Immissioni di odori e rumori
eccedenti la normale tollerabilità – Incremento rispetto al rumore di fondo –
Misura – Limiti – Sussistenza. Natura reale dell’azione ex art. 844 c.c. –
Tutela del godimento del fondo – Legittimazione attiva e passiva del conduttore
– Sussistenza – Cessazione delle immissioni e modifiche strutturali al fondo
– Azione proponibile dal titolare di diritti reali di godimento – Natura –
Limiti. Art. 844 c.c. Tribunale di Mantova, Sez. II – Giudice
Unico Dott. Luigi Bettini - Sentenza del giorno 7 dicembre 2004. La massima: L'aumento di oltre tre decibel del
rumore di fondo (tenendo conto di tutte le fonti sonore e cioè sia di quelle
prodotte dagli impianti che di quelle di natura antropica) proveniente da un
immobile ove viene esercitata l'attività di ristorazione, rende l'immissione
intollerabile ex art. 844 c.c.. La natura reale dell'azione di cui
all'art. 844 c.c. comporta che tutti sono tenuti ad astenersi dall'attività
illecita vietata da tale norma: nondimeno nei confronti del titolare di un
diritto personale di godimento è consentito ordinare unicamente la cessazione
delle immissioni ma non anche la modificazione sostanziale della
conformazione dell'immobile da cui esse si propagano. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato C. C. conveniva in
giudizio la società X s.r.l., in persona del legale rappresentante pro
tempore, chiedendo che fosse condannata alla cessazione delle immissioni
intollerabili di odori e rumori nella sua abitazione. Affermava che la società gestiva l’omonimo ristorante cittadino
e che da tale attività derivavano immissioni intollerabili, sia di rumori che
di odori, nella sua abitazione posta al primo piano del medesimo immobile, in
centro storico. Aveva già in passato instaurato un giudizio civile come il
medesimo oggetto nei suoi confronti, ma dopo avere ottenuto un provvedimento
favorevole ex art. 700 c.p.c. aveva transatto la controversia di merito con
contratto del 3/10/91 che peraltro la società non aveva adempiuto, tanto che
era stato risolto. Così le immissioni illecite erano continuate anche
successivamente ed ora chiedeva la condanna della società alla cessazione di
tali immissioni mediante la rimozione di tutte quelle fonti di rumore e di
odore, sia provenienti dagli impianti che di origine antropica, che determinavano
tali immissioni, eventualmente anche disponendo la chiusura dell’esercizio commerciale. Si costituiva in giudizio la società chiedendo il rigetto della
domanda perché infondata in fatto ed in diritto. Affermava, da un lato, che le denunce passate dell’attore nei
confronti della legale rappresentante della società avevano dato vita anche
ad un processo penale dalle cui imputazioni costui era stato assolto. Negava che rumori ed odori provenienti dal ristorante
eccedessero la normale tollerabilità e, comunque, affermava di aver adempiuto
la citata transazione. Chiedeva pertanto il rigetto della domanda. Istruita la causa documentalmente, compiuta una CTU
sull’intensità delle immissioni sonore provenienti dal ristorante gestito
dalla convenuta ed un supplemento del medesimo accertamento tecnico,
all’udienza del 6/7/04 le parti precisavano le conclusioni come da verbale ed
il giudice tratteneva la causa in decisione assegnando ad entrambe i termini
di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e
delle eventuali memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE Le domande svolte sono solo in parte fondate e, pertanto, devono
essere accolte nei limiti di seguito precisati. Anzitutto deve essere rigettata la questione preliminare
relativa all’adempimento della transazione fra le parti ed al conseguente
rigetto della domanda. Ed infatti la transazione è un contratto che ha per oggetto i
pretesi diritti di ciascuna delle parti ed è volta a porre fine ad una lite
che è già cominciata o a prevenire una che può sorgere fra loro ex art. 1976
c.c. Nel caso di specie essa è stata effettivamente finalizzata a
comporre una lite che già c’era ma non a prevenire quella attuale, anche alla
luce dei fatti ulteriori verificatisi. Dall’esame del contenuto contrattuale risulta che la società
convenuta si è impegnata al compimento di alcune opere volte al contenimento
del rumore e che in conseguenza di ciò le parti hanno dichiarato di
abbandonare la controversia in quel momento pendente già instaurata
dall’odierno attore per dare stabilità alla condanna ottenuta in sede
cautelare ex art. 700 c.p.c. Tale contratto non è stato quindi concluso per impedire una lite
futura in relazione alle immissioni che allora si stavano verificando. Benché la sua finalità fosse quella di far cessare non solo le
immissioni esistenti in quel momento ma, sia pure indirettamente, anche
quelle future - le opere cui la società si era obbligata a ciò sarebbero
dovute servire - l’accordo è avvenuto sullo stato di fatto esistente in quel
momento e nulla è stato pattuito per eventuali future violazioni dell’art.
