Arbitrato - Volontà delle parti di
attribuire agli arbitri funzione decisoria autonoma - Mancanza di una chiara
intenzione di attribuire all'arbitro il mandato di procedere ad una
composizione transattiva della lite - Ritualità dell'arbitrato - Sussistenza. Principio di consumazione dell'impugnazione
- Rinnovazione della notifica consentita al solo fine di porre rimedio ad una
precedente impugnazione viziata - Inammissibilità delle questioni introdotte
a seguito della seconda impugnazione. Compromesso che devolve la
questione ad un collegio di probi viri eletto dall'assemblea - Unanimità dei
consensi dei soci o del socio in lite - Necessità - Omessa indicazione nel
verbale di assemblea di nomina degli arbitri di voti contrari ed omessa
allegazione della circostanza nel giudizio - Inammissibilità della
conseguente eccezione di nullità del lodo. Arbitrato secondo equità -
Eccezione di nullità del lodo ex art. 822, 1° co. n. 4 c.p.c. e di mancanza
di terzietà degli arbitri introdotte per la prima volta con memoria di
precisazione e modifica delle domande ex art. 183, ult. co. c.p.c. -
Inammissibilità. Corte d'Appello di Brescia,
Sezione prima civile – Sentenza del giorno 6 novembre 2002. Svolgimento del processo
Nell’aprile
2000 alcuni soci di Latteria Sociale Alfa soc. coop. A r.l., con sede in Alfa
(MN), presentavano dichiarazione di recesso dalla società, ai sensi dell’art.
10, comma primo, lettera b), dello statuto e, in subordine, richiesta di
deroga all’obbligo di conferimento integrale del latte prodotto nelle
rispettive aziende, ai sensi dell’art. 7 dello statuto. Motivano quest’ultima
richiesta, allegando e documentando con prospetto contabile che i
corrispettivi distribuiti dalla cooperativa, negli ultimi esercizi,
risultavano insufficienti a coprire le spese di produzione del latte e che la
struttura della cooperativa era penalizzante per quanti, come loro, rispetto
ad altri soci, avevano l’unica fonte di reddito nella produzione del latte e
conferivano quantitativi di latte più ingenti rispetto alla media delle
consegne effettuate dai soci, venendo in tal modo a sopportare, per buona
parte gli effetti negativi derivanti alla cooperativa dalla crisi del settore
caseario. Il CdA,
nella adunanza del 15 aprile 2000, mentre rinviava l’adozione delle
determinazioni di competenza sul recesso ad un momento successivo alla
risoluzione (“parere”) che l’assemblea dei soci, investita della questione,
avesse espresso, deliberava invece a maggioranza di concedere una deroga alla
consegna integrale del latte prodotto nelle aziende istanti (Azienda Agricola
“A” Fratelli, Azienda Agricola “B” s.s., Azienda Agricola “C” s.s., Azienda
Agricola “D” s.s.), fissando il conferimento obbligatorio, fatto salvo l’anno
2000, nella misura annua di q.li 2.000, superiore a quella auspicata dai
richiedenti (q.li 1.500) e ritenuta dall’organo amministrativo corrispondente
alla media dei conferimenti dei soci che non avevano presentato richiesta di
deroga all’obbligo di consegna integrale del latte prodotto. Una
deliberazione di deroga di eguale contenuto era adottata dal CdA, nella
adunanza del 26 aprile 2000, nei confronti della Azienda Agricola “E” , su
richiesta presentata in data 17 aprile 2000. Successivamente
convocata per un “parere” in ordine alle dichiarazioni di recesso presentate da
cinque soci (Azienda Agricola “A” Fratelli, Azienda Agricola “B” s.s.,
Azienda Agricola “C” s.s., Azienda Agricola “D” s.s., Azienda Agricola “E”) e
sulle deroghe all’obbligo di conferimento già adottate, l’assemblea, nelle
sedute del 13 e 28 giugno 2000, a maggioranza dei presenti e senza la
partecipazione al voto dei soci in conflitto di interesse, con deliberazioni
distinte si esprimeva in senso negativo sul quesito circa la legittimità
dell’assenso alle dichiarazioni di recesso presentate. L’assemblea riteneva
inoltre non condivisibile l’operato del CdA quanto alle deroghe concesse. Dopo la
delibera assemblare, i soci beneficiari delle deroghe comunicavano alla
società la data di inizio del conferimento del latte residuo a terzi, nei
limiti indicati nelle deliberazioni consiliari. Il CdA,
nella adunanza del 12 luglio 2000, rigettava le dichiarazioni di recesso
presentate e revocava le delibere del 15 e 26 aprile 2000, respingendo per
l’effetto la richiesta di deroga all’obbligo del conferimento integrale del
latte prodotto nelle aziende. I soci Azienda Agricola “A” Fratelli, con sede in Magnacavallo (VR), Azienda Agricola “B”, con sede in Astarre (VR), Azienda Agricola “D” s.s., con sede in Alfa (MN), e Azienda Agricola “E”, con sede in Osti (MN) proponevano ricorso avverso alla revoca delle precedenti deliberazioni consiliari del 15 e 26 aprile 2000, notificato in data 24 agosto 2000 a Latteria Sociale Alfa soc. coop. a r.l. ed al collegio dei probiviri presso la società, nonché in data 25 agosto 2000 a ciascun componente del collegio. Chiedevano, in via pregiudiziale, di dichiarare il difetto di giurisdizione, anche per nullità della clausola compromissoria di cui all’art. 32 dello statuto ; nel merito, di dichiarare l’illegittimità e l’inefficacia della delibera adottata dal CdA in data 12 luglio 2000 (non essendo assoggettabili a revoca le precedenti delibere consiliari; difettando i presupposti per il loro annullamento; dovendo considerarsi le delibere di deroga inoppugnabili per decorrenza dei termini e definitive), confermando, per l’effetto, la validità e l’efficacia dei provvedimenti di deroga del 15 e 26 aprile 2000. Radicatosi
