Revocatoria di rimesse in conto corrente bancario - Inidoneità del
castelletto per anticipazioni sbf a determinare un aumento di fido.
Operazioni bilanciate - Sussistenza - Forma scritta ex art. 117 d. lgs n. 385/93
e jus variandi - Deducibilità nei termini di cui all'art. 183 c.p.c.. Scientia decoctionis ed elementi presuntivi - Scarsa valenza
indiziaria della cessione del ramo d'azienda e dello sfratto per morosità -
Prova della conoscenza del bilancio - Necessità. Revoca di pegno ex
art. 67, 1° co. l.f. Tribunale di Mantova, Sez. II –
Sentenza del Giudice Unico Dott. Attilio Dell'Aringa 13 marzo 2003. MOTIVI DELLA DECISIONE I
castelletto di sconto anche ove abbia ad oggetto le c.d. “anticipazioni
s.b.f.” (anziché lo sconto in senso tecnico di titoli) non attribuisce al
cliente la disponibilità di una somma di denaro, ma impegna la banca ad
accettare per lo sconto, entro un ammontare predeterminato, i titoli, gli
effetti le ricevute bancarie presentate dall’affidatario, sicchè non è idoneo
a coprire oltre il limite dell’apertura di credito il conto corrente
bancario, neppure se il ricavato degli sconti e delle anticipazioni è
destinato a confluire in quest’ultimo, in guisa da creare un collegamento tra
le due linee di credito (v. Cass. 10.4.1999 n. 3526 – Cass 5.5.2000 n. 5634);
pertanto la convenuta - cui incombeva la prova della natura non
solutoria delle rimesse (v.Cass. 1.10.2002 n. 14087)- era tenuta a dimostrare
l’esistenza di uno specifico accordo tra le parti, derogativo del principio
dell’autonomia dei fidi, ed ha infondatamente addotto l’assenza di
contestazioni sollevate sul punto dalla curatela, che ha negato la
cumulabilità del limite dell’apertura di credito e di quello del castelletto implicitamente
– ma inequivocabilmente – e nell’atto introduttivo del giudizio (laddove ha
calcolato l’importo delle rimesse revocande in ragione degli sconfinamenti
dal tetto di £ 20.000.000 e non di £ 70.000.000) ed esplicitamente in
comparsa conclusionale, nella quale ha spiegato una mera difesa, anziché una
controeccezione soggetta alle preclusioni sancite dall’art. 183 c.p.c. Il
versamento di £ 10.000.000 del 3.4.98 e quello di £ 21.500.000 del 21.4.98
sono qualificabili come operazioni bilanciate (ossia concordemente
finalizzate non a ridurre lo scoperto del conto, bensì a costituire una
specifica provvista in funzione dell’ordine ricevuto ed accettato) in quanto: I. il
difetto della forma scritta richiesta dall’art. 117 d.lgs. n. 385/1993, pur
se fosse invocabile anche rispetto anche agli accordi sottesi dalle
operazioni in predicato, potrebbe essere fatto valere, come recita il
successivo art. 127 com. 2°, solo dal cliente, che – e per esso il curatore
del suo fallimento – non l’ha nella specie eccepito entro i limiti temporali
di deducibilità dello ius novorum stabiliti dal già citato art. 183 c.p.c. II. le
date delle operazioni di segno opposto coincidono e corrispondono anche gli
importi di esse (salvo, per la rimessa di £ 21.500.000, una differenza minima
e non significativa) III. l’ordine
delle appostazioni contabili sull’estratto conto rispecchia la successione
logica e quindi anche quella cronologica dei versamenti e dei correlati
prelievi IV.