844 c.c. A riprova di ciò era già esistente una controversia sulle
immissioni in atto ed è stata quest’ultima ad essere oggetto di transazione e
non anche una non ancora iniziata, quale quella odierna: quando è stato
concluso il contratto non era necessario prevenire alcunché perché la causa
era già pendente. Per tale motivo a fronte di ulteriori immissioni, di anni
successive a quelle oggetto della transazione, e di una nuova e diversa lite
(quella odierna), deve ritenersi il contratto invocato della convenuta
inidoneo a regolare l’oggetto della presente controversia, come impeditivo
dell’attuale giudizio. E ciò anche a tacere di una risoluzione di diritto del contratto
(peraltro solo) eccepita dall’attore, a fronte di un inadempimento della
convenuta rispetto al quale nessuna prova contraria, e cioè quella
dell’adempimento (Cass. civ., SS. UU., n. 13533/02), la società ha dato o
anche solo offerto. Ciò premesso occorre distinguere fra la domanda volta alla
condanna per la cessazione delle immissioni di odori da quella per la
cessazione delle immissioni di rumori. La prima è infondata e deve essere rigettata. L’attore non ha infatti dato alcuna prova dell’esistenza di tali
immissioni superiori alla normale tollerabilità e tali da violare l’art. 844
c.c. Da un lato le prove testimoniali richieste sono state formulate
in capitoli oltremodo generici e comunque pieni di giudizi e valutazioni e,
pertanto, ex art. 244 c.p.c. sono risultate inammissibili. Dall’altro la consulenza tecnica richiesta - a fronte della
completa assenza di prova dell’esistenza delle immissioni - sarebbe risultata
assolutamente esplorativa e, come tale, anch’essa inammissibile. Ed infatti, essendo finalizzata alla valutazione di fatti già
dimostrati, non può costituire mezzo di prova o di ricerca di fatti che le
parti devono autonomamente provare, fermo il presupposto che il giudice,
nell’esercizio del suo potere discrezionale, può disporla in ogni momento se
necessita di chiarimenti o di valutazioni tecniche degli elementi già
acquisiti. Essa si traduce insomma in un esame dei dati specialistici in
atti per chiarire la questione dibattuta perché il giudice possa trarne
elementi chiarificatori per la sua decisione. Non può essere disposta al fine di esonerare la parte dal
fornire la prova di quanto assume ed è legittimamente negata qualora la parte
tenda con essa a supplire alla mancanza delle proprie allegazioni o
dell’offerta di prove o ancora tenda a far compiere un’indagine esplorativa alla
ricerca di elementi, fatti o circostanze che non ha in alcun modo provato. Nel caso di specie legittimamente non è stata disposta perché è
stata richiesta per compiere un’indagine esplorativa sull’esistenza di
circostanze, le immissioni di odori appunto, il cui onere di allegazione era
invece a carico dell’attore (per tutte Cass. civ., III, n. 9060/03). La seconda domanda, relativa alle immissioni di rumori, è invece
fondata e deve essere accolta. A tale proposito l’attore ha versato in causa alcuni documenti
con i quali ha dato prova di numerosi sopralluoghi dell’ASL presso il ristorante
da cui sono emersi emissioni di rumori di notevole intensità. È vero che gli accertamenti compiuti dalla P.A. attengono al
profilo pubblicistico dell’inquinamento acustico mentre le immissioni intollerabili
ex art. 844 c.c. ai rapporti proprietari fra vicini. Le disposizioni della L. n. 477/95, che ha inteso fissare un
limite alle attività rumorose per tutelare la salute della collettività e la
cui inosservanza integra la violazione amministrativa dalle stesse
sanzionata, riguardano i rapporti di natura pubblicistica, intercorrenti tra
la Pubblica Amministrazione preposta alla tutela dell’interesse collettivo
protetto - non a caso gli accertamenti sono stati compiuti dalla locale ASL -
ed i privati esercenti le attività contemplate. Esse disciplinano quindi situazioni che vengono prese in
considerazione ai fini della salvaguardia della salute in generale,
prescindendo da qualsiasi collegamento con la proprietà fondiaria. Quest’ultima resta del tutto estranea alla previsione normativa,
nella quale non è ravvisabile alcuna disposizione intesa a stabilirne limiti
d’equilibrio nell’utilizzazione, limiti che rimangono invece affidati alla
