Contratto di cessione di quota di stipendio al fine di ottenere un finanziamento – Contrattao stipulato dal mandatario con potere di agire per l’incasso – Legittimazione passiva – Insussistenza. Chiamata in causa del terzo autorizzata dal giudice secondo il rito anteriormente vigente – Estinzione del processo - Insussistenza – Tasso usurario – Insussistenza - Artifici o raggiri per indurre a stipulare tale contratto – Insussistenza - Fattispecie. d.p.r. 5-1-1950 n. 180; 2043 c.c. Tribunale di Mantova, Sez. II Civile – Giudice unico Vittorio
Carlo Aliprandi - Sentenza del giorno 13 ottobre 2004. La massima: Il mandato a riscuotere un
credito non trasferisce la titolarità del diritto al mandatario, neppure
quando il mandato sia conferito nel suo esclusivo interesse. (Nella specie si
è ritenuto che non fosse legittimato passivo dell'azione di annullamento e rescissione di contratti di finanziamento
la compagnia di assicurazione che aveva stipulato tali contratti quale mandante
di vari istituti di credito e ciò nonostante la mandataria fosse legittimata
ad agire per la riscossione. Nel rito vigente ante la
novella del 1990, l'omessa chiamata in causa del terzo autorizzata dal
giudice a' sensi dell'art. 269 c.p.c. - quando non imposta dalla necessità di
integrare il contraddittorio - non comportava l'estinzione del giudizio ma
solo la impossibilità giuridica di emettere la pronuncia richiesta. Prima della entrata in vigore
della legge n. 108/1996 sull'usura, priva di qualsiasi efficacia retroattiva,
non poteva considerarsi usurario il tasso del 22-23% (TAEG). Devono considerarsi conformi
alla normativa all'epoca vigente i contratti di cessione di quote di
stipendio stipulati nel periodo 1988-1992 a' sensi dell'art. 5 del D.P.R. 5
gennaio 1950 n. 180, ove il debitore cedente si impegnava a restituire in 84
rate mensili un importo quasi doppio di quello ricevuto, comprensivo di
interessi scalari all'8,5%, di commissioni, oneri assicurativi e provvigioni
(Artt. 26 e 27 citato D.P.R.). Il
testo integrale: SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con
atto di citazione ritualmente notificato in date 16 e 17 novembre 1994, C. R.
+ 23 convenivano in giudizio S. B. e la Reale Mutua Assicurazioni s.p.a.
esponendo: - che nel periodo intercorrente tra
il 1988 e il 1992 presso l’ufficio A. di Mantova era impiegato tale S. B. il
quale, oltre che delle proprie mansioni, si occupava di procacciare prestiti
ai dipendenti dell’azienda; - che, in tempi diversi, i
deducenti ed altri colleghi necessitanti di somme di danaro si erano rivolti
al convenuto il quale aveva assicurato che avrebbe loro procurato il prestito
ad un tasso annuo pari all’8 o 8,5%; - che, atteso il rapporto
fiduciario con il collega, erano stati firmati dei moduli in bianco e, solo
nel 1992, i sottoscrittori avevano preteso di controllare copia dei contratti
sino ad allora custoditi negli armadi dell’ufficio personale dell’A.; - che, infine, i comparenti
avevano verificato l’applicazione di un tasso scalare anticipato, sicché ad
es. a fronte di un prestito di £. 11.040.309 erano stati restituiti £.