essendosi trattato di rapporti di conto corrente in corso da poco non è
ravvisabile una tolleranza dello scoperto sistematica e tale da giustificare
il convincimento che la banca avrebbe certamente o quasi certamente
consentito i prelevamenti extra-fido anche se non fossero stati bilanciati
dai versamenti V.la
rimessa di £ 10.000.000, operata il 3.4.98 mediante assegni fuori piazza
anziché denaro contante, ha esposto la banca al rischio del mancato incasso
dei titoli ma ben può essere stata determinante nell’indurre la banca
ad emettere gli assegni circolari di pari ammontare essendo il saldo passivo
del conto lievitato a £ 62.000.000 raggiungendo un livello oggettivamente
troppo elevato se fosse ulteriormente aumentato. Chiaramente
inoltre se la rimessa non aveva una funzione solutoria, per la sua attinenza
ad un’operazione bilanciata, poteva essere domandata soltanto la revoca della
convenzione sottostante a detta operazione e non anche quella del versamento
diretto a formare la provvista per l’esecuzione della disposizione impartita
alla banca. La
revocabilità delle rimesse di £ 16.950.000 e di £ 11.000.000 (effettuate
entrambe il 5.598) presuppone la scientia decoctionis, che non è
sufficientemente provata dagli elementi presuntivi indicati dall’attore o
comunque risultanti dagli atti – e quindi utilizzabili per consolidata
giurisprudenza anche se non espressamente richiamati (v. Cass. 6.9.2002 n.
12980)- atteso che siffatti elementi appaiono privi, sia singolarmente che
nella loro globalità , dei requisiti postulati dall’art. 2729 c.c. La
conoscibilità si traduce invero in presunzione di conoscenza quando deriva da
fatti divenuti di pubblico dominio ovvero adeguatamente pubblicizzati come i
protesti cambiari e le esecuzioni immobiliari, alle quali non sono
assimilabili quelle mobiliari, precedute da un pignoramento non trascritto
(v.Cass. 28.4.1995 n. 4718) e le esecuzioni degli sfratti per morosità, come
quello a carico dell’Emporio Ferrari s.n.c. , mentre la cessione del ramo di
azienda di quest’ultima, ancorché sia stata iscritta nel Registro delle
Imprese in ottemperanza al dettato dell’art. 2556 com 2° c.c., ha una
scarsa valenza indiziaria poiché le cessioni del genere vengono poste in
essere anche dalle imprese sane per soddisfare esigenze di varia natura e non
sono di per sé atte a suscitare allarmismi, non sottraendo esse alle
aspettative dei creditori parte della garanzia patrimoniale, che resta
conservata dalla responsabilità solidale gravante sull’acquirente a norma
dell’art. 256 com 2° c.c. Gli
sconfinamenti dal fido non sono assurti ad indice di una assai probabile
crisi economica e/o finanziaria dell’impresa debitrice sia perché non hanno
avuto il tempo – data la breve durata del rapporto di conto corrente – di
caratterizzarsi come cronica incapacità di eliminare lo scoperto, sia perchè
non si sono accompagnati ad ulteriori e più probanti segnali dello stato di
insolvenza della società poi fallita, considerato che contro quest’ultima non
erano stati levati protesti od eseguiti pignoramenti , che la conoscenza in
capo alla convenuta dello sfratto per morosità e del bilancio al
31.12.1997 non è stata dimostrata, che la cessione del ramo di azienda poteva
essere consistita in una normale transazione commerciale volta a convertire
in liquidità monetaria parte delle immobilizzazioni patrimoniali - così
da riequilibrare finanziariamente l’impresa e dotarla dei mezzi per
eventualmente ridurre lo scoperto del c/c -, né l’Agenzia di Porto Mantovano
della Banca C.C. di Casalmoro e Bozzolo s.c.a.r.l. e la Emporio Ferrari
avevano le sedi ubicate in una medesima e ristretta località (trovandosi la
prima in una zona ad alta densità di insediamenti produttivi e commerciali),
onde lo sfratto per morosità, avvenuto il 10.4.98. dopo le prime rimesse
revocatoriamente impugnate , non può reputarsi tempestivamente conosciuto
dalla convenuta sotto il profilo - talora valorizzato dalla
giurisprudenza (v.Cass. 21.1. 2000 n. 656) – della rapidità con cui nei
piccoli centri le notizie giungono alla notorietà, e la qualità di banchiere
dell’”accipiens” può essere ricondotta tra gli elementi che depongono per la
sua consapevolezza dell’insolvenza del cliente sulla base non già di un
astratto riferimento alle doverose regole di avvedutezza e di prudenza cui
avrebbe dovuto uniformare la sua condotta di operatore professionale (v.Cass.