il contradditorio con la cooperativa (formalmente costituitasi nel
procedimento promosso da Azienda Agricola “A” Fratelli, con memoria di
replica “unitaria a tutti i ricorsi” avverso la delibera consiliare del 12
luglio 2000, precedentemente alla loro riunione in unico processo) e
presentati dalle parti gli iscritti difensivi finali, l’adito collegio, con
lodo dd. 27 dicembre 2000, dichiarava la propria competenza sulla
controversia e rigettava nel merito i ricorsi presentati dai soci avverso la
delibera del CdA del 12 luglio 2000, dichiarata legittima ed efficace. Rilevata la
valida costituzione del collegio dei probiviri, eletto dall’assemblea il 30
aprile 1998,con partecipazione al voto e voto favorevole dei soci (ora) in
lite, e dichiarata la propria competenza, essendo valida ed efficace la
clausola compromissoria contenuta nello statuto sociale, nel lodo , qui
impugnato, si afferma : 1) che l’organo amministrativo aveva il potere di
revocare le delibere consiliari assunte in precedenza; 2) che la delibera del
12 luglio 2000 non presenta elementi di illegittimità e costituisce esercizio
del potere di autotutela; 3) che le delibere del 15 e 26 aprile 2000, ove
ritenute annullabili in quanto prese in difformità dell’art. 7 dello statuto,
non esponendo i motivi idonei a giustificare la deroga all’obbligo del
conferimento, risultano sostituite dalla delibera del 12 luglio 2000, come
consentito dall’art. 2377 c.c., nell’esercizio di un potere di sostituzione
di delibere originariamente invalide non trova ostacolo in eventuali diritti
acquisiti da soci o terzi in sede di esecuzione. I soci
soccombenti Azienda Agricola “A”, Azienda Agricola “B” s.s., Azienda Agricola
“C” s.s., Azienda Agricola “D” s.s. e Azienda Agricola “E” proponevano
impugnazione per nullità del lodo, con atto di citazione notificato in data
27 gennaio 2001 a Latteria Sociale Alfa soc. coop. a r.l. , nel domicilio
eletto nel precedente procedimento dalla società presso il difensore,
chiedendo, in via preliminare, di dichiarare la nullità della clausola
compromissoria contenuta nello statuto (art. 32) e, in via principale, di
dichiarare l’illegittimità e l’inefficacia della delibera del CdA dd. 12
luglio 2000 e, per l’effetto, di confermare la validità e l’efficacia dei
provvedimenti di deroga dd. 15 e 26 aprile 2000 ovvero di rimettere le parti
davanti al competente giudice di primo grado, qualora il provvedimento
impugnato fosse considerato endosocietario. Costituitasi
in giudizio in data 9 marzo 2001 presso la cancelleria, nel termine stabilito
dall’art. 347 c.p.c. (novellato), Latteria Sociale Alfa soc. coop. a r.l.
chiedeva, previa declaratoria di irritualità del lodo, di dichiarare
l’incompetenza per materia di questa Corte; di dichiarare, comunque, la
nullità della citazione introduttiva, in quanto atto notificato a domicilio
irrituale; di rigettare l’impugnazione per nullità essendo infondata in fatto
e in diritto; in via riconvenzionale , nel caso di rigetto delle eccezioni
preliminari, di dichiarare la nullità delle delibere del CdA dd. 15 aprile
2000 e 26 aprile 2000, sia per illiceità delle delibere, sia per conflitto
della stesse con le norme statuarie ai sensi dell’art. 2379 c.c. Assegnati
i termini previsti dagli art. 180, comma secondo 183, comma quinto, e 184
c.p.c. (nuovo testo), per la proposizione delle eccezioni processuali e di
merito non rilevabili d’ufficio e, rispettivamente, per la fissazione del thema
decidendum e del thema probandum, ed esaurita la fase di
trattazione della causa, il collegio, con ordinanza riservata dd. 20 febbraio
2002, invitava le parti a precisare le rispettive conclusioni. Esperito
l’incombente alla udienza del 26 giugno 2002, la causa era trattenuta in
decisione con assegnazione dei termini di legge (sospesi durante il periodo
feriale) per il deposito degli scritti difensivi finali. Motivi
della decisione
1) Deve
essere esaminata con precedenza rispetto alle altre, per il carattere
dirimente nel caso di fondatezza ed accoglimento, l’eccezione di “incompetenza
per materia della corte di appello”, che Latteria Sociale Alfa ha
formulato, sostenendo la natura irritale dell’arbitrato previsto dall’art. 32
dello statuto sociale e, quindi, impugnabilità del lodo davanti al tribunale
(come i soci soccombenti avrebbero contestualmente fatto), anziché davanti
alla corte d’appello, con mezzo diverso da quello consentito nel caso di arbitrato
rituale dall’art. 828 c.p.c. Premesso
che deve propendersi per la natura irritale dell’arbitrato, secondo il
costante insegnamento della Corte regolatrice, quando dall’esame della
clausola compromissoria non risulti con assoluta chiarezza di volontà delle
parti di derogare alla competenza dell’autorità giudiziaria e di rimettere la
decisione della controversia ad un arbitrato rituale culminante in una
pronuncia suscettibile di acquistare l’efficacia di sentenza, Latteria
Sociale Alfa mette in risalto, a sostegno del proprio assunto, il tenore non
chiaro della clausola compromissoria ed il fatto che l’art. 32, cit. ,
prevede la natura definitiva delle decisioni del collegio dei probiviri,
