Contratto
di gestione patrimoniale - Insussistenza - Semplice contratto di deposito
titoli ed esecuzione di ordini di negoziazione impartiti dal cliente - Ordine
verbale di borsa - Validità - Informazioni sui rischi dell'investimento -
Scelta del profilo di rischio - Adeguatezza - Capacità a testimoniare dei
dipendenti della banca - Sussistenza. Tribunale di Mantova – 16
novembre 2002 - Sentenza del Giudice Unico Dott. M. Bernardi. Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato in data 5-5-1999
gli attori affermavano che, nel dicembre del 1993, avevano aperto un conto corrente
presso la B.A.M. depositandovi la somma di £ 100.000.000 e che, nell’aprile
del 1994, dopo alcuni colloqui con funzionari addetti all’ufficio titoli,
avevano affidato tali loro risparmi all’istituto bancario affinché fossero
utilmente impiegati. Poiché,
circa un anno dopo, il capitale iniziale si era dimezzato, gli istanti
assumevano di avere chiuso il conto e chiedevano di essere risarciti dei
danni patiti asserendo che la banca, di fatto, aveva autonomamente gestito il
patrimonio senza che fosse stato stipulato un contratto di gestione del
patrimonio e senza avere mai autorizzato volta per volta le singole
operazioni, del cui rischio non sarebbero stati resi edotti. La B.A.M.
si costituiva chiedendo il rigetto della domanda sostenendo che gli attori
avevano sottoscritto il contratto di conto corrente di corrispondenza (n.
30658/2), quello di deposito titoli (n. 165049) ed il contratto di mandato
relativo all’incarico di negoziazione di valori mobiliari e che non aveva
svolto attività di gestione patrimoniale essendosi limitata ad eseguire gli
ordini telefonici impartiti inviando immediatamente conferma dell’operazione
nonché l’estratto mensile delle operazioni sui titoli e gli estratti del
conto corrente di corrispondenza collegato al contratto di deposito titoli. Sentiti
alcuni testi ed ordinata la produzione integrale degli estratti del conto, la
causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti in
epigrafe riportate. Motivi La
domanda è infondata e deve essere rigettata. In primo
luogo occorre ribadire che non vi sono ragioni per dare ingresso alle istanze
istruttorie orali già disattese in corso di istruzione e reiterate da
entrambe le parti in sede di precisazione delle conclusioni, non avendo gli
attori mai indicato i testi da sentire ed apparendo irrilevanti e superflui i
capitoli di prova articolati dalla B.A.M. ed a suo tempo non ammessi. Va poi respinta l’eccezione di incapacità dei testi Tizio
e Caio, dipendenti della banca, tempestivamente eccepita ex art. 246
c.p.c. dalla difesa degli attori. Invero secondo la giurisprudenza di legittimità non
importa incapacità a testimoniare per i dipendenti di una banca la
circostanza che questa, evocata in giudizio da un cliente, potrebbe
convenirli in garanzia nello stesso giudizio per essere responsabili
dell’operazione che ha dato origine alla controversia: le due cause infatti
si fondono su rapporti diversi e i dipendenti hanno un interesse solo
riflesso a una determinata soluzione della causa principale che non li
legittima a partecipare al giudizio promosso dal cliente, in quanto l’esito
di questo, di per sé, non è idoneo ad arrecare ad essi alcun pregiudizio (in
tali termini vedasi Cass. 4-3-1993 n. 2641; Cass. 28-1-1983 n. 771; Cass.
27-1-1979 n. 623): le loro dichiarazioni sono quindi pienamente utilizzabili
salva la valutazione della loro attendibilità. Quanto
alla prospettata nullità del contratto di gestione patrimoniale ex art. 8 l.