7.2.2001 n. 1719), ma della constatazione che i modelli comportamento di
fatto osservati dalle generalità delle banche e la loro capacità dei analisi
dei dati economici, superiore a quella del “quisque de populo”, avrebbero
condotto attraverso l’esame degli elementi valutativi in concreto acquisiti
alla ragionevole certezza dello stato di dissesto. Ad
identica conclusione si perviene per le rimesse sul conto n. 269265/14 di
Ferrari Raffaele, dovendo in subiecta materia aversi riguardo alla conoscenza
dell’insolvenza della società di persone anche rispetto agli atti di
disposizione compiuti dal socio illimitatamente responsabile, il quale
fallisce anche se non versa “uti singulus” in stato di decozione (v. Cass.
14.1.1998 n. 255) La
costituzione in pegno dei titoli obbligazionari emessi dalla convenuta viene
invece revocata pur dando atto che: a.
l’art. 2901 com 2° c.c. situa le prestazioni di garanzie contestuali alla
genesi del credito fuori della previsione dell’art. 64 I. fall. ed entro
quella dell’art. 67 I. fall, avendo un contenuto compatibile con quello di
quest’ultimo stante la possibilità di costituire a titolo oneroso anche le
garanzie non contestuali (v. Cass. 7.6.1999 n. 5582 – Cass. 2.9.1996 n. 7997
– contra Cass. 28.5.1998 n. 5264). b.
la contestualità richiesta dall’art. 67 com 2° I. fall. sussiste, tra il
sorgere del debito e l’atto costitutivo della garanzia, se entrambe le
operazioni sono state volute dalle parti in un identico momento, anche se
sono poi state portate a compimento in momenti separati (v. Cass. 17.71997 n.
6558) c.
l’apposizione della data dell’8.4.1998 (resa certa del timbro postale) sia
sulla lettera di “accettazione delle concessione di fido”, sia su quella
recante l’assunzione dell’obbligo di prestare la garanzia reale, può dunque
far ritenere la costituzione del pegno coeva al negozio originativo del
credito della banca anche se per evitare i ritardi verificatosi avrebbero
potuto essere impegnati titoli diversi da quelli consegnati in garanzia
a distanza di un mese circa, per essere la scelta preferenziale caduta su
quelli di prossima emissione da parte della convenuta. I rilievi
che precedono sono infatti superati dal recepimento nell’art. 67 com 2°
I.fall. di un concetto di contestualità inteso in senso sostanziale e
causale, anziché formale e meramente cronologico, per cui la concomitanza
temporale tra la concessione della garanzia pignoratizia e il contratto col
quale è stato accordato od ampliato il fido non osta all’applicabilità
dell’art. 67 com 1° n.n. 3) eo 4) I. fall. (che onera il convenuto in
revocatoria della prova della inscientia decoctionis) ove il pegno sia stato
costituito per garantire anche passività preesistenti, a termini dell’art.
