Concordato preventivo con cessione dei beni liquidati a più di
dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza di omologa –
Prescrizione dei crediti – Incapienza dei crediti privilegiati – Interesse
all’accertamento della prescrizione – Sussistenza – Art. 2941 n. 6 c.c. –
Applicabilità – Anatocismo – Usi normativi – Prassi imposta da uno solo dei
contraenti – Nullità. Tribunale di Mantova
– Giudice Unico Dott. Mauro Bernardi - Sentenza del 24 maggio 2002. Svolgimento
del processo Con atto di citazione notificato in data 20/2/1999 la società Alfa s.r.l. in liquidazione assumeva di avere presentato al Tribunale di Mantova, in data 28-8-1986, domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo con cessione dei beni, concordato omologato con sentenza passata in giudicato il 29-3-1987. L’istante
affermava che nel luglio del 1997 i beni ceduti ai creditori erano stati
venduti con un ricavo di circa £ 3.200.000.000, che con lettera del
15-9-1997 essa aveva invitato i liquidatori a soprassedere alla liquidazione
dell’attivo posto che quasi tutti i crediti si sarebbero estinti per
prescrizione essendo trascorsi più di dieci anni dal passaggio in giudicato
della sentenza di omologa, che i liquidatori a fronte di ciò avevano invitato
tutti i creditori a quantificare i rispettivi crediti inviando copia di
eventuali atti interruttivi della prescrizione inoltrati all’esponente e che
il Mediocredito Lombardo s.p.a., con missiva del 18-2-1998, aveva risposto
dichiarandosi creditore, a tale data, della somma di £ 1.456.931.515 - oltre
ad interessi successivi - in via privilegiata ipotecaria di cui £ 473.550.000
per residuo capitale, £ 274.425.375 per interessi dal 1-8-1984 al 31-12-1986,
£ 36.000.000 per commissioni oltre a £ 672.956.140 per interessi al tasso
legale dal 1-1-1987 al 18-2-1998. L’attrice
riferiva inoltre che il Collegio dei Liquidatori, con relazione del
14-5-1998, aveva fatto presente che l’attivo realizzato non era sufficiente
alla soddisfazione integrale dei creditori privilegiati ed aveva chiesto che
il Tribunale pronunciasse la risoluzione del concordato: il Collegio,
preso atto della eccezione di prescrizione dei crediti concorsuali, con
provvedimento del 30-6-1998, affermata l’impossibilità di prendere in quella
sede una decisione risolutiva in ordine alla sollevata eccezione, assegnava
alla società Alfa s.r.l. termine sino al 31-10-1998, poi prorogato sino al
28-2-1999, per radicare i giudizi di accertamento negativo dei crediti
concorsuali per un ammontare tale da escludere il fallimento e, in dipendenza
di tale provvedimento, l’istante radicava il presente giudizio contestando
inoltre la congruità del conteggio degli interessi, relativamente al periodo
1-1-1987/18-2-1998, sostenendo che gli stessi dovevano conteggiarsi soltanto
sul residuo credito in conto capitale. L’esponente,
a sostegno della proprie ragioni, richiamava in primo luogo il disposto di
cui all’art. 1984 c.c. ai sensi del quale il trasferimento dei beni ai
creditori e la liberazione del debitore si realizzano solo quando i creditori
conseguono dal ricavato della liquidazione le somme loro spettanti salvo
patto contrario, nel caso di specie non sussistente, con la conseguenza che
le somme ricavate dalla vendita dei beni ceduti continuano ad appartenere
alla debitrice concordataria sino alla distribuzione: di qui il
permanente interesse all’accertamento dell’intervenuta prescrizione dei
crediti concorsuali. Quanto
alla prescrizione del credito la difesa attorea faceva rilevare che, secondo
il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, l’ammissione
alla procedura di concordato preventivo rende improcedibili le azioni
esecutive individuali ma non preclude l’esercizio del diritto attraverso le
normali azioni di accertamento e di condanna sicché, dopo la sentenza di
omologazione, la prescrizione delle ragioni creditorie può essere interrotta
