Presenza di
nodulo attribuito a lipoma - Errata diagnosi della neoformazione - Esistenza
di carcinoma mammario - Comportamento colposo del sanitario caratterizzato da
negligenza e imprudenza - Sussistenza - Nesso di causalità tra la
mancata diagnosi della neoplasia ed il successivo aggravamento -
Insussistenza. Tribunale di Mantova, Sez. II –
Giudice unico Dott. Laura De Simone - Sentenza del giorno 16 gennaio 2004. La massima: Non
sussiste la responsabilità del medico colpevole di aver tenuto un
comportamento negligente ed imprudente qualora possa ragionevolmente
affermarsi che la malattia ed il decesso del paziente non siano la
conseguenza di detto comportamento colposo. Nel caso di specie è stato infatti
accertato che, con un elevato grado di probabilità, la condotta omessa non
sarebbe stata in grado di modificare ed impedire l'exitus della paziente. Il
testo integrale: SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO Rossi T., con atto di citazione notificato il 9.5.1996, conveniva in
giudizio l’Azienda Territoriale n. di __ e il dott. A. C., al fine di
sentirli condannare al risarcimento dei danni alla stessa derivati per le
conseguenze riportate in esito ad un intervento chirurgico
ambulatoriale effettuato il 30.3.1992. L’attrice
esponeva di essersi recata nell’ambulatorio del dott. C., presso il presidio
ospedaliero n. di __, a causa di un nodulo formatosi nella regione pettorale
destra, ove il chirurgo aveva provveduto ad asportare il corpo estraneo senza
tuttavia farlo analizzare, affermando trattatavasi di “lipoma”. Dopo un mese
e mezzo dall’intervento l’attrice riferiva al dott.C. i medesimi sintomi
precedenti e la formazione di un ulteriore nodulo nella stessa sede. Il
medico non dava rilevanza alla cosa ed invitava la paziente a tornare dopo
cinque-sei mesi. La Rossi, tuttavia, per l’insistenza dei disturbi, si
risolveva a recarsi presso l’Ospedale di __, dove una corretta analisi
evidenziava la presenza di un nodulo di natura maligna. Nonostante le
successive cure, in pochi mesi la neoplasia si diramava a livello polmonare,
femorale e cerebrale. Concludeva
l’attrice rilevando che il comportamento del medico, per aver omesso gli
opportuni esami clinici ed istologici, doveva ritenersi caratterizzato da
negligenza ed imprudenza, ed era stato causa delle gravissime lesioni di cui
la Rossi era portatrice, per cui chiedeva la condanna dei convenuti al
risarcimento dei danni materiali e morali subiti.
Si costituiva in giudizio il dott. A. C., insistendo per il
rigetto della domanda proposta, eccependo l’insussistenza di un comportamento
colposo del sanitario, avendo egli effettivamente asportato alla Rossi un
lipoma sottocutaneo, e comunque non sussistendo un nesso di causalità tra la
mancanza imputata al dott. C. e l’instaurarsi o l’aggravarsi del quadro
clinico dell’attrice, atteso che una diagnosi precoce sarebbe stata comunque
ininfluente relativamente al prosieguo della malattia. Per queste ragioni
anche il procedimento penale connesso era stato archiviato. Si costituiva in giudizio l’Azienda USSL Ambito territoriale n. __
eccependo che l’unica negligenza imputabile al dott. C. era stata quella di
non aver sottoposto ad esame istologico il tessuto asportato alla Rossi il
30.3.1992, ma ciò non aveva comportato aggravamento della malattia per cui la
domanda proposta doveva essere rigettata. Chiamate in manleva su istanza del chirurgo convenuto, si
costituivano in giudizio le compagnia di assicurazione Lloyd Nazionale
Italiano S.p.A. in l.c.a. ed Assimoco S.p.A.. La prima eccepiva l’improponibilità della domanda e l’incompetenza
del giudice adito per essere l’assicurazione sottoposta a procedura di
liquidazione coatta amministrativa che consentiva l’accertamento dei credito
solo ex art.209 L.F., avanti al Tribunale di Milano. L’ Assimoco S.p.A. viceversa eccepiva la prescrizione del diritto
dell’assicurato ex art.2952 c.c. essendo intervenuta la denuncia ben oltre un
anno dal sinistro, e comunque l’insussistenza della garanzia assicurativa
decorrendo la polizza solo a far tempo dal 6.11.1996 ed essendo il fatto di
causa riferito ad un intervento ambulatoriale avvenuto il 30.3.1992, nonché
l’annullamento del contratto per reticenza dell’assicurato non avendo
dichiarato al momento della stipula la sussistenza di un’altra polizza e di
indagini penali ex art.590 c.p.. Concludeva quindi l’Assimoco S.p.A. per il
rigetto della domanda di manleva ed in via riconvenzionale per la condanna
del dott. C. ex art.96 c.p.c..