eccetto i casi nei quali la legge ne consente l’ impugnazione davanti
all’autorità accolta. 2) La
clausola dello statuto, in forza della quale è stato incardinato il
procedimento conclusosi col lodo qui impugnato, è del seguente tenore: COLLEGIO DEI PROBIVIRI Il
Collegio dei Probiviri è costituito da tre membri nominati dall’Assemblea. Essi
durano in carica tre anni e sono sempre rieleggibili. In
caso di cessazione di uno dei probiviri nel corso dell’esercizio sociale,
provvede alla sostituzione il Consiglio di Amministrazione fino alla prossima
Assemblea. La
Società ed i soci obbligati a rimettere alla decisione del Collegio dei
Probiviri la risoluzione di tutte le controversie, che comunque riguardino
l’interpretazione e l’applicazione delle disposizioni statuarie e
regolamentari, derivanti da deliberazioni prese legalmente dagli organo
sociali competenti, fatta eccezione soltanto di quelle che non possono
formare oggetto di compromesso. Il ricorso ai Probiviri deve essere proposto,
a pena di decadenza, nel termine di 30 giorni dalla comunicazione dell’atto
che determina la controversia. I Probiviri decidono quali arbitri amichevoli
compositori con dispensa da ogni formalità. Le
decisioni del Collegio dei Probiviri sono definitive, salvo i casi nei quali
la legge ne consente l’impugnazione avanti l’Autorità Giudiziaria. L’impugnazione
in questi casi deve essere proposta, a pena di decadenza, non oltre 30 giorni
dalla comunicazione. 3) In
riferimento, contenuto nella clausola sopra trascritta, all’attività degli
arbitri in termini di “decisione” appare alla Corte incompatibile con
l’essenza dell’arbitrato irritale, che si muove nel contesto del tutto
differente di una composizione di tipo transattivo della lite, affidata agli
arbitri intesi quali mandatari delle parti nell’esprimere una volontà
comune che le parti stesse si impegnano, nel compromesso o nella clausola
compromissoria, a fare propria. Il concetto di “decisione” riferito agli
arbitri vale, invece a configurare un organo che è terzo rispetto alle parti
e che definisce la controversia mediante un atto decisorio suo proprio, che è
riconducibile alla volontà delle parti in via del tutto mediata, solamente
nel senso che la volontà dei contedenti è fonte della legittimazione del
potere dell’organo decidente. In questo contesto, che depone senza dubbio per
la configurabilità dell’arbitro rituale, non sono rilevanti, a escludere
detta natura dell’arbitrato, né il conferimento agli arbitri della
potestà di decidere in veste “amichevoli compositori”, con ciò
prevedendo un arbitrato di equità (Cass. 1 febbraio 1999, n. 00833; Cass, 14
aprile 1994, n.03504), poiché la specificazione del criterio di definizione
della controversia non è incompatibile con l’arbitrato rituale (nel quale
infatti ben possono gli arbitri essere investiti dell’esercizio di potere
equitativo: art. 822 c.p.c.), né la “dispensa da ogni formalità”, in
quanto le parti possono stabilire nel compromesso, nella clausola
compromissoria o con atto scritto separato, purchè anteriore all’inizio del
giudizio arbitrale, le norme che gli arbitri debbono osservare nel
procedimento (art. 816 comma secondo c.p.c.), fermo il rispetto delle regole
fondamentali, quale il principio del contradditorio, e neppure la preventiva
attribuzione alle “decisioni”arbitrali del carattere di “definitive”,
che è sicuramente ipotizzabile anche con riferimento al lodo da arbitrato
rituale, potendo le parti dichiarare il lodo non impugnabile (art. 829, comma
secondo c.p.c.), con il solo effetto di escludere la deducibilità di error
in judicando (Cass. 1 febbraio 1999, n. 00833; Cass. 4 ottobre 1994, n.
08075: Cass. 14 aprile 1994 n. 03504). A fronte
dei concorrenti e convergenti elementi sopra evidenziati, che depongono per
la natura rituale dell’arbitrato previsto dall’art. 32 cit., il fatto
che la clausola compromissoria stabilisca che “ L’impugnazione in questi
casi deve essere proposta, a pena di decadenza, non oltre 30 giorni dalla
comunicazione” si presenta non dirimente. Non risulta dagli atti di causa
la data di approvazione dell’ art. 32 dello statuto (nel testo sopra
trascritto di tenore conforme nelle difese delle parti) e, quindi, non è
verificabile se il regolamento temporale dell’impugnazione sia stato
adottato, prendendo a modello l’art. 828, comma primo, c.p.c. (testo
originario), che stabiliva il termine dell’ impugnazione per nullità in
“trenta giorni dalla notificazione”. Non si può in ogni caso prendere spunto
dal termine (di trenta giorni) fissato dalla clausola compromissoria
per affermare la natura irritale dell’arbitrato, né Latteria Sociale Alfa
affida le sue ragioni a questo elemento. Resta pertanto assorbito l’esame
della questione se il termine breve per l’impugnazione si deve avere per
sostituito, con l’entrata in vigore della legge 5 gennaio 1994, n. 25 (Nuove
disposizioni in materia di arbitrato e disciplina dell’arbitrato
internazionale), da quello di “novanta giorni dalla notificazione del lodo”
stabilito dall’art. 828, comma primo, c.p.c., novellato, per il carattere
generale ed inderogabile delle norme che sanciscono decadenze di diritti di
natura processuale. In questa
situazione, si deve ritenere che i soci soccombenti abbiano correttamente
