Nesso causale – evento naturalistico - riconducibilità a più condotte colpose alternative – riconducibilità di tutte le condotte all’imputato – esclusione cause indipendenti – responsabilità dell’imputato

La responsabilità dell’imputato per la determinazione di un dato evento naturalistico  deve essere affermata anche nei casi in cui – come nella fattispecie – l’innesco della serie causale e ogni successivo passaggio della concatenazione, sulle base delle prove raccolte, non sia stato completamente chiarito, potendo  essere ricondotto a più condotte colpose  alternative, purchè tutte riconducibili alla persona dell’imputato e, nello stesso tempo, possa  escludersi l’incidenza di meccanismi eziologici indipendenti.

 

Incidente stradale – obbligo di fermarsi ex art. 189, comma VI, C.dS. – reato di pericolo

Il reato di cui all’art. 189, comma VI, CdS è un reato omissivo di pericolo, che si consuma per il fatto stesso che l’agente, in presenza di un incidente comunque ricollegabile alla sua condotta di guida ed idoneo a produrre eventi lesivi, non si sia fermato per consentire i rilievi e gli accertamenti necessari.

 

Incidente stradale – omissione di soccorso ex art. 189, comma VII, C.d.S. - decesso istantaneo del soggetto investito – irrilevanza   

In caso di incidente stradale, la circostanza che il soggetto investito sia morto praticamente “sul colpo”  o negli istanti immediatamente successivi, non esclude la responsabilità dell’investitore per il reato di omissione di soccorso, in quanto lo stesso avrebbe dovuto comunque fermarsi,   accertare se l’investito era ancora in vita, chiamare il servizio 118 e verificare in concreto se vi fosse spazio per un aiuto  immediato da parte sua.

 

Tribunale di Mantova – Giudice D.ssa Cristina Ardenghi  

Sentenza 6 dicembre 2006  n° 882

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

Tizio veniva rinviato a giudizio avanti questo Tribunale con decreto del Gup di Mantova in data 12.5.2006 per rispondere del delitto di omicidio colposo in danno di un giovane, Caio, commesso in violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, nonché dei delitti previsti dall’art. 189 commi 6° e 7° del Codice della Strada, perché dopo la causazione dell’incidente non ottemperava all’obbligo di fermarsi e di prestare l’assistenza occorrente alla vittima, poi deceduta  sul posto.

DELITTO DI OMICIDIO COLPOSO CONTESTATO AL CAPO N. 1)

Occorre premettere alla descrizione fattuale dell’incidente mortale per cui è causa, che le modalità di svolgimento dei fatti e la dinamica del sinistro sono stati ricostruiti essenzialmente sulla base delle indagini tecniche svolte dalla polizia giudiziaria intervenuta a distanza di poche ore dai fatti, attraverso l’effettuazione dei rilievi tecnici di rito sul luogo dell’incidente e sui mezzi coinvolti, nonché sulla base degli esiti della perizia medico-legale e tossicologica e di quella tecnica (quest’ultima eseguita nelle forme dell’incidente probatorio), dal momento che l’incidente non ha avuto testimoni oculari, che l’imputato subito dopo i fatti si è dato alla fuga e che lo stesso non ha mai reso formali dichiarazioni in merito all’episodio, né  nel corso delle indagini preliminari, né in sede dibattimentale.

Le uniche sue esternazioni sono confluite, indirettamente, nel fascicolo del dibattimento attraverso la deposizione de relato del teste _____________, nonché attraverso l’acquisizione sull’accordo delle parti del verbale di s.i.t. rese da ____________ e dell’annotazione di servizio dell’agente_________, che riferiscono entrambi di colloqui avuti con l’imputato la mattina stessa dell’incidente.

Quanto al giudizio di attendibilità e verosimiglianza di dette dichiarazioni il Tribunale vi si soffermerà nel prosieguo della motivazione.

Ciò posto, le risultanze dibattimentali consentono di ricostruire l’episodio nei seguenti termini.

La mattina del 13 ottobre  2003 alle ore 7.00 circa giungeva dal Servizio 118 una chiamata alla Centrale della Polizia Stradale di Mantova, che segnalava  un incidente mortale verificatosi poco prima in località Santa Lucia del comune di Roverbella sulla strada statale 249, all’altezza del chilometro 12,500.

Giunti sul posto gli agenti constatavano diverse tracce riconducibili ad un impatto violento tra due mezzi, l’unico dei quali presente ancora in loco,  un ciclomotore Piaggio Ciao di colore azzurro targato A18WO, posizionato quasi completamente accartocciato all’interno di un campo arato posto sulla destra della carreggiata con direzione di marcia Castelbelforte – Roverbella, ad distanza di m. 22 circa dal margine destro della strada (foto n. 6 fasc. rilievi tecnici).

Sulla stessa carreggiata, arretrate di circa 81 metri, si notavano   delle tracce di pneumatico, riconducibili allo stesso ciclomotore, lasciate impresse sul manto stradale al momento della collisione con l’altro veicolo.

Le tracce risultavano distanti 60 centimetri dal centro  della striscia laterale bianca (foto n. 2).

