Polmonite batterica - Complicanza
da meningoencefalite batterica - Omessa diagnosi dovuta a visita carente di
obiettività toraco-polmonare e anamnesi - Responsabilità del medico - Nesso
di causalità tra mancata diagnosi della polmonite ed il decesso -
Insussistenza. Responsabilità dell'A.S.L. per fatto del medico del pronto
soccorso - Natura contrattuale ex art. 1228 c.c. Tribunale di Mantova, Sez. II
civile – Giudice unico Dott. Mauro Bernardi - Sentenza del giorno 9 gennaio
2004. La
massima: Non sussiste nesso di causalità
fra la mancata diagnosi della polmonite ed il decesso in relazione al quale,
anche ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa
impeditiva dell'evento hic et nunc questo, purtroppo, si sarebbe comunque
verificato, posto che la condotta omissiva del medico è condizione necessaria
dell'evento lesivo solo ove sussista un alto o elevato grado di credibilità
razionale o probabilità logica del suo verificarsi (cfr. Cass. S.U. penale
11-9-2002 n. 30328). (Nella specie, la consulenza
tecnica d'ufficio aveva precisato che anche se il medico avesse
tempestivamente posto in essere la condotta impeditiva dell'evento, vi
sarebbe comunque stato un elevato grado di probabilità che questo si sarebbe
ugualmente verificato.) I medici della continuità
assistenziale operano in regime di convenzione con l'A.S.L. e non sono
pertanto dipendenti dell'ente, bensì prestatori d'opera intellettuale
autonoma, come previsto dall'art. 1 del d.p.r. 22 luglio 1996, n. 484. La
responsabilità della A.S.L. per il fatto del medico addetto la pronto
soccorso è quindi ipotizzabile unicamente sotto il profilo della
responsabilità contrattuale ex art. 1228 c.c.- Il
testo integrale: Svolgimento
del processo Con
atto di citazione notificato in data 23/26-7-1999 l'attrice, in proprio e
quale legale rappresentante del figlio minore M. T., esponeva a) che il
giorno 10-2-1999 il marito T. U. si era ammalato e che, visitato lo stesso
giorno dal medico di base dott. X, costui gli aveva diagnosticato una
sindrome influenzale e prescritto l'assunzione di Efferalgan; b) che, nei
giorni successivi, il proprio congiunto aveva continuato a versare in uno
stato febbrile accompagnato da tosse e cefalea sicché il 16-2-1999 era stato
nuovamente chiamato il dr. X il quale, dopo una visita sommaria, aveva
rinnovato la diagnosi di influenza prescrivendo Trocà-Flu; c) che, verso le
ore 23.00 del medesimo giorno, le condizioni di salute del T. erano
peggiorate e, che contattato il medico di guardia poi individuato nella
persona del dr. Y, costui aveva prescritto l’assunzione di Aulin; d) che,
verso le ore sei del 17 febbraio, dopo che il marito, madido di sudore, aveva
avuto un conato di vomito, essa aveva chiamato il 118; e) che il dott. Y,
effettuata la visita domiciliare, aveva disposto il ricovero del paziente in
ospedale in cui quest’ultimo giungeva in stato di coma e dove, a seguito di
visita specialistica, gli veniva riscontrata meningo encefalite da
streptococcus pneumoniae secondaria a polmonite; f) che, nonostante la
terapia posta in atto, il T. decedeva, per cedimento cardiaco, il 4 aprile
1999 senza avere mai ripreso conoscenza. L'attrice
ritenendo che la morte del marito dovesse imputarsi sia al comportamento del
dott. X per non avere effettuato una accurata visita e non avere
diagnosticato la polmonite sia a quello del dott. Y per non essere
intervenuto quando ciò era ancora possibile, ne chiedeva la condanna, in
solido con l'A.S.L. essendone il dott. Y dipendente, al risarcimento dei
danni morali e patrimoniali patiti nonché al ristoro del danno biologico
patito dal T. Il dott.
X, costituitosi, chiedeva il rigetto della domanda negando di essersi
comportato con negligenza nell'effettuare le visite al T. ed affermando che
il paziente non aveva mai presentato i sintomi tipici della polmonite. Il dott.
