Azione
revocatoria ordinaria del curatore ex artt. 66 l.f. e 2901 c.c. - Pericolo di
danno al patrimonio - Sussistenza di eventus damni e scientia damni - Stato
di precarietà economica emergente dai bilanci - Utilizzo di parte del mutuo
per coprire pesanti esposizioni verso la banca erogante - Generica
consapevolezza del pregiudizio in capo a debitore e terzo - Sussistenza del
consilium fraudis. Tribunale di Mantova - Sezione
II - Dott. Attilio Dell'Aringa, Presidente, Dott. Mauro Bernardi, Giudice
Relatore, Dott. Laura De Simone, Giudice - Sentenza del 9 dicembre 2002. Svolgimento del processo Con ricorso notificato in data 16-6-1999 la B.A.M.
proponeva tempestiva opposizione ex art. 98 l.f. avverso il decreto di
esecutività dello stato passivo del fallimento F.lli Menghini s.n.c. e dei
singoli soci dichiarati falliti. La banca lamentava in primo luogo che fosse stato
adottato un unico provvedimento per la società e per i soci nonostante essa
avesse proposto distinte domande di insinuazione nei confronti della s.n.c. e
dei singoli soci ed inoltre che non era chiaro se ed in quale misura fossero
stati ammessi gli interessi convenzionali. Infine l’istituto di credito
assumeva che illegittimamente non era stato riconosciuto il rango ipotecario
al credito di £ 313.451.617 vantato nei confronti di Menghini Massimo e Motta
Bruna i quali, sugli immobili di cui erano comproprietari, avevano iscritto
ipoteca a suo favore a garanzia della erogazione di un mutuo di £ 250.000.000
concesso alla società fallita con atto n. 71248 rep. notaio dott. Natale
Bellutti del 15-3-1995: premettendo che il provvedimento di esclusione della
prelazione era stato adottato sul presupposto che l’ipoteca fosse revocabile
ai sensi degli artt. 66 l.f. e 2901 c.c., l’opponente sosteneva che non
ricorreva alcuno dei presupposti richiesti per l’applicazione di tali norme. La curatela fallimentare si costituiva assumendo che
l’adozione di un unico provvedimento di ammissione era dovuto ad un mero
errore materiale e dava atto che non veniva contestata la quantificazione
dell’importo concernente gli interessi convenzionali pari a £ 73.621.328.
L’opposto ribadiva invece la correttezza del provvedimento che aveva escluso
la prelazione ipotecaria ex art. 66 l.f. e chiedeva pertanto il rigetto della
domanda. Esperita
l'istruttoria orale e dichiarati utilizzabili tutti gli atti del fascicolo
fallimentare con ordinanza collegiale del 14-3-2002, la causa veniva rimessa
al Collegio per la decisione sulle conclusioni delle parti in epigrafe
riportate. Motivi L’opposizione è infondata e deve essere rigettata. In primo luogo va dato atto che il sintetico
provvedimento adottato in sede di formazione dello stato passivo riguardava
sia la società che i singoli soci sicché il credito deve ritenersi ammesso,
in conformità della comunicazione inviata dal Curatore, nel seguente modo:
nel passivo della società, il tutto in via chirografaria, per £ 239.830.289
oltre a £ 73.621.328 per interessi convenzionali in relazione al mutuo nonché
per ulteriori £ 31.822.608 in modo pieno e per £ 57.436.600 in via
condizionale; nel passivo personale di Menghini Massimo, Motta Bruna,
Menghini Pietro e Menghini Gianni, in via chirografaria, per £ 239.830.289
oltre a £ 73.621.328 per interessi convenzionali relativi al mutuo, oltre
alle ulteriori somme di £ 31.822.608 in modo pieno e di £ 57.436.600 in via
condizionale. Va poi aggiunto che non vi è alcuna contestazione fra le
parti circa l’ammissione nella misura di £ 73.621.328 degli interessi
convenzionali non risultando peraltro alcuna contestazione o decurtazione dal
decreto emesso ex art. 97 l.f. che semplicemente non conteneva l’indicazione
in cifre di siffatta voce. Quanto all’esclusione, ex art. 66 l.f. e 2901 c.c.,
della prelazione ipotecaria la B.A.M. ha contestato che sussistano i
requisiti previsti dalla legge e cioè l’eventus damni e la scientia fraudis. Sotto il primo profilo e rilevando che l’ipoteca
concessa era contestuale al credito garantito, l’istituto di credito faceva
notare che non esistevano, al di fuori di essa medesima, creditori personali
dei due soci datori di ipoteca sicchè doveva escludersi ogni pregiudizio né,
a tal fine, si sarebbero potuti prendere in considerazione i creditori
sociali posto che costoro non erano in grado di essere direttamente
pregiudicati da un atto dispositivo avente ad oggetto beni personali dei soci
e non beni della società. Siffatta tesi non può essere condivisa atteso che i soci
della s.n.c. sono direttamente, in solido ed illimitatamente responsabili per
le obbligazioni sociali (cfr. art. 2291 c.c.; Cass. 5-11-1999 n. 12310; Cass.