Venivano scoperti altresì due frammenti plastici di colore rosso appartenenti al catarifrangente posteriore del ciclomotore Piaggio (fot n. 7).

Circa 20-25 metri più avanti,  sul ciglio erboso della strada,  veniva rinvenuto uno zainetto danneggiato, con all’interno del cibo e in particolare alcune mele, in parte distrutte per effetto dell’impatto (foto n. 3), e alcuni metri dopo, proprio all’altezza del caposaldo del chilometro 12,500, sempre sul ciglio erboso  di destra,  due tracce evidenti di fuoriuscita lasciate impresse dai pneumatici dell’altro veicolo, chiaramente una vettura, lunghe alcune decine di metri (foto n. 4).

Ad una distanza ulteriore  di m. 13.40 dal caposaldo, proseguendo in direzione di Roverbella, veniva rivenuto all’interno del campo arato (distante dalla striscia bianca della carreggiata di destra di m. 15,50) un casco da ciclomotore  e infine, sempre all’interno dello stesso campo, circa 20 metri più avanti e distante circa 8 metri dal limite della carreggiata il corpo senza vita di un giovane extracomunitario di origine tunisina, poi identificato in Caio (foto n. 4 e n. 5).

Lo stato dei luoghi e  le distanze esatte delle numerose tracce rinvenute risultano descritte e misurate con precisione nel fascicolo dei rilievi tecnici e nell’allegata planimetria redatti dalla Polizia Stradale intervenuta dopo il sinistro.

Non venivano, invece, rinvenute tracce riconducibili all’altro  veicolo coinvolto, quali frammenti di carrozzeria, che pure avrebbero dovuto trovarsi presenti, tenuto conto della forte violenza dell’impatto subito dal ciclomotore, chiaramente desumibile sia dai danni riportati dal mezzo che dalla distanza alla quale erano stati sbalzati tanto il ciclomotore che il corpo della vittima.

Il teste della Polizia Stradale intervenuto per i rilievi, ______, ha ricordato che quel giorno, seppure l’incidente doveva collocarsi nelle prime ore della mattinata,  vi erano buone condizioni di visibilità e non pioveva, il manto stradale era asciutto e non presentava alcuna irregolarità, avvallamenti o buche.

Il punto d’urto tra i due mezzi, ritenuto coincidente con quello della carreggiata ove erano rimaste impresse le tracce dei pneumatici del ciclomotore, si trovava a circa 60 centimetri dal centro della striscia di limite bianca,  segno  evidente e certo che il ciclomotore stava circolando molto vicino al margine destro della carreggiata.

Dal punto d’urto il corpo della vittima era stato quindi sbalzato in avanti di circa 70 metri e il motorino di circa 81 metri.

L’incidente, al quale nessuno risultava avere assistito, era avvenuto lungo un rettilineo della statale 249  all’ingresso di una curva molto ampia, in un punto che presentava una striscia continua tra le due carreggiate e un limite di velocità pari a 90 km/orari.

Nel corso di quella stessa mattinata, verso le ore 12.00,  la Polizia Stradale di Mantova incaricata della indagini apprendeva dall’ ass. ____________che un suo amico, tale____________, si era messo in contatto telefonicamente  con lui riferendogli di avere avuto un sinistro stradale nel corso della notte e di avere investito “qualcosa di molto grosso” in località Roverbella (cfr. annotazione di servizio acquisita in atti).

L’ass.____________, quindi,  contattava il proprio ufficio, apprendendo dai colleghi che si era verificato un sinistro mortale  in quella zona alcune ore prima e che il veicolo investitore e il  relativo conducente non erano stati rintracciati.

Lo stesso imputato,  quindi,  accompagnato dall’amico Belletti presso la Sezione della Polizia Stradale di Mantova,  riferiva che la propria autovettura, che aveva riportato danni gravi a seguito dell’impatto,  era stata da lui condotta quella stessa mattina presso la carrozzeria Scartapatti di San Giorgio.

In effetti l’auto in questione, una Audi A6 targata CH646EV,  veniva rintracciata subito dopo e posta sotto sequestro presso la carrozzeria indicata dal ___________.

Dall’esame del teste _______________, responsabile dell’Ufficio Infortunistica della Polizia Stradale di Mantova e direttamente intervenuto nelle indagini, si è appreso ulteriormente quanto segue.

L’auto presentava danni  particolarmente consistenti nella parte anteriore destra; in particolare risultavano danneggiati il paraurti del lato destro, il fanale anteriore destro, il cofano, estroflesso e piegato, il parabrezza,  quest’ultimo a dimostrazione che vi era stato il caricamento di un corpo poi sbalzato fuori; anche lo specchietto retrovisore interno risultava staccato.

I danni, ampiamente visibili e documentati nelle fotografie  n. 8 n. 9 dei rilievi tecnici, apparivano a prima vista assolutamente compatibili  con l’investimento del ciclomotore condotto dal povero Barkaoui.

La certezza che  detto mezzo  fosse proprio quello coinvolto nel sinistro veniva raggiunta poco dopo sulla base di alcuni precisi ed incontestabili dati fattuali.