Si costituiva altresì in giudizio la Commercial Union Italia S.p.A.,
chiamata in garanzia dall’USSL n., eccependo preliminarmente l’inoperatività
della garanzia relativamente all’evento per cui è causa, essendo la
polizza stata stipulata per i rischi connessi alla responsabilità extra
contrattuale derivante da danni involontari cagionati a terzi e non già alla
responsabilità professionale dei sanitari, e confermando nel merito la tesi
esposta dall’Ente ospedaliero. All’udienza del 12.5.1998 si costituivano, a seguito del decesso in
data 12.9.1997 di Rossi T., S. G., per sé e per la minore S. S., S. V. e S.
M., quali successori di Rossi T. ex art.110 c.p.c. e spiegando altresì
intervento volontario onde far valere iure proprio, nei confronti di entrambi
i convenuti, il proprio diritto al risarcimento dei danni conseguiti
all’inabilità ed al decesso della congiunta Rossi T.. Con comparsa del 30.3.1999 gli Istituti Ospedalieri di si
costituivano in giudizio in successione dell’USSL __ dichiarando di averne
assunto la gestione liquidatoria e riconfermandosi nel merito delle difese. Il procedimento veniva istruito mediante l’espletamento di una
consulenza medico-legale. Interrotto il processo all’udienza del 20.3.2001 per intervenuto
decesso dell’avv. __, lo stesso veniva ritualmente riassunto nei confronti di
tutte le parti. Sulle conclusioni come sopra riportate, la causa veniva trattenuta
per la decisione all’udienza del 30.9.2003, in cui era concesso alle parti il
termine di giorni sessanta per il deposito di comparse conclusionali e di
successivi venti per il deposito di note di replica. MOTIVI
DELLA DECISIONE L’esame del comportamento tenuto dal dott. A. C. con
riferimento all’intervento eseguito il 30.3.1992 deve essere eseguito
partendo dalle risultanze della consulenza medico legale esperita nel corso
del giudizio, valutata nel confronto con la pluralità delle consulenze di
parte in atti e con la consulenza svolta in sede di indagini
preliminari dal Pubblico Ministero. Tutti i consulenti concordano in ordine al fatto che la neoplasia
mammaria diagnosticata nell’ottobre del 1992 fosse presente al momento della
diagnosi del sospetto lipoma del 30.3.1992. Ciò su cui i vari periti divergono è la natura del nodulo asportato
dal dott. C. e quindi sulla correttezza della diagnosi dallo stesso
effettuata. Orbene, ritiene il giudicante che non essendo stato compiuto dal
chirurgo l’esame istologico della neoformazione, le tesi prospettate
esauriscano le possibili ipotesi che possono essersi verificate nella
fattispecie che si esamina, senza che con certezza assoluta sia possibile
preferirne una ed escludere l'altra. Due sono le prospettazioni: a) il nodulo asportato era un carcinoma mammario. Sia il CTU
nominato nel presente procedimento (pag.16-17 elaborato prof. C./prof. M.)
