Revocatoria fallimentare ex at.
67, II co. l.f. - Revoca dei pagamenti eseguiti dal debitore ceduto al factor
- Esercizio dell'azione nei confronti del cedente ex art. 6 l. 21 febbraio
1991, n. 52 - Ammissibilità. Tribunale di
Mantova, Sez. II – Giudice Unico Dott. Laura De Simone - Sentenza del
giorno 12 agosto 2004. La massima:
Le
operazioni di factoring, sono caratterizzate dalla cessione dei crediti
d'impresa sia nel caso in cui le parti abbiano
optato per il più semplice schema causale della vendita, limitandosi ad una
cessione globale dei crediti futuri, sia che abbiano inteso realizzare la più
complessa cooperazione gestoria caratteristica della causa del mandato. Pertanto, il fatto che le parti abbiano pattuito la cessione dei crediti d’impresa che, si ribadisce, è la più tipica delle operazioni che caratterizza il contratto di factoring ed è il meccanismo attraverso cui le parti, sempre, concretamente, perseguono le funzioni che esse hanno attribuito al contratto, necessariamente comporta l’applicazione della legge n. 52/1991, che, quand’anche non provveda ad una regolamentazione unitaria del contratto di factoring nelle molteplici forme che può assumere, offre una disciplina ad hoc proprio delle cessione di tali crediti. Da ciò consegue che l'azione revocatoria fallimentare potrà, sussistendone i presupposti, essere esperita dal fallimento del debitore ceduto nei confronti del cedente, così come prescrive la legge sopra citata.
il testo integrale: SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con
atto di citazione notificato in data 6.11.2002 il Fallimento Belleli S.p.A.
in liquidazione, in persona del curatore fallimentare, conveniva in giudizio
la Dalmine S.p.A. affinché fossero revocati, ai sensi dell’art.67 comma II
L.F., e art.6 L.21.2.1991 n.52, il pagamento della somma di € 154.937,06
(all’epoca £.300.000.000) eseguito dalla società fallita in favore della convenuta
a mezzo di bonifico bancario Banca di Roma con valuta 5.7.1995, nonché il
pagamento della somma di €258.228,44 (all’epoca £.500.000.000) eseguito dalla
società fallita in favore della Factorit S.p.A. di Milano, quale cessionaria
dei crediti vantati da Dalmine Tubi Industriali S.r.l. (oggi Dalmine S.p.A.)
a mezzo di bonifico bancario Banca Desio con valuta 20.10.1995. Esponeva
il Fallimento attore che i pagamenti indicati erano stati eseguiti nell’anno
anteriore alla data di ammissione della fallita alla procedura di
amministrazione controllata e che la società convenuta conosceva lo stato di
insolvenza della Belleli S.p.A. in liquidazione, come poteva evincersi dalle
molteplici iscrizioni di ipoteche e di privilegi speciali risultanti dai
pubblici registri, dalla copiosa ed allarmante rassegna stampa che
evidenziava lo stato di crisi della società, dalla revoca degli affidamenti
alle varie società del Gruppo operata da diversi istituti di credito,
dall’analisi dei bilanci della fallita, dalla pluralità di procedure
esecutive mobiliari instaurate contro la fallita nel corso del 1995, dai
numerosi procedimenti monitori promossi dai ceditori della Belleli S.p.A.
presso diversi Tribunali italiani. Non poteva, inoltre, non considerarsi che
la società convenuta era meglio di altri in grado di captare i segnali di
decozione del proprio contraente, poiché soggetto imprenditoriale forte,
strutturato, attento, preparato ed avente un rapporto commerciale
continuativo in essere con la società fallita. Anche la cessione di una parte
del proprio credito alla Factorit S.p.A. denotava la consapevolezza di un
impossibile recupero del pagamento.