Nel corso dell’esame del veicolo, infatti,  all’interno della mascherina del radiatore posto sul lato anteriore dell’auto, interessato direttamente dall’investimento,  venivano rinvenuti piccolissimi frammenti di plastica di colore rosso, riconducibili al catarifrangente  posteriore del ciclomotore condotto dalla vittima, nonché alcuni pezzetti di mela della stessa qualità di quelle rinvenute schiacciate nello zainetto, che poi si apprendeva appartenere alla vittima e che era stato scaraventato sul ciglio erboso della strada a seguito dell’impatto (cfr. foto n. 11).

Inoltre, sullo spigolo destro del  paraurti anteriore, a conferma del fatto che si trattasse proprio del mezzo investitore, venivano rinvenute due abrasioni di colore azzurro, identico a quello del ciclomotore Piaggio (cfr. foto n. 10), risultate in parte sbiadite e poco visibili perché, come si sarebbe appreso di lì a poco dal carrozziere___________, il ________ dopo avere consegnato l’auto, aveva cercato di eliminare dette tracce con un diluente.

Infine, nel bagaglio dell’auto venivano rinvenuti  tutti i pezzi della carrozzeria mancanti e che era stati persi sul luogo dell’incidente (cfr. foto n. 12), trovando così giustificazione la circostanza che nulla del secondo veicolo coinvolto nell’incidente era stato rinvenuto sul posto.

Ora, sulla base dei rilievi svolti, delle tracce rinvenute e dei danni riportati dei mezzi coinvolti, gli ufficiali di P.G. incaricati delle indagini ricostruivano la dinamica del sinistro nei termini di un violento investimento da tergo ad opera del veicolo condotto dal __________, che veniva a tamponare a velocità sostenuta il ciclomotore della vittima, mentre quest’ultimo  viaggiava regolarmente sulla sua stessa corsia di marcia  e nella medesima direzione, posizionato al margine destro di detta carreggiata, distante dalla riga bianca circa mezzo metro.

Per effetto dell’urto il corpo di Caio veniva caricato sul cofano  dell’auto, colpendo il parabrezza e quindi lanciato a circa 70 metri di distanza nel campo che costeggia il lato destra della carreggiata.

In particolare il teste _________, nella ricostruzione della dinamica del sinistro, ha sottolineato  che il punto  di collisione tra i due mezzi, cioè il punto dell’investimento, veniva a coincidere con le tracce di schiacciamento lasciate dal pneumatico posteriore del ciclomotore sull’asfalto (punto indicato con la lettera A sulla planimetria);

infatti dette tracce, di consistenza gommosa, trovavano spiegazione nel fatto che, al momento del tamponamento, il paraurti della macchina comprimeva il  parafango posteriore del ciclomotore, di fatto bloccando la ruota sottostante, che in tal modo si imprimeva  sull’asfalto.    

Quanto alle cause di morte di Caio, dalla consulenza medico- tossicologica a firma del dott. Luigi Gaetti disposta dal Pm è emerso che il decesso doveva ricondursi alla gravità e molteplicità delle fratture conseguenti all’impatto con il veicolo investitore; 

in particolare dall’autopsia sul corpo della vittima sono emerse fratture delle vertebre cervicali e toraciche (frattura della colonna vertebrale cervicale tra c3 e c4), versamento ematico del cavo pleurico, frattura del fegato,  dell’omero e della tibia destra,  oltre  a numerose escoriazioni.

Dette lesioni, così come la dinamica del trauma, sono state giudicate del tutto compatibili e riconducibili ad un investimento  da tergo, posto che l’improvvisa accelerazione subita dal corpo ha determinato una “iperestensione della colonna vertebrale” con conseguenti fratture alle vertebre  cervicale e dorsali.

Sempre secondo il consulente, il cui convincimento è stato espresso con rigore scientifico ed appare logico ed adeguatamente motivato, la morte del Barkaoui Salem è stata praticamente immediata, dal momento che  il quadro delle lesioni descritte, assolutamente devastanti, non lascerebbe  spazio a margini  di sopravvivenza;

con riguardo invece alla precisa individuazione dell’ora della morte,  e quindi dell’incidente, il medico  ha ritenuto la stessa “non ben valutabile”,  avendo avuto la disponibilità del cadavere solo dopo tre giorni dal suo rinvenimento, con conseguente inutilizzabilità dei classici dati tanatologici;

la presenza di cibo nello stomaco parzialmente digerito poteva solo far ricondurre l’epoca della morte a 3-5 ore dopo un pasto.

Le indagini chimico-tossicologiche hanno, infine,  escluso la presenza nel corpo di sostanze stupefacenti e/o farmacologiche in grado di alterare lo stato psico-fisico del soggetto, così come non è emersa alcuna concentrazione di alcol etilico nel sangue.

Particolarmente importante ai fini di una completa e precisa ricostruzione dell’episodio, anche con riguardo all’ora dell’incidente, è stata la deposizione testimoniale del cugino della vittima, Ben, con  lui convivente all’epoca  dei fatti.

