Tribunale di Mantova – Giudice Designato Dr.
Vittorio Carlo Aliprandi – Provvedimento del giorno 14 settembre 2005. Riforma del diritto societario – Società a responsabilità
limitata – Fallimento – Azione di responsabilità nei confronti degli
amministratori – Legittimazione del curatore – Sussistenza. E’
ammissibile l’azione promossa dal Curatore fallimentare ex art. 146 l.f. nei confronti
degli amministratori di società a responsabilità limitata. Il g.d. dott. Vittorio Carlo Aliprandi - a scioglimento della riserva che
precede; -
letto il ricorso depositato in data 18.07.2005 con cui la curatela del Fall. ALFA
s.r.l., in persona del curatore dott. ***, assistita e difesa dall’avv.
*** ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in yyy, instava per la
concessione del sequestro conservativo sino alla concorrenza di € 520.000,00
nei confronti di ***, componenti del C.d.A. della società dichiarata fallita
con sentenza n. ** di questo ufficio depositata in data ****; -
esaminata la comparsa di costituzione e di risposta di *** e di **, assistite
e difese dall’avv. *** ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in
xxx in forza di procure rilasciate a margine della comparsa di costituzione e
di risposta, le quali resistevano eccependo che l’amministratore delegato era
il solo ***; premesso: La
curatela del Fallimento ALFA s.r.l. chiedeva che venisse disposto il sequestro
conservativo sui beni mobili ed immobili dei componenti del C.d.A. della
fallita in previsione dell’instauranda azione di responsabilità verso gli
amministratori ex art. 2447, 2448 n.
4 e 2449 c.c. Nell’atto introduttivo, parte ricorrente
evidenziava che l’esercizio sociale dell’anno 2002 si era chiuso con una
perdita di € 288.116, a fronte di un capitale sociale di € 98.000 e di riserve
dichiarate di € 74.917, e, in occasione dell’assemblea del 23.06.2003, gli
amministratori avevano sollecitato l’adozione dei conseguenti provvedimenti,
ma nel corso dell’anno seguente la società aveva registrato nuove perdite
dell’importo di € 216.988, e mai era stata deliberata la ricostituzione del
capitale sociale. Asseriva quindi la curatela che, pur in
presenza di perdite da almeno tre anni, gli amministratori della società
avevano omesso di provvedere a norma degli artt. 2447, 2448 c.c. continuando
a gestire la società, compiendo nuove operazioni, quali la cessione o
l’affitto dell’azienda. Altro
profilo di illecito, a detta della ricorrente, era rappresentato dal mancato
rinvenimento del libro giornale relativo agli anni 2003, 2004 e 2005 di
talché l’omessa o incompleta tenuta delle scritture contabili aveva reso
impossibile la verifica delle passività e delle attività di bilancio, tanto
che le disponibilità di cassa indicate nella situazione patrimoniale erano di
fatto insussistenti. Alla stregua di tali omissioni, la
curatela, dopo aver illustrato la natura dell’azione intrapresa ex art. 146
L.F., asseriva che l’omessa tenuta delle scritture contabili, la mancata
ricostituzione del capitale sociale, nonostante la sussistenza di perdite
tali da aver azzerato in toto il capitale sociale, nonché la
violazione del divieto di compiere nuove operazioni rappresentassero elementi
particolarmente pregnanti per ravvisare il fumus boni juris della
azione di merito. Quanto al pericolo nel ritardo, la
procedura evidenziava che le società *. s.r.l. e *. s.r.l. congiuntamente
detenevano il 54% del capitale sociale ed erano anch’esse fallite; *** aveva
effettuato delle vendite immobiliari nel luglio 2004 e nel giugno 2005
subendo altresì pignoramenti immobiliari; S. I. aveva acceso ipoteca
volontaria sul proprio immobile nel giugno 2004. Il g.d., con decreto 25.07.2005, autorizzava
il sequestro conservativo sino alla concorrenza di € 520.000, pari
presuntivamente alla differenza tra attivo e passivo attesa l’impossibilità
di ricostruire le operazioni contabili eseguite dalla società. considerato: Il
decreto emesso prima della formale instaurazione del contraddittorio va
confermato. E’ noto che nel caso di fallimento di una
società di capitali, le azioni di responsabilità nei confronti degli
amministratori previste dagli artt. 2393 e 2934 c.c., nella formulazione
anteriore alla novella, a favore, rispettivamente, della società e,
surrogatoriamente del ceto creditorio, confluiscono nell’unica azione di cui
all’art. 146 L.F. di cui è titolare il curatore (cfr. Cass. 28.01.1998 n.