18.000.000 con un tasso di gran lunga superiore rispetto a quello concordato. Fatta tale premessa in fatto,
gli attori asserivano che il modulo di adesione era strutturato in modo poco
comprensibile ad un soggetto medio e che gli stessi avrebbero potuto ottenere
mutui rivolgendosi agli istituti di credito ad un tasso non superiore al 12%;
chiedevano pertanto l’annullamento dei contratti per errore o dolo o, in via
subordinata, la declaratoria di rescissione per lesione ultra dimidium. Si
costituiva con comparsa S. B., il quale resisteva ed eccepiva: - che l’azione di annullamento
era prescritta con riferimento ad alcuni dei contratti stipulati dagli attori
nel 1987, 1988 e 1989; - che i contratti in oggetto (rectius:
i conti di liquidazione) erano sempre stati a disposizione degli interessati
e mai il deducente aveva nascosto le condizioni contrattuali necessarie per
ottenere il mutuo con cessione del quinto dello stipendio, regolata dal
D.P.R. 180/1950; - che tutti gli oneri gravanti
sull’operazione, previsti ex lege, erano chiaramente evincibili dal
conto di liquidazione e il dipendente, solo dopo aver analizzato il
conteggio, poteva sottoscrivere il contratto, sicché solo da quel momento era
operata la ritenuta dallo stipendio mensile; - che dunque era esclusa la
possibilità di dolo o di errore ed anche a voler ipotizzare un interesse al
23%, come asserito da controparte, non sussistevano i presupposti per
l’azione di rescissione. Si
costituiva con comparsa la Reale Mutua di Assicurazioni, la quale resisteva e
rilevava: - che il tribunale adito non era
competente per territorio in quanto nel contratto era previsto il foro
esclusivo di Torino, il negozio si era perfezionato a Torino e le quote cedute
avrebbero dovuto essere pagate a Torino; - che, nell’operazione in
discussione, la deducente aveva agito quale rappresentante dell’istituto di
credito, circostanza chiaramente evincibile dai singoli contratti, sicché era
carente di legittimazione passiva; - che, nel merito, le domande
attoree erano infondate poiché l’operazione si era svolta regolarmente e il
cd. TAEG era conforme agli standard dell’epoca. Fallito
il tentativo di conciliazione, in data 16.01.1998 il giudice riservava al
merito la questione relativa all’incompetenza per territorio ed autorizzava la chiamata in giudizio dei
terzi, ossia gli istituti di credito indicati dalla Reale Mutua, ma
l’incombente non era espletato da parte attrice; assegnato il termine
perentorio per le deduzioni istruttorie, la controversia era assegnata alla
sezione stralcio; all’udienza del 19.06.2000 l’avv. F. eccepiva l’estinzione
del processo e, dopo una serie di rinvii assolutamente inconcludenti, il
g.o.a. ammetteva le prove dedotte con ordinanza del 7.06.2001. La lite era istruita mediante
l’escussione dei testi L. P., P. U., S. Z., S. G., L. M. e con prova delegata
a Torino per l’escussione della teste D. C.. Dopo altri (inutili)
differimenti, il g.o.a. disattendeva la richiesta di C.T.U. e i procuratori delle
parti precisavano le rispettive conclusioni all’udienza del 25.02.2004,
trascritte in epigrafe ed era rimessa in decisione all’odierna udienza,
previa sostituzione del giudice, giusta decreto emesso dal presidente del
tribunale in data 10.09.2004 allegato al fascicolo d’ufficio. MOTIVI
DELLA DECISIONE
La domanda attorea non
merita accoglimento. In via preliminare, va disattesa l’eccezione di incompetenza per
territorio, mentre va accolta quella di difetto di legittimazione passiva
svolta dalla convenuta Reale Mutua Assicurazioni s.p.a. Con riguardo alla prima eccezione, si rileva che nei contratti di
cessione di quota di stipendio o salario, prodotti da parte attrice ai
documenti 1 - 24, al punto 8, è previsto che “Per ogni controversia
derivante dal presente contratto sarà competente l’Autorità Giudiziaria di
Torino”, ma tale clausola nella sostanza non designa un foro esclusivo,
