Accertamento tecnico preventivo in
costanza di fallimento - Ammissibilità- Rescissione di appalto ex art. 340 L.
20 marzo 1865 n. 2248 - Insindacabilità da parte del giudice dell'opposizione
allo stato passivo del provvedimento di rescissione - Potere di valutazione
della gravità dell'inadempimento - Sussistenza - Risarcimento del danno
subito dal committente per mancato completamento dei lavori e per vizi degli
stessi - Sussistenza - Compensazione di crediti non omogenei ex art. 56 L.F.
- Ammissibilità. Tribunale di Mantova - Dr. A Dell'Aringa,
Presidente; Dr. Mauro Bernardi, Giudice relatore; Dr. Laura De Simone,
Giudice - Sentenza del 7 marzo 2003. Svolgimento del processo Con ricorso notificato in data 3-5-2000 l’Azienda
Lombarda Edilizia Residenziale-A.L.E.R. di Mantova proponeva tempestiva
opposizione ex art. 98 l.f. avverso il provvedimento con il quale gli organi
del fallimento Strina s.r.l. avevano rigettato la sua domanda di ammissione
al passivo, decisione adottata alla stregua della considerazione secondo cui
non sarebbe stata provata l’entità del credito nonché per l’esistenza di
polizza fideiussoria. L’opponente spiegava che la società fallita si era resa
inadempiente al contratto di appalto stipulato il 16-9-1997 avente ad
oggetto la costruzione di ventiquattro appartamenti tanto che, con
provvedimento del presidente in data 18-8-1999 ratificato con delibera del
13-9-1999, l’ente aveva rescisso il contratto ex art. 340 l. 20-3-1865 n.
2248 all. F). L’A.L.E.R. sosteneva che, quanto all’an, il credito
risarcitorio era in re ipsa mentre, in ordine al quantum, sosteneva che la
pretesa trovava adeguato supporto nelle risultanze dell’accertamento tecnico
preventivo, procedimento questo che era stato attivato poco dopo la
dichiarazione di fallimento della Strina s.r.l. pronunciata in data
11-9-1999: ritenendo illegittimo il provvedimento di esclusione insisteva per
l’ammissione al passivo del credito calcolato dal consulente tecnico oltre a
quello ulteriore che si riservava di specificare in corso di giudizio
all’esito del procedimento di collaudo. La curatela si costituiva chiedendo il rigetto della
domanda assumendo che il credito azionato non era provato né nella sua
sussistenza né nella sua entità e che, a tal fine, non poteva tenersi conto
delle risultanze dell’accertamento tecnico posto che il consulente non
avrebbe potuto quantificare i danni: il fallimento eccepiva inoltre la
compensazione della pretesa avversaria con il proprio credito relativo alle
opere eseguite e non pagate chiedendo in subordine la condanna dell’ALER a corrispondere
l’eventuale differenza. Acquisiti
gli atti del procedimento di accertamento tecnico preventivo ed espletata la
prova orale la causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni delle
parti in epigrafe riportate. Motivi In primo luogo va rigettata l’istanza di
rimessione della causa in istruttoria per l’assunzione della prova orale
richiesta dalla difesa dell’opponente per le medesime ragioni già poste a
base dell’ordinanza emessa dal G.I. il 23-10-2001. Va poi rilevato che non può essere condivisa la tesi,
sostenuta dalla difesa del fallimento, circa l’inutilizzabilità della
relazione depositata dall’ing. Lanfranchi nell’ambito del procedimento di
accertamento tecnico preventivo, affermata in considerazione del fatto che
esso era stato promosso dopo la dichiarazione di fallimento della società
Strina s.r.l.. Al riguardo occorre osservare che l’art. 52 l.f. prevede
la regola dell’esclusività del procedimento fallimentare solo ai fini
dell’accertamento dei crediti ma siffatta disposizione, per il suo marcato
carattere di specialità, non può essere interpretata sino a comprendere un
procedimento quale quello di a.t.p. avente diversa finalità e cioè di
precostituzione per ragioni di urgenza di una prova. Inoltre va osservato che, nel momento in cui il
procedimento previsto dall’art. 696 c.p.c. è stato promosso, non era in corso
neppure la verifica dei crediti sicché, non potendosi ritenere che
l’interessato durante tale fase venga privato della tutela giurisdizionale
garantita da tale norma, non resta che concludere nel senso della
utilizzabilità della prova raccolta nell’ambito del procedimento in
questione. Da ultimo l’eccezione, sollevata solo nella memoria ex
art. 190 c.p.c., deve ritenersi comunque tardiva in quanto il preteso vizio
avrebbe dovuto essere fatto valere nei termini di cui all’art. 184 c.p.c.. Nel merito va evidenziato che se il giudice non può
pronunciare l’annullamento dell’atto di rescissione dell’appalto (emanato a
seguito di procedimento attivato ex art. 340 l. 20-3-1865 n. 2248 all. F
prima della dichiarazione di fallimento della Strina s.r.l., come si evince
dalla documentazione posta a corredo della domanda di insinuazione, da cui
consegue l’ammissibilità della domanda di risarcimento danni: cfr. Cass. S.U.
