Rimessa su conto passivo nei limiti del fido - Natura di rientro definitivo del versamento - Revocabilità.

Scientia decoctionis - Indici rivelatori - Movimentazione del conto "al rientro" e successiva revoca del fido - Conferimento ad advisor di incarico di salvataggio dell'impresa - Dati di bilancio del gruppo - Notizie stampa.

Concessione di ulteriore finanza e piano di salvataggio - Reversibilità della crisi - Insolvenza e temporanea difficoltà - Differenze -  Scientia decoctionis – Sussistenza

 

Tribunale di Mantova, Sez. II Civile – Giudice unico Dott. Laura De Simone - Sentenza del giorno 24 marzo 2004.

 

La massima:

Ha natura solutoria ed è, quindi, revocabile la rimessa effettuata dal correntista su conto passivo nei limiti del fido concesso qualora il versamento sia finalizzato non già al ripristino della provvista a disposizione del cliente ma all'estinzione del debito contratto nei confronti della banca. (Nel caso di specie, la natura solutoria della rimessa è stata dedotta dalla circostanza che il correntista, dopo il versamento in questione, non aveva più riutilizzato l'apertura di credito e la banca aveva revocato l'affidamento pochi giorni dopo).

Sono indici di conoscenza dello stato di insolvenza da parte della banca:

- il comportamento della banca che consenta al cliente la movimentazione del conto "al rientro" e revochi gli affidamenti solo dopo che l'ultima rimessa ha azzerato le passività;

- i dati ricavabili dai bilanci della società fallita e del gruppo di società cui la stessa appartiene qualora indichino una forte tensione finanziaria ed un progressivo peggioramento della situazione economica complessiva;

- l'essere la banca a conoscenza del conferimento ad un advisor del mandato di tentare il risanamento della società e del gruppo;

- le innumerevoli e frequenti notizie date dalla stampa locale idonee a rendere di pubblico dominio la grave crisi economica e finanziaria del gruppo.

La concessione di ulteriore credito e la partecipazione ad un piano di salvataggio non sono necessariamente indicativi di fiducia nel risanamento dell'impresa, nè la possibile reversibilità della crisi esclude di per sè la conoscenza dello stato di insolvenza. "Insolvenza" e "temporanea difficoltà" sono, infatti, nozioni che divergono solo per l'aspetto quantitativo, dovendo la temporanea difficoltà valutarsi come insolvenza in quanto

 

 

Il testo integrale:

 

omissis...

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 Con atto di citazione notificato in data 25.02.1999 il Fallimento Belleli Holding Industriale S.p.A., in persona del curatore fallimentare dott.Dante Lanfredi, conveniva in giudizio la Banca Commerciale Italiana S.p.A.- ora IntesaBci S.p.A.- affinché fossero revocati, ai sensi dell’art.67 comma 2 L.F., tre  versamenti eseguiti dalla Belleli Holding Industriale S.p.A. sul c/c n.66615220110 acceso presso la Filiale di Mantova della Banca Commerciale Italiana S.p.A. in data 8.8.1995, 14.8.1995 e 6.10.1995 per complessive £.356.332.874 (ora € 184.030,57).

Esponeva il Fallimento attore che  dette rimesse, sicuramente eseguite nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, presentavano natura solutoria, essendo le prime due (per £.35.332.874) volte a ridurre l’esposizione maturata nei confronti della Banca oltre i limiti dell’affidamento concesso e non già a ricreare la disponibilità del conto, e l’ultima (per £.320.000.000) sostanzialmente finalizzata a chiudere il passivo del conto corrente. Rilevava altresì il Fallimento che l’Istituto di Credito convenuto conosceva lo stato di insolvenza della Belleli Holding Industriale S.p.A., essendo la situazione di decozione del Gruppo ormai nota a tutta l’opinione pubblica, attraverso allarmanti notizie di stampa, ed in particolar modo nota agli Istituti di credito, imprenditori commerciali particolarmente qualificati nel valutare le reali possibilità finanziarie di propri clienti. Nello specifico la Banca convenuta aveva sempre avuto un quadro effettivo e completo della situazione finanziaria e patrimoniale dell’azienda avendo partecipato, nell’agosto del 1995, ad incontri con altri Istituti finalizzati al riassetto finanziario del gruppo.

Si costituiva ritualmente in giudizio la Banca Commerciale Italiana S.p.A. insistendo per il rigetto della domanda proposta, formulata in assenza dei presupposti di legge. Osservava, in particolare, la Banca  convenuta che non poteva affermarsi la natura solutoria della rimessa di £.320.000.000, essendo stata effettuata su conto “coperto”, è cioè nei limiti del fido, a nulla rilevando che ex post  si fosse  riscontrata la successiva mancata riutilizzazione dell’apertura di credito.