Si costituiva ritualmente in giudizio la Dalmine S.p.A. eccependo
l’inammissibilità della domanda per decorso del termine per l’esperimento
delle azioni revocatorie e rilevando l’inapplicabilità della legge n.52/1992
al secondo pagamento, avvenuto in esecuzione di un contratto di factoring,
avente causa negoziale nella gestione dei crediti o nel mandato e non causa
di scambio. Negava poi la convenuta la propria conoscenza, all’epoca, dello
stato di insolvenza della Belleli S.p.A., ritenendo che la crisi non fosse
irreversibile, alla luce delle informazioni in proprio possesso in qualità di
imprenditore e non già di Istituto di credito. Concludeva quindi la Dalmine
S.p.A. insistendo per il rigetto della domanda proposta. Con
comparsa ex art.180 II co. c.p.c. parte convenuta eccepiva altresì la
compensazione ex art.56 L.F. dell’eventuale debito restitutorio con i crediti
tutti vantati nei confronti della procedura. Il
procedimento veniva istruito mediante le produzioni documentali
effettuate dalle parti. Sulle
conclusioni come sopra riportate, la causa veniva trattenuta per la decisione
all’udienza del 6.4.2004, ove era concesso alle parti il termine di cui
all’art.190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di
replica. MOTIVI DELLA DECISIONE L’istruzione
probatoria svolta consente, in primo luogo, di ritenere provato il
presupposto oggettivo dell’azione promossa ex art.67 II co.L.F. con riguardo
al pagamento, da parte della società fallita, alla convenuta, dell’importo di
€ 154.937,06 (all’epoca £.300.000.000), in data 5.7.1995. Emerge
documentalmente e comunque non è contestato che la Dalmine S.p.A. abbia ricevuto
il pagamento sopra indicato (doc.5 di parte attrice) ad estinzione di un
debito liquido ed esigibile, da porsi in relazione a forniture dalla stessa
effettuate in favore di Belleli S.p.A. nel maggio del 1995, come riscontrano
le fatture in atti (doc. 7,8 di parte attrice). E’
viceversa controversa la questione relativa al secondo pagamento per €
258.228,44 (all’epoca £.500.000.000) eseguito dalla società fallita in favore
della Factorit S.p.A. di Milano, quale cessionaria dei crediti vantati da
Dalmine Tubi Industriali S.r.l. (oggi Dalmine S.p.A.), a mezzo di bonifico
bancario Banca Desio con valuta 20.10.1995. In
particolare le parti discutono con riguardo all’applicazione, nella presente
vicenda, del disposto dell’art.6 L.21.2.1991 n.52, che consente esperibilità
dell’azione revocatoria dei pagamenti del debitore ceduto nei confronti del
cendente, nelle ipotesi di cessione di crediti d’impresa disciplinati dalla
legge menzionata. La
disposizione normativa indicata, che deroga alle regole generali di cui
all’art.67 L.F. in quanto prevede l’impugnativa contro un soggetto diverso
dal destinatario materiale del pagamento, risponde all’esigenza di attenuare
l’alea connessa alle cessioni dei crediti d’impresa e dal punto di vista
pratico consente di colpire il destinatario finale della prestazione compiuta
in lesione della par condicio
creditorum e di scoraggiare le cessioni dei crediti da parte di coloro
che siano venuti a conoscenza dello stato di insolvenza del proprio debitore. Eccepisce
parte convenuta che, nel caso di specie, il contratto in essere tra la
Factorit S.p.A. e la Dalmine Tubi Industriali S.r.l. ha natura di mandato e
quindi non può essere disciplinato dalla L.n.52/1991 che presuppone una causa
di scambio. La
tesi, per quanto suggestiva, non può essere condivisa. Si
osservi che il legislatore del 1991 non ha ritenuto di disciplinare in
maniera organica il contratto di factoring, limitandosi a regolamentare
alcuni aspetti della cessione in massa dei crediti d’impresa, laddove ormai
la normativa del codice civile in tema di cessione di credito, incentrata
sulla cessione di un singolo credito, appariva del tutto inadeguata alle
prassi operative del settore. Il
contratto di factoring, quindi, nel nostro ordinamento continua ad
essere atipico ed innominato quand’anche, in genere, presenti alcune
caratteristiche di base: 1) è contratto tra imprenditori, 2) si realizza
mediante la cessione dei crediti che un imprenditore ha verso i propri
clienti, 3) il factor svolge più attività in favore del cedente (gestisce il
recupero dei crediti, finanzia il cedente, offre servizi di consulenza,
contabilizza i crediti, incassa i crediti, talvolta assume il rischio
dell’insolvenza dei debitori ceduti, ecc.). Sono
in particolare queste ultime attività, di contenuto variabile ed articolato,
che consentono di adeguare il negozio ai più specifici interessi perseguiti
dalle parti, che possono essere di amministrazione dei crediti da fornitura,
di finanziamento e di traslazione dei rischi. Afferma
la Cassazione civile, Sezioni Unite, del 10 gennaio 1992, n. 198 (si noti che
la sentenza è resa proprio con riferimento all’attività svolta dalla Factorit
S.p.A.) che “il contratto di factoring, pur potendo presentare nella prassi
commerciale una serie di varianti e di clausole differenziate in relazione a
