonomia giuridica e patrimoniale, è evidente che il fitto intreccio di legami
gestionali, economici e finanziari tra la Holding e le società operative del
Gruppo, in primis la Belleli S.p.A., esponeva ciascuna società del Gruppo ai
contraccolpi derivanti dalla crisi
delle altre società. Questo collegamento tra la società fallita ed il
Gruppo Belleli era necessariamente noto alla convenuta, sia emergendo dai
bilanci della fallita e dai bilanci consolidati del Gruppo di cui si è detto,
sia dalla circostanza che nelle notizie di stampa riferite alla Belleli
S.p.A. erano spesso riportate anche le vicende del Gruppo nel suo complesso.
Si pensi che la stessa merchant bank Vitale Borghesi & C. S.p.A., nel
predisporre un progetto di finanza straordinaria da proporre alle banche, tra
cui la Banca Carige S.p.A., fa esclusivo riferimento al Gruppo Belleli nel
suo complesso. Conclusivamente, se questa sopra descritta
era la situazione in cui versava la Belleli S.p.A., se tanto critici erano i
dati emergenti dai bilanci consegnati alla Banca e se tanti altri erano i
sintomi percepibili delle gravissime difficoltà dell’azienda e del Gruppo a
cui apparteneva, non rileva se nello
specifico i vertici della Banca convenuta o i responsabili degli uffici fidi,
abbiano effettuato indagini presso la Conservatoria dei registri immobiliari,
abbiano letto i singoli articoli dei quotidiani locali e nazionali, abbiano
avuto contezza della risoluzione di
specifici rapporti bancari o da ultimo abbiano partecipato alle riunioni tenute
dall’advisor, dovendo ritenersi che, attesa l’importanza della società
fallita e la pluralità di segnali esteriori della crisi in cui versava, la
consapevolezza del dissesto non potesse che essere generalizzata e diffusa. E’ anche vero che è emerso dal
testimoniale assunto che l’operatività di Belleli S.p.A. con Banca Cassa di
Riparmio di Torino S.p.A. non era quotidiana, non trattandosi di un Istituto
della piazza, essendo il rapporto intrattenuto con la Filiale di Verona, per
cui è ragionevole ritenere che le modalità operative del conto nel tempo non
siano modificate e verosimilmente l’andamento del rapporto non abbia
risentito del progredire della crisi della società. Tuttavia, la circostanza non rileva ai fini che qui interessano,
se si considera che i pagamenti di cui si discute sono tutti intervenuti
quando la Banca possedeva i numerosi ed eterogenei canali di informazione sopra evidenziati, tutti univocamente
interpretabili come sintomo di grave crisi economica e finanziaria. Si valuti poi che - quand’anche la
convenuta non fosse tra i primari Istituti con cui la fallita operava -
l’esposizione debitoria di Belleli S.p.A. era ragguardevole, evidenziandosi,
negli estratti conto dal dicembre del 1994
al dicembre del 1995, un costante saldo negativo di sempre oltre i due
miliardi di vecchie lire. A fronte di un conto poco movimentato e
costantemente passivo per un ingente importo, a fronte di bilanci che
rappresentano una situazione aziendale pesantemente compromessa, a fronte di
un progressivo e rapido incremento delle garanzie reali prestate, a fronte di
un evidente ritiro del credito bancario ed a fronte di notizie giornalistiche
inquietanti, deve ritenersi che l’Ufficio Fidi della Banca Cassa di Risparmio
di Torino S.p.A., dotato di competenza specifica proprio nel monitorare
l’andamento dei clienti della Banca, non potesse non avere contezza della
precarietà della situazione finanziaria ed economica della società poi
fallita. Il fatto poi che l’Istituto non abbia
ritenuto di risolvere il rapporto,
nonostante la consapevolezza della gravità della crisi in cui la
Belleli S.p.A. si trovava, di per sé non costituisce prova dell’inscientia trattandosi di un
comportamento equivoco, che non necessariamente denota fiducia nelle prospettive
dell'impresa e sconoscenza delle condizioni patologiche dell'affidata (Cass.3.4.2002 n.4759,
Cass.8.1.1987 n.18). Esso può trovare giustificazione proprio in una
valutazione ragionata della gravità della situazione, nella certezza che in
assenza di ulteriore liquidità la debitrice sarebbe destinata al fallimento
con inevitabile perdita, per la Banca, di tutto quanto sino a quel momento
erogato. Va
peraltro verso osservato che un favorevole giudizio prognostico in ordine
alla possibile reversibilità della crisi in cui versa l’impresa nulla rileva
ai fini della conoscenza dello stato d’insolvenza per il fatto che la