Eccepiva, inoltre, la convenuta di non aver conosciuto lo stato di decozione della Belleli Holding Industriale S.p.A., confidando nelle enormi risorse e potenzialità del Gruppo, quali emergevano anche dagli articoli di stampa invocati dalla controparte. Peraltro, il ragionevole affidamento nelle concrete possibilità di ristrutturazione poteva evincersi dallo stesso comportamento della Banca che aveva partecipato ad operazioni in pool con altri Istituti di credito anche dopo aver esaminato i piani di riassetto finanziario del Gruppo.

Interrotto il processo a seguito della fusione per incorporazione della Banca Commerciale Italiana S.p.A. in Banca Intesa Banca Commerciale Italiana S.p.A (in forma abbreviata IntesaBci S.p.A.), lo stesso veniva ritualmente riassunto dal Fallimento nei confronti della società incorporante. Per essa si costituiva in giudizio, in qualità di procuratore ex art.77 c.p.c., in forza di procura  del 14.6.2001, IntesaBci Gestione Crediti S.p.A. riportandosi alle difese svolte dalla Banca incorporata.

Il procedimento veniva istruito mediante  l’audizione dei testi introdotti dalle parti.

 Sulle conclusioni come sopra riportate, la causa veniva trattenuta per la decisione all’udienza del 28.10.2003, ove era concesso alle parti il termine di cui all’art.190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

 Secondo la distribuzione dell’onere probatorio sancita dall’art.67  L.F. la Curatela fallimentare deve dimostrare l’esistenza delle rimesse, l’effettuazione delle stesse nel periodo sospetto, nonchè la scientia decoctionis da parte della banca, mentre quest’ultima ha l’onere di provare la natura non solutoria dei versamenti, eventualmente documentando l’esistenza, all’epoca delle rimesse, di un contratto di apertura di credito.

 Profilo temporale

Sotto il profilo temporale i limiti posti dall’art.67 II co. L.F. debbono ritenersi rispettati, considerato che le rimesse indicate dalla curatela come revocabili riguardano operazioni compiute a far tempo dall’8.8.1995, mentre il fallimento è intervenuto il 2.5.1996.

 Presupposto oggettivo dell’azione:

Sussistenza di rimesse revocabili

Poiché la revocatoria di cui al secondo comma dell'art.67l.f. colpisce i pagamenti dei debiti liquidi ed esigibili, con riguardo alla revoca di rimesse in conto corrente assumono rilevanza  solamente le rimesse compiute su conto scoperto, vale a dire passivo non affidato oppure passivo oltre l'affidamento concesso dalla banca. L'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato e qui condiviso è stato introdotto dalla Corte di Cassazione con la sentenza 18.10.1982 n.5413, ove si osservava  che  “nell'ipotesi  di conto  corrente  bancario in  cui  la provvista  sia costituita  da  un'apertura di  credito,  ai  fini della  revocatoria fallimentare, nei  confronti della  banca, dei  versamenti effettuati sul  suo  conto  dal  correntista   poi  fallito  (o  da  terzi),  è necessario  che dallo  svolgimento del  conto rimanga  accertato che, nel  periodo   considerato  dall'art.   67,  comma  2,   della  legge fallimentare,  si sia  verificato  (per  l'utilizzazione fattane  dal correntista) uno  " scoperto " del  conto per avere la  banca pagato, per  conto del  cliente,  una  somma superiore  a  quella postagli  a disposizione e che il successivo  versamento sia stato imputato dalla banca a  pagamento del relativo  debito sorto in capo  al correntista (stante  l'immediata esigibilità  del corrispondente  credito): solo in questo caso, infatti, può  farsi luogo alla revocatoria, poiché, ove tale scoperto non si sia  verificato, il versamento nel conto (si tratti  di  un  versamento  in  contanti del  correntista,  o  di  un bonifico  di somme  provenienti  da terzi,  ovvero  di un  giroconto) configura  un  mero accreditamento  di  somme  per la  reintegrazione della  somma posta  dalla banca  a disposizione  del correntista,  di volta in volta  decurtata da operazioni passive, che,  in sé stesso, non è  atto né  gratuito, né  oneroso e,  quindi, non  è soggetto alla  revocatoria  fallimentare,  consistendo, invece,  in  una  mera operazione contabile” (nello stesso senso più di recente a solo titolo esemplificativo Cass. 26.2.1999 n.1672, Cass.26.8.1996 n.7829, Cass.22.3.1994 n.2744, Trib.Milano 21.2.2002). 