Y si costituiva e, dopo avere premesso che il servizio di guardia medica non
è qualificabile quale rapporto di lavoro subordinato nell'ambito del servizio
sanitario nazionale e che tale servizio viene prestato da un medico generico
il quale dispone di una certa discrezionalità circa la valutazione
dell'urgenza sulla base dei dati forniti telefonicamente sicché in caso di
contestazione di imperizia, la valutazione della responsabilità, ristretta
alla colpa grave di cui all'art. 2236 c.c., deve essere particolarmente
larga, evidenziava che l'attrice non aveva chiarito se la sua responsabilità
fosse stata invocata a titolo contrattuale o extracontrattuale. La difesa
del convenuto rilevava inoltre che, nella prospettazione attorea, la colpa
addebitata a quest’ultimo sarebbe consistita unicamente nella mancata
effettuazione del controllo clinico al T. la sera del 16-2-1999 e sosteneva
che, in quel momento, le condizioni anche neurologiche del paziente, di cui
il professionista si era accertato conversando direttamente con lo stesso e
sapendo che la mattina era stato esaminato dal medico curante, non apparivano
tali (non potendosi supporre una complicazione meningo-encefalica) da rendere
necessaria una visita, peraltro non richiesta, che peraltro il dott. Y, nuovamente
interpellato, aveva subito effettuato la mattina del 17 febbraio. La difesa
del medico contestava infine la congruità della pretesa relativa al
risarcimento del danno patrimoniale non essendo stati esplicitati i criteri
seguiti per il suo calcolo e riteneva eccessiva la quantificazione sia
del danno biologico che di quello morale. In via
gradata inoltre il dott. Y chiedeva che, in caso di ritenuta responsabilità,
la sua misura venisse convenientemente ridotta, dovendosi addebitare la
eventuale colpa per quanto accaduto in larga parte al comportamento del dott.
X che aveva avuto tempo e modo di formulare la diagnosi: da ultimo rimarcava
che occorreva stabilire se il trattamento antibiotico somministrato
sette-otto ore prima dello stato di coma accertato al momento del ricovero
ospedaliero avrebbe consentito di scongiurare gli effetti della patologia
ormai in atto. L'Azienda
Sanitaria Locale di Mantova tramite il difensore avv. P., dopo avere
evidenziato che la propria responsabilità veniva implicitamente fondata
dall'attrice sul disposto di cui all'art. 2049 c.c. in relazione alle
prestazioni eseguite dal dott. Y, rilevava che siffatta impostazione non
meritava condivisione atteso che il d.p.r. 22-7-1996 n. 484 indicava i
sanitari incaricati come prestatori d'opera intellettuale autonoma e non come
dipendenti dell'A.S.L. e che ciò doveva comportare il rigetto della domanda. Nel
merito inoltre l'ente negava che in capo al dott. Y potessero riscontrarsi
profili di responsabilità posto che gli elementi di valutazione raccolti non
erano tali da evidenziare la necessità di una visita domiciliare peraltro non
richiesta e che, in ogni caso, mancherebbe il nesso causale fra il mancato
accesso del medico ed il successivo evento mortale poiché l'anticipo di qualche
ora nella somministrazione di antibiotici non avrebbe potuto salvare la vita
del T., somministrazione che peraltro sarebbe potuta avvenire solo a seguito
di indagini diagnostiche eseguibili solo in ospedale. La difesa
dell'A.S.L. contestava inoltre la quantificazione del danno rilevando che
nulla poteva venire riconosciuto a titolo di danno biologico preteso iure
successionis perché la protratta degenza del T. era conseguenza della
malattia dallo stesso contratta e non del comportamento colposo dei sanitari
ed assumendo che il danno patrimoniale della moglie e di T. M. avrebbe dovuto
essere calcolato separatamente anche perché l’eventuale diritto del figlio al
risarcimento avrebbe dovuto essere contenuto entro il limite temporale
costituito dal raggiungimento dell'indipendenza economica. Nulla infine,
secondo l’ente convenuto, poteva essere attribuito a titolo di danno morale
non essendo riscontrabili ipotesi di responsabilità penale nel comportamento
del dott. Y. Analoghe
deduzioni difensive venivano poi svolte dagli avv.ti M. e L. che depositavano
ulteriore comparsa di costituzione per conto della predetta A.S.L.. Con
memoria ex art. 183 c.p.c. l'attrice chiariva di avere chiesto la condanna dei
convenuti invocando una loro responsabilità contrattuale e, solo in via
subordinata, quella extracontrattuale. Esperita
l'istruttoria orale e disposta c.t.u., affidata al prof. Cucurachi, la causa,
dopo il deposito di scritti conclusionali da parte di tutti i difensori,
veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti in epigrafe
riportate. Motivi La
domanda è infondata e deve essere rigettata. Premesso
che non si può tenere alcun conto di quanto sarebbe stato dichiarato
dall’attrice, al di fuori del presente giudizio, al proprio consulente dott.