disciplina delle immissioni posta dall’art. 844 c.c. o a quella, eventualmente
più rigorosa, che i privati interessati abbiano ritenuto di stabilire
pattiziamente agendo nell’ambito della loro libera autonomia contrattuale
(così Cass. civ., n. 4963/01). E tuttavia proprio perché relativi al medesimo fenomeno fisico
di propagazione del rumore e di intensità della pressione sonora, gli
accertamenti compiuti dall’ASL sono comunque tali da costituire un principio
di prova delle avvenute immissioni e dunque da consentire l’esperimento
dell’accertamento tecnico disposto. Nel caso di specie gli accertamenti peritali hanno dato esito
positivo. Compiute le misurazioni necessarie, il consulente ha accertato
che con riferimento a quasi tutte le fonti sonore - sia gli impianti di
aspirazione e condizionamento che quella antropica proveniente dal cortile -
il rumore ambientale superava di più tre decibel quello di fondo, così
rendendo intollerabili ex art. 844 c.c. le emissioni. Tenendo conto da un lato del fatto che la società convenuta
esercita attività di ristorazione e dall’altro che l’attore è proprietario di
una privata abitazione, il limite di tre decibel oltre il rumore di fondo può
ritenersi quello massimo accettabile per l’incremento del rumore: se
l’aumento del rumore di fondo è maggiore di tre decibel l’immissione diventa intollerabile. L’aumento della pressione sonora fino a tre decibel oltre il
rumore di fondo (e cioè il livello acustico medio del luogo oggetto di
accertamento in un determinato momento, in assenza della sorgente rumorosa da
valutare) determina infatti un rumore ambientale (e cioè quello di fondo cui
si aggiunge quello della sorgente che origina l’immissione) doppio rispetto
al primo: se cioè al rumore di fondo avente un certo valore (espresso in
decibel) si aggiunge una sorgente sonora avente il medesimo valore (anch’esso
espresso in decibel), la pressione sonora complessiva (espressione del rumore
ambientale) aumenta di 3 dB rispetto al valore originario (quello del rumore
di fondo, tolta cioè la sorgente rumorosa). Tale valore (+3 dB) è dunque generalmente considerato come
limite oltre il quale l’immissione diviene intollerabile e tale può ritenersi
anche nel caso di specie. A tale proposito non possono essere condivise le difese della
società convenuta che, da un lato, invoca l’aumento di tre decibel da calcolarsi
sul limite del rumore non di fondo ma su quello pattiziamente concordato con
la citata transazione e, dall’altro, nega la riferibilità di tale criterio al
D.P.C.M. 1997, che a sua volta richiama il D.P.C.M. del 1991, invocato dal
consulente tecnico come riferimento. Anzitutto non può rilevare nel caso di specie la transazione
compiuta dalle parti per i motivi già detti e dunque è stato correttamente
posto a base del calcolo il rumore di fondo e non quello asseritamene
concordato fra le parti. Inoltre è vero che esso è individuato - invero quanto al rumore
notturno, non diurno - quale limite di accettabilità nella disciplina
pubblicistica (e segnatamente nei D.P.C.M. del 1991 e del 1997); e tuttavia
tale disciplina, pur non essendo direttamente applicabile a quella di cui
all’art. 844 c.c. per i motivi già detti, può comunque essere tenuta presente
come parametro di valutazione, in modo da consentire un idoneo
contemperamento delle opposte esigenze dei proprietari (da ultimo Cass. civ.,
II, n. 10735/01). Sotto questo profilo appare corretta la valutazione del
consulente. Dall’esame della consulenza tecnica e del supplemento disposto
emerge come nella quasi totalità delle fonti sonore misurate la pressione
sonora superi il limite citato. In particolare sia le due cappe di aspirazione della cucina del
ristorante, quello principale e quello secondario, che l’impianto di
condizionamento - se in funzione ovviamente - superano il limite, per
intrinseca rumorosità dei motori di funzionamento. In particolare con riferimento all’aspiratore principale sono
stati accertati i valori di + 28,5dB oltre il limite della tollerabilità - e
dunque oltre il rumore di fondo già aumentato di 3 dB - nella prima misura,
+23,5 dB sempre oltre il limite della tollerabilità nella seconda misura, +15
dB nella terza misura, +22,5 dB nella quarta misura, +17 dB nella quinta