L’uomo ha ricordato che la mattina del 13 ottobre 2003 suo cugino, che iniziava il proprio turno di lavoro alle ore 6.00 presso un’azienda nei pressi di Villafranca, era uscito di casa come sempre verso le ore 5.00 – 5.10, dopo aver fatto colazione con pane e uova,  alla guida di un ciclomotore Piaggio Ciao di sua proprietà, portando con sé sulle spalle uno zainetto contenente del cibo per la pausa pranzo.

Rispondendo a domande specifiche della difesa, il teste ha dichiarato che il mezzo aveva diversi anni di vita ma che, ciò nonostante, si trovava in perfette condizioni di manutenzione, ivi compreso  il sistema delle luci che  funzionavano regolarmente.

In ogni caso, a suo avviso, considerato che il mezzo andava comunque piuttosto adagio,  il cugino aveva impiegato  circa  20 minuti  per raggiungere la località dove era avvenuto il sinistro, che pertanto poteva collocarsi verosimilmente verso le ore 5.30.

La sua deposizione, con riferimento specifico dell’orario del sinistro, è avvalorata dalle dichiarazioni rese il giorno seguente i fatti  da___________, amico dell’imputato (di cui è stato acquisito al fascicolo del dibattimento  il verbale di s.i.t. sull’accordo delle parti), il quale ha riferito che la mattina del 13 ottobre, tra le ore 5.30 e le ore 6.00 era stato contattato telefonicamente dall’imputato che gli aveva raccontato di avere investito “poco prima  un cane e che il suo veicolo, per i danni riportati alla parte anteriore, precisamente al radiatore e al parabrezza, non era più circolante, sicchè necessitava di un passaggio, che in effetti egli  gli prestava uscendo di casa dopo circa 10 minuti, accompagnando l’imputato che si trovava a piedi in corso Garibaldi di Mantova fin presso l’abitazione dei suoi genitori in Porto Mantovano.

Sulla base degli elementi sopra indicati e considerato che il Servizio 118 allertava la Polizia Stradale con una telefonata giunta alle ore 7.00 di quel mattino è assolutamente  ragionevole ipotizzare che l’incidente sia avvenuto intorno alle ore 5.30, quindi in presenza di condizioni di luce naturale  piuttosto scarsa, quasi di semi-oscurità, considerato che ci si trovava in una giornata di metà ottobre.

Tutto quanto sinora esposto in termini di ricostruzione fattuale del sinistro ha trovato ampia conferma nelle risultanze della perizia tecnica, disposta nel corso delle indagini preliminari con le forme dell’incidente probatorio, diretta appunto a chiarire la dinamica e le cause dell’incidente, evidenziando eventuali profili  di condotte colpose dei soggetti coinvolti.

L’ing. Amerigo Berto,  le cui conclusioni sono state esposte in modo approfondito nell’elaborato peritale acquisito in atti, ha  in sintesi accertato i seguenti ulteriori dati fattuali:

·               il luogo del sinistro, sulla statale 249 all’altezza del chilometro 12.500, è caratterizzato da una curva parabolica verso sinistra (in effetti ben visibile nelle fotografie scattate subito dopo l’incidente);

·               le due corsie di marcia sono caratterizzate  da una striscia continua su tutta la lunghezza della curva;

·               ogni corsia di marcia ha una larghezza di tre metri, ai quali debbono aggiungersi 15 centimetri di larghezza della striscia  continua  che separa le due corsie, nonché 12,50 centimetri di larghezza  ciascuna delle due strisce bianche di margine, per un totale di larghezza del manto bituminoso pari a metri 6,40;

·                l’unica segnaletica verticale presente indica “curva pericolosa a sinistra, incrocio pericoloso con strada senza diritto di precedenza”;

·               l’autovettura condotta dall’imputato riportava danni gravi su tutta la parte anteriore, in particolare sul lato destro, tra cui la distruzione del gruppo ottico anteriore destro, lo sfondamento della mascherina  e del radiatore, la deformazione del cofano, lo sfondamento del parabrezza (cfr. fotografie allegate alla perizia nn. 6- 16);

·               il ciclomotore condotto dalla vittima riportava per effetto dell’investimento la deformazione della ruota anteriore e del manubrio, la distruzione del motore, la deformazione consistente del telaio;

·               entrambi i mezzi possedevano un impianto di illuminazione  efficiente e funzionante.

Il perito ha ricostruito l’incidente partendo dall’assunto,  l’unico ritenuto verosimile in quanto compatibile  con lo stato dei luoghi, i danni riportati dai mezzi coinvolti,  la posizione finale raggiunta dal corpo della vittima e dal ciclomotore e in particolare  le tracce riscontrate  sull’asfalto impresse  dalle ruote del ciclomotore, che al momento dell’impatto il veicolo condotto dall’imputato viaggiasse in prossimità della destra della sua corsia di marcia, tamponando in tal modo il ciclomotore che lo precedeva sulla sua stessa corsia  e che, come lui, viaggiava vicino al margine destro della carreggiata (la tesi secondo cui il veicolo poteva trovarsi in prossimità del centro della strada è contraddetta dalla stessa dinamica del sinistro, nonché dalle tracce lasciate dal motorino).