1/1991 fondata sulla considerazione secondo cui la banca avrebbe investito le
somme affidate dai clienti, al di fuori di ogni loro controllo, occorre
osservare che tale asserzione non ha trovato alcun sostegno probatorio. Da un
lato infatti è pacifica e non contestata la sottoscrizione da parte degli
attori dei contratti di deposito titoli e di mandato per la negoziazione di
valori mobiliari che hanno una tipicità distinta dal contratto di gestione
patrimoniale (cfr. rispettivamente gli artt. 1 lett. a) e 6 co. I lett. c)
della legge 1/91 e gli artt. 1 lett. c) e 8 l. n. 1/91) e, d’altro canto, non
risulta provato che gli investimenti fossero avvenuti per unilaterale
iniziativa dei funzionari di banca. Vengono a tal fine in considerazione le
dichiarazioni, peraltro coincidenti, rese dai testi Tizio e Sempronio circa
il fatto di avere di volta in volta eseguito gli ordini impartiti
telefonicamente dal dott. Rossi (tutti singolarmente documentati e poi
annotati negli estratti), la circostanza che, durante il non breve arco
temporale di tale presunta abusiva gestione (da dicembre 1993 a dicembre
1994), mai gli istanti abbiano mosso alcuna contestazione all’operato della
banca (peraltro concretizzatasi quasi cinque anni dopo; cfr. Cass. 12-8-1997
n. 7517; Cass. 27-9-1995 n. 10236) apparendo per contro significativa
l’ammissione, contenuta nell’atto introduttivo, secondo cui essi sarebbero
stati (sia pure solo qualche volta) notiziati delle operazioni. Ancora
non può andare sottaciuto che tutti i testi escussi hanno confermato che la
banca inviava automaticamente a tutti i clienti, tramite il servizio di posta
ordinaria, sia l’invio di note informative relative alle singole operazioni
di borsa, sia, mensilmente, l’estratto conto movimentazione titoli (l’art. 14
del contratto 14-12-1993 prevedeva inoltre che la documentazione delle
operazioni eseguite si intendeva tacitamente approvata dal cliente in
mancanza di reclamo scritto motivato da trasmettersi alla banca entro 45
giorni dalla data di spedizione della documentazione) e che, sia pure solo un
paio di volte, il Rossi si era recato presso il “borsino”: né può ritenersi
verosimile che, durante il periodo in questione, gli istanti non si siano mai
interessati dell’andamento dei loro investimenti avuto riguardo al numero
degli ordini impartiti (64) ed all’entità delle somme liquide depositate. In
proposito va anche osservato che il dubbio avanzato circa il fatto che Tizio
conoscesse effettivamente il dott. Rossi e fondato sulla descrizione del
cliente effettuata dal funzionario (concernente in particolare la tinta dei
capelli) non è fondato stante l’oggettiva labilità di siffatta circostanza,
il tempo trascorso dal momento dei fatti ed il sicuro riconoscimento del
cliente da parte dell’altro impiegato escusso che ha poi confermato che la
gran parte degli ordini veniva personalmente data dal Rossi proprio a
Tizio. A fronte
di tali elementi non può quindi ritenersi che le mere affermazioni degli
attori unitamente al fatto materiale dell’esecuzione degli ordini di borsa
possano costituire prova dell’abusivo comportamento da parte dei funzionari
della banca. Non può
poi condividersi la tesi della nullità dei singoli ordini di borsa, sostenuta
dalla difesa attorea alla stregua della considerazione secondo cui, essendo
stati impartiti telefonicamente, sarebbe stata violata la norma che prescrive
la forma scritta per i contratti concernenti la negoziazione in valori
mobiliari. In primo
luogo occorre infatti distinguere fra il contratto contenente il conferimento
dell’incarico di negoziare in titoli mobiliari (per cui è imposta la forma
scritta, rispettata nel caso di specie per effetto della sottoscrizione
dell’atto datato 14-12-1993: cfr. art. 6 co. I lett. c) l. 1/91, art. 3 l.
17-2-1992 n. 154 ed art. 9 della deliberazione Consob 2-7-1991 n. 5387) e
l’atto di esecuzione quale è l’ordine di vendita o di acquisto per il quale
la legge non imponeva una forma specifica come si desume dal combinato
disposto di cui agli artt. 6 e 9 co. III l. 1/91 (sulla validità dell’ordine
di borsa conferito verbalmente v. Trib. Milano 6-2-1997 in Giur. Comm.
,1998,II,259). Deve poi rilevarsi che, alla stregua della disciplina
regolamentare in vigore al momento dei fatti per cui è causa, adottata in
attuazione degli artt. 2 e 9 della l. 1/91 (v. delibere Consob 2-7-1991 n.
5387 e 9-12-1994 n. 8850), era espressamente prevista la possibilità di
impartire ordini anche verbalmente (cfr. art. 9 del. 5387/91 e art. 19 del.