misura, +28 dB nella quinta e +11 dB nella sesta (pag. 69 della CTU); con
riferimento all’aspiratore secondario è stato accertato il valore di + 11 dB
oltre il limite della tollerabilità nell’unica misura (pag. 70 della CTU),
con riferimento infine all’impianto di condizionamento è stato accertato + 15
dB oltre il limite della tollerabilità nell’unica misura (pag. 70 della CTU). Ma analoghe considerazioni devono essere compiute anche per la
fonte cosiddetta antropica, e cioè il rumore generato dagli avventori nel
cortile interno nei giorni e negli orari di apertura del ristorante. Dalla consulenza tecnica emerge come le misurazioni compiute nel
cortile interno abbiano consentito di accertare che le immissioni superano la
normale tollerabilità con riferimento al limite sopra indicato; in
particolare sono stati accertati i valori di + 16dB oltre il limite della
tollerabilità - e dunque oltre il rumore di fondo già aumentato di 3 dB -
nella prima misura, +13,5 dB sempre oltre il limite della tollerabilità nella
seconda e nella terza misura, +14,5 dB nella quarta misura (pag. 17 del
supplemento di CTU). A tale conclusione non può invece giungersi con riferimento al
rumore generato dalla fonte antropica nella sala ove sono stati compiuti gli
accertamenti (detta “Sala delle G.”); dall’esame della consulenza risulta
infatti che - nelle diverse rilevazioni effettuate - il mero rumore antropico
abbia determinato in una misura un incremento del rumore ambientale di 3,5 dB
rispetto a quello di fondo e, insieme all’impianto di diffusione in un’altra
misura, di soli 3 dB. Nel primo caso quindi il superamento del limite è
avvenuto per soli + 0,5 dB e nel secondo non v’è stato alcun superamento,
essendo l’aumento di 3 dB ancora consentito. Non può dunque ritenersi che l’uso di tale sala determini
immissioni intollerabili, in considerazione del sostanziale rispetto del
limite indicato. D’altra parte gli accertamenti e le valutazioni compiute dal CTU
in relazione alle lamentate immissioni sonore, con le precisazioni sopra
compiute, appaiono immuni da vizi logici e coerentemente motivate e,
pertanto, possono essere fatte proprie da questo giudice. Accertata l’esistenza di tali immissioni lamenta ancora la
società di essere semplice locatrice dell’immobile, non proprietaria, e di
non essere pertanto legittimata passivamente all’azione contro di lei svolta,
potendo essere condannato il solo proprietario dell’immobile da cui le immissioni
originano. Anzitutto la circostanza in fatto - e cioè che la società sia
solo conduttrice dei locali in cui svolge l’attività - non è contestata
dall’attore e può quindi ritenersi provata. Inoltre non si tratta, propriamente, di questione relativa alla
legittimazione ma al merito, essendo relativa alla titolarità dell’obbligo
scaturente dall’art. 844 c.c. Diviene dunque rilevante qualificare la natura dell’azione
svolta dall’attore, e dunque il diritto con essa fatto valere, per poter
identificare il soggetto passivo, titolare del relativo obbligo. Storicamente l’art. 844 c.c. nasce come norma diretta a
disciplinare la proprietà, e precisamente i limiti reciproci nei modi di
utilizzazione dei fondi. Così si esprime anche la prima giurisprudenza
costituzionale negli anni settanta che delimita la tutela dalle immissioni
intollerabili provenienti dal fondo vicino ai pregiudizi recati alla
proprietà, secondo cui l’art. 844 c. c. “mira a risolvere il conflitto tra
proprietari dei fondi vicini per le influenze negative delle attività svolte
con riguardo esclusivo al diritto di proprietà; pertanto, non contempla le
immissioni che rechino pregiudizio alla salute umana o all’integrità
dell’ambiente naturale, alla cui tutela presiedono altre norme” (così
testualmente Corte cost., n. 247/74). Tale interpretazione, tuttavia, è apparsa inadeguata a risolvere
i conflitti di interessi nel campo delle immissioni rumorose ed è stata
rimessa in discussione, creando su di essa un vero e proprio contrasto. La Corte di legittimità ha successivamente affermato che quando
le immissioni provocano la lesione del diritto alla salute ed alla
tranquillità e del diritto al normale svolgimento della vita familiare
all’interno di una casa di abitazione si può applicare l’art. 844 c.c.