in quanto non si evince dalla comune volontà delle parti l’esclusione degli
altri fori ordinari e, in rito, è inefficace poiché non sottoscritta
espressamente come imposto dall’art. 1341 c.c. Dall’esame dei predetti contratti non vi è dubbio che le clausole
uniformi siano state predisposte dall’istituto di credito cessionario e pertanto
eventuali deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria, aventi natura di
clausola vessatoria, avrebbero necessitato della specifica approvazione. A tali assorbenti rilievi, si aggiunga che il convenuto B. risiede
nella circoscrizione del tribunale di Mantova. Pare di
converso fondata l’altra eccezione preliminare sollevata dalla Reale Mutua
Assicurazioni s.p.a., ovvero la sua carenza di legittimazione passiva, attesa
la sua veste di mera rappresentante di diversi istituti di credito, almeno con
specifico riguardo alle azioni di annullamento dei contratti di finanziamento
o di loro rescissione per lesione. Nei contratti prodotti, infatti, si legge “Con la presente
scrittura fra … - cessionario - istituto rappresentato dalla società Reale
Mutua Assicurazioni e il sig … - cedente
… si conviene quanto segue…”; è quindi pacifico che l’odierna
convenuta non sia parte sostanziale del contratto, ma una mera rappresentante
dell’istituto bancario cessionario con poteri di riscossione delle rate
prelevate dallo stipendio mensile del dipendente. Il cedente acconsentiva che
l’Amministrazione o l’Azienda di lavoro prelevasse mensilmente sulla
retribuzione la quota concordata e per il numero di mensilità fissato ed
autorizzava la datrice a versare l’importo alla Reale Mutua, quale mandataria
del cessionario. Alcuni contratti sono stati sottoscritti anche dalla banca
mandante (Cassa di Risparmio di Asti, Banco di Sicilia, Cassa di Risparmio di
Gorizia, Cassa di Risparmio di Lucca e Cassa di Risparmio di Alessandria) e
dunque gli effetti negoziali non si sono prodotti in capo alla convenuta,
nonostante la sussistenza di un interesse economico nell’operazione, ma in
capo all’istituto bancario mandante e cessionario della rata di stipendio dei
dipendenti odierni attori, unico legittimato passivo per le azioni di natura
contrattuale. Il mandato a riscuotere un credito, infatti, attribuisce al
mandatario la legittimazione ad agire per la riscossione, ma non trasferisce
la titolarità del diritto al mandatario, neppure quando il mandato sia
conferito nel suo esclusivo interesse e solo il procuratore generale ad
negotia, cui siano conferiti anche poteri di rappresentanza processuale,
diviene titolare anche di una legittimazione processuale, peraltro non
esclusiva rispetto a quella originaria del rappresentato (cfr. Cass.
11.01.2002 n. 314 e Cass. 9.07.1994 n. 6524). In altri termini, le azioni di annullamento e/o di rescissione per
lesione ultra dimidium dei contratti di finanziamento stipulati dagli
attori dovevano necessariamente essere proposte nei confronti degli istituti
di credito sopra menzionati, effettivi contraenti e parti sostanziali, e non
già nei riguardi degli odierni convenuti, ai quali poterebbe essere imputata
solo una responsabilità di natura extracontrattuale. Accertata la carenza di legittimazione passiva con riguardo alle
azioni contrattuali, ogni ulteriore questione, ad es. l’eccezione di
prescrizione con riferimento ad otto contratti o l’estinzione del giudizio
per la mancata chiamata degli effettivi contraenti risulta assorbita. Su tale
ultimo aspetto, va rammentato tuttavia che il giudice aveva opportunamente
autorizzato la chiamata in giudizio delle parti effettive, ma il procuratore
dell’attrice non aveva dato corso all’incombente, adducendo l’onerosità dei
costi; tale omissione, invero, non ha comportato l’estinzione del processo,
come asserito dal procuratore della compagnia assicuratrice, ma solo
l’impossibilità giuridica di emettere la pronuncia richiesta, posto che, nel
vecchio rito, la chiamata in causa autorizzata dal giudice ai sensi dell’art.