1844 c..c. o di particolari clausole contrattuali (v. Cass. 9.5.200 n. 5845),
come è avvenuto nella fattispecie, nella quale l’addebitamento di £ 62.00.000
circa alla Emporio Ferrari risaliva - come documentato dall’estratto
conto scalare – al 31.3.1998 (ossia a prima che fosse stato promessa
con l’atto 8.4.98 la sottoposizione dei titoli al vincolo pignoratizio)
e la garanzia era stata estesa dall’’art. 8 del contratto 8.4.98 ad “ogni
altro credito” e quindi anche ai crediti pregressi. I contratti
dell’ 8.4.98 non sono infatti retrodatabili, ai fini in argomento , al tempo
in cui gli organi della convenuta avrebbero deciso di concedere gli
affidamenti con la delibera 9.3.98 che quand’anche fosse stata prodotta (e
mediante l’allegazione di un documento di data certa) avrebbe comprovato
l’esistenza di un atto unilaterale e meramente interno alla banca, anziché di
un contratto rivestente la forma prescritta dall’art. 117 d.lgs. n.
385/1993. L’art.
1851 c.c subordina inoltre la ricorrenza del pegno irregolare alla mancata
individuazione del denaro o dei titoli nell’atto concessivo della garanzia e
al conferimento alla banca di una facoltà di disporne anche in assenza di
inadempimenti del cliente, con la conseguenza che in difetto dell’una o dell’altra
di quelle condizioni la proprietà dei titoli non si trasferisce
immediatamente all’istituto bancario e quest’ultimo non può opporre la
compensazione ex art. 56 I. fall. al Fallimento che abbia agito in
revocatoria nei suoi confronti (v. Cass. 9.5.2000 n. 5845). La
convenuta è tenuta, qualora non sia in grado di restituire i titoli
obbligazionari, a restituirne l’equivalente monetario, che è automaticamente
rivalutabile (per essere fonte di un debito di valore e non di valuta il
vittorioso esperimento della revocatoria fallimentare al quale si riconnetta
l’obbligo di rendere un bene, anziché una somma di denaro - v. Cass
8.4.1998 n. .3651), ma che non viene nella specie attualizzato mancando la
prova che quei titoli valgono oggi più di £ 35.000.000 = Euro 18.075,99. Gli
interessi decorrono al tasso legale dalla data della presente sentenza –
rientrante fra quelle costitutive (v. Cass. S.U. 15.6.2000 n. 437) .-
competendo essi dalla domanda giudiziale se l’obbligazione fosse stata
pecuniaria. Le spese
di lite vengono per una metà accollata alla convenuta e per l’altra metà
compensate in dipendenza dall’accoglimento solo parziale della domanda
attorea. P.Q.M. Il
Tribunale , definitivamente giudicando, respinge
le domanda di revoca delle rimesse sul conto corrente della Emporio Ferrari
di Ferrari Graziano &. C. s.n.c. e su quello del socio Ferrari Raffaele revoca a
norma dell’art. 67 com. 1° n. 4) I. fall. l’atto con cui in data 8.4.1998 Ferrari
Raffaele ha costituito in pegno i titoli obbligazionari emessi dalla Banca di
Credito Cooperativo di Casalmoro e Bozzolo s.c.a.r.l. per un importo
complessivo di £ 35.000.000 ed inseriti nel dossier n. 690069 condanna
la Banca di Credito Cooperativo di Casalmoro e Bozzolo s.c.a.r.l., con sede
in Asola (MN), in persona legale rappresentante, a restituire al
Fallimento di Ferrari Raffaele gli anzidetti titoli obbligazionari o in
difetto di restituzione entro mesi uno dalla comunicazione della sentenza
odierna a corrisponderne l’equivalente monetario nella misura di Euro
18.075,99 maggiorata degli interessi legali dalla data della sentenza
medesima condanna inoltre la Banca di
Credito Cooperativo di Casalmoro e Bozzolo s.c.a.r.l., con sede in Asola, in
persona del legale rappresentante, a rifondere al Fallimento di Ferrari
Raffaele metà delle spese del giudizio liquidate per l’intero i Euro 6.036,09
(oltre IVA e CPA) di cui 103,85 per esborsi 332,24 per anticipazioni,
1.500,00 per diritti , 3.500,00 per onorari, 600,00 per rimborsi forfetari. |