proposto l’impugnazione per nullità del lodo davanti alla corte d’appello. 4) Latteria Sociale Alfa ha chiesto, nella comparsa di costituzione depositata in data 9 marzo 2001, di dichiarare “ la nullità dell’atto di citazione d’appello in quanto notificato a domicilio irritale”. L’eccezione, che avrebbe dovuto essere esaminata con priorità rispetto alla precedente, attenendo alla costituzione del rapporto processuale in questa sede, da verificare senza ritardo, si rinviene al numero 5), seconda parte, delle conclusioni finali precisate all’udienza, davanti al collegio, del 26 giugno 2002. Sennonché
nella comparsa conclusionale dd. 2 ottobre 2002, ben utilizzabile per chiarire
la volontà della parte, la società cooperativa, attuale convenuta,
puntualizza che l’eccezione di nullità della notifica è stata da lei
formulata sul presupposto della natura irritale dell’arbitrato, quale afferma
essere il presente, perché soltanto nel caso di arbitrato irritale”…il
domicilio eletto nel corso della procedura non esplica valore e significato
alcuno per la fase successiva….” (v. ivi, fg. 12). Nella
specie, dovendosi per i rilievi svolti riconoscere natura rituale
all’arbitrato conclusosi con il lodo qui impugnato, l’eccezione in punto
notifica difetta per ciò stesso di rilevanza e questo ad avviso proprio della
società cooperativa che, proponendola, ha inteso sollevarla, come
testualmente chiarito, soltanto con riferimento a lodo che fosse da
qualificare per arbitrato irritale. 4.1 – Il
rapporto processuale tra le parti in causa si è dunque validamente
costituito con la notificazione della citazione introduttiva del giudizio
effettuata il 27 gennaio 2001 a Latteria Sociale Alfa, nel termine di
trenta giorni dalla comunicazione del lodo, risalente al 28 dicembre 2000. In questo
contesto, il rinnovo della citazione e della notificazione, che i soci
soccombenti hanno effettuato cautelativamente nell’aprile del 2001,
costituisce e rappresenta un atto d’impulso processuale privo di effetti per
entrambe le parti, i soci attuali attori (oneratisi del rinnovo) e la società
cooperativa convenuta (destinataria di questo). Deve invero considerarsi che
il principio di consumazione dell’impugnazione non consente a chi abbia già
proposto una rituale impugnazione di proporne una successiva (di
diverso o identico contenuto). Si ammette soltanto, fatti salvi determinati
limiti, che, dopo la proposizione di una impugnazione viziata, possa esserne
proposta una seconda immune dai vizi della precedente e destinata a
sostituirla. Nella
specie , i soci soccombenti nella procedura arbitrale hanno consumato
l’impugnazione per nullità del lodo, esercitandola ritualmente con l’atto di
citazione dd. 27 gennaio 2001. Non potevano pertanto proporne una successiva,
integrante lo stesso mezzo di gravarne, come verificatosi con l’atto
notificato in data 10 aprile 2001. Questa (seconda) citazione, essendo
improduttiva di effetti sotto il profilo della proposizione del gravame,
esclude in radice che la società cooperativa, parte vittoriosa nella
procedura arbitrale e in tale veste nuovamente convenuta in giudizio, avesse
titolo per veicolare con altra comparsa di costituzione (nella specie
depositata presso la cancelleria in data 30 maggio 2001) eccezioni
processuali e di merito non rilevabili d’ufficio e appello incidentale da lei
precedentemente non proposta, da valere – attraverso lo strumento della
riunione delle impugnazioni separate in un solo processo – a contrasto della
(prima) citazione ai sensi dell’art. 828 c.p.c. validamente notificatale ed
in ampliamento del thema decidendum fissato da quell’atto introduttivo
del giudizio, dalla comparsa costitutiva in risposta alla citazione, con le
precisazione o modificazioni di domande, eccezioni e conclusioni già proposte
nei limiti consentiti dall’art. 184 c.p.c. Ne
consegue che le eccezioni di cui ai numeri 2 e 5 della comparsa di costituzione
dd. 30 maggio 2001 (fg. 9) e l’appello incidentale di cui al numero 7
(seconda parte) del medesimo scritto difensivo (fg. 10) non possono essere
prese in esame. L’eccezione
sub 2 ( “Dichiararsi la nullità dell’atto di citazione d’appello qui esaminato
in quanto carente degli elementi di cui agli artt. 163 n. 4 c.p.c. in
relazione all’art. 164 c.p.c”) investe espressamente la seconda citazione
introduttiva. Nelle conclusioni finali precisate l’eccezione sub 2
attinge gli “atti di citazione d’appello” e, quindi, risulta tardivamente
proposta nei confronti della prima citazione introduttiva del giudizio,
peraltro non mancante di quella “esposizione dei fatti di cui al n.4)”
dell’art. 163 c.p.c., che avrebbe potuto comportare l’intervento d’ufficio
del giudice (art. 164, comma quinto, c.p.c.), considerate le parti di
carattere espositivo, argomentativo e propositivo della citazione notificata
in data 27 gennaio 2001, articolatesi in 27 pagine di testo, e del
contradditorio svoltosi senza difficoltà tra le parti su punti specifici. Anche
l’eccezione sub 5 investe espressamente la seconda citazione
introduttiva, come ne fa fede il tenore letterale nelle conclusioni finali sub
4 (“Dichiararsi, comunque, la tardività della seconda impugnazione
proposta e riunita alla prima per violazione del termine di cui all’art. 828
cpc [ per la denegata ipotesi che il provvedimento arbitrale impugnato possa
essere considerato di natura rituale] e/o, comunque, per mancata impugnativa