269 c.p.c., purché non imposta dalla necessità di integrare il
contraddittorio, restava nella libera disponibilità della parte interessata
(cfr. Cass. 18.01.1995 n. 512). Resta da vagliare la
domanda risarcitoria, ad onor del vero piuttosto generica nei suoi
presupposti fondanti e se il B. abbia in qualche modo posto in essere
artifici o raggiri per indurre gli attori a stipulare i contratti in oggetto,
percependo in tal modo un profitto rappresentato dalla provvigione. Invero, i
contratti di cessione di quota appaiono del tutto conformi con la normativa
vigente, ossia il D.P.R. 5.01.1950 n. 180. Il dipendente, per ottenere immediatamente
una somma di danaro, si obbligava a cedere una quota del proprio stipendio ad
un istituto bancario, rappresentato dalla Reale Mutua, per un numero di
mensilità concordate. La presenza di una compagnia assicuratrice trova poi la
sua giustificazione nell’art. 54 del citato decreto a mente del quale: Le cessioni
di quote di stipendio o di salario consentite a norma del presente
titolo devono avere la garanzia dell'assicurazione sulla vita e
contro i rischi
di impiego od
altre malleverie che ne
assicurino il ricupero nei casi in
cui per cessazione o riduzione di stipendio o salario o per liquidazione di un trattamento di quiescenza insufficiente non
sia possibile la
continuazione dell'ammortamento o il ricupero del residuo credito….”. A mero titolo esemplificativo, si consideri la posizione di I. T.
(doc. 13 di parte attrice): questi si riconosceva debitore del cessionario
della somma di £. 33.600.000 e
si impegnava a restituire l’importo, in cui erano compresi gli interessi
scalari anticipati nella misura del 8,5%, mediante cessione pro solvendo,
di parte della sua retribuzione mensile netta, e più in particolare mediante
cessione di ottantaquattro quote mensili di £. 400.000 ciascuna. Al dipendente
era quindi inoltrato il cd. conto di liquidazione (doc. 9 di parte convenuta)
in cui a fronte del debito di £. 33.660.000, detratti gli interessi scalari
pattuiti, la commissione bancaria, la rivalsa, gli oneri di assicurazione e
la provvigione, erano anticipate solo £. 17.798.195. A ciascun conto di
liquidazione era allegato il piano di ammortamento e, per le singole rate,
era indicata la quota relativa agli interessi e quella per la sorte capitale. A fronte del divario tra somma immediatamente percepita e quanto
rimborsato, gli attori lamentavano di aver dovuto sostenuto costi ed
interessi di gran lunga superiori a quelli che le banche avrebbero all’epoca
praticati e che non erano stati informati degli oneri e del tasso
particolarmente gravoso, per aver riposto fiducia nel B.. In merito all’ammontare degli interessi, le affermazioni degli
attori sono invero rimaste prive di riscontro e non consta affatto che
all’epoca dell’elargizione del finanziamento, le banche praticassero
condizioni di gran lunga più favorevoli. In ogni caso, lo stesso art. 26 del
citato D.P.R. dispone che gli interessi sono liquidati con metodo a scalare a
tasso modificabile con apposito decreto presidenziale, da emanare su proposta
del Ministero del Tesoro, e che sull’importo complessivo erogato andavano
detratti le ritenute per spese di amministrazione e il premio rischi, in
conformità all’art. 27. In definitiva, il T.A.E.G. applicato si aggirava
attorno al 22, 23%, importo che al tempo di stipula degli atti - prima
dell’entrata in vigore L. 108/96 priva di qualsiasi efficacia retroattiva -
non poteva essere valutato quale usurario. I contratti, appaiono, quindi formalmente rispettosi della normativa
vigente e certamente non può essere questa la sede per vagliare la bontà o
l’opportunità dell’operazione economica. Quanto alla condotta del
B., va detto che lo stesso è stato condannato
dal Pretore di Mantova, con sentenza n. 408/99 depositata in data 28.09.99,
del delitto di truffa per aver indotto i dipendenti della A. odierni attori,