che il consulente del Pubblico Ministero nel procedimento penale (pag.34-38
elaborato prof. F./prof. B.) affermano che il dott. C. ha errato nella
diagnosi dell’esatta natura della neoformazione, ritenendo che la massa
asportata fosse attribuibile a lipoma e non già a carcinoma mammario come al
contrario doveva essere, e questo per una pluralità di motivi: 1) scarsa
probabilità di successione di eventi patologici caratterizzata prima dalla
comparsa di una neoformazione di natura benigna, quale un lipoma, seguita da
una neoplasia maligna nella stessa sede; 2) perfetta coincidenza di sede; 3)
continuità delle manifestazioni sintomatologiche; 4) improbabilità che il
carcinoma fosse occulto e non palpabile attesa la notevolissima aggressività
biologica di seguito evidenziata; 5) irrilevanza del fatto che la recidiva di
seguito asportata nell’ottobre del 1992 fosse circondata da tessuto sano,
atteso che la recidiva probabilmente si era formata sulla base di residui
microscopici di neoplasia per cui aveva assunto le caratteristiche di massa
infiltrante di una certa dimensione con margini di resezione indenni, come se
si trattasse di un tumore primitivo; 6) irrilevanza del fatto che nella massa
successivamente asportata fossero assenti residui cicatriziali riferibili
alla recidiva, potendo la presenza di questi dipendere dal tempo trascorso,
dall’orientamento del pezzo asportato, dalla distanza dalla precedente
cicatrice del residuo microscopico che aveva dato origine alla recidiva
locale. b) il nodulo asportato era un lipoma. Secondo questa tesi il
dott. C. ha effettivamente asportato un lipoma ed il nodulo tumorale,
quand’anche già presente, non ha potuto essere individuato nell’esame clinico
con palpazione attesa l’esiguità delle sue dimensioni. A favore di questa
tesi sono portati i seguenti argomenti: 1) le peculiari caratteristiche
morfologiche del lipoma lo rendono facilmente riconoscibile per cui è poco
plausibile che un chirurgo erri nell’individuazione della natura della
formazione asportata; 2) non vi sono ragioni per escludere che le due
malattie, il lipoma ed il carcinoma mammario, si siano manifestate nello
stesso arco temporale e nella stessa sede; 3) le dimensioni del nodulo
tumorale asportato il 30.9.1992 (1.9 cm), valutati i tempi di accrescimento
delle neoplasie, e la particolare aggressività biologica del carcinoma
successivamente riscontrato, consentono di ritenere che nel marzo del 1992 la
patologia fosse inferiore a 1 cm e pertanto ai limiti dell’apprezzabilità
clinica; 4) se il tumore fosse stato asportato completamente dal dott.
C. nel mese di marzo è poco probabile che dopo soli tre mesi (giungo 1992)
fosse apprezzabile palpatoriamente una recidiva locale; 5) non è plausibile
che il dott. C. abbia asportato una massa tumorale, non presentando il nodulo
asportato nel settembre 1992 le caratteristiche della recidiva, trattandosi
di massa singola anatomicamente localizzata in altra sede, seppure in
vicinanza, rispetto alla pregressa incisione chirurgica; 6) inoltre l’esame
istologico del settembre del 1992 non ha consentito di rilevare la presenza di
tessuto cicatriziale e la presenza di un “margine” non libero del tessuto
tumorale, e ciò consente di ritenere che la massa tumorale sia stata
asportata, in toto, per la prima volta nel settembre del 1992. E' evidente che se nella prima ipotesi potrebbe rinvenirsi una
responsabilità professionale del chirurgo per errata diagnosi, nel secondo
caso nessun addebito potrebbe essere mosso al dott. C., avendo egli
correttamente individuato la natura della massa asportata e non essendo
esigibile da parte del medico la previsione dell’esistenza di un’ulteriore
neoformazione nella stessa sede, peraltro non riscontrata né ancora
riscontrabile clinicamente con certezza. In realtà, come già osservato, sulla scorta delle consulenze in atti
non è consentito al giudicante propendere per l’una o l’altra prospettazione,
ma va ritenuto che nel concreto la circostanza assuma scarso rilievo, in
considerazione del fatto che la mancata esecuzione da parte del medico di
accertamenti diretti a dimostrare la natura della massa asportata nel marzo
del 1992, valutata congiuntamente alla mancata predisposizione di
ulteriori accertamenti diagnostici anche in occasione della visita del
29.6.1992 nonostante il riscontro di una nuova formazione nodulare,
consentono di individuare comunque un comportamento gravemente colposo del
sanitario, caratterizzato in particolare da negligenza e imprudenza. Le
prestazioni rese dal chirurgo e l’intervento ambulatoriale effettuato non
presentavano particolari difficoltà tecniche, ma unicamente problemi ed
eventuali dubbi diagnostici che avrebbero potuto essere agevolmente risolti
con l’esecuzione dell’esame istologico. Osservano, sul punto, i CTU prof. C.