Nel caso di specie le rimesse che il Fallimento assume come revocabili sono tre, e precisamente i versamenti effettuati il 9.8.1995 (con valuta 8.8.1995) e il 14.8.1995 per complessive £.36.332.874 nonchè il versamento di £.320.000.000 del 30.9.1995.

 Parte attrice in atto di citazione ammette espressamente che la società fallita beneficiava di un’apertura di credito di £.300.000.000 e afferma che le operazione del 9.8.1995 e del 14.8.995 rivestono il carattere di pagamenti di natura solutoria essendo intervenuti in una situazione di conto scoperto.

Rileva il giudicante che, quand’anche la Banca convenuta nulla eccepisca in ordine a queste due rimesse, solo la prima risulta provata, emergendo documentalmente (doc.16 di parte attrice/comunicazione di accredito di bonifico o/c Belleli S.p.A.) che in data 9.8.1995 è stato effettuato un versamento di £.36.000.000, con valuta 8.8.1995, quando il conto corrente presentava un saldo negativo di £.336.332.874. Diversamente, per l’ulteriore rimessa di £.191.096.000, che la curatela afferma essere avvenuta il 14.8.1995 e revocabile per £.332.874, nessun riscontro documentale è stato offerto, non risultando agli atti neppure l’estratto del conto corrente relativo al periodo indicato.

Resta ora da affrontare la questione relativa alla qualificazione del versamento di £.320.000.000 affluito sul c/c n.66615220110 con valuta 30.9.1995, che il Fallimento afferma essere revocabile in quanto destinato a chiudere in via definitiva la passività del conto corrente, mentre la Banca convenuta ne contesta la natura solutoria, trattandosi di  rimessa effettuata nei limiti del fido e diretta a ripristinare la disponibilità sul conto, a nulla rilevando che successivamente non vi sia stato riutilizzo dell’apertura di credito.

Ritiene il giudicante che per accertare l’esatta natura del versamento sia necessario partire dal concreto svolgimento del rapporto bancario nel periodo immediatamente precedente e immediatamente successivo al pagamento di cui si discute, quale emergente dalla documentazione bancaria in atti. Sino a detto versamento il fido concesso risultava utilizzato per intero e anche – sebbene di poco - oltre i limiti convenuti, successivamente esso non è più stato utilizzato ed il 3.11.1995 la Banca ha comunicato la revoca delle linee di credito a suo tempo concesse. In seguito il conto non è stato nella sostanza movimentato e le uniche operazioni addebitate alla società fallita sono state effettuate previo versamento da parte del cliente degli importi relativi.

E’ senz’altro vero che in data 6.10.1995, quando il versamento è stato effettuato con valuta 30.9.1995, la Banca non aveva ancora comunicato il formale recesso dal contratto di apertura di credito per cui, se si dovesse isolare il versamento esaminandolo unicamente con riferimento alla situazione del conto al momento in cui è effettuato, senza dare significato alla mancata riutilizzazione dell'apertura di credito, dovrebbe concludersi per la natura ripristinatoria e non già solutoria della rimessa.

Questo tipo di valutazione, quand’anche seguito da una parte della giurisprudenza (ex plurimis Cass.28.5.1998 n.5269, Cass.5.12.1996 n.10484), non pare convincente, non tenendo conto del fine pratico conseguito dall’operazione posta in essere, fine che non può non  condizionarne l’intrinseca natura.

Ad avviso di questo giudice la fattispecie in esame rappresenta un’ipotesi classica di conto “congelato” sebbene non formalmente chiuso. Il cliente, nella sostanza, dopo aver eseguito  il versamento, non ha più avuto la disponibilità delle somme che la Banca si era impegnata a concederle in virtù del contratto di apertura di credito, e questa situazione di fatto – peraltro rimasta tale solo per qualche decina di giorni - non può che essere valutata equivalente a quella in cui il rapporto è risolto di diritto.

Ne consegue la natura solutoria della rimessa di cui si discute, essendo questo versamento – l’ultimo eseguito prima della revoca formale  dell’affidamento - finalizzato non già al ripristino della provvista a disposizione del cliente, ma all’estinzione del debito contratto nei confronti dell’Istituto di credito.