a stipulare i contratti de quibus con artifici e raggiri consistiti
nella prospettazione di un interesse vantaggioso del 8, 8.5%, mentre in
realtà era del 23%, percependo in tal modo la provvigione (doc. 25 di parte
attrice) quale ingiusto profitto. Tale sentenza è stata impugnata e quindi
l’accertamento in essa contenuto non può essere utilizzato in questa sede. Quanto ad eventuali condotte fraudolente poste in esser dal
convenuto, il teste L. P. si limitava a riferire di aver ricevuto due
prestiti per il tramite del B., ma nulla riferiva in merito alle modalità di
stipula del contratto; la teste P. U., segretaria dell’A., confermava che il
B., anche nella qualità di presidente della Cassa di Mutuo Soccorso, era il
punto di riferimento del personale, il quale era solito rivolgersi al
convenuto per l’erogazione dei prestiti; il teste S. Z. confermava la
veridicità del capitolato di parte convenuta; il teste S. G. riferiva di aver
sottoscritto i moduli in bianco con la previsione che il B. li avrebbe poi
compilati con calma, ma aggiungeva che la sottoscrizione avveniva dopo che
era stata concordata l’entità del prestito e che comunque con il convenuto vi
era sempre stato un rapporto fiduciario; il teste L. M. narrava che il B.
aveva fatto firmare a qualche attore il modulo firmato in bianco impegnandosi
a compilarlo secondo gli accordi (cap. 10). La teste D. C., escussa per
rogatoria, dichiarava che era prassi della Reale Mutua inoltrare ai
produttori, tra cui il convenuto e di lui figli, tutta la modulistica
necessaria ed in particolare la proposta di contratto, e che poi tali moduli
dovevano ritornare completi nei loro elementi essenziali, ossia con
l’indicazione della quota di stipendio ceduta e il numero delle quote per
poter calcolare l’entità del finanziamento erogabile; aggiungeva la teste che
al limite la compagnia completava i dati mancanti, ossia l’indicazione del
tasso di interesse e il nome della banca cessionaria. Data sommaria contezza
delle emergenze di lite, invero, a parere di questo giudice, non è possibile
individuare specifiche condotte illecite ascrivibili a S. B., da cui poter
desumere l’esistenza di un danno ingiusto per gli odierni attori. Non consta in primis che
il B. abbia indotto gli attori a stipulare i contratti di finanziamento in
assenza di qualsiasi loro volontà, ma anzi dall’istruttoria emerge l’esatto contrario, e comunque la
normale pubblicità al proprio prodotto, anche con l’aspettativa di percepire
un guadagno da provvigione, appare del tutto lecita. La misura del tasso di
interesse calcolata con metodo a scalare è predeterminata dalla legge, così
come gli oneri e le spese di gestione e non è verosimile pensare che gli
attori non conoscessero le condizioni del contratto ed anche, a voler
ipotizzare la sottoscrizione di moduli in bianco, non risulta neppure che vi
sia stato un riempimento dei contratti in oggetto sine pactis o contra
pacta. In conclusione, a parere dell’odierno decidente, l’istruttoria non
consente di enucleare specifiche condotte fraudolente del B. tali da indurre
in errore un numero così elevato di colleghi sulla bontà dell’operazione
economica: da un lato, infatti nessuno degli attori contesta di aver voluto
accedere a tale forma di prestito e di aver concordato esattamente il numero
di rate e di quota di stipendio ceduta e, dall’altro, come sopra visto, e a
prescindere dall’iter di formazione del contratto su cui la prospettazione
delle parti diverge, il contenuto dell’accordo è in gran parte predeterminato
dalla legge. La domanda attorea va
quindi disattesa, dando atto che R. A., costituitasi nel processo penale, non
ha coltivato le domande per aver trasferito l’azione civile nel processo
penale; conseguentemente il processo civile deve essere dichiarato estinto
nei suoi confronti anche in via officiosa (cfr. Cass. 14.05.2003 n. 7396). Le spese di lite,
liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. |