5-11-1973 n. 2856; Cass. 6-2-1970 n. 251), nondimeno non sussiste alcuna
preclusione circa il potere di verificare l’esistenza della gravità
dell’inadempimento, non avendo l’atto di rescissione natura provvedimentale
(cfr. Cass. 4-2-2000 n. 1217; Cass. 30-7-1996 n. 6908; Cass. S.U. 3-11-1986
n. 6419; Cass. S.U. 5-9-1986 n. 5432). In proposito si deve osservare che il termine per
l’esecuzione dei lavori scadeva il 24-4-1999 e che la società poi fallita
chiese il 4-8-1999 di abbandonare il cantiere mentre la rescissione venne
pronunciata il successivo 18 agosto: orbene la durata dell’inadempimento, la
circostanza che le opere non completate ammontassero al 18% dell’appalto
(come accertato dal c.t.u.) ed il riscontro di vizi nella loro esecuzione,
costituiscono elementi che, unitariamente valutati, fanno ritenere escluso
che l’inadempimento della impresa appaltatrice fosse di scarsa importanza. Per quanto concerne poi l’entità del risarcimento,
rilevato che la norma di cui all’art. 696 c.p.c. va interpretata nel senso che
l’accertamento deve includere ogni acquisizione preordinata alla successiva
valutazione che, nel giudizio di merito, si dovrà esprimere per determinare
la causa del danno e l’entità di esso (cfr. Corte Cost. 20-2-1997 n. 46) e
che pertanto le risultanze della relazione tecnica (peraltro largamente
fondate su riscontri documentali) possono essere utilizzate, sia pure
criticamente, nella presente fase, va riconosciuta, a titolo di penale la
somma di euro 22.507,91 , corrispondente ai 116 giorni di ritardo relativi al
periodo 29-4-1999/18-8-1999. Non può invece essere attribuita, al medesimo
titolo, alcuna somma ulteriore, come preteso dalla difesa
dell’opponente, atteso che, una volta intervenuta la rescissione
dell’appalto, la società Strina non avrebbe più potuto adempiere sicché non
era più configurabile a suo carico un ritardo nell’esecuzione delle
prestazioni contrattuali. Quanto al maggior danno fatto salvo dall’art. 2.8 del
capitolato speciale, va chiarito che lo stesso può trovare riconoscimento limitatamente
al periodo intercorrente fra il 18-8-1999 e la data di dichiarazione del
fallimento ma non oltre in quanto gli artt. 55 co. II e 59 l.f. pongono un
principio generale alla stregua del quale i crediti non pecuniari concorrono
secondo il loro valore alla data di dichiarazione del fallimento (cfr. Cass.
