Opposizione a dichiarazione di
fallimento - Termine breve per l'impugnazione - Decorrenza - Formale notifica
al debitore - Necessità. Istanza di fallimento - Diritto di difesa del debitore
a fronte di altre istanze successivamente presentate da altri creditori -
Rinnovo della convocazione per ciascuna nuova istanza - Esclusione.
Trasferimento della sede legale nell'imminenza della presentazione delle
istanze di fallimento - Mancato trasferimento del centro propulsore
dell'azienda - Prosecuzione dell'effettivo esercizio dell'attività nella
vecchia sede - Incompetenza del tribunale fallimentare - Insussistenza.
Prevalenza di attività commerciale rispetto a quella agricola - Fallibilità. Corte Appello Brescia, Sez. I
civile – Sentenza del giorno 11 giugno 2003. SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO Il Tribunale di Mantova con
sentenza 28 gennaio — 4 febbraio 1999
dichiarava il fallimento della società SAL.CO S.r.l.. Con atto di citazione
notificato il 16 marzo 1999 detta società citava a comparire davanti a quel
Tribunale il Fallimento, in persona del curatore, nonché il creditore istante
SIPRA S.P.A. proponendo opposizione alla sentenza predetta. Premesso che
quest'ultima mai le era stata formalmente comunicata, la società opponente
eccepiva che essa, operante nel settore dell'allevamento come ritenuto nella
stessa sentenza dichiarativa di fallimento, non avrebbe potuto essere
dichiarata fallita in quanto esercente un'impresa agricola. In secondo luogo
negava di versare in stato di insolvenza atteso che essa poteva contare su
consistenti attività e sul credito delle banche e che due dei tre creditori
che avevano presentato istanza erano stati transattivamente tacitati.
Inoltre, evidenziato che la sede della società era stata spostata da Gonzaga
a Serra San Bruno, eccepiva anche l'incompetenza del Tribunale di Mantova a
decidere sulle istanze di fallimento per essere competente il Tribunale di
Vibo Valentia negando in particolare che detto trasferimento fosse stato
meramente fittizio o strumentale. Evidenziava ancora
Si costituivano i convenuti che, pur costituiti con
separate difese, replicavano entrambi che il trasferimento della società a
Serra San Bruno era ininfluente sulla competenza del Tribunale di Mantova a dichiarare
il fallimento in quanto posteriore o di poco anteriore alla presentazione
delle domande di fallimento; che la fallita aveva comunque intrapreso
attività commerciali e industriali ricomprese nel suo oggetto sociale; che lo
stato di insolvenza di SAL.CO era dimostrato dalla pendenza di numerose
procedure esecutive pendenti a suo carico. Nel così costituito contraddittorio, la causa era decisa
con sentenza in data 30 novembre 2000 (depositata il successivo 9 febbraio
2001). Il Tribunale, premesso di avere attinto elementi di conoscenza dal
fascicolo fallimentare com'era in suo potere attesi i profili officiosi caratterizzanti la
procedura di opposizione alla sentenza dichiarativa
del fallimento, così riteneva in relazione ai diversi motivi esposti dall'opponente. Il trasferimento della
società nel circondario del Tribunale calabrese era ininfluente ai fini della
competenza sia perché avvenuto allorché le prime istanze di fallimento già
erano state presentate sia perché non aveva
comportato (come risultava anche da informazioni assunte a mezzo della
polizia giudiziaria) lo spostamento della sede operativa della società stessa
rimasta invero in Bondeno di Gonzaga. Nessuna violazione vi era stata del
diritto di difesa della debitrice perché, dopo la presentazione dell'istanza
di fallimento di SIPRA, a SAL.CO era stato assegnato un termine per il
deposito di memoria difensiva. La società opponente ben poteva essere
assoggettata a fallimento poiché nell'oggetto sociale erano indicate talune
delle attività contemplate nell'art. 2195 cod. civ. le quali, peraltro,
risultavano essere state effettivamente esercitate, giusta i risultati delle
informazioni acquisite. Lo stato di insolvenza, infine, era conclamato
dall'esistenza di debiti per complessivi 2 miliardi e mezzo di lire cui
faceva riscontro un attivo composto da merci e attrezzature, crediti e
liquidità ammontanti, ciascuna voce, a poche centinaia di migliaia di lire.