conseguendo in tal modo l’inibitoria (Cass. civ., II, n. 4523/84). Così, secondo il più recente orientamento che questo giudice
ritiene di condividere, l’esigenza di concedere una tutela più ampia contro i
pregiudizi connessi con la proprietà che in qualche modo compromettono i
valori costituzionalmente tutelati giustifica la proposizione dell’azione per
impedire le immissioni contro i fatti illeciti - consistenti nelle esalazioni
insalubri o pericolose - lesivi del diritto alla salute poiché gli art. 2043
e 2059 non escludono che altre disposizioni prevedano sia pure indirettamente
la tutela del danno biologico in sé considerato, e ciò a prescindere
dall’attuale complesso dibattito sulla tutela risarcitoria di tale diritto
che esula dalla presente controversia. E tuttavia è sempre stata costantemente ribadita la natura reale
dell’azione inibitoria ex art. 844 c.c. L’immissione di rumore nell’abitazione priva il proprietario
della possibilità di godere nel modo più pieno e pacifico della propria casa
e incide sulla libertà di svolgere la vita domestica, secondo le convenienti
condizioni di quiete. La tutela di questo interesse attiene anzitutto al profilo
oggettivo della proprietà ma non si esaurisce in esso poiché il godimento
delle cose implica, in fatto, il rapporto tra la persona e la cosa in cui
emerge un momento soggettivo, rappresentato dalle condizioni del titolare,
che indubbiamente è rilevante per il diritto. D’altra parte il proprietario che asserisce di avere un
interesse leso dalle immissioni rumorose afferma un’alterazione delle
modalità di uso del bene che incide sulle sue condizioni personali e comporta
una diminuzione del diritto dominicale: il disagio personale del titolare si
considera come un’oggettiva privazione della facoltà d’uso. Dunque l’azione esperita dal proprietario del fondo danneggiato
per conseguire l’eliminazione delle cause di immissioni rientra tra le azioni
negatorie, di natura reale, a tutela della proprietà. Essa è volta a far accertare in via definitiva l’illegittimità
delle immissioni e ad ottenere il compimento delle modifiche strutturali del
bene indispensabili per farle cessare (così Cass. civ., II, n. 2598/96, Cass.
civ., n. 8602/95 e per tutte Cass civ., SS. UU., n. 10186/98, anche per la
ricostruzione dell’evoluzione giurisprudenziale accennata). Se così è, essa può essere esperita dal proprietario o dal
titolare di un diritto reale minore di godimento, in considerazione del fatto
che anche in questo caso le immissioni colpiscono direttamente il godimento
del fondo, oggetto della sua tutela, o ancora dal conduttore, anch’egli
titolare di un diritto personale di godimento: poiché non può esservi diritto
di godimento di un bene senza la possibilità per il suo titolare di agire per
la sua conservazione o reintegrazione, deve ritenersi che la legittimazione
ad agire contro le immissioni spetti anche al conduttore ex art. 1585/2, non
essendovi dubbio che le im-missioni altro non sono che molestie. E ciò vale anche con riferimento al soggetto passivo dell’azione,
colui che dà origine alle immissioni: la domanda può essere svolta sia nei
confronti del proprietario che del conduttore. Tutti sono tenuti ad astenersi dall’attività illecita vietata
dall’art. 844 c.c. e possono essere condannati al compimento delle opere
necessarie per impedire le nuove propagazioni vietate. E tuttavia nei confronti del titolare di un diritto personale di
godimento non è consentito chiedere la cessazione delle immissioni mediante
la modificazione sostanziale della conformazione dell’immobile, da cui le
stesse si propagano, con la conseguente incidenza sull’oggetto e sul diritto
immobiliare del vicino, poiché la pronuncia sarebbe idonea a fare stato nei
confronti del proprietario attuale e di quelli futuri, e cioè di soggetti diversi
dalle parti (ancora Cass. civ., SS. UU., n. 10186/98 e, con riferimento al
lato attivo dell’azione, per il difetto di sufficiente legittimazione del
conduttore a chiedere la condanna al compimento di opere strutturali pena la
violazione dei limiti del giudicato conseguendo all’accoglimento
un’inibitoria che farebbe stato anche nei confronti di soggetti diversi dalle
parti Cass. civ., II, n. 13069/95). Alla luce di queste premesse, nel caso di specie, deve anzitutto