M. il quale su tali affermazioni ha poi fondato gran parte delle proprie
valutazioni, va rilevato che il T. è deceduto il 4-4-1999, presso il reparto
di rianimazione dell'Ospedale di Mantova, in seguito a progressiva
insufficienza cardio-circolatoria mentre si trovava in stato di coma
perdurante da circa 45 giorni. Dalla
documentazione dimessa risulta inoltre che l'iter sanitario del defunto era iniziato
il 10-2-1999 quando, affetto da febbre, cefalea e tosse, aveva richiesto una
visita domiciliare al proprio medico curante dott. X il quale, diagnosticata
una sindrome influenzale, aveva prescritto l'assunzione di Efferalgan
(farmaco anti-infiammatorio), diagnosi confermata dallo stesso in occasione
di un secondo controllo eseguito il 16 febbraio. Va
aggiunto che la sera del 16-2-1999 alle ore 22,50 il dott. Y, di turno
nell'ambito del servizio di continuità assistenziale, nel corso di una
chiamata telefonica, era stato informato direttamente dal paziente della
presenza di cefalea e iperpiressia nonché dell'avvenuta visita, qualche ora
prima, da parte del medico curante, elementi i quali avevano indotto il
sanitario a prescrivere l'Aulin ed a non effettuare una visita domiciliare
peraltro non richiesta. Aggravatesi
le condizioni del T., il dott. Y, alle ore 7.10 del 17 febbraio, dopo avere
visitato il paziente, trovato in stato confusionale e con forte cefalea, ne
ordinava l'immediato ricovero in ospedale ove il paziente, giunto in stato di
coma con sguardo deviato, veniva sottoposto a svariati accertamenti clinici
che conducevano alla diagnosi di meningoencefalite pneumococcica e polmonite
(lobite superiore destra) da pneumococco: durante il ricovero in reparto di
rianimazione, il T. peggiorava ulteriormente, nonostante le terapie prestate,
raggiungendo lo stato di coma irreversibile in data 19-2-1999. Alla luce
della documentazione in atti il c.t.u. ha affermato che, in considerazione
della costanza dello stato di coma dal 19-2-1999 al momento del decesso, la
morte del T. deve attribuirsi alla meningoencefalite batterica diagnosticata
il 17-2-1999, che la stretta correlazione cronologica fra la sindrome
influenzale (diagnosticata il 10-2-1999) e la polmonite batterica consente di
considerare quest'ultima come una complicanza della prima ed infine che
l'identità dell'agente eziologico alla base della polmonite batterica e della
meningo-encefalite batterica, la stretta correlazione cronologica e la correlazione
statistica fra polmoniti e meningiti fanno ritenere come altamente probabile
che la seconda sia la conseguenza della prima e quindi indirettamente
correlata con l'influenza: siffatte conclusioni, adeguatamente motivate e
confortate dalle attuali conoscenze scientifiche, non sono state messe in
discussione da alcuna delle parti e quindi possono ritenersi come dati di
fatto sicuramente accertati. Va poi
aggiunto che, secondo il prof. Cucurachi, la polmonite doveva già essere in
atto il 16 febbraio e ciò in considerazione dalla sua estensione quale
desumibile dagli esiti dell'esame radiologico compiuto il giorno successivo
sicché l'indagine circa l'adeguatezza della condotta dei due medici coinvolti
nel presente giudizio va condotta con riguardo ai comportamenti posti in
essere nei giorni 16 e 17 febbraio anche in considerazione del fatto che, con
riguardo alla visita del 10-2 compiuta dal dott. X, la diagnosi (sindrome
influenzale) e la terapia prescritta (farmaco anti-infiammatorio) debbono
ritenersi, anche secondo la valutazione del c.t.u., pienamente corrette. Con
riguardo invece al controllo clinico effettuato il 16-2 dal medico curante
del T., convergenti elementi di natura indiziaria portano a ritenere che lo
stesso non sia stato compiuto con la necessaria accuratezza. Premesso
che l'infezione polmonitica si era formata nel lobo superiore destro va
rilevato che secondo il consulente, anche per l’aspecificità dei sintomi,
tale patologia poteva essere individuata a livello clinico solamente a
seguito di un attento esame del torace che deve esser praticato non soltanto
sulla parete posteriore ma anche su quella anteriore. Orbene da un lato lo
stesso consulente rileva che l'auscultazione anteriore costituisce una
pratica frequentemente disattesa (con esclusione degli specialisti in
pneumologia ovvero nei casi in cui sussistano evidenti sintomi di patologia
infettivo-infiammatoria polmonare) e dall'altro va rilevato che il teste F.