particolari esigenze dei contraenti, è costituito nel suo nucleo fondamentale
e costante da una convenzione complessa, per effetto della quale il
"factor" si obbliga ad acquistare, per un periodo determinato e
rinnovabile salvo preavviso, la totalità dei crediti di cui un imprenditore è
- o diventerà - titolare a causa della vendita dei beni da lui prodotti o
commercializzati;… la commissione, che costituisce il corrispettivo
dell'attività del factor, può variare in rapporto a molteplici elementi che
incidono sul grado di assunzione del rischio; è - di regola - prevista la
facoltà dell'imprenditore cedente di ottenere dal factor delle anticipazioni,
a costo prestabilito, anche prima dell'incasso dei crediti ceduti; il factor
si obbliga a fornire alla controparte altri servizi (di informazione, consulenza,
collaborazione della gestione aziendale) di non secondaria importanza
nell'economia del contratto. Poiché da questo modello negoziale non risulta
discostarsi l'attività, della Factorit sarebbe riduttivo individuare la
categoria giuridica d'inquadramento dell'attività di factoring avendo unicamente
riguardo a singoli aspetti, sia pur rilevanti, delle operazioni che la
caratterizzano, quali la cessione di crediti e la funzione di finanziamento
realizzata attraverso le anticipazioni erogate dal factor, occorrendo invece
aver riguardo al globale contenuto economico e giuridico del rapporto in
questione e dal complesso dei risultati che da esso derivano.Ed in tale
analisi, senza voler indugiare sulla controversa natura giuridica del
contratto atipico di factoring (nel quale alcuni individuano un contratto
normativo bilaterale, altri un contratto preliminare avente ad oggetto la
futura cessione al factor dei crediti che saranno acquisiti dall'impresa),
cioè che importa rilevare è la molteplicità delle funzioni economiche cui il
factoring assolve: le relative operazioni non si esauriscono, infatti, nella
pura e semplice cessione di uno o più crediti (i quali - come già detto -
vengono presi in considerazione nella loro totalità e sistematicità), ma comportano
per le parti e soprattutto per il factor - come autorevole dottrina ha sottolineato
- l'assunzione di fondamentali obbligazioni (di "facere", "non
facere", "praestare"),
non strettamente inerenti alla cessione ma di essenziale importanza nel regolamento
degli interessi realizzato con il contratto, per effetto delle quali l'impresa
utilizzatrice del factoring consegue notevoli vantaggi consistenti nella
semplificazione della contabilità e dell'amministrazione aziendale (essendo
in pratica trasferita al factor la complessa attività di contabilizzazione, documentazione,
gestione e recupero dei crediti); nella eliminazione (o rilevante attenuazione)
del rischio di insolvenza dei clienti; nell'acquisizione di una fonte supplementare
di liquidità attraverso le anticipazioni pattuite; nella garanzia di poter
disporre di determinate somme in momenti prestabiliti; nella utilizzazione
dell'opera di informazione e consulenza di varia natura, fornita dal factor
con l'impiego dei propri strumenti di ricerca ed elaborazione dei dati e che
si traduce in una vera e propria forma di cooperazione nella gestione
dell'impresa. Questo "risultato" economico, globalmente
considerato, costituisce il servizio "prodotto" dall'attività d'impresa
del factor.”. Orbene,
precisato che il contratto di factoring presenta un insieme di elementi
costanti ed un insieme di elementi variabili in ragione delle prevalenti
funzioni ad esso attribuite, ritiene il giudicante non indispensabile
indagare nel caso di specie quale che siano state le finalità perseguite
dalle parti, atteso che non è contestata comunque la pattuizione relativa
alla cessione dei crediti, che è lo strumento principale attraverso cui
sempre il contratto di factoring si realizza. La
concreta attuazione delle operazioni di factoring, sia che le parti abbiano
optato per il più semplice schema causale della vendita, limitandosi ad una
cessione globale dei crediti futuri, sia che abbiano inteso realizzare la più
complessa cooperazione gestoria caratteristica della causa del mandato, si
attua sempre e comunque attraverso lo strumento della cessione in massa dei
crediti d’impresa. E la
cessione in massa dei crediti di impresa è fuor di dubbio disciplinata anche
nel contratto del 30.6.1994 di cui qui si discute, dall’art.1 che
espressamente dispone “Il fornitore sarà tenuto a informare il factor
di tutti i propri crediti derivanti dalla fornitura di beni o di servizi,…, e
a cedergli tutti i propri crediti anche futuri ed in massa. Tali crediti si
considereranno accettati dal factor e quindi ad esso ceduti…, all’art.4 “il
prezzo delle cessione di credito sarà pari al valore nominale dei crediti
ceduti, dedotto il compenso dovuto al factor…, ecc.”. E’
chiaro che nello schema contrattuale, qualsiasi fosse la finalità ultima
perseguita dalle parti, si opera un immediato trasferimento della posizione