e prof. M. (pag.18 dell’elaborato), nonchè i consulenti del P.M. prof. F. e
prof. B. (pag.41-42), che l’esame istologico della neoformazione asportata in
sede chirurgica, ed interpretata solo clinicamente, anche all’epoca
costituiva consuetudine professionalmente consolidata e sistematicamente
eseguita alla quale il dott. C. avrebbe dovuto conformarsi. A causa della colposa mancata esecuzione dell’esame istologico il
chirurgo ha assunto su di sé il rischio di una diagnosi clinica non corretta
e pertanto dovrebbe essere chiamato a rispondere delle conseguenze in concreto
derivate dalla tardività della diagnosi, eseguita in maniera appropriata solo
nell’ottobre del 1992. Nel caso di specie, tuttavia, i consulenti tecnici d’ufficio, con
motivazione adeguata e condivisibile, hanno concluso affermando che il
ritardo di diagnosi di sei mesi, imputabile al dott. C. non ha inciso sul
decorso della malattia e sul suo epilogo finale. Essi derivano queste
conclusioni dalle caratteristiche peculiari del carcinoma mammario, malattia
ad “elevato livello di predeterminazione biologica all’epoca della diagnosi”
sulla base della “concezione delle cosiddette micrometastasi”. Rilevano i
consulenti che “il carcinoma mammario, qualora appaia come apparentemente
localizzato e chirurgicamente resecabile all’epoca della diagnosi, ma che manifesti,
dopo un intervallo libero più o meno lungo, una ripresa metastatica a
distanza, avesse già inizialmente tale disseminazione a livello occulto,
disseminazione che si rende clinicamente manifesta in seguito, allorché la
crescita tumorale abbia trasformato le micrometastasi in macrometastasi
clinicamente apprezzabili”. Per questa ragione “…trattamenti locali,
variabili per estensione dell’intervento chirurgico (da una mastectomia
radicale o super-radicale, ad una quadrantectomia, o addirittura ad una
tumorectomia) e /o per una sua associazione o meno ad una radioterapia, si
accompagnano a percentuali diverse di recidive loco-regionali (più elevate
per gli interventi chirurgici più conservativi e/o non accompagnati da
trattamento radiante), ma non modificano o modificano molto meno la
probabilità di malattia di dare metastasi a distanza e soprattutto non
modificano o modificano molto meno la sopravvivenza….. Al contrario,
l’applicazione di terapie sistemiche subito dopo l’intervento chirurgico
(chemioterapia e endocrinoterapia adiuvante), perché potenzialmente in grado
di eliminare le micrometastasi, sono in grado di determinare significative
riduzioni delle riprese di malattia a distanza e di ridurre la mortalità”
(pag.20-21 dell’elaborato); “….applicando un trattamento locale adeguato
fin dall’inizio (quadrantectomia e svuotamento ascellare, seguita da
radioterapia), non seguito da alcun trattamento adiuvante sistemico, si
sarebbe potuta evitare la recidiva locale, ma si sarebbe comunque verificata
una ripresa disseminata della malattia e questa avrebbe comunque portato
all’exitus la sig.ra T. Rossi”. In maniera analoga si sono espressi i consulenti del Pubblico
Ministero: “Gli elementi di giudizio allo stato disponibili non consentono di
affermare che la mancata tempestiva diagnosi conseguente al mancato esame
istologico da parte del dr. C. abbia di per se stessa comportato un
aggravamento della malattia neoplastica sin da allora coesistente nella sede
e successivamente accertata: allo stato degli elementi di giudizio di cui
disponiamo, infatti, l’accrescimento volumetrico del nodulo neoplastico
verosimilmente verificatosi nel lasso di tempo intercorso non risulta aver
modificato le possibilità terapeutiche, ed indirettamente, quelle
prognostiche della malattia tumorale (pag.47 elaborato prof. F./ prof.