2251). Tale azione, che si trasmette al curatore in
caso di fallimento, è diretta alla reintegrazione del patrimonio della
società fallita, visto unitariamente come garanzia sia dei soci che dei
creditori sociali, e sorge, ai sensi del secondo capoverso dell’art. 2394
c.c., nel momento in cui il patrimonio sociale risulti insufficiente al
soddisfacimento dei creditori della società (cfr. ex plurimis Cass. 7.11.1997 n. 10937, Cass. sez. U. 6.10.1981 n.
5341). Le azioni di responsabilità sociale e
quella dei creditori sociali ex artt. 2393 e 2934 c.c., ove promosse dal
curatore, confluiscono in un’unica azione, la quale, pur essendo ontologicamente
correlata ad esse - e non sorgendo perciò ex
novo in capo alla curatela - assume carattere unitario ed inscindibile,
in quanto necessariamente cumula i presupposti e gli scopi di entrambe le
azioni indicate ed è sempre finalizzata al risultato di acquisire all’attivo
fallimentare ciò che sia stato sottratto al patrimonio sociale per fatti
imputabili agli amministratori. Consegue che, quando il curatore agisce in base
all’art. 146 L.F. le due azioni ivi previste devono ritenersi
contemporaneamente proposte, sicché la responsabilità degli ex amministratori
può essere dedotta ed affermata tanto con riferimento ai presupposti
dell’azione dei creditori della società (insufficienza patrimoniale cagionata
dall’inosservanza di obblighi relativi alla conservazione del patrimonio),
quanto con riferimento ai presupposti dell’azione sociale (danno prodotto
alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione
dei doveri imposti dalla legge e dall’atto costituivo, ovvero inerenti
all’adempimento delle loro funzioni con la diligenza richiesta). Nell’attuale
formulazione, non è più espressamente disciplinata per le società a responsabilità
limitata una norma di carattere generale corrispondente a quella prevista
dall’art. 2394 c.c., prevista solo per la fase di liquidazione o per le
società soggette alla direzione o coordinamento (art. 2497 c.c.), ma
nonostante tale omissione si deve riconoscere comunque la possibilità per i
creditori sociali di esercitare l’azione di responsabilità - trattandosi
l’azione de qua una sorta di specificazione del più generale principio
del neminem laedere imposto dall’art. 2043 c.c. - allorquando
l’inosservanza da parte degli amministratori degli obblighi loro incombenti
abbia cagionato l’insufficienza del patrimonio sociale. Fatte tali premesse di carattere generale,
è documentalmente provato che la società ALFA s.r.l., avente ad
oggetto attività di ***, già negli anni 1999, 2000 e 2001 riportava consistenti
perdite, sempre coperte con riserve di dubbia formazione, ma poi nel 2002 per
far fronte al passivo di € 288.166 non era sufficiente né il capitale sociale
di € 98.000, né le riserve dichiarate di € 74.917, e nel 2003, il cui
esercizio riportava perdite per € 216.998, il dissesto si aggravava
ulteriormente poiché l’organo gestionale non aveva attuato la ricostituzione
del capitale sociale o la messa in liquidazione della società. Tale condotta dei consiglieri di amministrazione
è certamente suscettibile di essere valutata come fonte di responsabilità:
nel caso in cui l’amministratore di una società di capitali, pur essendosi
verificate perdite che abbiano assorbito l’intero capitale sociale ometta di
adottare le misure previste dall’art. 2447 c.c. ed anzi intraprenda nuove
operazioni e successivamente si verifichi il fallimento della società, la
prova del nesso causale tra la condotta dell’amministratore e il danno patito
è in re ipsa (cfr. Trib. Roma 83.05.2003). In tali casi i singoli
amministratori hanno il potere di pretendere che il presidente del C.d.A.
provveda alla convocazione dell’assemblea con uno specifico ordine del giorno
(cfr. Cass. 23.06.1998 n. 6238) e l’inadempimento agli obblighi imposti
dall’art. 2447 c.c. comporta una responsabilità per qualunque decremento del
patrimonio verificatosi per nuove operazioni, indipendentemente dal fatto che
tale diminuzione derivi da comportamenti conformi agli obblighi delle legge o
ad essi contrari (Trib. Massa 9.12.1995).