8850/94) - ovviamente sul presupposto della preesistenza di un contratto
scritto per la negoziazione di valori mobiliari - e, d’altro canto, lo stesso
atto sottoscritto dagli attori (il cui art. 1 stabiliva inoltre che, nel caso
di ordini impartiti telefonicamente, ne faceva piena prova la relativa
annotazione sui registri della banca) prevedeva siffatta modalità (sulla
validità di una siffatta clausola v. Corte App. Milano 6-8-1999 in Banca
Borsa Titoli di Credito, 2001,II,415). Va ulteriormente notato che, anche
alla stregua della normativa attualmente vigente a seguito della introduzione
del d. lgs. 24-2-1998 n. 58, è espressamente prevista la possibilità di impartire
ordini di borsa tramite comunicazione telefonica anche se con la maggiore
garanzia (non prevista al momento dei fatti oggetto del giudizio) costituita
dalla necessità di registrazione dell’ordine su nastro magnetico o altro
supporto equivalente (cfr. artt. 29 e 60 delibera Consob 1-7-1998 n. 11522)
né, a quel tempo, era prevista la necessità di un particolare codice di
accesso per il cliente, peraltro personalmente conosciuto dai dipendenti
della B.A.M. interessati alla vicenda. Non può
neppure trovare accoglimento la domanda risarcitoria fondata, in fatto,
sull’assunto secondo cui gli attori non sarebbero stati adeguatamente
informati dei rischi connessi agli investimenti operati e, in diritto, sul
combinato disposto di cui agli artt. 16, 6 lett. e) ed f) e 13 della legge
2-1-1991 n. 1, norme che impongono alle banche di informare i clienti sulla
natura ed i rischi delle operazioni con la previsione che, nei giudizi di
risarcimento dei danni derivanti dallo svolgimento delle attività di cui all’art.
1 l. 1/91, in violazione della normativa legislativa e regolamentare, spetta
al soggetto convenuto l’onere della prova di avere agito con la diligenza del
mandatario. Premesso che, per quanto sopra evidenziato non sono
emerse violazioni della vigente normativa da parte degli addetti
dell’istituto, si deve rilevare che, dalla nota sulla situazione finanziaria
del Rossi del 14-12-1994 (redatta ex art. 6 lett. d) l. 1/91), risulta che
costui disponeva già di un patrimonio in valori mobiliari diversi dai titoli
di stato pari a £ 100.000.000. Siffatta circostanza innanzitutto fa presumere
che l’attore (il quale solo impartiva gli ordini) non fosse del tutto ignaro
del funzionamento del mercato dei titoli e, dall’altro, non consente di
determinare in relazione a quali delle operazioni, in ipotesi effettuate nel
periodo in discussione dalla banca, si sarebbero verificate delle perdite: le
deduzioni degli istanti sul punto sono infatti del tutto generiche in quanto
fanno riferimento al deludente risultato complessivo senza indicare le
singole partite per le quali la banca avrebbe omesso di fornire adeguate
informazioni. Ancora
va notato che gli ordini relativi al periodo in contestazione hanno
riguardato solo operazioni concernenti valori mobiliari quotati nei mercati
regolamentati in relazione ai quali, anche tenuto conto della pregressa
consistenza patrimoniale del Rossi, non sembra potesse configurarsi un
particolare obbligo di informazione da parte dei funzionari di banca la cui
estensione non può che essere rapportata alle caratteristiche soggettive
dell’investitore. In
particolare per gli investimenti in warrant (in ordine cronologico: acquisto
di w. Marelli Risp. per complessive £ 600.000, vendita di w. Montedison per £
13.140.000; acquisto di w. Montedison per £ 6.540.000; vendita di w. Banca di
Roma per £ 3.440.000), va osservato che si tratta di episodiche operazioni
non di importo particolarmente elevato rispetto alle altre, che la loro
sequenza fa presumere che alcuni di tali titoli fossero già in precedenza dal
medesimo detenuti e soprattutto che manca la prova che, per effetto delle
stesse, si sia verificata una perdita patrimoniale: d’altro canto l’atto sottoscritto dagli attori conteneva
l’avvertimento che, con riguardo agli ordini di compravendita di contratti a
termine su strumenti finanziari collegati a valori mobiliari ed altro, il
valore di mercato di tali contratti è soggetto a notevoli variazioni e che
l’investimento sugli stessi comporta l’assunzione di un elevato rischio di
perdite di dimensioni anche eccedenti l’esborso originario e comunque non
quantificabili (v. art. 8). Le spese
seguono la soccombenza e sono regolate come da dispositivo. P.Q.M. il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica,
definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione reietta così
provvede: respinge
la domanda attorea; condanna gli attori a rifondere
alla banca convenuta le spese di lite liquidate in complessivi euro 4.904,35 di
cui € 207,61 per spese, € 1.006,74 per diritti ed € 3.690,00 per onorari
oltre al rimborso forfetario delle spese ex art. 15 T.P., IVA e CPA come per
legge. |