Sulla base dei dati in suo possesso il perito ha calcolato che al momento dell’impatto il veicolo viaggiava a circa 88 km/h e che detta velocità, in assenza di influenze negative, quali pioggia, neve, ghiaccio, avrebbe consentito al conducente che si fosse trovato alla guida con la dovuta attenzione e prudenza di percorre il tratto di strada in questione (seppure  curvo) senza alcuna difficoltà, superando alla sua sinistra il ciclomotore Ciao.

Il perito ha affermato, altresì,  che “dall’esame della deformazione subita dal Ciao si evince in modo inconfutabile che l’urto è avvenuto in direzione dell’asse del motorino stesso”; in altri termini  che “l’assenza di inarcamenti  laterali ha evidenziato come al momento dell’urto la posizione del Ciao non presentava angolazioni rispetto all’asse dell’autovettura  investitrice”.

L’ incidente, quindi,  sarebbe  stato determinato dal tamponamento violento del ciclomotore da parte del veicolo condotto dall’imputato che sopraggiungeva nella sua stessa direzione di marcia, il tutto mentre il primo mezzo percorreva regolarmente la carreggiata  mantenendosi sul  margine destro ( a circa 50 centimetri dalla riga bianca di limite) e senza operare manovre improvvise  di svolta, attraversamento o sbandamento, posto che altrimenti l’impatto  non sarebbe  avvenuto in direzione dell’asse del motorino stesso.

A parere del perito, quindi, il  sinistro  deve addebitarsi alla condotta di guida imprudente e negligente dell’imputato,  che per una grave distrazione personale non avrebbe  avvertito in tempo utile  la presenza del ciclomotore davanti a sé, ovvero, in considerazione della velocità comunque troppo elevata in rapporto alla situazione della strada, non avrebbe avuto la possibilità di frenare tempestivamente, evitando in tal modo di investire l’utente  che lo precedeva.

Il complesso delle risultanze dibattimentali sopra descritte provano la penale responsabilità dell’imputato in relazione al delitto di omicidio colposo contestato.

In primo luogo, nessun dubbio può sussistere in ordine all’esistenza di un preciso nesso di causa tra la condotta di guida posta in essere dall’imputato  e l’evento mortale che ne è conseguito, posto che la morte del motociclista è conseguenza diretta ed immediata dell’investimento  subito da tergo da parte del mezzo condotto dall’imputato.

Quanto ai profili psicologici di colpa generica e specifica, i rilievi  contestati sono stati ampiamente provati in sede dibattimentale.

E’ certo che il ciclomotore viaggiava tenendo il margine destro della carreggiata e che lo stesso è stato investito in pieno a forte velocità dal veicolo condotto dall’imputato,che sopraggiungeva alle sue spalle.

Seppure l’auto non superava il limite di velocità consentito, deve tuttavia ritenersi che l’andatura del mezzo (di oltre 88 km/h), tenuto conto dell’orario praticamente notturno e della direzione  curvilinea della carreggiata (segnalata con un cartello di curva pericolosa), non fosse assolutamente adeguata alle condizioni della strada;

invero una condotta di guida diligente e prudente impone a ciascun conducente non solo di rispettare i limiti imposti dal codice della strada,  ma anche di regolare la velocità, eventualmente riducendola, quando ciò sia richiesto dalle caratteristiche del mezzo, dalle condizioni della strada e del traffico e da ogni altra circostanza di qualsiasi natura, al fine di evitare pericoli  per la sicurezza delle persone;

in particolare, poi, l’art. 141 CdS  prevede espressamente  che  la velocità debba  essere regolata e ridotta  nelle curve e nelle ore notturne.

Trattasi, a ben vedere,  di  norme di comportamento che rispondono a regole elementari di comune diligenza  e prudenza e che trovano  applicazione generale, a prescindere dalla particolarità di specifiche  situazioni concrete.

E’ pacifico, quindi,  che l’imputato abbia tenuto  una condotta di guida gravemente negligente e imprudente e comunque in violazione, oltre che dell’art. 141 CdS, anche  dell’art. 140 CdS, che impone di serbare un comportamento tale da non costituire pericolo per la circolazione stradale.

L’evento mortale conseguitone, poi, appare all’evidenza la concretizzazione del rischio che le norme di diligenza e di prudenza violate miravano appunto a scongiurare, atteso che - in mancanza di altre cause accertate eziologicamente riconducibili all’evento -  se l’imputato avesse prestato la doverosa attenzione richiesta  nella guida e comunque moderato la velocità del proprio mezzo, adeguandola alle condizioni del tempo e della strada, avrebbe certamente evitato la collisione con il ciclomotore che lo precedeva, secondo le regole di comune esperienza .

Sulla base delle precise, concordi e logiche risultanze probatorie emerse, quindi, si può ragionevolmente ipotizzare una sua distrazione di guida (un colpo di sonno, ad esempio) che, in uno con la forte velocità, gli abbia impedito di avvedersi in tempo utile del ciclomotore che lo precedeva, così da evitare  l’ostacolo.

