Responsabilità del professionista - Omessa impugnazione di avvisi di
accertamento - Infondatezza dell'impugnazione - Impossibilità di prevedere
l'avvento di una legislazione premiale - Omessa richiesta del beneficio della
continuazione - Sussistenza della responsabilità. Presenza di contrasti
giurisprudenziali su specifica questione - Non configurabilità della
responsabilità. Tribunale di Mantova, Sez. II –
Sentenza del Giudice Unico Dott. Mauro Bernardi 19 febbraio 2003. Svolgimento
del processo Con atto
di citazione notificato in data 14-4-1998 Rossi Maria affermava di
essere titolare dell’impresa individuale XY operante nel settore della
commercializzazione di xxx e di avere affidato la consulenza fiscale e
tributaria al dott. Paolo Verdi. L’istante
precisava che, nel corso del 1991, la Guardia di Finanza aveva effettuato una
verifica fiscale conclusasi con la redazione di tre processi verbali datati
15-1-1991, 17-1-1991 e 7-3-1991 in ordine ai quali essa aveva incaricato il
professionista, con mandato scritto, di assisterla. L’attrice
asseriva che il professionista aveva inoltrato in data 4-2-1991, alla
Commissione Tributaria di Mantova, ricorso per annullamento del processo
verbale di constatazione, dichiarato però inammissibile dall’organo adito non
essendo tale atto autonomamente impugnabile e che, a seguito del ricevimento
del rapporto, l’Ufficio IVA di Mantova aveva notificato, in data 4-7-1991,
avviso di rettifica n. 814584 per l’anno 1989, in data 23-2-1992, avviso di
rettifica n. 814899 per l’anno 1990 ed infine, il 13-9-1991, gli avvisi di
irrogazione delle sanzioni n. 100268/91 per l’anno 1989 e 100269/91 per
l’anno 1990 con i quali venivano recuperate imposte ed applicate sanzioni per
rilevanti importi. L’istante
aggiungeva che il dott. Verdi non aveva proposto impugnazione avverso tali
atti che erano così diventati definitivi e che il medesimo, a seguito
dell’entrata in vigore della l. 30-12-1991 n. 413, aveva provveduto a
presentare, in data 30-6-1992, dichiarazione per l’estinzione delle
controversie pendenti in materia di IVA ex art. 44 l.cit. relativamente
agli anni 1989 e 1990 ed a effettuare il versamento di £ 10.855.000 sia pure
con erronee modalità (della dichiarazione per la definizione automatica dei
redditi delle persone fisiche ai sensi dell’art. 38 l.cit. relativamente agli
anni 1985-1986-1987-1988-1989-1990 e di quella per la definizione automatica
ai fini IVA ex art. 49 l. cit. per gli anni 1985-1986-1987 e 1988 il
professionista non avrebbe invece fornito alcuna prova della loro
predisposizione): a seguito di ciò l’Ufficio IVA di Mantova, in data
12-6-1993, aveva però notificato un provvedimento di rigetto dell’istanza di
definizione delle controversie pendenti essendo gli avvisi di accertamento
divenuti definitivi con conseguente decadenza degli effetti riconducibili
all’art. 44 l. 413/91 sia in termini di imposta accertata che di sanzioni
conseguenti all’illegittimo comportamento tributario. Avverso
tale decisione veniva proposto ricorso alla Commissione Tributaria di primo
grado che respingeva il ricorso con sentenza in data 7-7-1995 facendo proprie
le motivazioni dell’ufficio finanziario mentre nessuna notizia si aveva circa
l’esito dell’appello proposto avverso siffatta sentenza. A seguito
di tale negligente comportamento Rossi Maria asseriva di avere subito un
danno ingente atteso che gli erano state notificate le cartelle esattoriali
con avviso di mora rispettivamente n. 814584/91 per £ 8.060.278, n. 4.800.652
per £ 132.546.884 e n. 4.800.653 per £ 165.203.443 pari complessivamente a £
331.310.605 laddove, se avesse potuto usufruire del condono, avrebbe dovuto
sborsare la più ridotta somma di £ 82.412.000 con una differenza di £
248.898.605. L’attrice
affermava inoltre che, sempre in conseguenza della mancata impugnazione degli
avvisi di accertamento, essa era stata sottoposta a procedimento penale (che
non avrebbe subito ove avesse acceduto al condono tombale) conclusosi con
condanna alla pena di mesi tre di reclusione e £ 3.600.000 di multa
convertita in una multa pari a £ 5.850.000 interamente oblata, patendo in tal
modo un danno morale nonché alla propria immagine commerciale ed infine un
ulteriore pregiudizio economico per le spese di difesa legale (£ 10.000.000). L’istante
chiedeva infine la restituzione dell’importo di £ 6.732.000 corrispondente
agli onorari corrisposti al Verdi per l’attività espletata con gli esiti
sopra descritti. Il dott.