del lodo nel termine di giorni 30 dalla comunicazione del lodo stesso, così
come previsto dall’art. 32 dello statuto della Cooperativa di Alfa”). In ogni
caso, come già annotato, la comunicazione del lodo è stata effettuata il
giorno 28 dicembre 2000 e, quindi, la notificazione della (prima ) citazione
introduttiva corrisponde al trentesimo giorno (27 gennaio 2001), in
applicazione della regola della esclusione del giorno iniziale nel computo
del termine (artt. 155 c.p.c.). L’appello
incidentale sub 7, seconda parte, formulato con lo stesso numero
d’ordine nelle conclusioni finali (“Dichiararsi, comunque, la perfetta
operatività della delibera di C.d.A. del 27/07/00 sia in virtù del principio
di autotutela sia in virtù della non impugnabilità della delibera stessa per
decorso del termine di cui all’art. 2377 I° co. c.c. “), risulta infine del
tutto nuovo, in termini di pronuncia formale richiesta e di postulati
giuridici sottesi, rispetto alle conclusioni contenute nella comparsa di
costituzione dd. 9 marzo 2001, comprese quelle (sub4) “ invia
riconvenzionale e per la denegata ipotesi di reiezione delle eccezioni
preliminari”. 4.2 – La
conclusione finale sub 3 precisata all’udienza, davanti al collegio,
del 26 giugni 2002 (“Dichiararsi, comunque, l’impoponibilità di entrambi gli
atti di citazione d’appello per carenza di interesse”), contraddistinta dallo
stesso numero d’ordine nella comparsa di costituzione dd. 30 maggio 2001 e
riferita alla seconda citazione introduttiva, non può essere letta o intesa
quale invito al giudice ad esercitare il potere-dovere d’ufficio di cui
all’art. 100 c.p.c., nella parte in cui investe – nella più recente versione
adottata - anche la prima citazione introduttiva. L’improponibiltà
delle domande per mancanza di interesse ad agire risulta infatti prospettata
in relazione all’esito del giudizio nel merito (v. comparsa conclusionale di
parte convenuta, dd. 2 ottobre 2002, fg. 11-12). L’assunto difensivo si
colloca pertanto in un’area del tutto diversa rispetto a quella propria
dell’accertamento e del sindacato ex- ante consentiti dall’art. 100
c.p.c. al giudice. 5)
Deducendo in primo luogo “ Nullità della clausola compromissoria”,
i soci soccombenti si sono richiamati al disposto dell’art.829, comma primo ,
n. 1 e 2 c.p.c. (a tenore del quale l’impugnazione per nullità è ammessa,
nonostante qualunque rinuncia, se il compromesso è nullo e se gli arbitri non
sono stati nominati con le forme e nei modi prescritti dalla legge, purchè la
nullità sia stata dedotta nel giudizio arbitrale), facendo presente di
avere proposto ricorso al collegio dei probiviri e di avere denunciato al
medesimo la nullità della clausola compromissoria contenuta nello statuto
sociale, in quanto l’art. 32 cit., anzitutto, prevede la nomina dei
componenti il collegio da parte dell’assemblea, senza prescrivere l’unanime
consenso dei soci, né richiedere il voto favorevole del socio in conflitto e,
inoltre, stabilisce la sostituzione dei probiviri da parte del consiglio di
amministrazione, fino alla successiva assemblea, nel caso di cessazione dall’incarico
nel corso dell’esercizio sociale. La
società convenuta, nel contrastare le avversarie deduzioni, si è richiamata
quanto già deciso dagli arbitri sul punto. 5.1 – La
questione di nullità della clausola compromissoria, nella parte relativa al
potere suppletivo di nomina dei componenti il collegio dei probiviri
attribuito dall’art. 32, cit. al CdA della società, in ipotesi predeterminata
e in via interinale, non rileva nel caso concreto. Il collegio dei probiviri,
che ha pronunciato il lodo qui impugnato, era composto da tre membri di
nomina assembleare, come incontroverso, e in nessun modo la disposizione
dell’art. 32, comma terzo, cit. ha interferito con la loro designazione o
influito sul loro status. 5.2 – Gli attori hanno denunciato, come si è detto, la mancata previsione, nell’art. 32, cit., tanto della unanimità dei voti dei soci, quanto del voto favorevole del socio in lite, con la conseguenza, per imperfezione della regola procedimentale adottata dallo statuto, che il collegio dei probiviri non sarebbe costituito attraverso il concorso della volontà di tutti i portatori degli interessi in conflitto e non assicurerebbe l’imparzialità della decisione, nel caso di controversia tra società e socio, come in concreto, essendo inserito nella struttura organizzativa di una delle parti in contesa. Ritiene
la Corte che il profilo di nullità qui evidenziato non sussista. La
clausola compromissoria della statuto di una società, che devolva la
soluzione di determinate controversie tra società e soci alla cognizione di
un collegio di probiviri eletto dall’assemblea , non è di per sé nulla (Cass.
30 agosto 1999, n. 09114), ma lo è solo nel caso di mancata previsione
dell’unanimità dei consensi o almeno del voto favorevole del socio in lite,
per contrasto con il principio inderogabile secondo cui gli arbitri devono
essere designati con il concorso della volontà di entrambi i contraenti
(Cass. 12 maggio 1995, n. 05216). E’ dunque necessario e, per ciò stesso,
richiesto che la nomina dei probiviri provenga anche dal socio in lite (Cass.
25 marzo 1998, n. 03136; Cass. 21 luglio 2000, n. 01565) e tale è considerata
l’adesione, anche successiva, del socio interessato (Cass. 7 marzo 2001, n.