B.). Non può tacersi che la consulenza di parte attrice si sofferma su
altro tipo di valutazioni conclusive ed evidenzia come il rischio “quoad
vitam” rappresentato da un neoplasia mammaria sia tanto maggiore quanto
maggiori sono le dimensioni della stessa al momento della diagnosi e del
trattamento, con la conseguenza che il ritardo diagnostico determinato dal
comportamento colposo del dott. C. avrebbe in concreto consentito alla
neoplasia un considerevole aumento volumetrico, accentuando il rischio di non
sopravvivenza della paziente. Rileva il giudicante che se l’osservazione è sicuramente di pregio,
nel caso di specie non introduce elementi di segno contrario alle risultanze
della perizia d’ufficio, posto che come affermato dai CTU, attesa la
peculiarità della malattia, non risulta essere stata adottata né nel marzo
del 1992, né nell’ottobre dello stesso anno, la strategia terapeutica più
appropriata, e cioè una terapia sistemica adiuvante, solo in presenza della
quale si sarebbe ridotto del 25-30% il rischio di ripresa metastatica e di
exitus (pag.26 e 27 dell’elaborato). Alla luce delle considerazioni tecniche svolte non può
giuridicamente affermarsi che la malattia ed il decesso di Rossi T. siano
imputabili al comportamento colposo riscontrato in capo al dott. C., e questo
per il fatto che, quand’anche egli avesse tenuto il comportamento doveroso
individuato (eseguendo una diagnosi corretta nel marzo del 1992), deve
ritenersi, con un elevato grado di probabilità, che la condotta
omessa non sarebbe stata capace, nel caso concreto, di modificare
il corso degli eventi ed impedire l’exitus della paziente (in tal senso:
Cass.pen.S.U.11.9.2002 n.30328, Cass. Pen. n.7151
11/01/1999 - 07/06/1999; C.App.Torino 10.2.1997). Le considerazioni che precedono importano il rigetto delle domande
attrici e rendono superfluo l'esame delle domande di manleva svolte dai
convenuti. Quanto alla domanda riconvenzionale proposta dall'Assimoco S.p.A. nei
confronti del dott. C., di annullamento del contratto assicurativo per
reticenza dell'assicurato la medesima deve essere rigettata non risultando
provato che il chirurgo all'atto della stipula avesse reso con dolo o colpa
grave dichiarazioni inesatte o reticenze, risultando documentato che
all'epoca della stipulazione della polizza l'assicurazione con il Lloyd
Nazionale Italiano S.p.A. non era più operativa per intervenuta liquidazione
coatta dell'impresa di assicurazione, ed il procedimento penale promosso da
Rossi T. non era ancora stato inziato essendo la querela promossa dalla Rossi
datata 19.11.1992. Appare di giustizia porre il 50% delle spese di lite sostenute dai
convenuti, liquidate per l'intero in dispositivo, a carico degli attori,
compensandole per il rimanente 50%. Si ritiene viceversa che debbano essere poste a carico del
dott. C. le spese sostenute dall'Assimoco S.p.A., liquidate come in
dispositivo, trattandosi di chiamata in causa non giustificata dalle domande
attrice, risultando documentalmente provato che la copertura assicurativa ha
iniziato a decorrere solo dal 6.11.1992 e quindi successivamente alla
condotta colposa contestata al chirurgo, individuata - per le motivazioni
sopra riportate - nella mancata esecuzione dell'esame istologico sulla massa
asportata in occasione dell'intervento del 30.3.1992. Sempre a carico del dott. C. devono essere poste le spese di lite,
liquidate come in dispositivo, sostenute dal Lloyd Nazionale Italiano S.p.A.