In tal senso giova ricordare, in punto di diritto, che secondo il consolidato orientamento  della Suprema Corte di legittimità  la responsabilità dell’imputato per la determinazione di un dato evento naturalistico  deve essere affermata anche nei casi in cui – come nella fattispecie – l’innesco della serie causale e ogni successivo passaggio della concatenazione, sulle base delle prove raccolte, non sia stato completamente chiarito, potendo  essere ricondotto a più condotte colpose  alternative, purchè tutte riconducibili alla persona dell’imputato e, nello stesso tempo, possa  escludersi l’incidenza di meccanismi eziologici indipendenti (Cass. Sez. IV, 6.2.2002 n. 14358; Cass. Sez. IV,  11.7.23002 n. 988).

Certo è che le  ricostruzioni alternative dell’incidente, sotto il profilo causale e psicologico, fornite dalla difesa non appaiono  assolutamente condivisibili,   convincenti.

Si è infatti sostenuto, in termini dubitativi e alternativi, che il ciclomotore viaggiasse a luci spente, forse perché non funzionanti, così da risultare non  visibile, ovvero che l’investimento potesse ricondursi ad una manovra imprudente della vittima che, all’improvviso e senza alcuna ragione, proprio quando il veicolo condotto dall’imputato stava sopraggiungendo, sterzava verso il centro della carreggiata, creando un ostacolo imprevisto ed imprevedibile,  tale per cui  l’imputato non avrebbe avuto né il tempo né la possibilità concreta di evitare l’impatto.

Ora, a parte il rilievo che nessuna di dette spiegazioni è stata personalmente sostenuta e rivendicata  dall’imputato, osserva questo decidente che a   fronte di una ricostruzione in termini causali del tutto logica e fondata, siccome scaturente e dedotta dalle risultanze di causa, la prospettazione di una diversa e alternativa ricostruzione  causale non può essere affidata  solo a indicazioni  meramente “possibiliste” (cioè come accadimenti possibili dell’universo fenomenico), ma deve connotarsi di elementi di concreta probabilità e di specifica possibilità, essendo necessario, cioè, che l’accadimento alternativo, ancorché pur sempre  prospettabile come possibile, divenga anche  - nel caso concreto -  hic et nunc, concretamente probabile, alla stregua delle acquisizioni probatorie processuali (Cass. Sez. IV, 12.9.2006 n. 30057).

Ora, nel caso in esame, ipotizzare che la vittima viaggiasse a fari spenti  appare eventualità  destituita di ogni fondamento;

da un lato, infatti, le condizioni naturali di luce certamente ridotte in considerazione dell’orario praticamente notturno fanno ritenere  che egli circolasse - com’è logico - con i fari accesi, dall’altro sia il perito che ha visionato il ciclomotore dopo l’incidente, che  il cugino della vittima hanno affermato che il mezzo era dotato di un sistema di illuminazione perfettamente funzionante.

Quanto alla tesi del consulente della difesa secondo cui l’impatto tra l’auto e il ciclomotore non sarebbe stato perfettamente “in asse”, posto che quest’ultimo presentava danni compatibili con una leggera angolazione da destra verso sinistra (di 7-10 gradi), a dimostrazione del fatto che la vittima stava spostandosi verso il centro della strada,  rileva questo decidente che trattasi di una ricostruzione che contrasta totalmente con le tracce oggettive lasciate a seguito dell’impatto;

invero il punto d’urto tra i due mezzi, non contestato neppure dal consulente della difesa, è collocato a soli 60 centimetri dal margine destro della carreggiata (meglio, a rigore, a 54 centimetri da detto margine, considerato che la misurazione è stata effettuata partendo dal centro della riga bianca di margine, larga 12,5 centimetri).

Lo stesso perito, interrogato sul punto, ha ammesso che se anche il ciclomotore avesse avuto una leggera posizione obliqua verso il centro della strada, misurabile in pochi gradi, tuttavia l’urto è stato “fondamentalmente di tipo centrato, centrale”, come testimoniato dal fatto che il telaio con le due ruote, anteriore e posteriore, dopo l’impatto si è praticamente “chiuso in asse”;

in altri termini al momento del tamponamento il ciclomotore stava viaggiando  proprio davanti all’auto e sulla sua stessa asse, senza presentare significative angolazioni, sicchè deve escludersi che stesse  attraversando  la carreggiata o comunque deviando verso il centro della strada.

In tal senso, richiamandosi sul punto le deduzioni ampiamente condivisibili del perito, le deformazioni delle parti c.d. “molli”, descritte dal consulente della difesa (quale ad esempio il parafango posteriore piegato verso destra), non appaiono significative rispetto alla dinamica del sinistro, dal momento che trattasi di parti deboli che hanno verosimilmente subito grandi trasformazioni per effetto dell’urto e del successivo arrotolamento subito dal mezzo, sbalzato ad una distanza di  circa 81 metri dal punto di impatto.  

Alla luce di tutto quanto sopra esposto l’imputato deve essere ritenuto responsabile del delitto di omicidio colposo contestato al capo n. 1) dell’imputazione.