prospettiva di risanamento non incide sulla consapevolezza circa lo stato di
grave crisi economica. Questo per il fatto che “insolvenza” e “temporanea difficoltà”
sono nozioni che divergono solo per l’aspetto quantitativo, dovendo
qualitativamente anche la “temporanea difficoltà” valutarsi “insolvenza”, in
quanto coincidente con l’incapacità dell’impresa di far fronte regolarmente
alla proprie obbligazioni (in questo senso si sono espresse sia la Corte di
Cassazione che la Corte Costituzionale con riferimento alla retrodatazione
del termine di esercizio della revocatoria in caso di consecuzione di
procedure concorsuali, trovando la retrodatazione giustificazione proprio nel
fatto che la dicotomia insolvenza sanabile/insanabile non incide sull'essenza
del presupposto delle procedure concorsuali che consiste sempre nella
patologia dell'impresa, lo stato di insolvenza del debitore v. Cass.29.9.1999
n.10792, Cass.21.2.1997 n.1612 e Corte Cost.n.110 del 1995, confermata nelle
ordinanze n.224/1995 e n.12/1997). La previsione della possibilità di
risolvere la crisi nel periodo massimo consentito per la procedura di
amministrazione controllata non muta, dunque, l'oggettività del fenomeno che
presuppone, cui si aggiunge un elemento valutativo ulteriore, necessario per
l'apertura della procedura temporanea. Ma ciò non esclude l’identità
qualitativa dei due presupposti oggettivi. Questa opinione, autorevolmente
espressa dalla Corte di Cassazione
nella sentenza n.9581 del 1.10.1997, trova conforto nella Relazione
Ministeriale alla Legge Fallimentare
(punto 41) che specificando il presupposto dell'amministrazione controllata
descrive una crisi dell'impresa tale
da "rendere impossibile l'immediato e regolare soddisfacimento delle obbligazioni",
utilizzando quindi espressioni analoghe alla impossibilità di adempiere con
regolarità alle obbligazioni assunte,
con cui l'art.5 L.F. descrive il fenomeno dell'insolvenza. Alla stessa considerazione si giunge
osservando l’impianto del sistema fallimentare, laddove è prevista la
dichiarazione di fallimento anche nel corso della procedura di amministrazione controllata, sull'implicita identificazione
di presupposti comuni, quando sia venuta meno la previsione di risoluzione
della crisi (art. 188 che richiama l'art. 173 L.F., nonché art.192
L.F.). Se la dichiarazione di fallimento
presuppone l'esistenza dello stato di insolvenza, tale dichiarazione nel
corso dell'amministrazione controllata si giustifica proprio in quanto, nella
ratio legis, anch’essa presuppone
lo stato di insolvenza dell'impresa. Da tutte le ragioni sino ad ora esposte
emerge la fondatezza dell'azione proposta. Le circostanze sopra delineate costituiscono indizi gravi, precisi e
concordanti della scientia decoctionis
in capo alla società convenuta e
denotano una conoscenza effettiva e non solo potenziale
dell’insolvenza della società fallita quanto meno a far tempo dal dicembre
del 1994. In accoglimento della domanda revocatoria
formulata, devono essere revocati tutti i pagamenti eseguiti dalla Belleli
S.p.A. alla Banca Cassa di Risparmio di Torino S.p.A. di cui all’allegato 1
all’elaborato peritale del CTU dott. *** del 30.11.2003, per complessivi
€2.772.725,44 (pari a £.5.368.745.080) e
condannata la società Unicredit Banca d’Impresa S.p.A. alla
restituzione al fallimento attore dell’importo complessivo di € €2.772.725,441. All’importo indicato vanno aggiunti gli
interessi che, ex art.1224 II co. c.c., per il periodo 1 luglio 2001 / 1
luglio 2003 possono essere quantificati nella misura del 4,022%, avendo la Curatela
provato per detto periodo questa redditività dei depositi attivi del
Fallimento (v.pag.45 dell’elaborato peritale). Per gli ulteriori periodi, dalla domanda
sino al saldo, sono unicamente dovuti gli interessi legali, in assenza di
elementi probatori forniti a
riscontro del maggior danno subito. In
ragione della soccombenza, le spese sostenute da parte attrice nella causa
n.2327/01 liquidate come in dispositivo, sono poste a carico di Unicredit
Banca d’Impresa S.p.A., mentre le spese sostenute da Unicredit Banca S.p.A.,
sempre liquidate come in dispositivo, sono poste a carico della Curatela
fallimentare. Le spese relative alla consulenza tecnica
espletata nel corso del giudizio, essendo relative alla causa n.2327/01, sono
poste definitivamente a carico di Unicredit Banca d’Impresa S.p.A.. …omissis… |