essere condannata la società convenuta a cessare l’attività illecita avente
ad oggetto immissioni sonore superiori alla normale tollerabilità superiori
per più di 3 decibel rispetto al rumore di fondo. Circa le opere, occorre distinguere - per chiarezza - le diverse
fonti rumorose. Con riferimento all’impianto di condizionamento, il consulente
ne ha evidenziato la vetustà e l’impossibilità di interventi di mitigazione
del rumore; l’unica soluzione tecnica possibile è la sua integrale
sostituzione. Se così è, l’opera non può che ritenersi strutturale: il
rifacimento di un intero impianto con lavori incidenti verosimilmente sulle
pareti dell’immobile, non può che far ritenere strutturale l’opera di
sostituzione del medesimo. Quale mera conduttrice dell’immobile, la società convenuta non
può pertanto essere condannata a compierla. Ad analoga conclusione deve peraltro giungersi con riferimento
alle due cappe di aspirazione. Per mitigare i rumori provenienti da tali
fonti il consulente ha ritenuto necessari l’impiego di supporti antivibranti
di disgiunzione della struttura, la ricopertura delle pareti laterali dei condotti
con materiale isolante composito, l’adozione di silenziatori attraverso
l’inserimento di un filtro fonoassorbente allo sbocco dei condotti ed il
cambiamento di direzione dello stesso sbocco. Sentito a chiarimenti sulla natura di tali opere ha precisato
che entrambe le cappe di aspirazione sono ancorate stabilmente alle pareti e
che anche tali opere diverrebbero tali e - una volta realizzate - sarebbero
ben difficilmente rimovibili (se non verosimilmente con ulteriori opere
nuovamente interessanti i muri). A ciò ha anche aggiunto che la loro rimozione e sostituzione
costituirebbe in verità il rimedio più radicale ma anche più sicuro per far
sì che il rumore da esse generato risulti tollerabile; e su questo concorda
invero anche il consulente di parte dello stesso attore che ha addirittura
ipotizzato un loro spostamento in posizione diversa. Anche le opere da realizzare sulle cappe di aspirazione appaiono
dunque strutturali, incidendo stabilmente sulla struttura dell’immobile.
D’altra parte se la natura non strutturale dell’opera dipende dalla sua
facile amovibilità (così ancora Cass. civ., SS. UU., n. 10186/98), anche la
soluzione meno radicale fra quelle prospettate importa necessariamente un
intervento strutturale su entrambe le cappe. Neanche tali opere possono essere compiute dalla società
convenuta, titolare di un semplice diritto personale di godimento. Non diverse sono le considerazioni da svolgere sul cortile
interno. Il consulente tecnico ha escluso opere di mitigazione tali da
consentirne un uso nel rispetto dei limiti di tollerabilità; ed infatti
l’unica concreta possibilità di intervento è quella di realizzare una
struttura chiusa che incapsuli il cortile. Con tale soluzione tecnica
concorda, fra l’altro, lo stesso consulente dell’attore; anch’egli è
dell’opinione che una struttura comprensiva di copertura debba essere
realizzata per impedire rumori intollerabili ed a ciò aggiunge che una
struttura di tal genere se rimovibile, sarebbe probabilmente idonea ad
impedire immissioni intollerabili alla condizioni di utilizzo
dell’accertamento compiuto (peraltro inferiori alla capacità di contenimento
del cortile) ma non nel caso di un suo pieno utilizzo, ove anche tale
struttura sarebbe inidonea allo scopo. E dunque entrambi concordano nella inadeguatezza (almeno
parziale) di una struttura che comunque, a tacer d’altro, avrebbe l’effetto
di trasformare la natura dello spazio utilizzato, rendendolo chiuso e non più
aperto. Anche tale opera deve ritenersi strutturale, per i motivi già
detti. Alla luce di tale conclusione non può essere condannata la
società attrice al compimento delle opere richieste. E tuttavia può esserle inibito l’utilizzazione degli impianti e
del cortile. Il mancato uso dell’impianto di condizionamento e delle cappe di
aspirazione rimuove - all’evidenza - la sorgente sonora e riporta il rumore
nell’ambito della normale tollerabilità. Il fatto che la società convenuta non possa essere condannata ad
interventi su di tali impianti, perché necessariamente strutturali, non la