In forza di questi argomenti, il Tribunale di Mantova rigettava dunque l'opposizione
e condannava l'opponente alla rifusione delle spese in favore dei convenuti
opposti. La sentenza era impugnata dalla soccombente. SALCO, con
atto notificato il 6 febbraio 2002, citava infatti a comparire davanti alla
Corte di appello di Brescia sia il Fallimento che SIPRA. Sviluppava a
sostegno della richiesta riforma della decisione di prime cure quattro motivi corrispondenti ai punti su cui si era
imperniata l'opposizione; in relazione a ciascuno contestava le conclusioni
di rigetto cui era pervenuto il Tribunale. Si costituivano entrambi gli appellati che insistevano
per la reiezione del gravame e per la conferma della decisione
gravata. La causa era chiamata per la precisazione delle
conclusioni all'udienza del 19 marzo 2003. A questa, esperito l'incombente,
era trattenuta per la decisione, previa concessione alle parti dei termini di legge per il
deposito degli scritti difensivi finali. Spirati detti termini, era decisa
nella camera di consiglio dell'11 giugno 2003. MOTIVI DELLA DECISIONE La difesa di SIPRA ha riproposto in questa sede
l'eccezione di inammissibilità dell'opposizione alla sentenza dichiarativa di
fallimento proposta da SAL.CO che, già formulata da entrambi i convenuti, a
dire della società appellata non sarebbe stata esaminata dal giudice di
primo grado. Evidenzia la società che in data 23 febbraio 1999
l'amministratore unico di SAL.CO venne sentito dal curatore del
fallimento acquisendo così compiuta conoscenza della procedura aperta 'a
carico della società e che l'opposizione venne poi proposta a mezzo della
notificazione dell'atto di citazione solo il 16 marzo 1999 e cioè oltre i
quindici giorni previsti, a pena di decadenza, dall'art. 18 legge
fallimentare. La Corte rileva che detta eccezione è stata in realtà
esaminata dal giudice di primo grado e da questo rigettata, sia
pure in forza di una motivazione non compiutamente esplicitata. In
apertura di motivazione, infatti, i giudici mantovani hanno avuto cura di
annotare che l'opposizione era da considerarsi proposta entro il
limite temporale stabilito dalla norma appena citata che
decorreva non già dalla comunque acquisita conoscenza di mero fatto
dell'avvenuta emissione della sentenza dichiarativa del fallimento ma
dal momento della sua conoscenza legale data esclusivamente dalla comunicazione
della sentenza medesima. Questa annotazione, all'evidenza, non si giustifica
se non come risposta all'eccezione formulata dai due convenuti. La posizione assunta dal giudice di primo grado
sull'argomento, ad avviso della Corte, merita di essere confermata. Essa è
invero perfettamente coerente con l'interpretazione giurisprudenziale
dell'art. 18 legge fallimentare che, dopo la nota pronuncia della Corte
Costituzionale n. 51 del 1980, è approdata alla definitiva sistemazione
offerta da Cassazione civile sez. un., 3 giugno 1996, n. 5104. Quest’ultima
ha invero insegnato - e questo.Collegio non ha davvero motivi per
disattendere tale insegnamento — che perché decorra il termine
breve di quindici giorni per proporre opposizione alla sentenza dichiarativa
di fallimento occorre che il cancelliere provveda a comunicare
al fallito per estratto la sentenza stessa e che, in difetto di
tale comunicazione, residua la possibilità per il fallito stesso di proporre
l'impugnazione entro l'ordinario termine annuale di cui all'art. 327 cod.