in liquidazione coatta amministrativa, essendo la domanda di garanzia svolta
nei confronti di questa assicurazione improponibile per temporanea carenza di
giurisdizione del giudice adito dovendo l'accertamento dei crediti ammessi
avvenire unicamente in seno alla procedura concorsuale. Analogamente devono essere poste a carico degli Istituti Ospitalieri
di , quale soggetto incaricato della Gestione liqudatoria ex USSL __, le
spese sostenute dalla Commercial Union Italia S.p.A., liquidate come in
dispositivo, trattandosi di chiamata in garanzia non giustificata dalle
domande attrici, emergendo chiaramente dalla polizza in atti che il rischio
assicurato non comprendeva i danni derivati dall'attività professionale dei
sanitari dipendenti dell'Ente, ma unicamente i danni di natura
extracontrattuale cagionati involontariamente a terzi da fatti
accidentali verificatosi in relazione ai rischi per i quali era
stipulata l'assicurazione. Le spese relative alla consulenza tecnica espletata nel corso
del giudizio sono definitivamente poste a carico al 50% degli attori e al 50%
dei convenuti dott. C. e Gestione liquidatoria ex USSL __. P.Q.M. Il
Tribunale, in persona del giudice dott. Laura De Simone, definitivamente
pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così giudica: rigetta
le domande proposte da S. Guido, per sé e per la minore S. Stefania, S. Sonia
e S. Massimiliano nei confronti di C. A. e Istituti Ospitalieri di __, quale
soggetto incaricato della gestione liquidatoria ex USSL __, rigetta
la domanda di annullamento del contratto assicurativo proposta dall'Assimoco
S.p.A. nei confronti del dott. C.; condanna
gli attori alla rifusione del 50% delle spese di lite sostenute da C. A. e
liquidate per l'intero in € 17.942,67 di cui €738,48 per spese € 6.640,19 per
diritti, € 9.000,00 per onorari, € 1.564,00 per spese generali, oltre IVA e
CPA come per legge, compensandole per il rimanente 50%; condanna
gli attori alla rifusione del 50% delle spese di lite sostenute dagli
Istituti Ospitalieri di Cremona, quale soggetto incaricato della gestione
liquidatoria ex USSL __, e liquidate per l'intero in €17.942,67, di cui
€738,48 per spese, €6.640,19 per diritti, € 9.000,00 per onorari, € 1.564,00
per spese generali, oltre IVA e CPA come per legge, compensandole per il
rimanente 50%; condanna
C. A. alla rifusione delle spese di lite sostenute dall'Assimoco S.p.A. e
liquidate in € 15.558,35 di cui €200,00 per spese, € 6.962,35 per diritti, €
7.000,00 per onorari, € 1.396,00 per spese generali, oltre IVA e CPA come per
legge; condanna
C. A. alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla Commercial Union
Italia S.p.A. e liquidate in € 11.810,79 di cui €169,41 per spese, € 3.583,19
per diritti, € 7.000,00 per onorari, €1.058,19 per spese generali, oltre IVA
e CPA come per legge; condanna
gli Istituti Ospitalieri di , quale soggetto incaricato della gestione
liquidatoria ex USSL __, alla rifusione delle spese di lite sostenute dal
Lloyd e liquidate in € 10.881,84 di cui €236,33 per spese, € 2.677,74 per
diritti, € 7.000,00 per onorari, € 967,77 per spese generali, oltre IVA e CPA
come per legge;
pone definitivamente a carico al 50% degli attori e al 50% dei convenuti
dott. C. e Gestione liquidatoria ex USSL __ le spese relative alla consulenza
tecnica espletata nel corso del giudizio. |