(che, in quanto affine del defunto, non può ritenersi inacapace di rendere
testimonianza non avendo un interesse, ex art. 100 c.p.c., a partecipare al
giudizio) ha dichiarato che la visita era durata non oltre una decina di
minuti (durante la quale fu controllata la pressione e redatto un certificato
di prosecuzione della malattia), lasso di tempo che appare incompatibile con
le esigenze di un esame molto accurato: a ciò va aggiunto che lo stesso teste
ha affermato di non avere notato il medico procedere alla auscultazione del
torace. Orbene rilevato che il dott. X, limitandosi ad affermare di avere
effettuato l'esame al torace, non ha però fornito la prova (su di lui
incombente stante la natura non complessa dell'atto medico e trattandosi di
responsabilità contrattuale: cfr. Cass. 11-3-2002 n. 3492) di essersi
scrupolosamente attenuto alle regole dell'arte, ne deriva, che l'omessa
diagnosi della polmonite fu dovuta o a visita carente di obiettività
toraco-polmonare e anamnesi ovvero ad inadeguata preparazione nel rilevare
segni clinici suggestivi di una polmonite a fronte di un esame completo. A questo
punto va però detto che la morte del T. è stata determinata non dalla
polmonite bensì dalla meningo-encefalite e che il c.t.u. ha radicalmente
escluso che il giorno 16 febbraio sussistessero i segni della meningite
(punto sul quale consente anche il c.t. di parte attorea secondo cui tale
patologia si sarebbe sviluppata dopo la polmonite mentre secondo il c.t.u. la
disseminazione batterica in zona encefalica si verifica prima della comparsa
dei sintomi polmonari e meningei e procede in modo latente fino al tipico
esordio clinico meningitico). Il prof.
Cucurachi ha poi asserito che, qualora fosse stata diagnosticata la
polmonite, sarebbe stato doveroso intraprendere una terapia per os con
antibiotici a largo spettro (indicazione pienamente condivisa anche dal dott.
M., c.t. di parte attrice), farmaci che consentono di arrestare o eradicare
un'infezione da pneumococco a livello polmonare ma non in grado di
attraversare la barriera ematoencefalica non riuscendo quindi ad esercitare
la propria azione battericida su microrganismi che abbiano già raggiunto lo
spazio sub-aracnoideo laddove la disseminazione batterica a livello meningeo,
ove si ipotizzi una partenza dei microorganismi a livello polmonare, non
potrebbe che avere una via ematogena. La conclusione che da ciò ha tratto il
consulente d'ufficio (non contrastata da una diversa prospettazione
scientifica da parte della difesa attorea essendosi questa limitata
genericamente ad affermare che ove la polmonite fosse stata tempestivamente diagnosticata
la morte sarebbe stata evitata sicché l'assunto del c.t.u. può essere posto a
fondamento della decisione: cfr. Cass. 22-8-2002 n. 12406; Cass. 13-3-2002 n.