proc. civ.. Non può essere in particolare condivisa la tesi della società
appellata secondo la quale detto termine breve dovrebbe altresì decorrere,
pur in assenza della menzionata comunicazione, dal momento
in cui il fallito abbia avuto conoscenza, quantomeno di fatto, dell'apertura della
procedura concorsuale a suo carico. Appare infatti estraneo al sistema delle
impugnazioni l'ancoraggio dei termini brevi per impugnare anziché
all'esperimento di atti formalità, come tali agevolmente e indiscutibilmente
collocabili nel tempo, a mere valutazioni di ordine empirico quali quelle che
intendono accertare, sulla base di meri indici di fatto, l'avvenuta
conoscenza dell'atto da parte del titolare del diritto di impugnazione. Confermato quindi che, come ha giustamente reputato il
giudice di primo grado, l'opposizione proposta da SAL.CO deve ritenersi
tempestiva non risultando essere stata eseguita la comunicazione alla società
della sentenza dichiarativa di fallimento, può principiarsi l'esame del
merito dell'impugnazione. Col primo motivo, SAL.CO censura la sentenza di prime
cure per avere disatteso l'eccezione di nullità dell'intero procedimento e
quindi della sentenza di questo conclusiva per violazione dell’art. 15 della
legge fallimentare. Secondo l’appellante, il Tribunale avrebbe errato nel
ritenere soddisfatto il diritto di difesa del debitore semplicemente per
effetto dell’invito, allo stesso rivolto, di presentare eventuale memoria
difensiva dopo che altro creditore e precisamente SAL.CO, avrebbe consentito
a questi di adeguatamente controbattere alle ragioni del creditore
anche a fronte delle conseguenze del tutto disastrose che l’accogliemnto
dell’istanza avrebbe avuto sulle sorti del debitore medesimo. Il motivo, a giudizio della Corte, è del tutto infondato
e immeritevole di accoglimento. Risulta
pacifico in atti (anche perché
adeguatamente comprovato dai verbali del Tribunale fallimentare) che in data
1 ottobre 1998 il Tribunale di Mantova, in relazione ai procedimenti
scaturiti da due istanze di fallimento già presentate a carico di SAL.CO.,
prese atto della richiesta di termini avanzata dalla difesa e rilevò che,
nelle more, era stata presentata un'ulteriore istanza da parte della
creditrice SIPRA; ritenne che il richiesto termine potesse essere concesso e
riservò ogni decisione sulle predette istanze di fallimento fino al 12
novembre 1998. Successivamente e precisamente il 19 novembre 1998 lo stesso
Tribunale prese atto che in relazione alle prime due istanze era stata
presentata desistenza e che della terza istanza (quella presentata da SIPRA)
non risultava che la società debitrice avesse avuto conoscenza. Pertanto,
concesse nuovo termine a SAL.CO fino al I4 gennaio 1999 per il deposito di
eventuale memoria difensiva anche in relazione al nuovo ricorso presentato da
SIPRA, mandando peraltro alla Cancelleria di acquisire anche informazioni a
mezzo di P.G. sul trasferimento della società debitrice In Serra San Bruno, al fine di appurare se
lo stesso dovesse considerarsi meramente fittizio. La ordinanza suddetta fu
notificata il 28 novembre 1998 alla società debitrice la quale fu così in
grado di far pervenire al Tribunale, "in relazione al proc. fallimentare
n. 208/98" (quello instauratosi a seguito dell'istanza di SIPRA) memoria
difensiva nella quale si eccepiva al qui richiamato l'univoco insegnamento della
giurisprudenza di legittimità che ha più volte avuto modo di chiarire che
"nel procedimento camerale e sommario che precede la dichiarazione di
fallimento, una volta che il debitore sia stato informato dell'avvio della
procedura nei suoi confronti e sia stato posto in condizione di svolgere le
sue difese, non è necessario che egli sia nuovamente convocato ed avvertito
ogni qualvolta si aggiungano istanze di fallimento da parte di altri
creditori, avendo egli l'onere di seguire lo sviluppo della procedura e di
assumere ogni opportuna iniziativa in ordine sia alle eventuali informazioni
richieste d'ufficio dal Tribunale sulle condizioni soggettive ed oggettive dell'impresa, sia alle eventuali ulteriori pretese creditorie inserite
nel coacervo delle istanze e delle prove a suo carico" (Cassazione
civile, sez. I, 2 agosto 1990 n. 7757; Cassazione civile, sez. I, 3 novembre