L’orientamento seguito trova autorevole precedente  nella pronuncia del Tribunale Milano del 22 settembre 1988, ove si afferma che “Le  rimesse eseguite  su  conto  corrente assistito  da  apertura  di credito possono   essere   caratterizzate   tanto da   una   funzione solutoria,   che da  una  funzione  ripristinatoria della  provvista, funzioni che  possono essere accertate solamente "ex post", valutando se  con  il versamento  si  sia  ripristinata la  provvista per altre successive   utilizzazioni  dell'apertura di  credito  oppure  si sia ridotta l'esposizione debitoria finale del cliente verso la banca. La non  immediata esigibilità del debito, sorto a carico del cliente in conseguenza dell'utilizzazione   del   fido,   si giustifica  con  la possibilità concessa  al cliente di riutilizzare più volte la somma messa   a  disposizione  attraverso  l'apertura  di  credito, con  la conseguenza  che  hanno funzione  ripristinatoria  (e non sono quindi revocabili)  solamente se  e  nella  misura in cui alla rimessa abbia fatto seguito  una successiva riutilizzazione, mentre hanno carattere solutorio    quelle    rimesse non    seguite    da    una successiva riutilizzazione, in  quanto hanno assolto unicamente alla funzione di ridurre il debito del cliente nei confronti della banca e sono quindi revocabili”. Nello stesso senso sono poi intervenute una pluralità di sentenze della Cassazione e di merito (Cass.26.2.1999 n.1672, Cass.4.12.1996 n.10816, Cass.3.7.1987 n.5819, Corte d’Appello di Milano 27.10.1998, Trib.Roma 9.7.1982).

Riconosciuta natura solutoria anche al versamento di £.320.000.000 deve tuttavia rilevarsi che la rimessa indicata è revocabile in concreto solo per il minor importo di £.317.549.781 atteso che, utilizzando il criterio del saldo disponibile, al momento del versamento (che si considera effettuato il 6.10.1995, con valuta 30.9.1995, alla luce dell’ordine di bonifico in atti -  doc.B esibito dall’Istituto di credito-) solo per tale importo il saldo del conto risultava scoperto. Si noti che l’estratto conto prodotto in copia dalla Curatela al doc.3 è incompleto e non riporta le date contabili delle operazioni per cui  per le operazioni di addebito si è dovuto necessariamente far riferimento alle date di valuta non essendo disponibili le date contabili.

Da ultimo si rileva che parte attrice per la prima volta in sede di comparsa conclusionale ha affermato l’insussistenza di un contratto di apertura di credito valido ed efficace tra le parti.

 Di tale eccezione non può tenersi in nessun conto in quanto contrastante con la precedente tesi difensiva della Curatela, non avendo il Fallimento mai contestato la sussistenza di un affidamento ed anzi avendo espressamente riconosciuto  sin dall’atto di citazione che il conto corrente n.66615220110 beneficiava di un’apertura di credito di £.300.000.000 valida sino a revoca. La non contestazione in generale, e nel caso particolare persino l’esplicito riconoscimento, sono comportamenti univocamente rilevanti ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che deve astenersi da qualsivoglia controllo probatorio dei fatti non contestati per la ragione che la condotta processuale delle parti espunge tali fatti dall’ambito degli accertamenti richiesti (Cass.S.U.23.1.2002 n.761).

Eventus damni

Non si pone in dubbio l’esistenza dell’eventus damni attesa la presunzione, prevista dal legislatore, di pregiudizio per i creditori  conseguente agli atti di disposizione del patrimonio compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento (Cass.12.1.2001 n.403, Cass.30.3.2000 n.3878).

Presupposto soggettivo dell’azione:

 Scientia decoctionis del debitore

Sotto questo profilo, l’indagine che in questa sede deve essere compiuta consiste nel riscontrare se il creditore, sulla base degli elementi conosciuti o conoscibili a sua disposizione, non poteva non rendersi conto dello stato di dissesto economico in cui versava il debitore.

In linea generale, essendo raro che la curatela fornisca elementi di prova diretta della scientia decoctionis (es. confessione, es. prove che consentano di riscontrare che l’accipiens era stato informato dal solvens della crisi dell’impresa), la prova è offerta per presunzioni, basata su elementi indiziari che  per assumere  significatività devono presentare i requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art.2729 c.c..

E’ pacifico in giurisprudenza che le presunzioni relative alla scientia decoctionis, quando parte convenuta è un Istituto di credito, devono essere valutate con particolare rigore, trattandosi di un operatore economico dotato di speciale sensibilità critica e in condizione di apprezzare segnali che per altri operatori avrebbero scarso significato. Questo non solo perché, generalmente, l’operatore bancario rileva con più attenzione e con più prudenza di altri operatori economici gli elementi che possono denotare una crisi imprenditoriale dovendo preoccuparsi del recupero del credito erogato, ma anche perché svolgendo sovente la Banca un servizio di cassa ed avendo a disposizione i bilanci delle società, può valutare prima e meglio di chiunque altro quelle situazioni di illiquidità e di difficoltà economica tali da far presumere uno stato di insolvenza (Cass.21.1.2000 n.656, Cass.11.11.1998 n.11369, Cass.12.5.1998 n.4769).

