Danno da perdita del rapporto parentale per effetto del
decesso del prossimo congiunto – Natura distinta dal danno biologico e da
quello morale - Onere della prova – Presunzioni a favore dei congiunti più
stretti – Liquidazione in via equitativa. Tribunale di
Mantova, Sez. II – Giudice Unico Dott. Luigi Pagliuca - Sentenza del giorno
30 agosto 2004. La massima: Il danno conseguente alla lesione del rapporto parentale
per effetto del decesso del prossimo congiunto si
distingue nettamente sia dal danno biologico che da quello morale, in quanto non
consiste in una lesione dell’integrità psico-fisica della persona, né può
ritenersi coincidente con la transeunte sofferenza che naturalmente consegue
alla perdita del prossimo congiunto. Pertanto, se è vero che quello in esame
è un interesse alla intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della
scambievole solidarietà che connota la famiglia, l’accertamento della sua
esistenza e, quindi della sua lesione, richiede necessariamente la prova
della sussistenza in concreto tra la persona deceduta e quella che invoca il
risarcimento dei rapporti di affetto, reciproco affidamento e frequentazione
che, secondo il comune sentire, costituiscono il proprium del suddetto rapporto parentale. Qualora manchi la
prova di tale rapporto, se ne potrà tuttavia riconoscersi la lesione e, quindi,
l’invocato risarcimento solo ai congiunti più prossimi, e cioè al coniuge, ai
figli ed ai genitori, in applicazione di massime di esperienza e tenendo
conto della particolare intensità degli affetti e dei rapporti esistenti tra
determinati congiunti secondo l’ id quod plerumque accidit, e sempre
che non emergano elementi da cui inferire la sussistenza di contrasti e
dissapori tra i medesimi. Nessuna presunzione, invece, potrà in questo caso
essere fatta valere da congiunti meno stretti, quali ad esempio i nonni, i
quali generalmente non fanno parte del nucleo familiare (inteso in senso
stretto) di pertinenza della vittima. Rispetto a questi
ultimi, tuttavia, particolare rilievo potrebbe assumere l’eventuale convivenza
tra essi e la vittima, essendo del tutto evidente che proprio l’assidua
frequentazione costituisce uno dei fattori che rende possibile
l’approfondimento ed il rafforzamento dei rapporti tra familiari. Quanto ai criteri di liquidazione di detto danno,vertendosi in
tema di lesione
di valori inerenti alla
persona, in quanto tali privi di contenuto economico, non potrà che avvenire in base a valutazione
equitativa (artt. 1226 e 2056 c.c.),
tenuto conto dell’intensità
del vincolo familiare, della situazione di
convivenza, e di
ogni ulteriore utile circostanza, quali
la consistenza più
o meno ampia del nucleo familiare, le
abitudini di vita, l'età della vittima e dei singoli superstiti. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata in data 18.5.00 e 31.5.00 Fulvio Rossi,
Gerarda Verdi, Andrea Rossi, Paolina Bianchi, Gennaro Verdi ed Ida Alberti
convenivano in giudizio la compagnia di assicurazioni Levante Nord Italia
spa, Carlo Carlini e Annunziata Arnaldi per sentirli condannare, in solido,
al risarcimento di tutti i danni – patrimoniali, alla persona e morali –
patiti in conseguenza del sinistro stradale occorso in Mantova il giorno
22.5.99 alle ore 17.45, in cui era deceduto il proprio congiunto Davide Rossi
all’epoca di 23 anni. Assumevano in particolare gli attori: a) di essere i genitori (Fulvio Rossi e Gerarda Verdi), il fratello
(Andrea Rossi) e la nonna (Paolina Bianchi) conviventi, nonché i nonni non
conviventi (Gennaro Verdi e Ida Alberti) della vittima; b) che la responsabilità in ordine al sinistro e, quindi, al decesso
del loro congiunto era ascrivibile unicamente al convenuto Carlo Carlini,
conducente del veicolo su cui Davide Rossi era trasportato; c) che dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti da essi
attori in seguito alla perdita del congiunto erano tenuti a rispondere, in
solido con il Carlini, anche Arnaldi Annunziata e la Levante Nord Italia spa
in quanto, rispettivamente, proprietaria ed assicuratrice del veicolo. Tutto ciò premesso gli attori concludevano chiedendo la condanna dei
convenuti, in solido, al risarcimento dei danni in misura non inferiore a
lire 250.000.000 per ciascuno dei genitori, a lire 100.000.000 sia per il
fratello che per la nonna convivente e a lire 50.000.000 per ciascuno dei
nonni non conviventi, oltre rivalutazione monetaria e interessi. Carlo Carlini, Arnaldi Annunziata e la Compagnia Levante Nord Italia
spa, costituitisi in giudizio, contestavano la dinamica dell’incidente come
rappresentata dagli attori e negavano ogni responsabilità in ordine al
sinistro. Eccepivano inoltre la sussistenza di concorso di colpa della
vittima nella determinazione del decesso per non aver indossato le cinture di
sicurezza, con conseguente riduzione della misura del risarcimento imputabile
ai convenuti. In ogni caso, contestavano l’entità del risarcimento nella
misura ex adverso richiesta. Ciò premesso i convenuti concludevano chiedendo il rigetto delle
domande attoree. La causa, istruita documentalmente e oralmente, veniva trattenuta in
decisione all’udienza del 4.5.04, sulla base delle conclusioni delle
parti come riportate in epigrafe. MOTIVI DELLA DECISIONE 1) Dinamica del sinistro – esclusiva
responsabilità di Carlo Carlini 1.1 - L’espletata istruttoria ha consentito di accertare in modo
esauriente la dinamica del sinistro, che è verosimilmente avvenuto nei
termini già descritti nella sentenza 20.2.01 con cui il Tribunale di Mantova
aveva ritenuto il Carlini responsabile del reato di omicidio colposo (doc.