1983 n. 6472). Anche nelle pronunce che più hanno accentuato l'esigenza di
garantire il pieno dispiegarsi del diritto di difesa del fallito si esclude
comunque la necessità di rinnovare la sua convocazione per ciascuna delle
istanze che vengano via via presentate, reputandosi sufficiente, ai fini
della tutela del diritto suddetto, "che il debitore sia di fatto in
grado di chiarire tempestivamente all'organo fallimentare ogni elemento utile
per valutare la sua situazione commerciale e patrimoniale" (Cassazione
civile sez. I, 25 maggio 1994, n. 5101). Nel caso di specie, non può dubitarsi che questa
condizione si sia pienamente verificata. Vi era un procedimento
prefallimentare già aperto a carico di SAL.CO nel quale la società aveva
avuto modo di esercitare i propri diritti di difesa anche chiedendo e
ottenendo termini per la sistemazione stragiudiziale di alcune posizioni
debitorie; intervenuta altra istanza di fallimento, questa fu
portata a conoscenza della debitrice che fu invitata a
difendersi sul punto e che, in effetti, esercitò la propria difesa a
mezzo della memoria sollecitata
dallo stesso Tribunale. Non si vede
proprio in quale modo la mancata nuova convocazione del debitore davanti al Tribunale
fallimentare abbia potuto pregiudicare il suo diritto di difesa perché non si
scorge quale ulteriore argomento difensivo quegli avrebbe potuto sviluppare
oltre a quanto già versato in causa
relativamente alle sue condizioni generali a mezzo della audizione nella
camera di consiglio e relativamente alla specifica posizione di SIPRA
a mezzo della memoria autorizzata. La circostanza, evidenziata nell'atto di gravame, che
SAL.CO non sia stata posta in grado di conoscere tempi, motivi,
termini di quanto contenuto nella nuova istanza di fallimento è poi del tutto
irrilevante perché, una volta portata a conoscenza della debitrice
l'esistenza di quella istanza di fallimento, incombeva certamente alla stessa di
assumere tutte le più opportune informazioni onde apprestarenel modo più
efficace la propria difesa a mezzo dello strumento individuato dal Tribunale. Deve conclusivamente escludersi, quindi, che il
Tribunale fallimentare di Mantova abbia violato il disposto dell'art. 15
legge fallimentare e deve confermarsi la pronuncia dei giudici
dell'opposizione che hanno, del tutto correttamente, rigettato la relativa
eccezione. Col secondo motivo di gravame, l'appellante torna a
insistere sull'eccezione di incompetenza, censurando la sentenza di primo
grado che la stessa ha disatteso. Contesta l'appellante che il suo
trasferimento in Serra San Bruno sia stato meramente fittizio e pretestuoso,
come sostenuto dal Tribunale, e al riguardo sottolinea la propria correttezza
commerciale che la portò, pur dopo essersi colà trasferita, a
sanare le due posizioni dei creditori istanti per il fallimento. Ma, secondo
SAL.CO, soprattutto avrebbe trascurato il Tribunale le reali motivazioni del
perché una ditta "in epoca di globalizzazione" possa spostare la propria sede
da
un luogo a un altro. Al riguardo, spiega che il trasferimento in Calabria fu
originato dall'"incremento del settore di attività agricole (oggetto
sociale della SAI..CQ) collegate à future prospettazioni nel campo turistico,
anche in considerazione di contributi regionali", dall'"incremento
nel settore degli allevamenti, nell'ambito di un'economia collinare (altopiano
delle Serre)", dal progettato acquisto di terreni "per attività
specifiche, stante una politica di agevolazioni creditizie".
Il trasferimento, dunque vero e reale, avrebbe dovuto radicare la
competenza presso il Tribunale fallimentare di Vibo Valentia e non
varrebbero, in contrario, le considerazioni svolte dal primo giudice circa la
diversa localizzazione dì altri insediamenti commerciali, circa il
persistente inoltro di corrispondenza alla volta della "vecchia"
sede in Bondeno di Gonzaga e circa la chiusura dei locali in Serra San Bruno
riscontrata dalla polizia giudiziaria attivata dal Tribunale fallimentare
mantovano. Questi elementi, secondo l'appellante, sarebbero infatti destinati
a cedere a fronte della necessaria considerazione dell'"ambulatorietà
... del titolare della ditta, portatosi di volta involta nei luoghi
congegnali alla sua attività, muovendosi dal centro propulsore di Serra S.