Certamente tuttavia non è sufficiente la qualifica soggettiva del convenuto per ritenere sempre sussistente la conoscenza dello stato di insolvenza dei debitori falliti, essendo comunque  indispensabile l'accertamento in concreto di  elementi conosciuti o conoscibili che nello specifico caso rendano desumibile la scientia decoctionis.

Nella fattispecie esame, all’esito dell’istruzione probatoria esperita, le circostanze emerse sono le seguenti:

 1)     in data 3.11.1995 la Banca  Commerciale   Italiana   S.p.A.  ha

revocato la linea di credito, quando già qualche giorno prima era stata estinta la passività del conto, per mezzo di un versamento effettuato da Belleli S.p.A. sul conto della Belleli Holding Industriale S.p.A., a mezzo di giroconto interno alla Banca. Successivamente all'ultima rimessa del 6.10.1995 (con valuta 30.9.1995), l’apertura di credito non era più utilizzata. Negli stessi giorni la Belleli S.p.A., la più importante società del Gruppo, affidata per miliardi dalla Banca Commerciale Italiana S.p.A. (v.garanzie di cui ai doc.1, 2 e 3 prodotti da parte convenuta) era ammessa alla procedura di amministrazione controllata.

In generale, la revoca dell’affidamento evidenzia in maniera decisiva una sostanziale sfiducia nelle capacità patrimoniali del debitore di adempiere alle proprie obbligazioni (Cass.6.12.1996 m.10866).  Nel caso in esame particolarmente eloquenti sono state anche le modalità con cui la revoca è avvenuta, dapprima implicitamente,  consentendo al cliente la movimentazione del conto al “rientro”, e con comunicazione formale  solo dopo che l’ultima rimessa  aveva azzerato la passività.

Assolutamente inattendibile, in quanto in contrasto con ogni altra emergenza istruttoria, la testimonianza resa a proposito della revoca dell'affidamento dal dott. Diego Scortega, a tutt’oggi dipendente di Intesa BCI S.p.A. e  all'epoca dei fatti condirettore della Filiale di Mantova. Ha affermato il teste: "La revoca dell'affidamento avvenne in quanto la Holding non lo stava utilizzando e per noi non era ritenuta una linea di credito utile in quanto poco movimentata. Quando avvenne la revoca il saldo era attivo".

Non solo non corrisponde a verità che l'affidamento non era utilizzato, tanto che all'epoca dell'ultima rimessa il conto presentava un saldo passivo superiore al limite di fido concesso, ma all'evidenza la scelta dell'Istituto non può essere certamente dipesa  dalla  movimentazione del conto che è dato neutro per la Banca, quanto piuttosto dalla valutazione complessiva del cliente  nei cui confronti l'Istituto, per le considerazioni che più avanti saranno svolte, nutriva una sfiducia sempre maggiore.  Quanto poi al fatto che il saldo fosse in attivo si è già detto, ciò è dipeso unicamente dalla scelta di revocare di fatto la linea di credito, ottenere il rientro delle somme anticipate, impedirne il riutilizzo comunicando solo in seguito la formale revoca dell'affidamento.

 

2) Conformemente alle istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia ed all’art.53 t.u.b. del 1993, la Banca convenuta richiedeva annualmente alla società fallita i bilanci dell’impresa e consolidati del Gruppo.

Peraltro la stessa convenuta ha prodotto in giudizio i bilanci al 31.12.1993 e al 31.12.1994 della Belleli Holding Industriale S.p.A. e consolidati del Gruppo per i medesimi esercizi.

Quand’anche nel corso del giudizio non sia stata espletata una consulenza tecnica di natura contabile finalizzata all’esame dei bilanci in atti, alcuni dati emergono in maniera eclatante anche da un'elementare lettura.

Osservando il bilancio al 31.12.1993  della Belleli Holding Industriale S.p.A. si evidenzia uno squilibrio tra fonti ed impieghi, in quanto i debiti a medio e lungo termine (£.16.961.099.565) ed il patrimonio netto (£.162.084.508.207) non coprono le attività immobilizzate  (£.189.854.476.891), ed ancora le passività correnti (£.420.179.806.021) risultano superiori, seppure di poco, alle attività correnti (£.409.370.936.902).

Dal bilancio al 31.12.1994 emerge poi che la struttura finanziaria e patrimoniale della Belleli Holding Industriale S.p.A. si è, nel tempo, radicalmente modificata in senso peggiorativo.

In primo luogo lo squilibrio tra fonti ed impieghi è divenuto molto forte in quanto i debiti a medio e lungo termine (£.108.663.086.389) ed il patrimonio netto (£.173.174.859.971) non coprono, e di molto, le attività immobilizzate (£.355.683.321.091), e le attività correnti (£.260.454.276.818) sono divenute decisamente inferiori alle passività correnti (£.334.299.651.549). Quest’ultimo dato è indice di un’evidente tensione finanziaria, esplicitando una significativa insufficienza di liquidità per far fronte agli impegni nel breve periodo.