prodotto da parte attrice unitamente alla memoria 6.5.02). Pertanto, mutuando
quanto scritto in detta pronuncia, deve ritenersi provato che “verso le ore
17.30 del giorno 22.5.99 Carlo Carlini, Ciacchini Matteo e Rossi Davide, a
bordo della autovettura Alfa Romeo tg. *** condotta dal primo percorrevano la
strada ** con direzione di marcia **. Nei pressi del centro commerciale “***”
posto sulla destra secondo la direzione di marcia dell’autovettura, il
Carlini improvvisamente si spostava sulla corsia opposta, cercando, quindi,
di riportarsi sulla propria destra. Nel corso della manovra perdeva il
controllo del veicolo e fuoriusciva dalla sede stradale con le ruote di
destra, invadendo così la banchina erbosa. La vettura, quindi, dopo aver
divelto una grossa pietra militare e aver proseguito la sua corsa per una
quarantina di metri nel fossato laterale, sbatteva contro il muro in cemento
di un ponticello, da dove piroettava in aria andando a cadere all’inizio
della via ***, laterale destra della statale, ad una distanza di circa 12,75
metri dal ponticello. A seguito delle lesioni subite Rossi Davide, che si
trovava sul sedile posteriore dell’auto, decedeva sul colpo”. Detta ricostruzione,
oltre ad essere corrispondente a quella effettuata dai militari intervenuti
sul posto ed escussi come testi (teste Minghetti), è pienamente compatibile
con i rilievi dagli stessi effettuati, quali evincibili dalla planimetria e
dalle foto in atti (doc. 1 di parte attrice). Essa è stata inoltre pienamente
confermata dal teste Marini, conducente dell’auto che viaggiava nella
direzione opposta rispetto a quella percorsa dall’auto del Carlini e che si
trovava, quindi, in posizione di osservazione ottimale. Del resto, a ben vedere, neppure i convenuti contestano in generale
la dinamica del sinistro per come sopra ricostruita, limitandosi ad allegare
che la repentina manovra di svolta verso sinistra e l’invasione della
carreggiata opposta da parte del Carlini erano state determinate
dall’improvvisa fuoriuscita di un’autovettura dall’ingresso laterale del
centro commerciale “***”, avvenuta proprio nel momento in cui l’auto del
convenuto stava giungendo in prossimità di quell’ingresso. La circostanza è stata effettivamente confermata dal teste
Ciacchini, che viaggiava quale trasportato sull’Alfa Romeo del Carlini. Pertanto, pur non essendo stata
identificata l’automobile che avrebbe effettuato la manovra di immissione,
tenuto conto del fatto che nessuno degli altri testi ha negato la presenza
della stessa e della deposizione del Ciacchini, può ritenersi provata la
circostanza allegata dai convenuti. Tuttavia, essa non vale ad escludere la piena responsabilità del
Carlini nei confronti degli attori per i danni loro derivati. Invero
dall’istruttoria è altresì emerso che il Carlini viaggiava a velocità molto
elevata, ben superiore al limite di 50km/h imposto in quel punto (quanto al
limite di velocità, cfr il verbale dei Carabinieri in atti e la deposizione
del teste Minghetti). E’ lo stesso Carlini a dichiarare subito dopo
l’incidente che viaggiava ad una velocità di circa 130 km/h (cfr verbale in
atti); il medesimo convenuto, nel corso del giudizio penale, modificava la
propria versione sostenendo che viaggiava a circa 90 km/h (cfr sentenza
penale in data 20.2.01), velocità comunque quasi doppia rispetto a quella
massima consentita in loco. In ogni
caso l’eccessiva velocità del veicolo, oltre ad essere stata confermata anche
dal teste Marini (procedeva a velocità
che mi pareva elevata), emerge chiaramente sol che si consideri che
l’auto, dopo essere rientrata sulla propria corsia di marcia ed aver invaso
la banchina erbosa laterale, aveva proseguito la sua marcia per ben 40 metri,
divellendo una pietra militare e senza arrestare la sua corsa nemmeno dopo
l’impatto con il ponticello, atteso che la stessa a seguito dell’urto è
invece stata piroettata in aria andando a cadere ben 13 metri più in là.
Trattasi con tutta evidenza di dinamica assolutamente non compatibile con una
velocità di soli 50 km/h o, comunque, adeguata alle condizioni del traffico
in quel luogo, caratterizzato dalla presenza di più intersezioni laterali
(l’ingresso del centro commerciale e la via ***) che, secondo elementari
regole di prudenza, avrebbero comunque imposto di rallentare la marcia. Ed
allora non vi è chi non veda che, anche ammettendo l’effettiva presenza
dell’improvviso ostacolo rappresentato dall’auto immessasi sulla statale,
tuttavia non potrebbe escludersi la responsabilità concorrente e certamente
prevalente del Carlini nella causazione del sinistro. Invero deve ritenersi
che se il convenuto avesse tenuto una velocità di guida contenuta entro il
limite prescritto (50 km/h) e comunque adeguata alla situazione dei luoghi
sarebbe riuscito molto probabilmente ad arrestare la marcia del proprio
veicolo senza necessità di effettuare la manovra di emergenza sopra
descritta; in ogni caso, anche se fosse stato costretto (in ragione
dell’improvvisa comparsa del veicolo antagonista) ad effettuare la manovra di
invasione della opposta corsia di marcia e di rientro nella propria, è molto
probabile che a causa della velocità contenuta sarebbe riuscito a controllare
il veicolo o che questo, una volta caduto con le ruote di destra nel fossato
laterale, avrebbe subito dopo arrestato la sua marcia, senza impattare con il
ponticello. Sulla scorta di tutte le risultanze di causa può quindi certamente
ritenersi sussistente la responsabilità, quantomeno concorrente con quella
dell’auto non identificata, del Carlini nella causazione del sinistro.