03316). Nella
specie , come fa fede il verbale di assemblea ordinaria dd. 30 aprile
1998, alla adunanza, in seconda convocazione, avente al punto 5) dell’o.d.g.
la “Nomina o riconferma del Collegio dei Probiviri”, hanno partecipato 28
soci su 34 iscritti nel libro dei soci ed erano presenti, in tal veste, i
cinque soci (attuali) attori. Il
verbale non indica espressamente il quorum deliberativo, limitandosi
alla seguente attestazione sui lavori della assemblea: “Al 5° punto: nomina o
riconferma del Collegio dei Probiviri: il Presente informa che sono scaduti
anche i Probiviri e bisogna procedere al loro rinnovo. Si passa alla
votazione e risultano eletti:….” . Tuttavia, come correttamente si osserva
nel lodo qui impugnato, dalla verbalizzazione risulta implicitamente che i
(28) soci presenti hanno tutti concorso alla nomina dei tre probiviri, tenuto
conto, per un verso, che il verbale non riferisce della manifestazione di
voti contrari rispetto alla deliberazione adottata e considerato, per un
altro verso, che nessuno dei soci soccombenti, ora attori, ha negato la
partecipazione al voto e dedotto la mancanza del proprio consenso alla nomina
dei probiviri (poi) risultati eletti. Atteso
che il verbale dell’assemblea del 30 aprile 1998, non essendo stato redatto
da pubblico ufficiale, non è assistito da fede privilegiata, si deve prendere
atto che i cinque soci , nonostante l’eccezione di nullità della clausola
compromissoria da loro sollevata in sede di procedura arbitrale e le ragioni
rigetto di essa contenute nel lodo, non hanno allegato nel presente giudizio
e non si sono offerti di dimostrare, come loro onere, allorquando è stato
assegnato il termine per la fissazione del thema probandum, la propria
astensione dal voto e la manifestazione di voto da parte loro in favore di
persona diversa dai tre probiviri dichiarati eletti, in modo da sentir
accertare ed affermare, contro il tenore della verbalizzazione qui in esame,
che i probiviri eletti dall’assemblea non hanno avuto il voto favorevole dei
soci (ora ) in lite con la società. Prendendo
spunto da alcune argomentazioni contenute nelle difese finali sul difetto di
terzietà del collegio dei probiviri, al quale la clausola dello statuto
devolva la risoluzione di determinate controversie fra società e soci, è
opportuno infine rilevare che il collegio dei probiviri è un organo non
essenziale ai fini dell’esistenza della società, perché non innestato nella
struttura tipica di una determinata figura sociale (Cass. 19 ottobre 1989, n.
04207). In questa
situazione, la censura di nullità del lodo sotto il profilo svolto manca di
fondamento. 6) Con
altro motivo di impugnazione, intitolato “Illegittimità della delibera di
revoca dei provvedimenti di deroga”, i soci soccombenti censurano il lodo
di nullità per avere dichiarato legittima ed efficace la deliberazione del 12
luglio 2000, con la quale il CdA ha revocato le precedenti delibere di
deroga all’obbligo del conferimento integrale del latte adottate in data 15 e
26 aprile 2000. E’
preliminarmente opportuno fissare il percorso motivazionale in esito al quale
il collegio dei probiviri è pervenuto a tale pronuncia. Premesso che la legge
non vieta all’organo amministrativo della società di revocare una
deliberazione precedentemente adottata ed osservato che la giurisprudenza,
per un verso, ha esteso alle deliberazioni consiliari la possibilità – prevista
per le delibere assembleari (art. 2377 c.c.) – di sostituzione della delibera
invalida con altra presa in conformità della legge e dell’atto costitutivo e
, per altro verso, ritiene legittima la sostituzione equivalente a revoca
anche nel caso di delibera originaria valida, con l’unico limite costituto
dalla salvaguardia dei diritti dei terzi, l’indagine dei probiviri si è volta
a considerare la misura in cui la deroga all’obbligo di conferimento
integrale del latte avrebbe inciso sulla quantità di latte consegnata
complessivamente dai soci alla cooperativa e ad apprezzare l’aumento dei
costi di lavorazione, che il minor conferimento avrebbe comportato. Movendo
dal rilievo che si sarebbero verificati una pesante riduzione del ristorno
(prezzo del latte) in favore dei soci e un grave danno economico per i soci
conferitari dell’intera produzione aziendale, il collegio dei probiviri ha
inquadrato la determinazione del CdA nello schema della autotutela esercitata
dalla società nel proprio superiore interesse, esprimendosi conclusivamente
in questi termini: “…Ne consegue che la delibera assunta dal consiglio di
amministrazione del 12 luglio non solo non presenta elementi di
illegittimità, ma rappresenta una decisione di sicuro interesse per la
cooperativa e quindi ineccepibile…” Il
collegio dei probiviri ha ritenuto poi di dover pervenire a conclusione
sostanzialmente identica, sul rilievo che le delibere del 15 e 26 aprile 2000
erano suscettibili di annullamento in quanto non prese in conformità
dell’atto costitutivo. Premesso che l’art. 7 dello statuto consente al
CdA di concedere la deroga all’obbligo del conferimento integrale del
latte”….ove sussistano giustificati motivi…”, e che nelle delibere consiliari
dell’aprile 2000 non sono “…minimamente esposti i motivi che la
giustificavano ..”, si riferisce, nel lodo impugnato, quanto emerso nel corso
del procedimento arbitrale in termini di necessità della deroga
(l’insufficienza del ristorno – liquidato dalla cooperativa – a coprire i
costi aziendali di produzione, aveva reso antieconomico il conferimento
integrale del latte). Tale valutazione, ad avviso del collegio dei probiviri,
avrebbe privilegiato l’interesse del singolo socio, ma non quello della
cooperativa, non considerando le funzioni istituzionali e le finalità
mutualistiche della medesima, per le quali l’organo amministrativo era tenuto