Rossi si costituiva in giudizio senza negare la ricostruzione dei fatti così
come narrata dall’attrice, limitandosi a contestare la congruità delle
somme pretese a titolo di risarcimento e chiedendo l’autorizzazione a
chiamare in giudizio la propria compagnia assicuratrice per la responsabilità
professionale. Disposta
la citazione del terzo a seguito di autorizzazione da parte del G.I., si
costituiva in giudizio la compagnia Lloyd Adriatico s.p.a. la quale negava
ogni responsabilità professionale del proprio assistito assumendo che
l’attrice si era resa responsabile di violazioni alla legge tributaria, che
non vi erano valide ragioni per poter ricorrere avverso gli avvisi di
accertamento e che, al momento dell’entrata in vigore della legge 413/91,
tali atti erano divenuti definitivi sicché non poteva imputarsi al
professionista di non avere previsto l’emanazione di una legislazione
premiale né vi era la prova che il professionista fosse stato incaricato di
proporre ricorsi anche nella consapevolezza della loro infondatezza. In via
subordinata la compagnia contestava la congruità delle somme richieste a
titolo di risarcimento ed affermava che, comunque, essa non poteva essere
tenuta a manlevare integralmente il convenuto dalla domanda attorea posto che
la polizza prevedeva un massimale, all’epoca dei fatti, di £ 168.000.000 per
ciascun sinistro. Disposta consulenza tecnica
d’ufficio la causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni delle
parti in epigrafe riportate. Motivi La
domanda è parzialmente fondata e va accolta nei limiti che seguono. In primo
luogo occorre evidenziare che gli avvisi di irrogazione di sanzioni n.
100268/91 e n. 100269/91, notificati entrambi il 13-9-1991, erano divenuti
definitivi prima dell’emanzione del c.d. condono fiscale introdotto con la
legge 30-12-1991 n. 413 e cioè il 15-11-1991 posto che il termine di
impugnativa ex art. 16 d.p.r. 636/72 era di sessanta giorni dalla notifica. Al
riguardo va detto che può ritenersi provata la circostanza che il dott. Verdi
fosse stato incaricato di assistere l’attrice nella vertenza con
l’amministrazione finanziaria riguardante gli avvisi di irrogazione di
sanzioni sopra menzionati come si desume dalla nota pro-forma (doc. 25 di parte
attrice) e dall’atteggiamento difensivo assunto nel presente procedimento,
pur non potendosi sottacere l’incongruenza della data figurante nell’atto di
incarico (28-1-1990) atteso che in esso si fa riferimento agli atti di
accertamento fiscale posti in essere nel corso del 1991: appare pertanto
probabile che la scrittura risalga al 1992 ma tale circostanza non assume
rilevanza poiché, comunque, con tale atto si confermava il mandato già
affidato in precedenza. Deve
peraltro escludersi la configurabilità di una responsabilità del
commercialista per la mancata impugnazione degli avvisi sopra menzionati
prospettata in considerazione del fatto che la possibilità di avvalersi delle
disposizioni contenute nella legge 431/91 avrebbe consentito alla Rossi una notevole
riduzione del debito tributario. Invero
gli atti di indagine compiuti dalla Guardia di Finanza, il
patteggiamento della pena nel procedimento penale scaturito dagli stessi
(implicante l’insussistenza di prove che l’imputata non avesse commesso i fatti
contestati), i motivi addotti a sostegno del ricorso poi dichiarato
inammissibile (diretti non ad affermare l’esistenza delle operazioni ritenute
inesistenti dalla G.d.F. bensì l’inapplicabilità delle sanzioni
amministrative a fatti cosituenti illecito penale) e l’inammissibilità della
prova testimoniale nel giudizio tributario, costituiscono elementi univoci
dai quali si desume che, nel momento in cui erano aperti i termini per