Inoltre l’eventuale imputabilità del sinistro anche al conducente dell’auto
non identificata non escluderebbe affatto il diritto degli attori ad essere
integralmente risarciti dai convenuti, atteso che ai sensi dell’art. 2055
c.c. se il fatto è imputabile a più persone tutte sono obbligate in solido e,
quindi, il danneggiato può richiedere a ciascuna di esse l’intergale
risarcimento del danno patito. 1.2 – Secondo i convenuti al momento del sinistro Rossi Davide non
indossava le cinture di sicurezza di tal che il risarcimento dovuto agli
attori dovrebbe essere ridotto ai sensi dell’art. 1227 c.1 c.c. vertendosi in
ipotesi di concorso del fatto colposo del danneggiato nella causazione del
danno. Tuttavia osserva questo giudice che l’eccezione potrebbe essere
accolta solo nel caso in cui fosse provato non solo che 1) Davide Rossi non
indossava la cintura di sicurezza, ma anche 2) che se il Rossi l’avesse
indossata, con certezza o “con alto grado di credibilità razionale o
probabilità logica” (in tal senso Cass. pen. s.u. 27/02) non sarebbe
deceduto, ma sarebbe rimasto semplicemente ferito. Dall’espletata
istruttoria è emerso unicamente che il Rossi era seduto sul sedile posteriore
destro dell’auto (testi Minghetti e Ciacchini) e che egli era deceduto sul
colpo. Non vi è in atti alcuna documentazione medica che consenta di
accertare quale fosse stata nello specifico la causa effettiva del decesso,
cioè quale parte del corpo fosse rimasta ferita in modo tale da provocare il
decesso. In
assenza di detti elementi fattuali, anche ipotizzando che il Pezzini
effettivamente non indossasse la cintura, non è perciò possibile accertare se
la trattenuta del coppo conseguente all’indossamento delle cinture avrebbe
potuto interrompere o modificare il decorso causale che ha portato alle
ferite (non conosciute) accusate dal Piccini e, quindi, al suo decesso. In
altre parole, sulla base degli elementi raccolti, anche ipotizzando come
effettivamente tenuto il comportamento che a detta dei convenuti era stato
invece omesso (l’indossamento delle cinture) non è possibile affermare con
certezza o con alto grado di probabilità logica o razionale che il decesso
non si sarebbe verificato. Anzi, l’incertezza in proposito è ancor più
aggravata dalla considerazione dell’elevata velocità del veicolo, della
violenza dell’impatto con il ponticello e delle condizioni dell’auto nel
punto in cui si trovava seduta la vittima (dalle foto in atti la parte
laterale destra del veicolo risulta infatti completamente schiacciata); elementi,
questi, che non portano certamente ad escludere il decesso del Piccini nel
caso in cui avesse indossato la cintura. In
conclusione, in assenza di prova del nesso causale tra la condotta omissiva
imputata alla vittima e l’evento mortale, è irrilevante accertare se il Rossi
indossasse o meno al momento del sinistro le cinture di sicurezza. L’eccezione
dei convenuti va perciò rigettata. Ne
consegue che i convenuti Carlini e Arnaldi, rispettivamente conducente e
proprietario del veicolo su cui era trasportato il Pezzini, sono tenuti
all’integrale risarcimento dei danni patiti dagli attori prossimi congiunti
della vittima. Di detti danni dovrà inoltre rispondere, per l’intero ed in
solido con i precitati convenuti, anche la convenuta Compagnia Levante Nord
spa, trattandosi della società presso cui il veicolo condotto dal Carlini era
assicurato per la responsabilità civile, ai sensi della legge 890/69. 2) Quantificazione del risarcimento dovuto agli
attori 2.1 Premessa 1 - Come
noto con le pronunce 8827 e 8828 del 31.5.03 la Suprema Corte ha operato un
nuovo inquadramento sistematico delle varie figure di danno risarcibili. In particolare, operando
un’interpretazione costituzionalemente orientata dell’art. 2059 c.c., si è ritenuto
che il limite dell’espressa previsione legislativa a cui, secondo questa
norma, il risarcimento del danno non patrimoniale era subordinato, doveva
ritenersi inoperante in tutti i casi in cui l’interesse inerente alla persona
e concretamente leso fosse di rango costituzionale. Invero il fatto stesso
che l’interesse fosse direttamente o indirettamente contemplato nella Costituzione,
fonte sovraordinata rispetto alla stessa legge, rendeva di fatto necessitata
la sua tutela e, quindi, in caso di lesione accertata, il riconoscimento alla
persona titolare dello stesso di un risarcimento integrale del pregiudizio
patito, comprensivo sia dei danni
patrimoniali che di quelli non patrimoniali. Naturale
corollario della nuova interpretazione dell’art. 2059 c.c., successivamente
avvallata e condivisa anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza
233/03, è che tutti i danni di natura non patrimoniale, quindi non
immediatamente incidenti sul patrimonio del leso e non suscettibili pertanto
di quantificazione in base a parametri oggettivi e predeterminati, dovranno
oggi essere risarciti in forza di detta disposizione, restando invece
risarcibili ai sensi dell’art. 2043
c.c. solo i danni patrimoniali veri e propri. Pertanto oltre alla tradizionale figura del danno morale c.d.
soggettivo (consistente nella sofferenza transeunte patita dalla vittima in
conseguenza del reato o, in caso di suo decesso, dal dolore parimenti
transeunte dei prossimi congiunti per la perdita del congiunto: Cass.
2915/71, Cass. 1016/73, Cass. 6854/88, Cass. 11396/97), dovrà oggi (Cass.