Non può non notarsi, inoltre, l’importo indicato alla posta fideiussioni “a favore di terzi”, ricompresa nei conti d’ordine: il dato è assolutamente abonorme e sproporzionato rispetto al patrimonio della società (che è di circa dieci volte inferiore) e risulta anche incrementato rispetto all’anno precedente.

Di non scarso rilievo infine è il valore della redditività del capitale proprio che nel 1994 assume valori prossimi allo zero (0,38%), essendo l’utile del 1994 pari a £.667.745.665 ed il patrimonio netto pari a  £.173.174.859.971.

Anche il bilancio consolidato del gruppo, seppure evidenzi una situazione economica nel complesso migliore di quella della singola società fallita di cui qui si discute, offre analoghi elementi di valutazione e nel confronto tra i due esercizi a disposizione permette di riscontrare  un peggioramento della situazione economica  complessiva.

In particolare modo nel bilancio consolidato al 31.12.1994 si palesa per l'intero Gruppo uno squilibrio rilevante tra fonti ed impieghi, se si considera che  i debiti a medio e lungo termine (£.389.100.000.000) ed il patrimonio netto (£.288.610.000.000) non coprono le attività immobilizzate (£.729.096.000.000) e le attività correnti (£.1.467.235.000.000) sono  inferiori alle passività correnti (£.1.518.621.000.000).

Esaminati questi dati deve concludersi che le risultanze dei bilanci non potevano non destare allarme nell’operatore bancario, quand’anche non fosse vero e proprio esperto di discipline economico-aziendali, e questo quanto meno dalla metà del 1995, quando le banche hanno ricevuto dalla fallita i bilanci al 31.12.1994.

3) nel maggio del 1995 alcune banche estere che operavano con il gruppo Belleli si erano rivolte alla Vitale Borghesi & C. S.p.A., primaria società di consulenza in ambito finanziario, affinchè fosse offerto agli Istituti di credito un quadro indipendente della situazione economica e finanziaria del Gruppo. Fu il dott.Aldo Belleli, su sollecitazione delle banche, che conferì mandato alla società affinchè i vari Istituti - sulla base del quadro offerto dall'advisor -  potessero valutare di calibrare gli interventi e decidere se continuare ad operare con il Gruppo ed a quali condizioni (v. testimonianza dott.Arnaldo Borghesi). Nel luglio del 1995 Vitale Borghesi  prese contatto con tutte le banche con cui il Gruppo operava, compresa la convenuta, ed il 1 agosto del 1995 organizzò una riunione in Milano tra tutti gli istituti di credito a cui partecipò  la Banca Commerciale Italiana S.p.A. nella persona del dott.Luciani, Direttore centrale responsabile del servizio crediti della sede di Milano (doc.34 di parte attrice, confermato dai testi dott.Costantino De Stefano, dott.Marco Marani, dott.Diego Scortegagna). Nell'occasione venne rappresentata (v.testimonianze dott.Paola Delmonte, dott.Arnaldo Borghesi) la fragilità finanziaria del Gruppo, le difficoltà che incontrava nel far fronte a nuove commesse e a portare a termine le commesse già acquisite, e la possibilità di superamento della crisi e normalizzazione delle condizioni operative delle società solo a fronte di interventi di finanza straordinari a cui avrebbero dovuto partecipare pro-quota il maggior numero possibile di banche vicine al Gruppo. Venne chiesto anche un immediato intervento per £.9.000.000.000 finalizzato al pagamento degli stipendi arretrati dei dipendenti. Con lettera del 3 agosto 1995 inviata a tutti gli Istituti di credito del Gruppo Belleli con esposizione debitoria, tra cui la convenuta, (doc.33 di parte attrice- v.testimonianze dott.Patrizia Spada, dott. Costantino De Stefano, dott.Diego Scortegagna), la Vitale Borghesi riassumeva gli esiti della riunione e formalizzava la richiesta di finanziamenti: 1) di  £.9.000.000.000 con surroga sugli stipendi, 2) di £.36.000.000.000, garantito da crediti Enel, da altri crediti e da flussi delle commesse, 3) di £.70.000.000.000 a fronte di operazioni  straordinarie già avviate, 4) di £.70.000.000.000 a 5 anni. Garanzie offerte erano le fideiussioni personali della famiglia Belleli e pegni sul 100% delle azioni Belleli Industrie Meccaniche S.p.A. e sul 100% delle azioni di Nuova Cimimontubi Holding S.p.A..