legittima a proseguire nell’immissione di rumori intollerabili, che resta
attività illecita ad essa vietata. Dunque non può che esserle inibito il loro
uso. Ed ad analoga conclusione può giungersi con riferimento al
cortile interno; in assenza della possibilità di far realizzare opere
strutturali, le uniche certamente idonee a ricondurre nei limiti della
tollerabilità le immissioni sonore, deve essere inibito alla società l’uso
del cortile nell’attività di ristorazione. Tale soluzione fra l’altro consente di ritenere superflua la
cessazione dell’intera attività in capo alla convenuta, dovendo essere
valutata solo se è l’unica idonea ad impedire le immissioni vietate. Poiché nel caso di specie l’attività può essere proseguita - e
ciò ovviamente salva ogni valutazione circa la sua conformità a norme
amministrative, non oggetto del presente giudizio - senza che le immissioni
rumorose risultino intollerabili, non è necessario inibire l’intera attività,
misura estrema sicuramente più gravosa per la convenuta, la cui posizione non
deve esser inutilmente aggravata. L’interesse dell’attore risulta interamente soddisfatto anche
solo attraverso l’inibizione dell’uso delle fonti rumorose e ciò è sufficiente
per ritenere accolta la domanda prospettata. Deve essere svolta un’ultima considerazione, per completezza di
motivazione, su una questione non prospettata dalle parti ma che può essere
valutata autonomamente dal giudice, titolare del relativo potere d’ufficio:
la chiamata in causa del proprietario dell’immobile ex art. 106 c.p.c. Anche a tacere del fatto che costui non è nemmeno identificato
dalle parti, l’istituto in esame è volto a far sì che sia parte del giudizio
un soggetto a cui la causa è comune perché la sua posizione sostanziale è
legata alla domanda ivi svolta (fra l’altro) per l’oggetto o per il titolo,
fatto ravvisabile nel caso di specie per le considerazioni sopra dette. E tuttavia la finalità dell’istituto è quella di impedire
contrasti di giudicati e di realizzare l’economia processuale, quest’ultima
evidentemente insussistente nel caso di specie. Anche infatti a ritenere
possibile la prima evenienza, non potrebbe comunque realizzarsi in alcun modo
l’auspicata economia processuale. Poiché la circostanza relativa alla qualità di conduttrice della
convenuta è emersa solo nella comparsa conclusionale di costei (se si
eccettua un riferimento nella CTU) e nella memoria di replica dell’attore, la
rimessione della causa nella fase istruttoria - a giudizio già concluso -
determinerebbe una sua regressione al momento iniziale, almeno nei confronti
del chiamato, tale da rendere assolutamente antieconomica sul piano
processuale la sua partecipazione al giudizio. È per tale motivo che non appare opportuno chiamare in giudizio
il terzo proprietario. Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate
come in dispositivo; sono definitivamente poste a carico della convenuta
quelle della CTU, liquidate come da separati decreti, in atti. P.Q.M. Il Tribunale di Mantova, nella persona del giudice dott. Luigi
Bettini, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da C. C. contro
la società X s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, ogni
diversa istanza disattesa e respinta, così decide: - accoglie la
domanda dell’attore relativa alle immissioni di rumori e, per l’effetto,
ordina alla convenuta di cessare le immissioni sonore superiori alla normale
tollerabilità, e dunque superiori per più di tre decibel rispetto al rumore
di fondo, nell’esercizio dell’attività di ristorazione dell’omonimo
ristorante; - fa divieto
alla società convenuta di utilizzare i due aspiratori e l’impianto di
condizionamento oggetto di accertamento peritale; - fa altresì
divieto alla società convenuta di utilizzare il cortile interno anch’esso
oggetto di accertamento peritale; - rigetta la
domanda dell’attore relativa alle immissioni di odori; - condanna la
società convenuta al pagamento delle spese processuali a favore dell’attore
che liquida in complessivi €. 10.145,07, di cui €. 735,05 per spese ed €.
2.554,56 per diritti ed €. 6.000,00, oltre IVA e CPA come per legge; sono
definitivamente poste a carico della società convenuta quelle della CTU
liquidate come da separati decreti, in atti. |