19058/03) ricondursi alla previsione risarcitoria di cui all’art. 2059 c.c.
anche lo stesso danno biologico (inteso come lesione dell’integrità
psico/fisica della persona accertabile medicalmente ed indipendente dalla
capacità di produrre reddito del danneggiato: cfr in proposito le definizioni
di cui alle leggi 70/00 e 57/01) la cui tutela, a partire dalla nota sentenza
della Corte Costituzionale 184/86, era stata invece apprestata ai sensi del
combinato disposto degli artt. 2043 c.c. e
32 Cost, ciò proprio per non incorrere nella limitazione del
risarcimento prevista dall’art. 2059 c.c. Del pari il risarcimento del danno
non patrimoniale potrà essere riconosciuto in tutti i casi in cui venga
allegato e provato un pregiudizio conseguente alla lesione di un qualsiasi
altro interesse di rango costituzionale inerente alla persona. Concludendo
sul punto può dirsi che ad un sistema risarcitorio tripolare, incentrato
sulle figure del danno biologico (risarcibile ex artt. 2043 cc. e 32 Cost),
del danno morale c.d. soggettivo (risarcibile ex artt. 2059 c.c. ed art. 185
c.p.) e del danno patrimoniale (risarcibile ex art. 2043 c.c.), si è oggi
sostituito un inquadramento di tipo bipolare che, in modo del tutto condivisibile
e maggiormente aderente all’effettiva natura dei pregiudizi da risarcire,
individua unicamente le due categorie del danno patrimoniale (risarcibile ex
art. 2043 c.c. nelle due componenti del danno emergente e del lucro cessante)
e del danno non patrimoniale (risarcibile ex art. 2059 c.c. reinterpretato e,
quindi, senza limitazioni), comprendendo in questo ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di
valori inerenti alla persona e quindi sia il danno morale c.d. soggettivo,
sia il danno biologico, sia infine il danno conseguente alla lesione di altri
interessi di rango costituzionale inerenti alla persona. 2 – Ciò premesso in via generale
sull’inquadramento sistematico della materia, deve precisarsi che secondo
quanto sostenuto nella medesima pronuncia n. 8828 sopra citata, tra i
pregiudizi di natura non patrimoniale risarcibili ex art. 2059 c.c. è
certamente compreso anche quello conseguente alla lesione del rapporto
parentale per effetto del decesso del prossimo congiunto. Invero, afferma la
Corte, “L'interesse fatto valere nel caso di
danno da uccisione di congiunto è quello all’intangibilità della sfera
degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia,
alla inviolabilità della libera e
piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito di quella peculiare
formazione sociale costituita
dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost. Si
tratta, quindi, di interesse
protetto, di rilievo
costituzionale, non avente
natura economica, la cui
lesione non apre
la via ad un risarcimento ai sensi
dell'art. 2043, nel cui ambito rientrano i danni patrimoniali, ma ad
un risarcimento (o
meglio: ad una riparazione), ai sensi dell'art. 2059
c.c., senza il limite ivi
previsto in correlazione all'art. 185
c.p. in ragione
della natura del
valore inciso, vertendosi in
tema di danno
che non si presta ad una valutazione monetaria di mercato”. Inoltre
detto pregiudizio si distingue nettamente sia dal danno biologico che da
quello morale in quanto non consiste in una lesione dell’integrità
psico-fisica della persona, né può ritenersi coincidente con la transeunte
sofferenza che naturalmente consegue alla perdita del prossimo congiunto. Tuttavia,
se è vero che quello in esame è un interesse alla intangibilità della sfera
degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che connota la
famiglia, ritiene questo giudice che
l’accertamento della sua esistenza e, quindi della sua lesione, richieda necessariamente
la prova della sussistenza in concreto tra la persona deceduta e quella che invoca
il risarcimento dei rapporti di affetto, reciproco affidamento e
frequentazione che, secondo il comune sentire, costituiscono il proprium del suddetto rapporto
parentale. Peraltro, nelle ipotesi in cui non risulti invece il concreto
assetto dei rapporti intercorrenti prima della morte tra vittima e congiunto,
e sempre che non emergano elementi da cui inferire la sussistenza di
contrasti e dissapori tra i medesimi, in applicazione di massime di
esperienza e tenendo conto della particolare intensità degli affetti e dei rapporti
esistente tra determinati congiunti secondo l’ id quod plerumque
accidit, potrà tuttavia riconoscersi la lesione del rapporto e, quindi,
l’invocato risarcimento solo ai congiunti più prossimi, e cioè al coniuge, ai
figli e ai genitori. Nessuna presunzione, invece, potrà in questo caso essere
fatta valere da congiunti meno stretti, quali ad esempio i nonni, i quali
generalmente non fanno parte del nucleo familiare (inteso in senso stretto)
di pertinenza della vittima. Rispetto a questi ultimi, tuttavia, particolare
rilievo potrebbe assumere l’eventuale convivenza tra essi e la vittima, essendo
del tutto evidente che proprio l’assidua frequentazione costituisce uno dei
fattori che rende possibile l’approfondimento ed il rafforzamento dei
rapporti tra familiari. Nel caso in cui il risarcimento del danno sia
invocato dal congiunto non stretto (es: i nonni) e non convivente, quindi,
non ci si potrà accontentare della mera lesione oggettiva del rapporto
parentale, dovendo invece essere data prova del fatto che, nonostante la
mancanza di convivenza, i rapporti tra le parti erano ciononostante costanti
e comunque caratterizzati da affetto reciproco e solidarietà. Solo in questo
caso infatti potrebbe ritenersi effettivamente sussistente un pregiudizio non
patrimoniale in capo al parente non convivente, conseguente alla forzosa rinuncia
a quell’affetto che seppur con cadenza non quotidiana (tipica della
coabitazione) egli riceveva dalla persona deceduta; in ogni caso e salvo
diverse contrarie risultanze la rottura del rapporto parentale sarà
certamente patita maggiormente dal familiare convivente che, per ovvie
ragioni, avvertirà quotidianamente l’assenza della persona scomparsa e farà
perciò più fatica ad elaborare il lutto. In adesione, quindi, con l’orientamento espresso dalla