invece ad operare. Da qui la conclusione che, in sintonia con la regola
dettata dall’art. 2377 c.c., il CdA del 12 luglio 2000 aveva revocato
delibere (quelle del 15 e 26 aprile 2000) non prese in conformità dell’art. 7
dello statuto. Contro le
così esposte motivazioni, che hanno indotto il collegio dei probiviri a
ritenere legittima ed efficace la delibera consiliare del 12 luglio 2000, di
revoca delle precedenti, si appunta il motivo di impugnazione rivolto, con
plurime censure, contro i concorrenti cardini motivazionali su cui si regge
il dictum contenuto nel dispositivo del lodo. I soci
(attuali) attori censurano, in primo luogo, l’applicazione della disciplina
legislativa in materia d’invalidità delle delibere assembleari alle delibere
consiliari, non soggette ad azioni di nullità o di annullabilità per vizi, di
procedimento o di contenuto, diversi dal conflitto di interessi, con l’unica
eccezione costituita dall’ipotesi in cui la delibera consiliare leda diritti
del socio o di terzi. Con altra
censura obiettano che gli organi societari, nell’ambito della rispettiva
autonomia e competenza, possono certamente modificare o sostituire proprie
precedenti deliberazioni, a prescindere da cause di nullità o annullabilità
delle stesse, con la conseguenza che le delibere possono essere modificate,
sostituite o revocate per ragioni di opportunità, pur in assenza di vizi,
purchè non siano coinvolti diritti dei terzi o dei soci. In terzi
luogo si dolgono della decisione per non avere il collegio dei probiviri
considerato che l’incontro tra la volontà del socio (richiesta di deroga) e
la volontà della cooperativa (accettazione della richiesta di deroga) ha dato
vita ad una fattispecie negoziale, fonte in capo al socio del diritto a
conferire un limitato quantitativo di latte e, quindi, produttiva di un
vincolo contrattuale non più suscettibile di modificazione unilaterale. Prendendo
posizione in quarto luogo sul fatto che il collegio dei probiviri, per
dichiarare legittima la delibera di revoca adottata dal CdA il 12 luglio
2000, abbia affermato, da un lato, che le deroghe concesse avevano il
carattere della temporaneità e, dall’altro, che le delibere di deroga erano
contrarie allo statuto. Ad avviso dei soci soccombenti le deroghe erano state
concesse a tempo indeterminato nel pieno rispetto della norma statuaria. Rilevano
in quinto luogo la mancanza dei presupposti per l’annullamento, del quale (a
differenza della revoca) gli scritti difensivi depositati dalla società
cooperativa nel corso della procedura arbitrale non parlerebbero. Denunciano,
in sesto luogo, il fatto che il collegio dei probiviri, mentre non avrebbe rilevato
il difetto di motivazione proprio della delibera di revoca impugnata, ha
invece giudicato immotivate le delibere consiliari di deroga (la cui
legittimità non era oggetto di scrutinio). Ritiene
la Corte che il motivo di impugnazione così esposto con estrema sintesi non
possa comportare la caducazione del lodo. I soci
(attuali) attori censurano il lodo sotto il profilo della nullità ai sensi
dell’art. 829, comma secondo, c.p.c. denunciando violazione e falsa
applicazione della disciplina in materia d’invalidità, sostituzione e revoca
delle delibere assembleari, violazione e falsa applicazione dei principi
regolanti gli effetti della fattispecie negoziale, erronea applicazione delle
regole della autotutela e dell’annullamento con riferimento a delibera
consiliare (asseritamene non motivata) di revoca di precedenti deliberazioni
dell’organo amministrativo della società cooperativa. I vizi
denunciati consistono, nella prospettazione dei soci soccombenti, in errores
in judicando, che nella specie non sono azionabili, tenuto conto della
natura di arbitrato di equità e della inappellabilità del lodo previste dalla
clausola compromissoria. Il
collegio dei probiviri ha giudicato infatti, nella specie, secondo equità e
non secondo diritto, perché gli arbitri, nello scrutinio della delibera del
CdA del 12 luglio 2000, hanno adottato, come a loro consentito, un criterio
che, pur potendo non coincidere con le regole poste dal codice civile, è
stato ritenuto maggiormente idoneo a fornire un risultato giusto e adeguato
alla reale situazione e funzione del rapporto cooperativisitico nel settore
caseario. Nelle controversie da decidere secondo equità, infatti, l’arbitro
formula la regola decisoria del caso singolo che, essendo sostitutiva di
quella di diritto, non può essere attinta da denuncia di error in
judicando tutte le volte in cui si discosti dalla regola legale, come
sarebbe avvenuto ad avviso degli attori che hanno impugnato per nullità il
lodo pronunciato. In questa
situazione, si deve prendere atto che il collegio dei probiviri, pronunciando
secondo equità, ha ritenuto la delibera del CdA del 12 luglio 2000
espressione del potere di autotutela esercitato correttamente dalla società
cooperativa nel superiore interesse di gruppo. Questa ratio
decidendi, è per se stessa sufficiente a sorreggere il dictum del
collegio dei probiviri, in quanto l’ulteriore argomento pure svolto sulla
annullabilità delle delibere consiliari del 15 e 26 aprile 2000 (ne fanno
fede le parole “Si può anche ritenere che…”) si pone, rispetto a quella prima
ratio, come subordinato e gradato e cioè valevole per il solo caso in
cui non si ritenesse fondata la principale. Il carattere assorbente di questa
rispetto al successivo rilievo tronca in radice ogni altra doglianza. 7) Con
ulteriori motivi di impugnazione, intitolati rispettivamente “ Difetto di
motivazione della delibera di revoca di deroga”, e “Difetto di
motivazione della delibera di revoca delle deroghe”, i soci soccombenti
deducono che la delibera consiliare di revoca del 12 settembre 2000 è stata