29-11-1995 n. 12405), situazione questa che viene presupposta dalla norma
fallimentare (cfr. art. 148 l.f.) ai sensi della quale il credito dichiarato
dai creditori sociali nel fallimento della società si intende dichiarato per
l'intero anche nel fallimento dei singoli soci, mentre il disposto di cui
all’art. 2304 c.c. opera unicamente nella fase esecutiva senza che ciò incida
sulla qualità di debitore del singolo socio (in tal senso vedasi Cass.
26-11-1999 n. 13183; Cass. 3-6-1998 n. 5434; Cass. 12-4-1994 n. 3399): ne deriva
pertanto che i creditori della società debbono considerarsi anche creditori
dei singoli soci e che essi possono venire pregiudicati da un atto che
depaupera il patrimonio personale di questi ultimi. In ossequio al principio stabilito da Cass. 12-9-1998 n.
9092 occorre verificare che il credito di tutti o alcuni dei creditori
ammessi al passivo fosse già sorto al momento del compimento dell’atto che si
assume pregiudizievole, quale fosse la consistenza dei loro crediti nonché
quella qualitativa e quantitativa del patrimonio del debitore subito dopo il
compimento dell’atto dannoso. Ciò posto e tenuto conto che l’ipoteca è stata concessa
nel marzo del 1995 va detto che si deve avere riguardo ai crediti sorti prima
di tale data e successivamente ammessi al passivo (cfr. Cass. 10-2-1996 n.
1050 per cui si deve avere riguardo all’insorgere del credito) a nulla
rilevando pertanto che la banca, nel concedere il mutuo, abbia preso in
considerazione solamente il bilancio sociale relativo all’esercizio 1993
(vedasi testimonianza del dipendente Ancellotti Gabriele): dall’esame dello
stato passivo e delle domande di insinuazione emerge che i crediti vantati da
Cama s.n.c., Krino s.r.l, Mobil Plastic s.r.l., Perboni Giuseppe, PG s.r.l.,
R.U.P.E.S. s.p.a. e Robert Bosch Industriale s.p.a. ammontano (detratte le
spese legali maturate successivamente) all’incirca a £ 100.000.000 ed erano
sorti fra il 1993 ed il 1994 e quindi prima dell’iscrizione dell’ipoteca. Orbene se si considera che il bilancio sociale del 1993
evidenzia una differenza in negativo fra passività ed attività per circa £
45.000.000, che da quello del 1994 emerge una perdita di esercizio di £
1.040.751.458, che la s.n.c. non è mai stata titolare di immobili né ulteriori
immobili sono stati in seguito acquisiti dai soci i quali, pertanto,
concedendo l’ipoteca, avevano investito ogni loro avere nella s.n.c., risulta
evidente il pregiudizio subito dai predetti creditori posto che, mentre al
momento del sorgere del loro credito il patrimonio sociale era incapiente ma
risultavano garantiti dall’immobile dei soci potendo paritariamente
concorrere con gli altri creditori, successivamente l’unica solida garanzia
per il soddisfacimento delle loro ragioni è risultata vincolata a favore del
credito della banca. Al riguardo occorre
rammentare che non è necessario che sussista un danno concreto ed effettivo
essendo invece sufficiente un pericolo di danno derivante dall’atto di
disposizione il quale abbia comportato una modifica della situazione
patrimoniale del debitore tale da rendere incerta o maggiormente difficile la
realizzazione del credito (cfr. Cass. 17-10-2001 n. 12678; Cass. 5-6-2000 n.