Cassazione nella citata sentenza deve ritenersi che quello in esame sia un
danno c.d. conseguenza, non coincidente con la lesione del rapporto parentale
e, quindi, con l’interesse leso. Pertanto, in caso di morte, il prossimo
congiunto che chieda il risarcimento della voce di danno in esame sarà tenuto
ad allegare e provare il pregiudizio patito in conseguenza della lesione del
rapporto parentale, potendo [solo] i congiunti più stretti usufruire
delle semplificazioni probatorie
(fondate su massime di esperienza) di cui si è ora detto. Quanto ai criteri di liquidazione di detto danno,vertendosi in
tema di lesione
di valori inerenti alla
persona, in quanto tali privi di contenuto economico, non potrà che avvenire in base a valutazione
equitativa (artt. 1226 e 2056 c.c.),
tenuto conto dell’intensità
del vincolo familiare, della
situazione di convivenza, e di ogni
ulteriore utile circostanza, quali
la consistenza più
o meno ampia del nucleo familiare, le
abitudini di vita, l'età della vittima e dei singoli superstiti. 3- Da ultimo deve rilevarsi che il danno non patrimoniale da
perdita del rapporto
parentale, in quanto
ontologicamente diverso dal danno morale soggettivo contingente, può essere
riconosciuto a favore dei congiunti
unitamente a quest'ultimo, senza che possa ravvisarsi una duplicazione di risarcimento
(ancora Cass. 8828/03). Tuttavia, per evitare il rischio di inammissibili
duplicazioni del risarcimento dovuto, nel caso di attribuzione congiunta del
danno morale soggettivo e
del danno da perdita del rapporto parentale, dovrà
considerarsi, nel liquidare
il primo, la
più limitata funzione di ristoro
della sofferenza contingente che gli va riconosciuta. Ciò ovviamente in generale ed a prescindere dalle particolarità
del caso concreto. In ultima analisi, al di là dei criteri di liquidazioni
assunti a fondamento della quantificazione delle singole voci risarcitorie,
ciò che rileva è che l’importo complessivamente corrisposto a favore del
danneggiato a titolo di danno non patrimoniale (comprensivo del danno
biologico, del danno morale soggettivo e di quello conseguente a lesione di
altri interessi costituzionalmente tutelati, tra cui anche quello in esame)
risulti congruo rispetto alla particolarità del caso concreto. Ciò
premesso può ora provvedersi alla liquidazione del risarcimento dovuto agli
attori, distinguendosi per comodità espositiva tra danni patrimoniali e danni
non patrimoniali ed individuandosi a sua volta all’interno di quest’ultima
categoria gli importi dovuti per danno morale soggettivo e per danno da
lesione del rapporto parentale. 2.2 – Danni patrimoniali Dall’istruttoria è emerso che: a)
Davide Rossi, all’epoca di 23 anni, viveva ancora in famiglia (testi
Bernardelli e Veronesi) ; b) che
il nucleo familiare era composto dai genitori, dal fratello Andrea e dalla
nonna paterna Paolina Bianchi (teste Veronesi); c) che Fulvio Rossi, padre della vittima, svolge l’attività di
impiegato presso il Catasto di Mantova, ed è proprietario dell’appartamento
in cui risiede la famiglia (circostanza non contestata); d) che Andrea Rossi, fratello della vittima, era anch’esso
convivente con la famiglia di origine e svolgeva l’attività di operaio
(circostanza non contestata); e) che
la vittima aveva conseguito il diploma di geometra ed aveva terminato anche
il periodo di pratica professionale (teste Veronesi); f) che
lo stesso lavorava part-time quale manovale presso un’impresa edile e
percepiva lo stipendio mensile di circa lire 900.000 (teste Bernardelli e
buste paga in atti: doc. 4 di parte attrice); g) che
versava detto stipendio in famiglia, trattenendo per sé solo il necessario
(teste Veronesi). Sulla
scorta di questi elementi deve in primo luogo ritenersi che il Rossi, che
aveva ormai terminato il prescelto percorso di studi e preparazione, viveva
ancora in famiglia proprio in considerazione del basso reddito percepito, di
entità non tale da renderlo economicamente autosufficiente. Del resto proprio
il fatto che la vittima necessitasse ancora del sostegno economico dei
genitori giustificava e rendeva plausibile la circostanza che la stessa
versasse ai genitori gran parte del proprio stipendio. E’
quindi in primo luogo indubitabile che i genitori abbiano perso il contributo
economico che il figlio avrebbe presumibilmente continuato a versare loro.
Tuttavia è parimenti probabile che il Rossi, una volta reperito un impiego
che gli consentisse di essere economicamente autosufficiente, avrebbe
finalmente abbandonato il nucleo familiare e iniziato a condurre una esistenza
indipendente. A quel punto, tenuto conto del fatto che la famiglia della
vittima era economicamente autosufficiente (potendo contare sugli stipendi di
Fulvio Rossi e dell’altro figlio Andrea e non essendovi necessità di pagare
affitti in quanto la casa era di proprietà del capofamiglia), è molto
probabile che Andrea Rossi non avrebbe più corrisposto nulla ai genitori,
giustificandosi la pregressa contribuzione, come detto, in ragione del
rapporto di convivenza e di parziale mantenimento di quest’ultimo da parte
dei genitori. In
sostanza, ritiene questo giudice che l’entità del risarcimento dovuto ai
genitori della vittima per perdita della contribuzione economica apportata
dal figlio debba essere determinata con riferimento al limitato periodo in
cui, presumibilmente, lo stesso avrebbe continuato a vivere in famiglia. Periodo
che, tenuto conto anche della molteplicità di occasioni di lavoro offerte dal
mercato del lavoro nella zona di riferimento, del titolo di studio e della
specializzazione conseguita dal Piccini (che lo rendevano soggetto facilmente
inseribile nel mondo del lavoro), del tempo necessario per consolidare i
risultati di una nuova professione e di reperire un’autonoma abitazione, si
stima non sarebbe durato più di 3 anni. Non
può invece liquidarsi alcunché per il periodo successivo al presumibile
allontanamento della vittima, a titolo di danno patrimoniale per perdita di
future contribuzioni ai congiunti (danno ritenuto in astratto risarcibile da
Cass. 3929/69, Cass. 2063/75, Cass. 4137/81, Cass. 11453/95, Cass.