Bruno a prescindere da altro luogo di ubicazione dei fattori
produttivi", In ogni caso, conclude l'appellante, il curatore non
sarebbe riuscito a vincere la presunzione di identità tra sede legale e sede
effettiva. Anche questo motivo si rivela, a giudizio della Corte,
del tutto infondato. Va immediatamente segnalata l'estrema carnosità delle
ragioni che a dire dell'appellante avrebbero imposto il suo trasferimento in
Serra San Bruno. Essa risalta ancora più se si considera che nella citata
memoria difensiva depositata presso il Tribunale fallimentare dette ragioni
erano di segno tutt'affatto diverso essendo individuate nella necessità di
reperire una sede più vicina a un porto – quello di Gioia Tauro – in cui
particolarmente fiorenti erano i traffici con l'estremo oriente dei quali la
società si giovava nella sua attività di import – export. Sennonché non interessa
in questa sede approfondire la questione circa l'effettività di questo
trasferimento, essendo invece rilevante valutare la realtà
dell'apertura della sede in Serra San Bruno nella generale economia
dell'attività sociale, avendo presenti le regole che in tema
di competenza del Tribunale fallimentare sono poste dalla
giurisprudenza di legittimità. E in esito a questa valutazione non dubita la
Corte che vada confermata la conclusione cui è approdato íl giudice di primo
grado. Anche di recente è stato ribadito che "ai fini
della corretta individuazione del tribunale territorialmente competente a
conoscere della domanda di fallimento di società commerciale, aí sensi
dell'art. 9 l. fall., la presunzione di coincidenza della sede effettiva con
la sede legale dell'ente opera, nel caso di trasferimento, con
riferimento alla sede precedente, e non a quella successiva al trasferimento
stesso, nei casi seguenti: a) quando il trasferimento sia temporalmente
vicino all'istanza di fallimento, e quindi compreso in epoca in cui debba
considerarsi già manifestata o quantomeno imminente la crisi economica
dell'impresa, atteso che in tale evenienza, poiché viene a mancare un collegamento
con
una qualsiasi evoluzione delle esigenze dell'impresa stessa, il trasferimento della
sede diviene equivoco (se non fittiziamente preordinato ad incidere proprio
sulla competenza territoriale) e non consente, dunque, di fondare alcuna
presunzione su di esso; b) quando vi è la prova che al trasferimento della
sede non corrisponde un reale trasferimento del centro propulsore
dell'impresa; c) quando, infine, al compimento delle formalità inerenti al
trasferimento non si accompagna l'effettivo esercizio dell'attività
d'impresa nella nuova sede" (Cassazione
civile sez. I, 9 maggio 2002,ord. n. 6693; si veda anche Cassazione civile
sez. I 6 dicembre 2001 n. 15474. Nel caso di specie, esistono tutte le cennate condizioni
che impongono di individuare nel Tribunale di Mantova il giudice competente
a decidere sulle istanze di fallimento presentate contro SAL.CO. In primo
luogo, giova infatti considerare che il trasferimento venne deliberato
dall'assemblea della società oggi appellante il 27 gennaio 1998 ma che
esso non fu materialmente possibile che a partire dal luglio dello
stesso anno allorchè furono presi in affitto in Serra San Bruno alcuni locali
a uso commerciale. All'epoca erano già pendenti le due istanze di fallimento,
difatti presentate nel precedente maggio, chiaramente rivelatrici dello stato
di decozione della società creditrice che sarebbe stato volutamente
dichiarato nel gennaio successivo. La circostanza che, poi, quelle due
istanze siano state ritirate non muta certamente i termini della situazione
atteso che il procedimento conseguentemente Instaurato non venne
per ciò meno ma prosegui, anche per effetto della presentazione
della terza istanza a opera di SIPRA, fino al suo epilogo. In ogni caso, al trasferimento della sede
legale non si accompagnò lo spostamento del centro propulsore della società
che, infatti, rimase in Bondeno di Gonzaga e infatti, tutta la documentazione
acquisita (fatture, corrispondenza, fax inviati ad operatori commerciali)
indica univocamente che, 'pur dopo il trasferimento della "sede
amministrativa" (così definita nei fax inviati allo spedizioniere
Goldoni – Iorio) in Serra San Bruno, le prassi operative di SAL.CO
non subirono alcuna modificazione atteso che tutta la merce a essa
destinata (di volta in volta: bici elettriche, canfora sintetica, manufatti
in … parti di macchinari, ecc.) veniva sbarcata al porto di Genova e quindi
consegnata nel magazzino di Bondeno di Gonzaga salvo l'invio delle fatture
nel centro calabrese. Per dare poi un'idea dell'importanza, del tutto
marginale, della sede aperta in quest'ultimo comune basti pensare che il
contratto di affitto della stessa prevedeva un canone di sole L. 100.000 al