 Non vi è dubbio che la Banca Commerciale Italiana S.p.A. - a fronte del mandato assegnato all'advisor e soprattutto a fronte della conclamata necessità del Gruppo di interventi tanto ingenti ed urgenti da adottare di concerto tra tutti gli Istituti di credito, primo tra tutti il pagamento degli stipendi - non possa non essersi resa conto della gravità della crisi in cui tutte le società del Gruppo Belleli si trovavano.

4) Va altresì valutato che il conto corrente su cui sono affluite le rimesse di cui si discute era acceso presso la Filiale di Mantova, città ove aveva sede la fallita. Nell’estate del 1995 le difficoltà economiche in cui versava il Gruppo Belleli ed in particolare la Belleli Holding Industriale S.p.A. e la Belleli S.p.A. erano quotidianamente riportate nei giornali locali e frequentemente anche nei quotidiani nazionali. E' vero, come emerge dai numerosissimi articoli prodotti dai entrambe le parti, che non sempre le notizie offerte erano disastrose, - ad esempio in un articolo dell'aprile del 1995 venne prospettata l'entrata in borsa di Belleli S.p.A. e in altri talvolta  erano valorizzate  le acquisizioni di nuove commesse, ma resta il fatto che la assiduità delle notizie ed il tenore complessivo (frequentissimi i riferimenti ai ritardi nei pagamenti degli stipendi, agli scioperi del personale, alle necessità di finanziamenti straordinari, alla cautela delle banche), aveva reso di dominio pubblico la grave crisi economica e finanziaria del Gruppo, tanto più avvertita a livello locale in quanto inevitabilmente connessa al rischio allarmante di perdite occupazionali (per la rilevanza presuntiva delle circostanze indicate Cass.23.1.1997 n.699, Cass.14.4.1983 n.2607, Trib.Roma 31.1.1987, Trib.Cagliari 26.2.1998).

5) Osserva la Banca che costituisce prova dell’inscientia il fatto  che la Banca Commerciale Italiana S.p.A. abbia partecipato ai tentativi di risanamento del gruppo portati avanti da parte del ceto bancario dopo l’intervento della Vitale Borghesi & C. S.p.A..

L’affermazione non può essere condivisa.

La concessione di ulteriore credito è elemento di per sé equivoco (Cass.3.4.2002 n.4759, Cass.8.1.1987 n.18), che non necessariamente denota fiducia nelle prospettive dell'impresa e sconoscenza delle condizioni patologiche  dell'affidata.

 Esso può trovare giustificazione proprio nella consapevolezza della gravità della situazione, nella certezza che in assenza di ulteriore liquidità la debitrice sarebbe destinata al fallimento con inevitabile perdita di tutto quanto sino a quel momento erogato, e nella speranza che la nuova finanza aiuti l’impresa al superamento delle difficoltà economiche e soprattutto la Banca a rientrare dalle proprie esposizioni.

Va peraltro verso osservato che un favorevole giudizio prognostico in ordine alla possibile reversibilità della crisi in cui versa l’impresa nulla rileva ai fini della conoscenza dello stato d’insolvenza per il fatto che la prospettiva di risanamento non incide sulla consapevolezza circa lo stato di grave crisi economica. Questo in quanto “insolvenza” e “temporanea difficoltà” sono nozioni che divergono solo per l’aspetto quantitativo, dovendo qualitativamente anche la “temporanea difficoltà” valutarsi “insolvenza”, in quanto coincidente con l’incapacità dell’impresa di far fronte regolarmente alla proprie obbligazioni (in questo senso si sono espresse sia la Corte di Cassazione che la Corte Costituzionale con riferimento alla retrodatazione del termine di esercizio della revocatoria in caso di consecuzione di procedure concorsuali, trovando la retrodatazione giustificazione proprio nel fatto che la dicotomia insolvenza sanabile/insanabile non incide sull'essenza del presupposto delle procedure concorsuali che consiste sempre nella patologia dell'impresa, lo stato di insolvenza del debitore v. Cass.29.9.1999 n.10792, Cass.21.2.1997 n.1612 e Corte Cost.n.110 del 1995, confermata nelle ordinanze n.224/1995 e n.12/1997).

 

In conclusione, considerate le emergenze dei bilanci in possesso dell’Istituto di credito, tenute in debito conto le insistenti e preoccupanti informazioni giornalistiche divulgate all’epoca sul Gruppo, valutato, infine, in particolar modo, il comportamento della Banca che da un lato ha partecipato alle riunioni tenute dall'advisor per valutare le possibilità di ristrutturazione economica e finanziaria del Gruppo venendo a conoscenza della gravità della crisi e delle impellenti necessità di nuova finanza, e dall'altro  ha risolto il contratto di apertura di credito relativamente al rapporto di cui si è discusso in questa sede ma solo dopo il ripianamento delle passività, emerge in maniera evidente che la Banca Commerciale Italiana S.p.A., quanto meno dalla seconda metà del 1995, non poteva non conoscere la precaria situazione economica della società fallita.