1085/98), non essendovi alcun
elemento da cui inferire se e quanto Davide Rossi avrebbe continuato a
conferire ai genitori, e non potendosi peraltro ritenere sufficiente una
prova in termini di semplice possibilità. Pertanto,
ritenuto che il Rossi trattenesse per le proprie esigenze almeno 1/3 del
proprio stipendio, ne deriva che lo stesso avrebbe continuato a versare per
ulteriori 3 anni (e quindi per 39 mensilità, considerando anche la
corresponsione della tredicesima) ai genitori la somma mensile di lire
600.000, per un importo totale di lire 23.400.000. Trattandosi di credito
risarcitorio e, quindi, di valore la suddetta somma deve essere rivalutata
dal giorno del sinistro all’attualità, pervenendosi ad un importo definitivo
di lire 26.300.000 (pari ad euro 13.583,00). Importo
che spetta unicamente ai genitori della vittima, atteso che erano questi che,
sostanzialmente, ricevevano mensilmente il contributo del figlio e
provvedevano poi ad impiegarlo per i bisogni dell’intera famiglia. Va
altresì riconosciuto ai genitori della vittima il rimborso delle spese
funerarie sostenute, importo non contestato dai convenuti e che ammonta alla
somma di lire 6.400.000 (cfr doc. 5 di parte attrice) che rivalutata ammonta
oggi a lire 7.185.000 (pari ad euro 3.710,00) Non
può invece essere riconosciuta ai genitori una somma a titolo di rimborso
delle spese affrontate per l’istruzione del figlio. Invero, al di là del
fatto che detti importi sono evidentemente stati sborsati dai suddetti in
adempimento dei doveri di mantenimento ed educazione che incombono su ogni
genitore (artt. 147 e 148 c.c.), anche a voler ragionare in termini
strettamente economici dovrebbe rilevarsi che proprio grazie (anche) a quelle
spese la vittima aveva potuto conseguire una formazione tale da consentirgli
di inserirsi nel mondo del lavoro e di corrispondere, quindi, ai genitori
conviventi il contributo economico di cui si è detto. Non appare quindi
corretto riconoscere ai genitori il risarcimento per i mancati futuri proventi
che sarebbero loro derivati (sino alla cessione della convivenza con il
figlio) dai risultati professionali conseguiti dal figlio all’esito del
processo di scolarizzazione e, contemporaneamente, far ottener loro il
rimborso delle spese impiegate per consentire alla vittima di conseguire quei
risultati e, quindi, di produrre quel reddito che, una volta venuto meno,
giustifica il risarcimento riconosciuto ai genitori che in parte ne godevano. 2.3 – Danni non patrimoniali 2.3.1 – Danno morale c.d. soggettivo Detto
pregiudizio consiste come è noto nella transeunte sofferenza conseguita alla
perdita del congiunto (atteso che, in caso di
incapacità di elaborazione del lutto tale da degenerare in vera e propria
malattia psichica, il relativo – e diverso - pregiudizio sarebbe risarcibile
a titolo di danno biologico jure
proprio del congiunto). Dagli atti non risulta il concreto
atteggiarsi della sofferenza patita da ciascuno dei singoli congiunti;
tuttavia, non risultando che il nucleo familiare fosse travagliato da
particolari divisioni o incomprensioni, può, in base a massime di esperienza
e all’id quod plerumque accidit,
certamente ritenersi che il dolore per la perdita di Davide Rossi vi sia
stato e sia stato particolarmente intenso, a causa della prematurità del
decesso. Quanto
alla quantificazione del danno, da effettuarsi ovviamente in via equitativa
in ragione della natura non patrimoniale dell’interesse leso, ritiene questo
giudice di adottare il criterio, generalmente seguito da una buona parte
della giurisprudenza di merito, che tiene conto dell’ammontare del danno
morale che sarebbe stato riconosciuto alla vittima in caso di sopravvivenza
con postumi invalidanti pari al 100%, riconoscendo a ciascun congiunto una percentuale
di detto importo, variabile a seconda del rapporto più o meno stretto di parentela
o di altre circostanze che in concreto siano determinanti ai fini di un
esatto adeguamento del risarcimento al caso specifico. Ciò
premesso, tenuto conto del rapporto di parentela, del reciproco ausilio che i
congiunti superstiti potranno darsi per riuscire ad elaborare il lutto,
nonché considerato che generalmente il dolore per la perdita di un congiunto
in giovane età è massimamente sentito in particolare dai genitori conviventi,
ritiene equo questo giudice riconoscere a ciascuno dei genitori un risarcimento
pari ad 1/3 di quanto sarebbe stato corrisposto alla vittima a titolo di danno
morale, mentre al fratello Andrea e alla nonna convivente Paolina Bianchi può
essere riconosciuto, rispettivamente, un risarcimento pari ad 1/5 e ad 1/6
del medesimo importo. A
ciascuno dei nonni non conviventi, invece, appare equo riconoscere 1/8 del
medesimo importo. Pertanto, tenuto conto del fatto che in applicazione delle tabelle
milanesi in uso presso questo Tribunale alla vittima (all’epoca di anni 23) in