A tale evidente profilo di responsabilità,
già bene esplicitato nell’atto introduttivo, va aggiunta l’omessa
conservazione dei depositi di cassa, emergenti invece dalla situazione patrimoniale
(doc. 8 di parte ricorrente) nonché l’incompleta tenuta delle scritture
contabili. Il curatore, nella sua relazione ex art. 33 L.F., attestava che
non era stato rinvenuto il libro giornale relativo agli anni 2003, 2004 e
2005 e tale carenza aveva reso impossibile la verifica delle poste di
bilancio, risultato, per quanto già esposto, in parte non veritiero. L’obbligo per ogni imprenditore, non
avente i requisiti di cui all’art. 2083 c.c., di tenere le scritture
contabili, tra cui il libro giornale, grava sugli amministratori e la tenuta
irregolare delle scritture contabili non solo è fonte di responsabilità (cfr.
ad es. Cass. 9.07.1979 n. 3925), ma l’impossibilità di determinare in modo
specifico il nesso esistente tra le singole violazioni in cui siano incorsi
gli amministratori e l’ammontare del danno globalmente accertato, in conseguenza
dell’impossibilità di ricostruire a posteriori le vicende societarie,
legittima l’ascrivibilità dell’intero danno (cfr. Cass. 4.04.1998 n. 3483). Accertato
dunque l’estremo del fumus, va
detto che il requisito soggettivo del periculum
può essere desunto alternativamente da elementi oggettivi attinenti la
consistenza qualitativa e quantitativa del patrimonio dei debitori o da
elementi soggettivi riguardanti il comportamento del debitore e tali da
rendere verosimile l’eventualità della dispersione della garanzia
patrimoniale. Nella fattispecie, basta osservare che *.,
*. e *. sono rimasti contumaci e che le convenute costituite hanno compiuto,
anche in epoca recente, atti di disposizione del proprio patrimonio mediante
vendite immobiliari ed iscrizioni di ipoteche volontarie, tanto che un atto
di alienazione compiuto da **. è stato trascritto nello stesso giorno della
trascrizione del sequestro seppure anteriormente (cfr. doc. 16 di parte
ricorrente). La sistematica violazioni di elementari
regole di amministrazione, prima della dichiarazione di fallimento,
l’intervenuto fallimento delle società che detenevano la maggioranza del
capitale sociale e il rilevante pregiudizio per il ceto creditorio lasciano
presumere che, al termine dell’azione di merito, i resistenti non siano in
grado di risarcire il danno. Con riguardo al quantum, i più
recenti orientamenti criticano la matematica quantificazione del danno da
risarcire con la differenza tra l’attivo e il passivo verificati in sede fallimentare,
ma esigono, di converso, la prova del danno causato dalle singole
operazioni; tuttavia nel caso in
esame, tenuto conto del principio di solidarietà nella responsabilità degli
amministratori e della natura sommaria del presente giudizio, il sequestro
può essere concesso per l’importo richiesto, tanto più che, come sopra detto,
la mancata tenuta delle scritture contabili ha impedito una puntuale
ricostruzione delle vicende societarie. Da
ultimo, va assegnato il termine per l’instaurazione del giudizio di merito,
in quanto l’art. 23 d.lvo 5/2003 prevede una deroga al disposto dell’art. 669
octies c.p.c. solo in caso di
provvedimenti d’urgenza o altri provvedimenti idonei ad anticipare gli
effetti della decisione di merito, evenienza che non può ricorrere nel caso
di concessione del sequestro conservativo la cui finalità è prettamente
cautelativa e non anticipatoria. Si
deve in ogni caso provvedere sulle spese le quali, liquidate in via
equitativa, vengono addossate alla parte soccombente. P.
Q .M. visti gli artt. 669 bis e ss. c.p.c., art.
671 c.p.c.; - conferma il decreto emesso inaudita altera parte in data
25.07.2005; - assegna giorni trenta per
l’instaurazione del giudizio di merito; - condanna i convenuti in solido a rifondere
alla procedura attrice le spese di lite, liquidate in complessivi €
3.500, di cui € 500 per spese ed
anticipazioni, € 1.400 per diritti di procuratore ed € 1.600 per onorari di
avvocato, oltre rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A. |