secondo le forme previste in via generale dall’art. 2943 c.c.. Mentre il
Collegio dei Liquidatori del Concordato Preventivo Alfa s.r.l. rimaneva
contumace, l’istituto di credito si costituiva chiedendo il rigetto della
domanda non essendosi maturata la prescrizione atteso che alla fattispecie
doveva trovare applicazione il disposto di cui all’art. 2941 n. 6 c.c.. Quanto
agli interessi la banca sosteneva che essi erano stati legittimamente
calcolati al tasso legale sull’importo costituito da capitale, interessi e
commissione salvo ammettere una loro riduzione in relazione alla verifica
della data di trasferimento dei cespiti immobiliari. Nel corso
del giudizio il difensore dell’attrice veniva sostituito e la causa, senza
l’espletamento di attività istruttoria, veniva quindi trattenuta per la
decisione sulle conclusioni delle parti in epigrafe trascritte. Motivi
della decisione
La
domanda è solo parzialmente fondata. In primo luogo va detto che la società attrice ha un indubbio interesse all’accertamento della maturata prescrizione del credito sia perché, sino al momento in cui i creditori non hanno ricevuto quanto loro spettante a seguito della liquidazione, non vi è alcun trasferimento di titolarità in capo ad essi dei beni del debitore concordatario che ne mantiene quindi la proprietà e ciò in virtù del disposto di cui all’art. 1984 c.c. salvo patto contrario nel caso di specie non intervenuto (cfr. Cass. 1-6-1999 n. 5306; Cass. 21-2-1995 n. 1909; Cass. 21-1-1993 n. 7709; Cass. 15-5-1991 n. 5464), sia per la ragione che l’eventuale fruttuoso esercizio delle azioni di accertamento della prescrizione di tutti o consistente parte dei crediti concorsuali impedirebbe la pronuncia di risoluzione del concordato. Nel
merito va osservato che nella procedura di concordato preventivo a differenza
di quella di fallimento (cfr. art. 94 l.f. per effetto del quale la
presentazione della domanda di ammissione al passivo determina l’interruzione
della prescrizione del credito, con effetto permanente, sino alla chiusura
della procedura: in tal senso vedasi Cass. 11-9-1997 n. 8990; Cass.
21-10-1995 n. 10968; Cass. 22-11-1990 n. 11269), non vi è una verifica del
passivo volta ad accertare i crediti concorsuali e la loro natura ma si
svolge un’indagine di natura amministrativa diretta a stabilire quali siano i
creditori aventi diritto al voto ed a calcolare le maggioranze necessarie per
l’approvazione della procedura (v. in tal senso Cass. 14-4-1993 n. 4446;
Cass. 19-12-1985 n. 6498; Cass. 25-5-1976 n. 1939) e, pertanto, nell’ambito
del procedimento ex art.160 e segg. l.f. non vi è una domanda cui
possano riconoscersi gli effetti di quella prevista dall’art. 94 l.f. tant’è
che, ove i creditori intendano ottenere l’accertamento di una loro pretesa
obbligatoria, debbono ricorrere al giudizio di cognizione ordinario
(vedasi sul punto Cass. 17-6-1995 n. 6859; Cass. 24-6-1993 n. 7002; Cass.
14-4-1993 n. 4446). Non viene quindi precluso l’esercizio del diritto
attraverso le normali azioni di accertamento e di condanna sicché non trova
applicazione il disposto di cui all’art. 2935 c.c.. Né può venire in
considerazione il disposto di cui all’art. 168 co. II l.f. atteso che tale
norma va letta in connessione con quella contenuta nel primo comma e pertanto
l’ambito di operatività della stessa deve ritenersi limitato alla sospensione
delle prescrizioni delle sole azioni esecutive (in tal senso vedasi Trib.
Grosseto 11-8-1997 in Il Fall.,1998,515; Trib. Piacenza 25-11-1997 in Dir.
Fall.,1998,II,122; Trib. Reggio Emilia 21-23/4/1999 n. 375 inedita): in
difetto di specifiche norme contenute nella legge fallimentare trova quindi
applicazione la disciplina generale prevista dal codice civile in materia di
prescrizione. Al
riguardo va rilevato che la difesa della convenuta ha immediatamente eccepito
la sussistenza della causa di sospensione prevista dall’art. 2941 n. 6 c.c.