attiva del rapporto obbligatorio ed il factor si sostituisce all’originario
creditore e diviene, quindi, l’unico soggetto legittimato a pretendere “iure proprio” la prestazione dal
debitore ceduto. La
previsione della cessione dei crediti d’impresa che, si ribadisce, è la più
tipica delle operazioni che caratterizza il contratto di factoring ed è il
meccanismo attraverso cui le parti, sempre, concretamente, perseguono le
funzioni che esse hanno attribuito al contratto, necessariamente comporta l’
applicazione la L.n.52/1991, che quand’anche non provveda ad una
regolamentazione unitaria del contratto di factoring nelle molteplici forme
che può assumere, offre una disciplina ad
hoc proprio delle cessione dei crediti d’impresa. Peraltro si consideri
che, anche prima dell’entrata in vigore di questa legge, la prassi operativa
nel settore regolava le operazioni di factoring attraverso l’istituto della
cessione di credito come disciplinato dagli art.1260 e ss. c.c.. In
particolare, quindi, in accoglimento della prospettazione attorea, deve
trovare applicazione nel caso in esame l’art.6 della L.n.52/1991, con
conseguente legittimazione passiva del cedente nell’azione revocatoria
proposta. A conferma della validità del riferimento normativo richiamato, va
notato che l’identica disposizione era prevista nel contratto di factoring
del 30.6.1994 al punto 3, laddove già la Dalmine Tubi Industriali S.r.l.
aveva convenuto che avrebbe tenuto indenne il factor da ogni azione
revocatoria proposta contro i pagamenti del debitore. Riprendendo
l’esame dei presupposti dell’azione proposta deve, altresì, affermarsi che i
pagamenti indicati sono stati eseguiti nel termine annuale di cui all’art.67
L.F., atteso che, nel caso di consecuzione di procedure concorsuali, per
giurisprudenza consolidata e condivisibile, il termine a ritroso per la
revoca dei pagamenti compiuti dall’imprenditore decorre dalla data del
provvedimento di ammissione alla prima procedura -nel caso di specie
l’amministrazione controllata a cui la Belleli S.p.A. è stata ammessa con
decreto del 16.11.1995 - (Cass. 2.9.1996 n.7994, Cass. 6.6.1997 n.5071- nello
stesso senso Corte Costituzionale nella sentenza n.110/1995 e nelle ordinanze
n.224/1995 e n.12/1997). Quanto
al requisito soggettivo dell’azione proposta, richiesto anche dal disposto
dell’art.6 L.n.52/1991, va preliminarmente osservato che non riveste alcuna
rilevanza, ai fini che qui interessano, la prognosi favorevole circa il
risanamento dell’imprenditore espressa dal Tribunale in sede di ammissione
della Belleli S.p.A. alla procedura di amministrazione controllata in data
16.11.1995, quand’anche conosciuta o condivisa dalla società convenuta. Sia
la Corte di Cassazione (Cass. 29.9.1999 n.10792, Cass. 21.2.1997 n.1612)
che la stessa Corte Costituzionale (Corte Cost. n.110 del 1995,
confermata nelle ordinanze n.224/1995 e n.12/1997) hanno più volte
sottolineato che l’amministrazione controllata ed il fallimento si
distinguono tra loro principalmente nel giudizio prognostico in ordine alla
possibile reversibilità della crisi in cui versa l’impresa. Questo in quanto
“insolvenza” e “temporanea difficoltà” sono nozioni che divergono solo per
l’aspetto quantitativo, dovendo qualitativamente anche la “temporanea
difficoltà” valutarsi “insolvenza”, in quanto coincidente con l’incapacità
dell’impresa di far fronte regolarmente alla proprie obbligazioni. E’
peraltro evidente che non si discute oggi della fondatezza della previsione
di risanamento, essendo sopravvenuto fallimento e dovendo pertanto ritenersi
acclarata sia l’insolvenza che la non reversibilità della crisi a quell’epoca
evidenziatasi. Qui ci si occupa del diverso profilo della consapevolezza
in cui il creditore beneficiario dell’atto revocando versava circa lo stato
patologico in cui si trovava l’impresa, a prescindere che fosse
sanabile o non l’insolvenza. Occorre,
pertanto, unicamente riscontrare se il creditore, sulla base degli
elementi conosciuti o conoscibili a sua disposizione, non poteva non rendersi
conto dello stato di dissesto economico in cui versava il debitore. Nel
caso di specie parte attrice ha documentato che la società Dalmine Tubi
Industriali S.p.A., la quale aveva in corso un rapporto continuativo di
fornitura con la società fallita, e con la quale di regola erano convenuti i
termini dilazionati di pagamento previsti dalla prassi commerciale, già nella
primavera del 1995, per dar corso alla spedizione della merce ordinata
richiedeva il saldo anticipato delle fatture emesse (doc. 5,7, 24, 25 di
parte attrice). Un
tale comportamento, che evidenzia la volontà di forzare un pagamento ritenuto
dubbio sospendendo la fornitura della merce, considerata la lunga conoscenza
commerciale che vi era tra le parti, esplicita in maniera significativa
la percezione da parte del creditore di un’evoluzione negativa
dell’affidabilità del proprio contraente e la consapevolezza di una sua
sempre più precaria situazione economica.