adottata oltre il termine di trenta giorni previsto statutariamente per la
proposizione di ricorso al collegio dei probiviri avverso le delibere
consiliari di deroga del 15 e 26 aprile 2000, quando pertanto per decorso del
termine qualsiasi delibera è definitiva, salva l’ipotesi di delibera nulla ai
sensi dell’art. 2379 c.c., e osservano che la delibera consiliare di revoca
del 12 settembre 2000, dichiarata legittima dal lodo impugnato in questa
sede, deve ritenersi viziata per mancanza di qualsiasi motivo di
giustificazione dell’utilità di revocare o della necessità di annullare i
provvedimenti di deroga. Con il
primo motivo, si denuncia un errore di diritto nel quale gli arbitri
sarebbero incorsi. E’ già stato rilevato che gli errores in judicando
non sono attingibili, trattandosi di arbitrato di equità e di lodo non
impugnabile. Il collegio dei probiviri con regola decisoria del caso singolo,
hanno ritenuto equo l’esercizio di potere di autotutela da parte della
società cooperativa. Con il secondo
motivo, no si coglie la ratio decidendi contenuta nel lodo, rispetto
alla quale soltanto può misurarsi la potestà di impugnazione del lodo,
limitato per le ragioni svolte soltanto agli errores in procedendo. 8) Richiesto e assegnato alla udienza del 27 giugno 2001 il termine perentorio di trenta giorni per il deposito di memorie contenenti precisazioni o modificazione delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte (art. 18, ultimo comma, c.p.c.), i soci (attuali) attori, con memoria depositata in data 27 luglio 2001, hanno chiesto (numero 2) di dichiarare la nullità del lodo ai sensi dell’art. 829, comma primo, n. 4 c.p.c. e (numero 3) di dichiarare la nullità del lodo per difetto di terzietà del collegio dei probiviri. Con
riferimento a quest’ultima domanda, nel termine assegnato (alla udienza del
24 ottobre 2001) per deduzioni istruttorie (art. 184 c.p.c.), gli stessi
hanno articolato prova per testimoni vertente su frasi che, alla udienza del
2 maggio 2001, vale a dire in tempo successivo alla pronuncia del lodo qui
impugnato (27 dicembre 2000) e in diversa controversia, il presidente del
collegio dei probiviri avrebbe pronunciato nel corso di altra procedura
arbitrale, durante uno “scontro” (secondo il lessico usato) tra difensori e resistente. 8.1 –
Quanto alla impugnazione per nullità del lodo ai sensi dell’art. 829, comma
primo, n. 4, c.p.c. (sub 2). Con essa,
i soci soccombenti hanno denunciato genericamente errores in procedendo in
precedenza non lamentati, nei quali il collegio dei probiviri sarebbe incorso
nel decidere (la norma di riferimento prevede tre casi distinti: pronuncia
fuori dei limiti del compromesso, omessa pronuncia su alcuno degli oggetti
del compromesso, lodo contenente disposizioni contradditorie, salva la disposizione
dell’art. 817 c.p.c.) La
criticità delle questioni sollevate attraverso il richiamo dell’art.
829, comma primo, n. 4 c.p.c., che la memoria dd. 27 luglio 2001 non
identifica e non oggettiva in alcun modo, e l’assoluta novità delle medesime
questioni rispetto alla eccezione di nullità della clausola compromissoria di
cui all’art. 32 dello statuto, con referente normativo nell’art. 829 , comma
primo, n. 1 e 2, c.p.c., alla quale la citazione introduttiva del 27 gennaio
2001 affidava il mezzo, costituiscono dati per se stessi sufficienti a
dimostrare che i soci soccombenti non hanno effettuato le precisazioni o
modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni gia
proposte, che l’art. 183, ultimo comma c.p.c. si limita a consentire, ma sono
andati oltre. Il motivo di impugnazione per nullità così proposto risulta
pertanto inammissibile. 8.2 –
Quanto alla mancanza di terzietà del collegio dei probiviri prospettata come
motivo di nullità del lodo per irregolare costituzione del collegio arbitrale. Questa
censura soggiace alle considerazioni negative svolte in precedenza (punto 8.1
della motivazione), nella parte in cui esorbita dall’area del motivo di
impugnazione originariamente proposto. Il
rimedio non può trovare ingresso in questa sede, per la ragione (assorbente)
delle preclusioni processuali che si sono verificare (arg. ar. 183, ultimo
comma, c.p.c.), qualora con lo stesso i soci soccombenti abbiano inteso
veicolare – in seconda battuta – sospetti sulla condizione soggettiva dei
probiviri quanto ad imparzialità ( in tale senso depongono le circostanza dei
capitoli di prova per testimoni, relative a vicenda verificatasi
successivamente.) 9) Il
rigetto della impugnazione per nullità del lodo comporta la condanna, in
solido, degli attori, soccombenti secondo l’esito finale della lite, alle
spese del giudizio, liquidare nell’importo di euro 7.175,37 (di cui euro
1.186,80 per diritti di procuratore, euro 5.000,00 per onorari di avvocato,
euro 618,68 per rimborso spese generali) in base agli atti del fascicolo di
parte e sulla scorta della relativa nota, applicando la tariffa professionale
con riguardo al valore della controversia ed alla attività difensiva
dispiegata. P.Q.M.
la Corte, definitivamente decidendo in sede rescindente,
così provvede: 1) rigetta l’impugnazione
per nullità proposta da Azienda Agricola “A” Fratelli, Azienda Agricola “B”
s.s., Azienda Agricola “C” s.s., Azienda agricola “D” s.s. e Azienda Agricola
“E”, soci di Latteria Sociale Alfa soc. coop. a r.l.. avverso il lodo
pronunciato dal collegio dei probiviri in data 27 dicembre 2001 nei confronti
dei soci medesimi e della società cooperativa; 2) condanna, in
solido, Azienda Agricola “A”, Azienda Agricola “B” s.s., Azienda Agricola “C”
s.s., Azienda agricola “D” s.s. e Azienda Agricola “E”, soci di Latteria
Sociale Alfa soc. coop. a r.l.. le spese del giudizio, liquidate nell’importo
di euro 7.175,37. Così deciso in Brescia, il
giorno 6 novembre 2002. |