7452; Cass. 1-6-2000 n. 7262; Cass. 29-12-1999 n. 12144) chiaramente
sussistente, nel caso di specie, per la ragione sopra addotta, ulteriormente
corroborata dal fatto che gran parte dell’attivo sociale era costituito dalla
voce magazzino che va sempre prudentemente valutata, non essendovi certezza
circa la congruità dei valori espressi, in considerazione, in particolare,
della progressiva obsolescenza dei materiali. Nessun dubbio può sussistere in ordine alla ricorrenza
della scientia damni in capo ai soci posto che la società non era titolare di
immobili, che il patrimonio sociale era manifestamente insufficiente a
garantire le ragioni dei creditori e che, per effetto dell’operazione posta
in essere, quelli personalmente intestati ai due soci finivano per essere
vincolati al soddisfacimento della sola opponente. Per quanto concerne infine la sussistenza del consilium
fraudis in capo alla B.A.M. va notato che la non florida situazione
della società emergeva sin dal bilancio del 1993 nel quale la voce debiti
verso terzi era appostata per l’importo di £ 2.206.723.632, che appare dubbia
la circostanza che l’istituto di credito non avesse preteso alcuna
informazione circa l’andamento della s.n.c. relativamente all’esercizio 1994
(in cui alla voce debiti verso terzi corrisponde l’importo di £
2.100.272.161) tanto più che i risultati dell’anno precedente non erano certo
brillanti ed infine che la società aveva aperto presso la stessa banca più
linee di credito che risultavano, prima della concessione del mutuo,
pesantemente in passivo ed infine che, in parte, il mutuo andava a coprire
proprio debiti maturati nei confronti dell’istituto. In proposito va ricordato che, da un lato, l’azione revocatoria
ordinaria di atto successivo al sorgere del credito richiede la generica
consapevolezza da parte del creditore e del terzo del pregiudizio arrecato
alle ragioni del creditore mentre non esige anche una collusione tra il
debitore ed il terzo, né lo stato di insolvenza dell’uno, né la conoscenza di
tale stato da parte dell’altro (cfr. Cass. 1-6-2000 n. 7262 che equipara alla
semplice conoscenza la agevole conoscibilità nel debitore e nel terzo del
pregiudizio; Cass. 20-11-1996 n. 10219; Cass. 3-5-1996 n. 4077; Cass.
4-11-1995 n. 11518; Cass. 12-2-1990 n. 1007;) e che, dall’altro, si prescinde
dalla specifica conoscenza del credito per la cui tutela viene esperita
l’azione (cfr. Cass. 1-6-2000 n. 7262; Cass. 19-3-1996 n. 2303). Né infine può condividersi l’ulteriore argomentazione
svolta dall’opponente secondo cui poiché le somme erogate erano state
destinate a ripristinare la liquidità necessaria per l’acquisto di materie
prime e per il pagamento di debiti verso fornitori doveva escludersi
ogni intento di danno. Si ritiene infatti
assoggettabile a revocatoria, nella ricorrenza degli altri presupposti di
legge, l’atto di concessione di garanzia ipotecaria a fronte di un mutuo
contratto dal debitore per estinguere le passività aziendali, atteso che la
stipula della garanzia non ha il connotato della doverosità proprio
dell’adempimento - che giustifica l’esclusione della revocatoria ai sensi
dell’art. 2901 III co. c.c. - ma si fonda sulla libera determinazione del
debitore il quale, attraverso il mutuo, dà luogo alla modifica del suo
patrimonio con il rischio della compromissione delle pregresse ragioni degli
altri creditori (così Cass. 2-4-1996 n. 3066 e, nello stesso senso,
vedasi Cass. 5-8-1996 n. 7119; Cass. 24-8-1993 n. 8917). Le
spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. il Tribunale di Mantova, in
composizione collegiale, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed
eccezione reietta, così provvede: premesso che il credito della banca deve ritenersi
ammesso al passivo del fallimento della società e di quello personale dei
singoli soci illimitamente responsabili così come meglio specificato in
motivazione senza che ciò comporti alcuna modificazione dello stato passivo
reso esecutivo, rigetta l’opposizione promossa dalla B.A.M.; condanna
l’opponente a rifondere al fallimento opposto le spese di lite liquidandole
in complessivi euro 3.521,31 di cui e. 319,05 per spese, e. 1.159,46
per diritti ed e. 2.042,80 per onorari, oltre al rimborso forfetario delle
spese ex art. 15 T.P., ed oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge. |