Il Fallimento attore ha anche posto in luce alcuni indicatori oggettivi dai
quali è possibile desumere che la situazione di insolvenza della società
fallita era, non solo conosciuta da chi aveva rapporti diretti con la Belleli
S.p.A., come i fornitori abituali, ma addirittura di pubblico dominio,
all’epoca del pagamenti revocandi, come si evince dalla pluralità di ipoteche
iscritte sui beni della fallita e dalle allarmanti notizie di
stampa - anche a livello nazionale -(si vedano in particolare gli articoli in
atti del Sole 24 Ore e Milano e Finanza precedenti ai pagamenti per cui
è causa) (per la rilevanza presuntiva delle circostanze indicate Cass.
23.1.1997 n.699, Cass. 14.4.1983 n.2607, Trib. Roma 31.1.1987, Trib. Cagliari
26.2.1998). A
questo si aggiunga che la curatela ha altresì documentato la presenza di una
unità locale della Dalmine S.p.A. presso la città di Taranto, ove la crisi
della Belleli S.p.A. si era manifestata con particolare tensione sociale e
clamore in seguito alle iniziative assunte dai sindacati e dai lavoratori e
ampiamente diffuse dagli organi di stampa locali (doc.23 di parte attrice). Poiché
la pluralità delle circostanze esposte costituiscono indizi gravi, precisi e
concordanti della scientia
decoctionis in capo alla società convenuta, deve ritenersi fondata
l'azione revocatoria proposta ex art.67 II co. L.F.. Conseguentemente
deve essere revocato il pagamento di € 413.165,51 eseguito dalla Belleli
S.p.A. alla società Dalmine Tubi Industriali S.r.l. (ora Dalmine
S.p.A.) e condannata parte convenuta alla restituzione
dell’importo indicato, oltre interessi legali dalla domanda al saldo. Le spese seguono la
soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, in
persona del giudice dott. Laura De Simone, definitivamente pronunciando, ogni
contraria istanza ed eccezione disattesa, così giudica: revoca
il pagamento eseguito dalla Belleli S.p.A. alla Dalmine Tubi Industriali
S.r.l. (ora Dalmine S.p.A.) della somma di € 154.937,06 (all’epoca
£.300.000.000) a mezzo di bonifico bancario Banca di Roma con valuta
5.7.1995, nonché il pagamento della somma di € 258.228,44 (all’epoca
£.500.000.000) eseguito dalla Belleli S.p.A. in favore della Factorit S.p.A.
di Milano, quale cessionaria dei crediti vantati da Dalmine Tubi Industriali
S.r.l. (oggi Dalmine S.p.A.) a mezzo di bonifico bancario Banca Desio con valuta
20.10.1995; condanna
la Dalmine S.p.A. alla restituzione al Fallimento Belleli S.p.A. dell’importo
complessivo di € 413.165,51, oltre interessi legali dalla domanda al
saldo; condanna
la Dalmine S.p.A. alla rifusione delle spese di lite sostenute dal Fallimento
Belleli S.p.A. e liquidate in € 20.337,55 di cui € 251,60 per spese, €
716,31 per anticipazioni, € 4.258,76 per diritti, € 13.350,00 per onorari, €
1.760,88 per spese generali, oltre IVA e CPA come per legge. Cosi' deciso, in Mantova il 12
agosto 2004 |