caso di sopravvivenza con postumi invalidanti pari al 100%, sarebbe stato
riconosciuto un danno morale (pari a metà del biologico) di importo pari ad
euro 296.122,00, devono riconoscersi agli attori i seguenti importi, liquidati
all’attualità, a titolo di danno morale soggettivo: a)
euro 98.707,00 ciascuno a Fulvio Rossi e Gerarda Verdi; b)
euro 59.244,00 ad Andrea Rossi; c)
euro 49.353,00 a Paolina Bianchi; e) euro 37.015,00 ciascuno a Gennaro Verdi e Ida Alberti 2.3.2 – Danno per lesione del rapporto parentale Parte
attrice non ha allegato e dimostrato il concreto assetto dei rapporti
intercorrenti tra la vittima e ciascuno dei familiari che chiedono il
risarcimento. Tuttavia,
sulla scorta di quanto affermato al precedente punto sub. 2.1 può certamente
ritenersi provato, in base a massime di esperienza, che tra la vittima ed i
genitori ed il fratello, in ragione del rapporto di convivenza e di stretta
parentela, intercorressero i normali rapporti di frequentazione, affetto ed
affidamento reciproco che di solito sussistono tra dette categorie di
parenti. Del pari, in ragione del rapporto di convivenza e quindi di abituale
frequentazione, può certamente ritenersi che lo stesso accadesse anche tra la
vittima e la nonna paterna Paolina Bianchi. Quanto, invece, ai nonni non
conviventi Gennaro Verdi e Ida Alberti, in assenza di prova dei rapporti
intercorrenti con la vittima, non può sulla base del mero rapporto parentale
ritenersi la sussistenza dell’interesse in considerazione e, quindi, della
sua lesione. Ne
consegue che il risarcimento del danno per lesione del rapporto parentale,
nell’accezione sopra precisata, può essere riconosciuto unicamente ai
genitori, al fratello e alla nonna convivente con la vittima. Trattandosi
di pregiudizio non patrimoniale esso deve essere evidentemente quantificato
dal giudice in via equitativa, tenuto conto delle particolarità del caso
concreto. Ebbene
ritiene questo giudice che possa aversi riguardo quale parametro di
riferimento all’importo del danno morale sopra liquidato, riconoscendo ai
congiunti aventi diritto una percentuale dello stesso decrescente anche in
questo caso in ragione del rapporto di parentela più o meno stretto. Ciò
premesso tenuto conto della giovane età della vittima (23 anni), nonché di
quella dei genitori e del fratello, considerato peraltro il numero dei
familiari superstiti (che, in adempimento di elementari doveri di solidarietà
familiare, potranno reciprocamente aiutarsi ad elaborare e superare il lutto
e quindi a far avvertire di meno la mancanza del congiunto deceduto) appare
equo riconoscere a ciascuno dei genitori un importo corrispondente ad 1/2
della somma di cui sopra, mentre al fratello Andrea e alla nonna Paolina
Bianchi può riconoscersi, rispettivamente, 1/4 e 1/6 del medesimo importo. Pertanto,
considerando gli importi sopra liquidati a titolo di danno morale soggettivo,
può quantificarsi il pregiudizio patito per la voce di danno in esame nei
seguenti importi, liquidati all’ attualità: a)
euro 49.353,50 ciascuno per i genitori Fulvio Rossi e Gerarda Verdi; b)
euro 14.811,00 per Andrea Rossi; c)
euro 8.225,50 per Paolina Bianchi. 2.3.3 – Danno biologico jure proprio Il
riconoscimento agli attori di un ulteriore importo a titolo di risarcimento
del danno biologico patito jure proprio
avrebbe richiesto l’accertamento dell’insorgenza in essi, a seguito della
sofferenza conseguita alla morte del congiunto ed alla incapacità di
elaborare con il tempo il lutto, di una vera e propria patologia accertabile
medicalmente (in tal senso Cass. 2134/00 e Cass. 10629/98, Cass. 8970/98). A
tal fine gli attori hanno perciò richiesto che venisse disposta ctu medico
legale accertativa degli eventuali postumi da essi patiti. Come noto la consulenza tecnica è però strumento di mera
valutazione dei fatti e degli elementi già acquisiti al processo, di tal che
era certamente onere degli attori dimostrare l’effettiva esistenza di sintomi
rivelatori dell’ asserita patologia da accertare medicalmente. In altre
parole, non potendosi ritenere in base a massime di esperienza che ad ogni
decesso di una persona consegua
necessariamente l’insorgenza di un vera e propria malattia in capo al
congiunto dipendendo ciò da molteplici fattori ed in primis dalla capacità soggettiva di elaborare il lutto, gli
attori avrebbero dovuto quantomeno dimostrare la sussistenza di comportamenti
o atteggiamenti (tendenza ad isolarsi, pianti continui e in generale presenza
di umore basso, mancanza di volontà di stare insieme agli altri, assunzione
di atteggiamenti strani, etc) , insorti successivamente al decesso, che
potessero far supporre l’effettiva esistenza della malattia. In mancanza, la
richiesta ctu si appaleserebbe del tutto esplorativa e la sua ammissione
contrasterebbe anche con il principio di economia dei mezzi processuali, che
impone di ammettere solo le prove che possano avere rilevanza ed
utilità.