3492) è nel senso che una terapia antibiotica non in grado di attraversare la
barriera emato-encefalica o a dosaggi non in grado di ottenere concentrazioni
efficaci a livello meningeo, si rivela inefficace nel prevenire lo sviluppo
di una meningite con la conseguenza che, qualora anche fosse stata impostata
un tipica terapia antibiotica per la cura della polmonite già il 16 febbraio,
questa difficilmente avrebbe potuto evitare lo sviluppo della meningite i cui
sintomi comparvero solo la mattina del 17 febbraio. Va
infatti sottolineato da un lato che la t.a.c. eseguita alle ore 8.30 del 17
febbraio non aveva evidenziato lesioni cerebrali e, dall'altro, che gli
approfonditi accertamenti disposti nel corso di tale giorno (e all'esito dei
quali soltanto emerse la patologia rivelatasi poi esiziale) furono effettuati
in presenza di un corredo sintomatico assai più grave di quello esistente il
giorno prima: va infatti ricordato che il T. poco prima dell'intervento del
dott. Y aveva vomitato e che si trovava in stato confusionale dopo avere
passato una notte agitata. Da ultimo
va aggiunto che, secondo le risultanze della relazione tecnica, la
percentuale di mortalità in caso di trattamento precoce della meningite è
tuttora piuttosto alto (30-50%). Alla luce
di tale ricostruzione deve ritenersi che non sussista nesso di causalità fra
la mancata diagnosi della polmonite ed il decesso in relazione al quale,
anche ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa
impeditiva dell'evento hic et nunc questo, purtroppo, si sarebbe comunque
verificato, precisandosi che la condotta omissiva del medico è condizione
necessaria dell'evento lesivo solo ove sussista un alto o elevato grado di
credibilità razionale o probabilità logica (cfr. Cass. S.U. penale 11-9-2002
n. 30328) chiaramente escluse dalle motivate (e non contrastate) conclusioni
cui è pervenuto il c.t.u.. Per
quanto attiene poi al comportamento del dott. Y, premesso che nessun rilievo
è stato mosso né dal c.t.u. né dalla difesa attorea in relazione all'attività
compiuta la mattina del 17 febbraio avendo egli, di fronte all'aggravamento
del quadro clinico, disposto con urgenza il ricovero in ospedale del
paziente, va detto che parimenti nessuna censura può muoversi in relazione
alla condotta tenuta la sera del 16 febbraio. Premesso
che il medico di guardia non ha l'obbligo di visita domiciliare ad ogni
chiamata disponendo di una certa discrezionalità in ordine alla valutazione
dell'urgenza e che la stessa non era stata richiesta, va detto che al dott. Y
era stata riferita, dalla moglie del defunto, la seguente sintomatologia:
cefalea, iperpiressia già in trattamento con antipiretici in paziente già
visitato poche ore prima dal medico curante. E' incontestato inoltre che il
medico in questione ebbe un colloquio direttamente con il T. e va
tenuto conto che la cefalea, come osservato dal dott. M. oltreché dal c.t.u.,
non poteva considerarsi indice di una sospetta meningite associandosi tale
effetto con la febbre alta: in tale contesto e considerato che le condizioni
del paziente non erano dissimili rispetto a quelle emerse nel corso della
visita effettuata dal dott. X poche ore prima, non può essere censurata la
decisione di non effettuare la visita domiciliare né va sottaciuto che,
comunque, il dott. Y la effettuò alle sette del giorno successivo: valgono in
ogni caso e a maggior ragione nei suoi confronti le considerazioni sopra
svolte in ordine alla insussistenza del nesso causale, dovendosi
rimarcare che la stessa difesa di parte attrice non ha mai affermato che tale
patologia potesse essere diagnosticata dai medici convenuti. Il
rigetto della domanda nei confronti del dott. Y comporta necessariamente la
reiezione anche di quella proposta nei confronti dell'A.S.L. peraltro
ipotizzabile unicamente sotto il profilo della responsabilità contrattuale ex
art. 1228 c.c. (ed in concreto prospettata dalla difesa attorea con la
memoria ex art. 183 c.p.c.) posto che i medici della continuità assistenziale
operano in regime di convenzione con l'A.S.L. e non sono dipendenti dell'ente
bensì prestatori d'opera intellettuale autonoma come previsto dall’art. 1 del
d.p.r. 22-7-1996 n. 484. L’obiettiva complessità della
vicenda sia in fatto che in diritto giustifica l’integrale compensazione fra
le parti delle spese di lite. P.Q.M. il
Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, definitivamente
pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione reietta, così provvede: respinge
la domanda proposta dall'attrice; dichiara
integralmente compensate fra le parti le spese di lite. Così deciso in Mantova, lì
9-1-2004. |