(com’era suo preciso onere attesa la non rilevabilità d’ufficio della medesima:
cfr. Cass. 1-10- 1997 n. 9589; Cass. 13-12-1980 n. 6460; Cass. 1979 n. 3624;
Cass. 1971 n. 1344) e siffatta eccezione appare fondata. Al
riguardo va detto che, a seguito dell’omologazione del concordato preventivo
con cessione dei beni, viene conferito al liquidatore un mandato irrevocabile
perché attribuito anche nell’interesse dei creditori (in tal senso vedasi
Cass. 13-5-1998 n. 4801; Cass. 21-1-1993 n. 709; Cass. 18-12-1991 n. 13626;
Cass. 27-6-1981 n. 4177; Cass. 28-3-1985 n. 2187; Cass. 5-1-1972 n. 2) organo
il quale è investito dell’amministrazione dei beni ceduti in vista della loro
liquidazione (cfr. artt. 182 l.f. e 1979 c.c.) e, d’altro canto, va osservato
che la cessione concordataria si colloca nel quadro di un procedimento
avviato dalla proposta di concordato, che si apre con il decreto di cui
all’art. 163 l.f., passa attraverso la fase deliberativa di cui agli
artt. 174 e segg. l.f., culmina nella sentenza di omologazione ovvero
nella dichiarazione di fallimento e si conclude con la fase di esecuzione e
liquidazione: ciò consente di ritenere che la cessione dei beni di cui
all’art. 160 II co. n. 2 l.f. non sia inquadrabile semplicemente nello schema
contrattuale di cui agli artt. 1977 e segg. c.c. in quanto si inserisce in un
articolato procedimento connotato da finalità pubblicistiche (cfr. Cass.
16-4-1996 n. 3588; Cass. 15-1-1985 n. 67; Cass. 2-7-1965 n. 1373; Cass.
10-6-1964 n. 1441) posto che agli organi giudiziari sono attribuiti poteri
decisionali circa l’ammissione alla procedura, di controllo del suo
svolgimento e di nomina del liquidatore e che la liquidazione (le cui
operazioni non sono ricollegabili alla libera determinazione del debitore:
cfr. Cass. 18-7-1996 n. 2900; Cass. 6-4-1990 n. 2900) è preordinata al
soddisfacimento dei creditori secondo le regole del concorso sicché risulta
perfettamente attagliarsi alla fattispecie in questione la previsione
contenuta nella norma di cui all’art. 2941 n. 6 c.c. che fa riferimento alle
persone i cui beni sono sottoposti per provvedimento del giudice
all’amministrazione altrui (cioè dei creditori come sopra evidenziato di cui
il liquidatore è mandatario) non solo perché formalmente la nomina del
liquidatore è effettuata dall’autorità giudiziaria (cfr. art. 182 l.f.) ma
anche perché, per quanto sopra detto circa la natura del procedimento,
siffatta nomina non può farsi risalire alla mera volontà del debitore
concordatario. Né appare
fondata la tesi attorea secondo cui la menzionata norma non troverebbe applicazione
in considerazione del fatto che non sarebbe configurabile un obbligo di
rendiconto: pur prescindendo infatti dallo specifico dato testuale costituito
dal richiamo operato dall’art. 165 l.f. alla norma di cui all’art. 38 l.f.,
al caso in questione appare applicabile il disposto di cui all’art. 1983 co.
II c.c. in difetto di specifiche disposizioni della legge fallimentare, norma
che peraltro risulta essere espressione di un principio generale
dell’ordinamento (cfr. artt. 2311, 2453, e 2497 c.c.). Va poi
osservato che la conclusione raggiunta non comporta una interpretazione
analogica della disposizione in esame, operazione questa sicuramente non
consentita (cfr. Cass. 13-12-1995 n. 12754), ma è il risultato ermeneutico
della applicazione diretta della norma al caso di specie atteso che la
fattispecie concreta rientra perfettamente in quella astrattamente delineata
dal legislatore, trovando applicazione l’art. 2941 n. 6 c.c. a tutti i
rapporti, da accertare in concreto e non specificamente indicati,
intercorrenti fra coloro i cui beni sono sottoposti, secondo la previsione di
legge, all’amministrazione altrui e le persone che amministrano tali beni. In ordine
poi alla contestazione concernente gli interessi va notato che gli stessi
debbono calcolarsi sino alla data del 30-9-1997 coincidente con quella di
emissione del decreto di trasferimento. Sul punto
va osservato che, solo al momento della precisazione delle conclusioni, la
società attrice ha sostenuto l’incongruità del conteggio degli interessi relativamente
al periodo 1-8-1984/31-12-1986 e che, in tale udienza, la difesa della
convenuta ha eccepito la novità di tale domanda: tale asserzione non può