mese e che i Carabinieri di Serra San Bruno riferirono di non avere mai visto
aperti quei locali. E' certamente vero che ai militari può anche essere
sfuggita una qualche estrinsecazione dell'"ambulatorietà" del
legale rappresentante della società; non può comunque negarsi che il coacervo
degli elementi raccolti induce a ritenere che, pur dopo l'apertura di
quell'ufficio, il "centro propulsore" dell'attività di SAL.CO
rimase pur sempre nei vecchi locali di Bondeno di Gonzaga dai quali veniva
diretta l'attività commerciale (i menzionati fax furono difatti inviati da
quella località) e nei quali veniva recapitata la merce il cui commercio
costituiva l'attività di elezione della società. Alla luce di queste concorrenti ragioni, deve quindi
escludersi che l'apertura dell'ufficio di Serra San Bruno, nel
quale venne trasferita la sede legale di SAL.CO, possa valere a radicare la
competenza del Tribunale di Vibo Valentia perché, pur dopo
quel trasferimento, la società continuò nondimeno a esercitare la propria
attività commerciale nel circondari del Tribunale di Mantova, quindi
competente a dichiararne il fallimento. Col terzo motivo di appello, SAL.CO lamenta che il giudice
di primo grado abbia respinto l'opposizione nonostante che la prevalente
attività di impresa riguardasse l'agricoltura "nel suo significato più
ampio" e l'allevamento, in tal modo sottraendo la società
all'assoggettabilità alle procedure concorsuali. Ammette l'appellante di avere
interessi in settori diversi ma insiste sul fatto che prevarrebbe
nell'attività sociale quella "inerente l'agricoltura, l'allevamento e
annessi". Premesse alcune annotazioni normative sul concetto di
imprenditore agricolo, l'appellante rivendica a sé tale natura e spiega che
proprio in ragione di questa essa si decise a trasferirsi in Serra San Bruno
"per dare sviluppo a tutta la filiera del settore agricolo, usufruendo
anche dei vantaggi possibili: costruzione in zona agricola con esenzione
degli oneri di urbanizzazione, agevolazioni per l'acquisto di terreni,
sviluppo degli allevamenti, iniziative agroturistiche, commercializzazione di
prodotti, ecc.". Ritiene il Collegio che il motivo sia del tutto privo di
qualsiasi pregio,risolvendosi lo stesso in affermazioni apodittiche,
pretestuose, patentemente contraddittorie. Già si è detto che la vocazione
agricola di SAL.CO à stato un portato della causa di opposizione poiché,
nella fase prefallimentare, il trasferimento nelle terre
calabresi era stato spiegato con l'interesse della società verso i più
favorevoli noli marittimi praticati presso il porto di Gioia Tauro che
avrebbero favorito i suoi commerci con la lontana Cina. Si aggiunge qui che
non uno dei documenti che sono stati versati in causa parla di un qualche
concreto interesse di SAL.CO per la diretta coltivazione dei campi o, meno
ancora, per l'allevamento del bestiame; tutti, invece, sono eloquenti di una
variegata attività di commercio avente a oggetto i più disparati settori
merceologici nessuno dei quali, peraltro, attinente alle attività
agricole. Questo rilievo è sufficiente a chiudere ogni discussione sul punto,
salvo segnalare come l'assunto di parte appellante di svolgere
prevalentemente attività agricola finisca per risolversi in una patente
petizione di principio laddove chiama a proprio supporto il fatto che la società si sarebbe
trasferita in Calabria appunto per meglio esercitare l'attività di
coltivazione e di allevamento. L'aporia del ragionamento non ha veramente
bisogno
di altre chiose per essere appieno disvelata. Con l'ultimo motivo di gravame, l'appellante censura la
sentenza di primo grado laddove questa ha ritenuto provata l'esistenza dello
stato di insolvenza. Innanzitutto SAL.CO contesta i numeri che il giudice di primo grado ha
utilizzato per motivare il proprio convincimento: in primo luogo scarsamente
significativo sarebbe il dato di L. 2.500.000.000 relativo al passivo perché
esso sarebbe "non definito, costituito soprattutto da sentenze di primo
grado impugnabili e da pretese creditorie insussistenti"; inoltre
avrebbe errato il Tribunale nell'indicare in L. 300.000 anziché in L. 300
milioni l'ammontare dei crediti e in L. 150.000 anziché in L. 150 milioni la
liquidità monetaria. Quindi l'appellante sostiene che lo sbilancio tra
attività e passività avrebbe dovuto essere considerato nell'ammontare
esistente al momento della delibazione delle istanze di fallimento e
non già alla luce delle altre istanze successivamente pervenute che hanno
contribuito ad appesantire lo stato passivo. Con specifico riferimento alla
stato dei conti esistente a quel momento, sostiene, sarebbe poi apparso del tutto
evidente che la società non versava in stato di decozione, che era in grado di
pagare i suoi creditori (come comprovato dalla stessa desistenza dei due