Le circostanze esposte costituiscono  indizi gravi, precisi e concordanti della scientia decoctionis in capo alla società convenuta e  denotano una conoscenza effettiva e non solo potenziale dell’insolvenza del debitore.

 

Un’ultima riflessione si impone con riguardo alla rilevanza della conoscenza dello stato di insolvenza del Gruppo (v.sul punto Cass.20.5.1997 n.4473, Cass.3.6.1995 n.6285). Nelle considerazioni sino ad ora espresse si è più volte fatto riferimento alla conoscenza da parte dell’Istituto di credito della crisi del Gruppo più che della singola società qui interessata. Rileva il giudicante che il Gruppo Belleli di cui sino ad ora si è parlato svolgeva, in principalità, un’attività di fornitura e montaggio di impianti di grosse dimensioni (realizzazione di centrali elettriche convenzionali e centrali nucleari, piattaforme petrolifere, impianti petroliferi e petrolchimici, ecc.) attraverso l’acquisizione di commesse sia in Italia che all’estero. La Belleli Holding Industriale S.p.A., per la sua stessa natura di holding, all’interno del Gruppo occupava un ruolo  di coordinamento,  di controllo, di indirizzo delle partecipate nelle decisioni strategiche nonché di gestione della tesoreria. Pur mantenendo ciascuna società del Gruppo piena autonomia giuridica e patrimoniale, è evidente  che il fitto intreccio di legami gestionali, economici e finanziari tra la Holding e le società operative del Gruppo, in primis la Belleli S.p.A., esponeva ciascuna società del Gruppo ai contraccolpi derivanti dalla crisi  delle altre società. Questo collegamento tra la società fallita ed il Gruppo Belleli era necessariamente noto alla convenuta, sia emergendo dai bilanci della fallita e dai bilanci consolidati del Gruppo di cui si è detto, sia dalla circostanza che la stessa Merchant Bank Vitale Borghesi & C. S.p.A., nel predisporre un progetto di finanza straordinaria da proporre alle banche, tra cui la Banca Commerciale Italiana S.p.A. che operava quantomeno con la Belleli Holding Industriale S.p.A. e la Belleli S.p.A., fa esclusivo riferimento al Gruppo Belleli nel suo complesso. 

 

Da tutte le ragioni sino ad ora esposte emerge la fondatezza dell'azione proposta.

In accoglimento della domanda revocatoria formulata, devono essere revocati i pagamenti eseguiti dalla Belleli Holding Industriale S.p.A. alla Banca Commerciale Italiana S.p.A. in data 8.8.1995 di £.36.000.000 (pari a €18.592,45) e in data 6.10.1995  di  £.317.549.781 (pari a €164.000,78) e  condannata la società convenuta alla restituzione al fallimento attore dell’importo complessivo di  € 182.593,23, oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

Nulla compete a titolo di rivalutazione monetaria (Cass.24.1.1998, n. 690),  atteso che il  negozio  oggetto di  azione revocatoria fallimentare è dotato di causa  lecita   e  la   sua  inefficacia   sorge  solo   per  effetto dell'accoglimento   dell'azione,  che   ha   natura  costitutiva, per cui quando quest'ultima ha ad oggetto una somma liquida di denaro,  il  relativo  debito  restitutorio ha  natura  di  debito di valuta, da maggiorarsi dei soli interessi al saggio legale a far data dalla  domanda giudiziale,  salva la prova del maggior danno ai sensi dell'art. 1224 c.c., non fornita in questa sede.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

 Il Tribunale, in persona del giudice dott.Laura De Simone, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così giudica:

in accoglimento della domanda revocatoria formulata, devono essere revocati i pagamenti eseguiti dalla Belleli Holding Industriale S.p.A. alla Banca Commerciale Italiana S.p.A. in data 9.8.1995 di £.36.000.000 (pari a €18.592,45) e in data 6.10.1995 £.317.549.781 (pari a €164.000,78);

condanna la convenuta Banca Intesa Banca Commerciale Italiana S.p.A. (in forma abbreviata IntesaBci S.p.A.) alla restituzione al fallimento attore dell’importo complessivo di €182.593,23, oltre interessi legali dalla domanda al saldo;

condanna la convenuta alla rifusione delle spese di lite sostenute dall'attore e liquidate in €12.142,90 di cui €462,66 per spese, € 3.618,40 per diritti, € 7.000,00 per onorari, € 1.061,84 per spese generali, oltre IVA e CPA come per legge.