28-1-1997 n. 835; Cass. 6-9-1995 n. 9359; Cass. 29-7-1992 n. 9066). Può
quindi essere riconosciuta, in via equitativa, la somma di euro 3.536,57
corrispondente ad una mensilità del valore dei canoni che si sarebbero potuti
ricavare dalla locazione di tutti gli appartamenti atteso che la loro
consegna, prevista per il luglio del 1999, fu posticipata a seguito del
riappalto delle opere che vennero ultimate nel febbraio del 2000. In ordine ai difetti delle opere appaltate va
osservato che la loro sussistenza non è stata contestata dalla Curatela e se
è pur vero che è stato invece eccepito che il consulente non avrebbe potuto
provvedere a quantificare il costo per la loro sistemazione, nondimeno, tenendo
conto della loro natura e dei prezzi correnti di mercato, si ritiene di poter
confermare la valutazione espressa dall’ing. Lanfranchi pari ad euro
2.308,56. In ordine ai maggiori oneri sostenuti dall’ALER valgono
le medesime considerazioni sopra espresse per i vizi, reputandosi peraltro di
contenere la misura del risarcimento ad euro 852,15 riducendosi in
particolare ad un solo mese e mezzo quanto dovuto per la custodia del
cantiere. Quanto poi alle opere non eseguite dalla Strina e
completate dalle altre ditte, il danno va riconosciuto unicamente nella
differenza fra l’importo contrattuale originariamente previsto ed il maggior
costo derivato dal riappalto: posto che la differenza fra l’importo
originario dell’appalto (£ 1.707.735.000) ed il valore delle opere eseguite
dalla società Strina (pari a £ 1.477.190.775), come si desume dalla relazione
sul conto finale, corrisponde a £ 230.544.225 e che le opere da ultimare sono
state successivamente aggiudicate per la somma complessiva di £ 259.301.000
(sostanzialmente coincidente con la stima operata dal consulente), il maggior
costo sopportato dall’ente appaltante risulta essere di £ 28.756.775 pari ad
euro 14.851,63. Non può invece venire conteggiato come componente del
danno il compenso corrisposto all’ing. Lanfranchi atteso che esso ha natura
di spesa giudiziale da regolare secondo i criteri previsti dagli artt. 91 e
segg. c.p.c. (cfr. Cass. 15-2-2000 n. 1690; Cass. 23-12-1993 n. 12759). Il complessivo credito dell’opponente ammonta così ad
euro 44.056,82 mentre l’importo relativo ai lavori eseguiti e non pagati
all’impresa Strina ed il cui ammontare non è stato contestato ed anzi risulta
confermato dalle dichiarazioni rese dal teste Spazzini, ex direttore dei
lavori dell’ALER, è pari ad euro 61.061,37. Rilevato che l’appaltatore ha diritto, ex art. 340 co.
II l. 2248/1865, al pagamento dei lavori eseguiti regolarmente e che il
credito della curatela dipende dal medesimo fatto dal quale trae origine la
pretesa dell’ente appaltante, in ordine alla compensazione, invocata in via
subordinata dalla curatela, va detto che essa, ex art. 56 l.f., trova
applicazione al caso di specie potendo operare anche in relazione a crediti
non omogenei poiché, per effetto della liquidazione effettuata nel corso
della procedura concorsuale con riferimento alla data di dichiarazione di
fallimento, anche il credito di prestazione di cose diverse dal denaro
diventa credito pecuniario (in tal senso vedasi Cass. 16-8-1990 n. 8322) e,
d’altro canto, è possibile la compensazione giudiziale se il credito verso il
fallito (come nel caso di specie) è di facile e pronta liquidazione (v. art.
1243 II co. c.c.; in tal senso vedasi Cass. 16-11-1999 n. 775; Cass. 6-9-1996
n. 8132; Cass. 13-3-1982 n. 1634; Cass. 22-6-1972 n. 2039). Va infine aggiunto
che, secondo il più recente orientamento giurisprudenziale, la compensazione
trova applicazione, sussistendo la medesima ratio sottostante al
disposto di cui all’art. 56 l.f., anche se non è scaduto il credito vantato
dal fallito (in tal senso vedasi Cass. 5-11-1999 n. 12318; Cass. S.U.
20-3-1991 n. 3006). Ne deriva che l’ALER va condannato a corrispondere alla
curatela fallimentare l’importo di euro 17.004,55. L’esito del giudizio giustifica la compensazione nella
misura di due terzi delle spese di lite che, per il residuo, vengono poste a
carico dell’ALER e liquidate come da dispositivo. P.Q.M. il Tribunale di Mantova, in
composizione collegiale, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed
eccezione reietta, così provvede: respinge l’opposizione ex art. 98 l.f. promossa
dall’Azienda Lombarda Edilizia Residenziale-ALER di Mantova; condanna l’opponente a rifondere al Fallimento Impresa
Edile Strina Carlo s.r.l. in persona del Curatore la somma di euro 17.004,55; condanna l’opponente a rifondere
al fallimento Impresa Edile Strina s.r.l. le spese di lite compensandole
nella misura di due terzi e, per l’effetto, liquidandole in complessivi euro
2.343,26 di cui € 59,84 per spese, € 561,90 per diritti ed € 1.721,52 per
onorari oltre al rimborso forfetario delle spese ex art. 15 T.P., IVA e CPA
come per legge. |