creditori istanti per il fallimento), che poteva al più parlarsi di una
temporanea difficoltà a soddisfare le proprie obbligazioni non riconducibile
certamente alla definizione di insolvenza. Neppure era ravvisabile, a detta
di SAL.CO, l'esteriorizzazione di suoi comportamenti che fossero sintomatici
dell'impossibilità di fare fronte regolarmente alle proprie obbligazioni,
quali, ad esempio, alienazioni del patrimonio, chiusura dell'attività,
trafugamenti, diminuzione fraudolenta dell'attivo, cessione dei beni ai
creditori e simili. In ogni caso, conclude l'appellante, lo stato di
insolvenza non potrebbe identificarsi col mero sbilancio tra attività e
passività perché a questo l'impresa ben potrebbe fare fronte anche a mezzo
del ricorso al credito. Le argomentazioni così riassunte non possono trovare
consenziente la Corte, almeno con specifico riferimento al caso concreto. Il dato, evidenziato dal Tribunale, rappresentato
dall'ammontare complessivo dei crediti insinuati al passivo fallimentare non
può essere utilmente contestato nella sua valenza probatoria; esso,
passato al vaglio degli organi fallimentari, non è invero suscettibile di
diverso apprezzamento allegando che nello stesso sarebbero confluiti anche
crediti inesistenti o portati da sentenze che avrebbero potuto essere
utilmente impugnate: non risulta infatti che i primi, regolarmente ammessi,
siano stati espunti a mezzo dei rimedi a ciò preordinati o che le seconde
siano state impugnate dal solo organo a ciò abilitato e cioè dal curatore. Per quanto invece riguarda l'attivo, è significativo che
la procedura abbia reperito ed acquisito quale solo cespite di proprietà
della società fallita un vecchio macchinario arrugginito, alienabile
solamente a peso. Per il resto, rileva la Corte che anche ammesso che il
Tribunale abbia errato nell'indicare l'ammontare dei crediti e della
liquidità e anche ammesso che queste voci siano pari all'ammontare indicato
dall'appellante, rimarrebbe pur sempre assodata l'impossibilità per le voci
attive di coprire, neppure in significativa parte, il passivo quale
definitivamente assestatosi. Resta quindi affidata alla valutazione della
Corte la realtà di un'impresa in cui le voci attive sono tali da coprire
solamente una minima parte delle passività accumulate e che, quindi, disvela
una strutturale debolezza finanziaria che è il primo presupposto dello stato
di insolvenza Può certamente convenirsi coll'appellante che quest'ultimo non ricorre
tutte le volte in cui il passivo patrimoniale non risulta coperto
dall'attivo, ben potendo l'impresa reperire risorse onde fare fronte a
temporanee crisi finanziarie. Queste prospettive, va però sottolineato, sono
strettamente collegate a una situazione di sostanziale solidità finanziaria
dell'impresa stessa perchè è notorio che imprese deboli o fortemente
indebitate non riescono ad attivare ulteriori canali di finanziamento. Nel caso di specie, il forte sbilancio tra
passività e attività è appunto sintomatico di uno stato di profonda crisi che
non appare suscettibile di utile
risanamento. Né l'appellante ha fornito, al di là di generiche illazioni,
precise e concrete indicazioni sul come avrebbe potuto soddisfare quei tanto
ingenti debiti potendo fare conto – stando alle sue stesse difese – su
risorse pari a poche centinaia di milioni. D'altra parte, vi è la prova in
atti che lo stato di grave dissesto finanziario di SAL.CO che si è così
individuato effettivamente si tradusse nella patente impossibilità, per la
stessa, di fare fronte con regolarità alle proprie obbligazioni. Si comincia
con l'osservare che due creditori furono soddisfatti, in via transattiva
(come ha ammesso la stessa società), solo dopo che essi presentarono istanza
di fallimento. Anche col terzo istante e cioè con SIPRA venne raggiunto un
accordo transattivo nel novembre 1997 che indusse lo stesso a ritirare una
precedente istanza di fallimento. Detto accordo prevedeva un piano di
pagamento rateale del debito già risalente all'anno precedente che però SAL.CO
non fu in grado di rispettare, tanto che la società creditrice si determinò a
presentare una nuova istanza di fallimento; a fronte di questa, peraltro, la
debitrice, anziché assolvere sollecitamente e senza esitazioni al proprio
debito, preferì accampare infondate e dilatorie eccezioni relative alla
incompetenza del Tribunale adito. L'affannosa rincorsa delle scadenze
azionate dai creditori davanti al tribunale fallimentare, il raggiungimento
di intese transattive comportanti dilazioni di pagamento e il mancato
rispetto di tali accordi costituiscono, a giudizio della Corte, sintomi
inequivocabili del venir meno della possibilità per la debitrice di regolare
ordinatamente e regolarmente le
proprie posizioni debitorie insorgenti nell'ambito dell'attività commerciale.