Ne
deriva il rigetto della richiesta di riconoscimento di ulteriori importi a
titolo di risarcimento del danno biologico jure proprio. 2.3.4 – Danno morale jure haereditario Secondo
condivisibile indirizzo giurisprudenziale “Il risarcimento del danno non
patrimoniale, sofferto in vita
da persona deceduta in
conseguenza di lesioni provocatele dall'altrui fatto illecito,
e dopo apprezzabile lasso di tempo dalle lesioni subite, può essere chiesto
da ciascuno degli
eredi, in tale qualità e nei limiti della rispettiva quota, senza che a
ciò sia d'ostacolo la domanda
da essi proposta
quali prossimi congiunti della
vittima per il
risarcimento del danno loro spettante "jure" proprio a
causa della morte
del congiunto, trattandosi di
danni diversi oggettivamente e
soggettivamente, per essere il primo lo stesso danno
subito dal "de
cujus" , ripartito pro quota fra gli eredi, e
il secondo quello sopportato
dal congiunto in conseguenza della
morte del familiare, suscettibile, in caso di pluralità di congiunti, di diversa
graduazione secondo l’intensità del legame” (Cass. 1704/97; riconosce la
trasmissibilità jure haereditatis del danno morale patito dalla vittima anche
Trib. Monza 30.1.98). Nel
caso de quo, pur dovendosi dubitare del fatto che il Rossi nei brevi istanti
di durata del sinistro fosse riuscito a rendersi conto compiutamente di ciò
che stava accadendo e quindi a realizzare che era prossimo il suo decesso
(considerato anche che non appare corretto far coincidere il danno morale con
il semplice spavento per quanto grave esso sia, dovendo ad avviso di questo
giudice quantomeno sussistere il protrarsi della sofferenza conseguente al
reato per un arco di tempo ragionevole), è comunque pacifico che il decesso è
avvenuto sul colpo, senza che
intercorresse un apprezzabile arco di tempo tra lo stesso ed il sinistro. Non
sussiste pertanto danno morale trasmissibile jure hereditatis ai congiunti eredi della vittima. 3 - Conclusioni A Fulvio Rossi e Gerarda Verdi, genitori della vittima, spetta
l’importo di euro 17.293,00 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale
patito. Ai medesimi spettano altresì euro 148.060,50 (98.707,00 + 49.353,50)
a testa a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali patiti. Ad Andrea Rossi, fratello della vittima, spetta l’importo di euro
74.055,00 (59.244,00 + 14.811,00) a titolo di risarcimento del danno non
patrimoniale patito. A Paolina Bianchi, nonna convivente della vittima, spetta l’importo
di euro 57.578,50 (49.353,00 + 8.225,50) a titolo di risarcimento del danno
non patrimoniale patito. Infine, a Gennaro Verdi e Ida Alberti, nonni non conviventi della
vittima, spettano euro 37.015,00 a titolo di risarcimento del danno non
patrimoniale patito. Sulle suddette somme, tutte liquidate all’attualità, sono dovuti
anche gli interessi legali dalla data del sinistro (22.5.99) al saldo. Ai
fini della liquidazione degli interessi, in adesione al consolidato indirizzo
giurisprudenziale inaugurato da Cass. s.u. 1712/95, dette somme (liquidate
all’attualità), vanno devalutate, secondo l’indice Istat di variazione dei
prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, sino alla data del
sinistro (in tal modo pervenendosi alla determinazione dell’ammontare dei
danni al momento del sinistro) e poi rivalutate anno per anno secondo il
medesimo indice, con calcolo degli interessi, al saggio legale, sulla somma
via via rivalutata con cadenza annuale. 4 - Spese Le spese seguono la
soccombenza dei convenuti e si liquidano nell’importo complessivo di euro
18.562,50, di cui euro 2.462,50 per spese (comprensive di quelle forfetarie),
euro 3.500,00 per diritti ed euro 13.000,00 per onorario, oltre iva e cpa.
PQM
pronunciando
definitivamente, disattesa e respinta ogni diversa domanda, istanza ed eccezione: - condanna Carlo Carlini, Annunziata Arnaldi e la
Compagnia Levante Nord Italia spa al pagamento, in solido, a favore di Fulvio
Rossi e Gerarda Verdi dell’importo di euro 17.293,00, oltre interessi dal
22.5.99 al saldo da computarsi come specificato in motivazione, a titolo di
risarcimento del danno patrimoniale;
- condanna Carlo Carlini, Annunziata Arnaldi e la Compagnia
Levante Nord Italia spa al pagamento, in solido, a favore di Fulvio Rossi
dell’importo di euro 148.060,50, oltre interessi dal 22.5.99 al saldo da
computarsi come specificato in motivazione, a titolo di risarcimento del
danno non patrimoniale;
- condanna Carlo Carlini, Annunziata Arnaldi e la
Compagnia Levante Nord Italia spa al pagamento, in solido, a favore di
Gerarda Verdi dell’importo di euro 148.060,50, oltre interessi dal 22.5.99 al
saldo da computarsi come specificato in motivazione, a titolo di risarcimento
del danno non patrimoniale;
- condanna Carlo Carlini, Annunziata Arnaldi e la
Compagnia Levante Nord Italia spa al pagamento, in solido, a favore di Andrea
Rossi dell’importo di euro 74.055,00, oltre interessi dal 22.5.99 al saldo da
computarsi come specificato in motivazione, a titolo di risarcimento del
danno non patrimoniale;
- condanna Carlo Carlini, Annunziata Arnaldi e la
Compagnia Levante Nord Italia spa al pagamento, in solido, a favore di
Paolina Bianchi dell’importo di euro 57.578,50, oltre interessi dal 22.5.99
al saldo da computarsi come specificato in motivazione, a titolo di
risarcimento del danno non patrimoniale;
- condanna Carlo Carlini, Annunziata Arnaldi e la
Compagnia Levante Nord Italia spa al pagamento, in solido, a favore di
Gennaro Verdi dell’importo di euro 37.015,00, oltre interessi dal 22.5.99 al
saldo da computarsi come specificato in motivazione, a titolo di risarcimento
del danno non patrimoniale;
- condanna Carlo Carlini, Annunziata Arnaldi e la
Compagnia Levante Nord Italia spa al pagamento, in solido, a favore di Ida
Alberti dell’importo di euro 37.015,00, oltre interessi dal 22.5.99 al saldo
da computarsi come specificato in motivazione, a titolo di risarcimento del
danno non patrimoniale;
- condanna Carlo Carlini, Annunziata Arnaldi e la
Compagnia Levante Nord Italia spa al pagamento, in solido, a favore di Fulvio
Rossi, Gerarda Verdi, Andrea Rossi, Paolina Bianchi, Gennaro Verdi ed Ida
Alberti dell’importo di euro 18.562,50, oltre iva e cpa a titolo di rimborso
delle spese di lite.
Così
deciso in Mantova, il 30.8.2004 |