ricorrere, non vi erano ragioni per proporre impugnazione con un minimo di
fondatezza: di qui la irrilevanza delle prove testimoniali richieste da parte
attrice, già affermata nel corso dell’istruttoria. In
proposito occorre osservare che non può ravvisarsi alcuna responsabilità nel
comportamento del professionista il quale non coltivi una procedura che si
presenti come infondata (cfr. Cass. 14-9-2000 n. 12158) né risulta agli atti
che la cliente avesse dato mandato al commercialista di ricorrere in ogni
caso. Inoltre
l'affermazione della responsabilità
professionale per condotta omissiva e la determinazione del danno
in concreto subito dal cliente presuppongono l'accertamento del sicuro
fondamento dell'attività che il professionista avrebbe
dovuto compiere e, dunque, la certezza morale
che gli effetti di quella sua diversa attività ove svolta
sarebbero stati, con ragionevole probabilità, vantaggiosi
per il cliente (cfr. Cass. 5-6-1996 n. 5264): nel caso di specie non può
imputarsi al professionista di non avere previsto con anticipo l’avvento di
una legislazione premiale in quello specifico settore tributario. A diversa
conclusione si deve invece pervenire con riguardo alla possibilità per il
contribuente di usufruire del beneficio della continuazione dovendosi
rilevare che la fattispecie doveva ritenersi regolata dall’art. 8 della legge
7-1-1929 per quanto concerne le violazioni in materia di IVA e dall’art. 6
del d.l. 1-10-1982 n. 697 convertito con legge 29-11-1982 n. 887 (contenente
una disciplina speciale rispetto a quella di cui all’art. 8 della legge 7-1-1929
n. 4) quanto alle violazione in tema di bolle di accompagnamento, norme che
entrambe prevedono una riduzione nella determinazione della sanzione ove
ricorra la continuazione. Per
quanto riguarda la violazione in materia di IVA va osservato che l’ufficio
finanziario ha applicato per l’anno 1989 la sanzione di £ 3.600.000 (laddove
quella minima era pari a £ 3.548.832) e per l’anno 1990 quella, calcolata al
minimo, di £ 600.000: sul punto va però osservato che l’orientamento
giurisprudenziale prevalente esclude la possibilità di applicare l’istituto
della continuazione ove le violazioni si riferiscano a diversi periodi
di imposta (in tal senso vedasi Cass. 15-10-1997 n. 10102; Cass. 14-4-1997 n.
3194; C.T.C. 3-2-1992 n. 795; Cass. 22-6-1991 n. 7045; Cass. 25-6-1991 n.
7136) pur non potendosi sottacere l’esistenza di un orientamento difforme
(cfr. Cass. 15-1-1991 n. 307) ma va rammentato che, in caso di contrasti
giurisprudenziali, non si ritiene configurabile una responsabilità del
professionista (cfr. Cass. 18-11-1996 n. 10068; Cass. 4-12-1990 n. 11612)
sicché con riguardo alle sanzioni in materia di IVA nessun addebito può
muoversi al dott. Verdi. Quanto
invece alle violazioni concernenti le bolle di accompagnamento va osservato
che il comma secondo dell’art. 6 d.l. 697/82 prevede che, nel caso di più
violazioni di ciascuna delle disposizioni richiamate nelle lettere di cui al
precedente comma, commesse anche in tempi diversi in esecuzione della
medesima risoluzione, la sanzione può essere applicata, tenuto conto delle
circostanze dei fatti e della personalità dell’autore delle violazioni, in
misura corrispondente ad un terzo del massimo stabilito dalla legge per una
sola violazione aumentata del quindici per cento per ogni violazione
successiva alla prima. Orbene
deve ritenersi, in difformità di quanto risultante dalla relazione tecnica
(che si richiama ad indirizzi degli uffici finanziari ed opinioni dottrinali
non certo vincolanti per il giudicante), che la continuazione sarebbe stata
con certezza riconosciuta in considerazione dell’unitaria finalità
perseguita, dell’arco temporale di commissione dei fatti, della lieve entità