La grave situazione di squilibrio patrimoniale che più sopra si è
sottolineata offre appagante e ragionevole spiegazione di tali difficoltà
negli ordinari adempimenti. A ciò si aggiunga che, come dimostrato dalla
documentazione prodotta da SIPRA a corredo dell'istanza di fallimento,
nell'aprile 1997 pendevano a carico di SAL.CO ben tredici procedure esecutive
mobiliari e che lo stesso amministratore della società fallita, sentito dal
curatore, non ebbe remore nell'affermare — circostanza non smentita e
peraltro coerente con quanto appena sopra descritto — che l'azienda si
trovava in stato di crisi economica non godendo più di affidamenti bancari e
avendo gli oneri finanziari e gli interessi passivi ingigantito il debito
sino a rendere impossibile il rientro completo. Non vale peraltro sostenere che la situazione di
insolvenza andrebbe verificata al momento della presentazione delle istanze
di fallimento e non già in esito al consolidamento dello stato passivo.
L'assunto è comunque inconferente perché si è accertato che già a quel
momento SAL.CO non poteva dirsi in grado di pagare con regolarità i propri
debiti. Se è vero che la realtà contabile della
decozione venne fotografata in un momento successivo e cioè all'atto della
conta dei crediti, non è men vero che essa doveva essere attuale anche in
quel precedente frangente temporale atteso che le difficoltà, per la società,
di osservare puntualmente le sue scadenze (dimostrata tangibilmente dalle
procedure esecutive e dagli stessi accordi transattivi raggiunti
con gli istanti per il fallimento e solo dopo la presentazione delle
istanze stesse) non può Trovare adeguata giustificazione se non in una
situazione di impotenza finanziaria già in atto. Lungi quindi dal concretare
una mera difficoltà temporanea, la crisi in cui versava SAL.CO presenta
tutti i caratteri dello strutturale dissesto finanziario e integra quindi
quella condizione di decozione che impone la declaratoria di fallimento. Rigettato anche l'ultimo mezzo di gravame, ritiene
dunque la Corte che la sentenza di primo grado che, sulla base di
osservazioni in larga parte coincidenti con quelle qui confermate, ha
rigettato l'opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento proposta
dalla debitrice meriti piena conferma. Al rigetto del gravame consegue la condanna
dell'appellante alla rifusione in favore dei costituiti appellati delle spese del
grado. In ragione dell'attività effettivamente espletata quale risulta dai
fascicoli di parte e dai verbali di causa, esse si liquidano, per ciascuno, in
euro 6.537,60 (di cui 1.156,88 per diritti e 4.650,00 per onorari). P.Q.M. La Corte, definitivamente decidendo, rigetta l'appello proposto da SAL.CO S.r.l. avverso la
sentenza n. 130101 del Tribunale di Mantova in data 30 novembre 2000 – 9
febbraio 2001; condanna l'appellante SAL.CO S.r.l. a rifondere a SIPRA
S.p.A. e a FALLIMENTO SAL.CO S.R.L. le spese del
grado liquidate, per ciascuno, in euro 6.537,60. Così deciso
in Brescia, 1'11 giugno 2003. |