 

DELITTI CONTESTATI AI CAPI N. 2 E N. 3 DELL’IMPUTAZIONE

L’imputato deve essere riconosciuto colpevole anche dei delitti  di cui all’art. 189 commi 6° e 7° CdS, per non aver ottemperato all’obbligo di fermarsi dopo aver provocato l’ incidente  di cui sopra,  direttamente ricollegabile al suo comportamento di guida, e per non aver prestato assistenza alla vittima.

E’ emerso pacificamente che l’imputato, dopo l’incidente, si dava  alla fuga e solo a distanza di alcune ore, nella tarda mattinata, si metteva in contatto telefonicamente  con un amico, l’agente della Polizia Stradale di Mantova Belletti Vanni, riferendo dell’avvenuto sinistro, sia pure in termini di  assoluta genericità.

La difesa ha invocato l’assoluzione del proprio assistito dalle imputazioni di cui sopra per carenza dell’elemento psicologico del dolo, affermando che l’imputato non si era affatto reso conto di avere provocato un incidente e nello specifico di avere investito un motociclista, cagionandone la morte.

Detta versione dei fatti è confluita nel fascicolo del dibattimento attraverso le dichiarazioni de relato dei testi __________________;

a tutti costoro l’imputato avrebbe, infatti,   riferito  subito dopo l’incidente (è il caso dell’amico  ____________,  contattato intorno alle 5.30 -  6.00 di quella stessa mattina) o comunque  a distanza di poche ore  di avere investito un cane o comunque un animale di  grossa taglia.    

Ora, quanto siano inverosimili e tragicamente fantasiose dette affermazioni emerge dalla semplice visione delle fotografie ritraenti i danni  riportati dal veicolo condotto dall’imputato, il quale non può non essersi reso conto, proprio per la dinamica e la violenza dell’impatto, di avere tamponato un ciclomotore, il cui conducente veniva caricato sul cofano e spinto contro il parabrezza sfondandolo, per poi essere catapultato insieme al mezzo ad alcune decine di metri di distanza in un campo adiacente la strada.

Né può tacersi del fatto che quella mattina, seppure  le condizioni di luce naturale in considerazione dell’ora erano scarse, non vi era nebbia né altre avverse condizioni atmosferiche, sicchè la visibilità era praticamente normale.

In realtà l’imputato, che ha percepito perfettamente il sinistro, si è  fermato dopo avere investito il povero Caio,  ma non per verificare quanto accaduto e prestare assistenza alla vittima, bensì per raccogliere tutti i pezzi, anche i  più piccoli,  staccatisi dalla carrozzeria della propria auto a seguito dell’urto, caricandoli nel bagaglio,  per poi darsi alla fuga.

E infatti, mentre sul luogo del sinistro non veniva rinvenuta alcuna traccia del veicolo investitore, circostanza che insospettiva immediatamente gli inquirenti, nel bagaglio dell’ auto poi sottoposta a sequestro venivano trovati  tutti i pezzi di carrozzeria mancanti che si era staccati al momento dell’impatto.

Particolarmente significativa ai fini della prova  della piena consapevolezza da parte dell’imputato di quanto accaduto è, poi, la testimonianza resa dal  carrozziere Scartapatti, presso la cui officina l’imputato faceva trasportare con un  carro attrezzi la vettura  danneggiata  già all’orario di apertura,   verso le ore  8.30 di quella stessa mattina;

l’uomo ha ricordato che l’imputato era ritornato in officina  per   ritirare dalla macchina alcuni effetti personali e nell’occasione  si era fatto consegnare uno straccio e del diluente, cominciando a pulire alcune tracce sulla parte anteriore del mezzo, proprio quelle di colore azzurro lasciate dal ciclomotore al momento dell’impatto (ancora visibili nella foto n. 10 del fascicolo fotografico).     

La condotta posta in essere dall’imputato, perfettamente consapevole  dell’accaduto,  integra  quindi  entrambi gli addebiti contestati ai capi 2) e 3) dell’imputazione.

Quanto all’obbligo di fermarsi, basti rilevare che trattasi di reato omissivo di pericolo, che si consuma per il fatto stesso che l’agente, in presenza di un incidente comunque ricollegabile alla sua condotta di guida ed idoneo a produrre eventi lesivi, non si sia fermato per consentire i rilievi e gli accertamenti necessari (Cass. Sez. IV, 28.1.2003,   n.  3982).

Con riferimento, invece, al delitto sub 3), questo decidente ritiene che il reato de quo sussista, a fronte dell’omesso soccorso,  anche nelle ipotesi in cui (come nel caso in esame) sia emerso  dalle successive indagini autoptiche e necroscopiche che la vittima è deceduta praticamente all’istante, nell’immediatezza dell’impatto.

Sul punto la difesa  ha invocato l’assoluzione del proprio assistito, affermando che nessun  obbligo di prestare assistenza poteva configurarsi a carico dell’imputato, e ciò in ossequio ad un indirizzo giurisprudenziale secondo cui per la sussistenza del reato è necessaria l’effettività  del bisogno della persona ferita, che manca ovviamente nelle ipotesi di assenza di lesioni, di morte  istantanea o allorchè altri abbiano già provveduto e non risulti più necessario o utile un ulteriore intervento del soggetto obbligato.