del danno erariale riconosciuto dallo stesso ufficio finanziario (ammontante
complessivamente per i due anni a £ 10.854.576 di IVA indebitamente detratta)
nonché della mancanza di precedenti in capo alla Rossi, evidenziandosi
altresì che la continuazione venne poi riconosciuta in sede penale. Alla
stregua di quanto sopra esposto va detto che, applicando la continuazione,
alla contribuente sarebbe stata inflitta la pena pecuniaria di £ 20.833.160
(un terzo della pena massima pari a £ 10.000.000 aumentata del 15% per ogni
violazione successiva) in luogo di quella di £ 158.760.000 invece irrogata
con una differenza di £ 137.926.840, danno di cui pertanto il professionista
deve rispondere, essendosi reso responsabile di una grave violazione dei
propri doveri, stante l’alta probabilità che la situazione lamentata avrebbe
subito, per la cliente, una diversa e più favorevole evoluzione con l’uso
dell’ordinaria diligenza, non implicando la prospettazione dell’applicabilità
dell’istituto in questione la risoluzione di problemi di speciale difficoltà
e dovendo l’entità delle sanzioni irrogate indurre il commercialista ad
esperire ogni rimedio ragionevolmente percorribile per ridurne l’impatto
(cfr. Cass. 26-2-2002 n. 2836; Cass. 13-12-2001 n. 15759; Cass. 5-6-1996 n.
5264). A tale
importo deve aggiungersi quello di £ 6.732.00 pagato dalla Rossi per le
inadeguate prestazioni professionali effettuate dal commercialista mentre
nessun rimborso può essere riconosciuto a titolo di danno per la condanna
penale e per le spese affrontate per la difesa non essendovi connessione
causale con l’inadempimento contrattuale del dott. Verdi. In totale
il convenuto va quindi condannato a pagare all’attrice l’importo di £
144.658.840 pari ad euro 74.710,06 oltre ad interessi legali dalla domanda
sino al saldo definitivo in conformità della richiesta. Risolta
nel senso sopra indicato la questione concernente la responsabilità, in
ordine al rapporto di garanzia va osservato che la compagnia assicuratrice si
è limitata ad invocare le condizioni di polizza riguardanti i limiti entro
cui la stessa è chiamata a tenere indenne il professionista dalla richiesta
risarcitoria. Premesso che il massimale era di £ 168.000.000 ridotto però ad
un terzo nell’ipotesi di sanzioni fiscali e con una franchigia del 10%, ne
deriva che la compagnia deve ritenersi tenuta a manlevare il dott. Verdi nei
limiti di £ 50.400.000 pari ad euro 26.029,43. La reciproca parziale
soccombenza giustifica la compensazione delle spese di lite, liquidate come
da dispositivo, nella misura della metà nei rapporti fra l’attrice ed il
convenuto sussistendo per contro giusti motivi, anche in considerazione del
comportamento processuale reciprocamente tenuto, per disporne l’integrale
compensazione nei rapporti fra il convenuto ed il terzo chiamato. P.Q.M. il
Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, definitivamente
pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione reietta, così provvede: condanna
il convenuto a pagare all’attrice la somma di euro 74.710,06 oltre agli
interessi legali dalla data della domanda sino al saldo definitivo; condanna
la compagnia Lloyd Adriatico s.p.a. a tenere manlevato il dott. Verdi Paolo
delle somme che lo stesso, in conseguenza del presente giudizio, dovrà
versare all’attrice, entro il limite di euro 26.029,43; condanna
il convenuto a rifondere all'attrice le spese di lite compensandole per la
metà e, per l’effetto, liquidandole in complessivi euro 6.065,81 di cui €
1565,36 per spese, € 1.750,45 per diritti ed € 2.750,00 per onorari, oltre al
rimborso forfetario delle spese ex art. 15 T.P., ed oltre ad I.V.A. e C.P.A.
come per legge; compensa integralmente le spese
di lite fra il convenuto e la compagnia assicuratrice. |