condividersi atteso che la contestazione attinente alla misura del credito
costituisce una mera difesa come tale svincolata dalle preclusioni previste
dall’art. 183 c.p.c. (cfr. Cass. 8-1-1997 n. 89). Con
riguardo agli interessi relativi al periodo 1-8-1984/31-12-1986 rilevato che
incombe sulla banca, ex art. 2697 c.c., l’onere di provare l’entità del
proprio credito essendo stato instaurato il presente giudizio proprio al fine
di operare tale accertamento, va detto che siffatto onere non è stato assolto
atteso che l’istituto di credito si è limitato ad indicare la somma
globalmente pretesa senza né precisare i criteri di calcolo seguiti né
fornire i necessari elementi per la loro determinazione (di complessa
individuazione alla stregua del concreto contenuto della clausola
contrattuale) sicché, a fronte della specifica contestazione, sarà possibile
riconoscere solamente gli interessi al tasso legale con capitalizzazione
annuale per l’effetto conteggiati (sul solo importo capitale non potendo gli
stessi essere calcolati anche sulla commissione che costituisce una somma
dovuta una tantum indipendentemente dal decorso del tempo) in complessivi
euro 29.582,63. Sul punto
va inoltre richiamato l’orientamento giurisprudenziale oramai consolidatosi
(cfr. Cass. 16-3-1999 n. 2374; Cass. 30-3-1999 n. 3096; Cass. 11-11-1999 n.
12507; Cass. 4-5-2001 n. 6263 e vedasi anche Cass. S.U. 17-7-2001 n. 9653)
secondo cui la previsione contrattuale della capitalizzazione degli interessi
dovuti dal cliente, in quanto basata su un uso negoziale ma non su una vera e
propria norma consuetudinaria, è nulla in quanto anteriore alla scadenza
degli interessi dovendosi ulteriormente rilevare che il divieto posto
dall’art. 1283 c.c. può essere derogato soltanto dagli usi normativi (cfr.
artt. 1 e 8 disp. prel. c.c.) laddove la raccolta degli usi della Provincia
di Milano dimessa dalla difesa del Mediocredito Lombardo che pur prevede
l’anatocismo, sotto forma di capitalizzazione trimestrale degli interessi
dovuti dai clienti della banca, è pur sempre un uso contrattuale difettando
quanto meno il requisito soggettivo (costituito dalla consapevolezza di
prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica) non
potendo esso ravvisarsi nella prassi imposta da uno solo dei contraenti (la
banca) mediante clausole uniformi ed unilateralmente predisposte. Per
quanto concerne poi il periodo 1-1-1987/30-9-1997 trattandosi degli interessi
legali successivi al triennio ex artt. 54, 55 l.f. e 2855 c.c., essi vanno
calcolati al tasso legale sulla sola somma capitale, escluso l’importo per
commissione per la ragione sopra evidenziata ed escluso inoltre che si possa
tenere conto degli interessi già maturati atteso che il terzo comma dell’art.
2855 c.c. fa riferimento esclusivamente al capitale e non alla somma iscritta
(in tal senso vedasi Cass. 20-3-1998 n. 2925): l’importo dovuto per tale
periodo assomma così ad euro 205.470,76 mentre complessivamente il
credito della banca convenuta viene determinato in complessivi euro
498.214,00 (244.568,16 + 18.592,45 + 29.582,63 + 205.470,76). La
parziale reciproca soccombenza giustifica la compensazione nella misura di un
quarto delle spese di lite che vengono liquidate come da dispositivo dovendo
la restante parte essere posta a carico della società attrice mentre esse
vanno integralmente compensate nei rapporti con il Collegio dei Liquidatori
in considerazione del comportamento processuale assunto. P.Q.M. il
Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, definitivamente
pronunciando ogni altra domanda ed eccezione reietta, così provvede: respinta
l’eccezione di prescrizione del credito vantato dal Mediocredito Lombardo
s.p.a., ne determina l’ammontare nei confronti del concordato preventivo Alfa
s.r.l. in complessivi euro 498.214,00; condanna
la società attrice a rifondere alla banca convenuta le spese del giudizio
compensandole nella misura di un quarto e per l’effetto liquidandole in
complessivi euro 8.046,74 di cui € 196,00 per spese, € 1.850,74 per diritti
ed € 6.000,00 per onorari, oltre al rimborso forfetario delle spese ex art.
15 T.P., IVA e CPA come per legge; compensa
integralmente le spese di lite nei rapporti con il Collegio dei Liquidatori. |