Ora questo decidente, pur  non ignorando la tesi giurisprudenziale fatta propria dalla difesa, ritiene in aderenza ad una diversa ed accresciuta  sensibilità sociale sul punto che il giudizio  ex-post circa l’inutilità dell’assistenza perché la vittima era già deceduta non possa escludere il reato, dal momento che il conducente ha l’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza, verificando le condizioni in cui versa il soggetto investito e se lo stesso necessiti  o meno di aiuto immediato; 

in verità che il povero Caio sia morto praticamente “sul colpo”  o negli istanti immediatamente successivi è circostanza  accertata solo in seguito all’esame autoptico, che l’imputato non poteva conoscere al momento dell’incidente, sicchè  egli avrebbe comunque dovuto fermarsi,   accertarsi  quantomeno  se l’investito era ancora in vita, chiamare il servizio 118 e verificare in concreto se vi fosse spazio per un aiuto  immediato da parte sua (Cass. Sez. IV, 2.5.1991 n. 4840; Cass. Sez. IV, 9.5.2000, n. 5416).

In verità Barkaoui Salem, investito senza alcuna colpa,  non ha avuto alcuna assistenza da parte dell’imputato,   è morto quasi subito dopo l’urto e il suo cadavere è rimasto abbandonato in mezzo a un campo incolto finchè qualcuno (non si sa neppure con esattezza chi)  verso le ore 7.00,  circa un’ora e mezza dopo l’incidente,  si è accorto della sua presenza  ed ha allertato  i soccorsi.

 

TRATTAMENTO SANZIONATORIO

Alla luce della complessiva valutazione del  fatto, tenuto conto della gravità oggettiva delle condotte poste in essere dall’imputato, dell’ entità del danno arrecato alla persona offesa,  del comportamento serbato sia in occasione dell’evento che nei momenti immediatamente successivi, nonché della condotta processuale assunta, aliena da qualsiasi contributo  effettivo alla ricostruzione del fatto e lontana da forme di resipiscenza per l’accaduto, ritiene questo decidente  che il prevenuto non sia meritevole della concessione delle attenuanti generiche.

Né il mero dato relativo al suo stato di incensuratezza  appare decisivo ai fini di una diversa valutazione,  essendo superato dalla  gravità  e rilevanza degli altri elementi di disvalore, oggettivi e soggettivi,  sopra indicati.

Ciò posto, quanto al  delitto di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, sanzionato all’epoca del fatto con la pena della reclusione da 1 a 5 anni (trattamento  poi inasprito a seguito dell’entrata in vigore della legge 102/2006,  che ha innalzato  il minimo edittale  ad  anni 2 di reclusione), ritiene questo decidente,  alla luce dei medesimi elementi sopra evidenziati,  riconducibili ai criteri di cui  all’ art. 133  c.p.,  che pena equa da irrogare in concreto sia quella di anni 2 di reclusione.

I delitti contestati ai capi n. 2) e n. 3) dell’imputazione appaiono all’evidenza unificati dall’identità del disegno criminoso e più grave è quello sanzionato dal 7° comma dell’art. 189 CdS.

Pertanto, alla luce dei criteri indicati nell’art. 133 c.p., già menzionati, si ritiene pena equa da infliggere per i delitti unificati quella di anni 2 di reclusione (pena base per il più grave delitto di cui al capo n. 3) anni 1 e mesi  6 di reclusione,  aumentata per la continuazione sul capo 2) ad anni 2 di reclusione).

La pena complessivamente  inflitta,  pari  ad anni 4 di reclusione,  deve essere dichiarata condonata  ex lege 241/2006 nella misura massima di anni 3 di reclusione.

Alla condanna per tutti i delitti contestati consegue ai sensi del combinato disposto degli artt. 189 e  222 C.d.S.  la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, che si ritiene equo determinare, sulla base degli stessi criteri di quantificazione della pena, nel periodo  di anni tre (in particolare la violazione del disposto del 7° comma dell’art. 189 CdS comporta la sospensione della patente di guida per un periodo non inferiore ad un anno e sei mesi e non superiore a cinque anni).

Stante la complessità della stesura della motivazione si indica in giorni 40 il termine per il deposito dei motivi.

                                                     P.Q.M.

Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.  dichiara l’imputato colpevole  dei delitti ascrittigli, unificati i delitti contestati ai capi 2) e 3) dell’imputazione sotto il vincolo della continuazione,  e lo condanna alla pena di anni 2 di reclusione in relazione al delitto di cui al capo 1) e alla pena di anni 2 di reclusione  in relazione ai restanti delitti unificati,  oltre al pagamento delle spese processuali.

Visti gli artt. 189 e  222 del C.d.S. ordina la sospensione  della patente di guida  dell’imputato per la durata di anni tre.

Vista la legge 241/2006 dichiara condonata la pena, complessivamente pari ad anni 4 di reclusione, nella misura di anni 3 di reclusione.

Indica in giorni 40 il termine per il deposito dei motivi.

Mantova,  6.12.2006.

                                                                                                 Il Giudice