Ammissione
al passivo – Domanda ex art. 111 l.f. concernente un credito maturato nei
confronti di società in bonis e ripianificato, nella prospettiva del
risanamento dell’azienda, per effetto dell’asserito consenso prestato dagli
organi della procedura di amministrazione controllata apertasi
successivamente – Richiesta, in sede di comparsa conclusionale nell’ambito
del giudizio ex art. 98 l.f., di ammissione la passivo del medesimo credito
in via prededotta alla stregua della prospettazione secondo cui il debito
sarebbe stato contratto dal curatore fallimentare per effetto del subentro
dello stesso nel contratto (di vendita a consegne ripartire) ai sensi degli
artt. 72 e 74 l.f. – Mutatio libelli – Sussistenza – Impossibilità di
prendere in esame la domanda, seconda la nuova prospettazione, anche nel
giudizio di appello attesa l’immutabilità degli elementi costitutivi
individuati con l’istanza di ammissione al passivo. Corte d’Appello di Brescia, Sez.
I civile - Sentenza del giorno 28 gennaio 2004. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato il 30 novembre 1999
nella cancelleria del Tribunale fallimentare di Mantova, la società OFFICINE
TOSONI LINO S.P.A. proponeva opposizione allo stato passivo del FALLIMENTO
BELLELI S.P.A. nella parte in cui il proprio credito pari a £. 984.891.949
(per sorte capitale e interessi fino all’ammissione della debitrice alla
procedura di amministrazione controllata poi sfociata nel fallimento) era
stato ammesso al rango chirografario anziché in prededuzione o in via
privilegiata giusta la domanda della società creditrice. A fondamento
dell’opposizione la ricorrente esponeva che nel 1992 l’ENEL aveva affidato i
lavori di realizzazione di una centrale in Brindisi all’associazione
temporanea di imprese costituita, oltre che dalla ricorrente stessa, da altre
tra le quali Belleli S.p.A. che rivestiva il ruolo di capogruppo mandataria e
che avrebbe dovuto fungere da terminale dei pagamenti eseguiti dalla committente,
da riversarsi pro quota alle
mandanti. Era però accaduto, proseguiva il ricorso,
che la mandataria aveva trattenuto indebitamente quei compensi e a Officine
Tosoni Lino non erano stati versati importi, regolarmente fatturati, per £.
2.372.542.617 cui dovevano aggiungersi £. 91.764.465 per interessi passivi.
Per effetto di intese perfezionatesi con missive del 28 giugno e del 9 luglio
1996, aggiungeva l’opponente, parte del detto credito in linea capitale era
stato ceduto ad altro soggetto e si era convenuto che Enel avrebbe
direttamente pagato alla ricorrente i compensi per i lavori non ancora
liquidati da essa committente; per effetto di tali intese il credito di
Officine Tosoni si era quindi ridotto a somma corrispondente a quanto
richiesto in sede di insinuazione al passivo fallimentare. Spiegando le
specifiche ragioni dell’opposizione, la creditrice assumeva poi che, essendo
stato il debito di Belleli S.p.A. assunto e ripianificato in costanza della
procedura di amministrazione controllata, il restante credito della deducente
avrebbe dovuto essere ammesso in prededuzione ai sensi dell’art. 111 Legge
Fallimentare e che, in ogni caso, lo stesso avrebbe dovuto essere ammesso in
via privilegiata, quale credito del mandante, ex artt. 1713, I comma e 2761, II comma, cod. civ. Fissata l’udienza di discussione, si
costituiva la procedura che si opponeva al ricorso. Evidenziava che il
credito vantato era maturato per intero nel periodo antecedente
all’ammissione di Belleli alla procedura di amministrazione controllata e che
gli organi di questa procedura erano rimasti totalmente estranei
all’operazione di cessione del credito maturato dalla mandante. In ogni caso,
aggiungeva la curatela, l’accordo documentato dalle due missive ex adverso menzionate avrebbe
dovuto reputarsi privo di efficacia in quanto era espressamente prevista la
risoluzione dell’accordo medesimo per il caso, poi in effetti verificatosi,
di mancata esecuzione anche di uno solo dei previsti pagamenti. Relativamente
al preteso privilegio, il Fallimento evidenziava che esso era previsto a
favore del mandante e non già del mandatario come avversariamente preteso e
che, trattandosi di privilegio speciale, esso comunque non avrebbe potuto
esercitarsi su importi di denaro essendo questo un bene fungibile. La controversia così radicata era decisa
con sentenza in data 18 aprile – 28 maggio 2002. Il Tribunale premetteva che
il rapporto intercorso tra Belleli e Officine Tosoni Lino avrebbe dovuto
considerarsi quale appalto e non già quale vendita a consegne ripartite
secondo la qualificazione che la ricorrente aveva voluto dare in sede di
comparsa conclusionale. Osservava poi che tale cambiamento di prospettiva
rispetto agli atti introduttivi del giudizio era all’evidenza funzionale a
sostenere il subingresso della procedura concorsuale nelle obbligazioni
contrattuali ex artt. 72 e 74 Legge Fallimentare e che, però, tale
prospettazione integrava un’inammissibile mutatio libelli atteso che la prededuzione in sede di istanza
di ammissione al passivo era stata chiesta non già in relazione a quelle
norme ma in forza di un’articolata definizione transattiva del rapporto
asseritamente attuata con l’assenso degli organi concorsuali. Ricondotta
quindi la discussione entro l’originario alveo, il primo giudice rilevava che
le prestazioni dalle quali erano sorti i crediti oggetto del giudizio erano
state tutte eseguite e liquidate dalla committente nel periodo antecedente
l’ammissione di Belleli all’amministrazione controllata; tornava quindi
applicabile nella specie, secondo il Tribunale, l’insegnamento
giurisprudenziale secondo cui nell’appalto, laddove, come nella specie, fosse
previsto il pagamento a stati di avanzamento doveva escludersi che le singole
prestazioni costituissero momenti esecutivi di un’obbligazione rigidamente
indivisibile tali da attrarre nell’orbita dell’amministrazione controllata
l’intero e unico credito. Relativamente all’accordo transattivo
perfezionatosi con lo scambio epistolare già pendente l’amministrazione
controllata, il Tribunale rilevava, al fine di negare il rilievo, che allo
stesso gli organi della procedura erano restati del tutto estranei e che,
comunque, esso non era stato autorizzato dal Giudice Delegato così come
imposto dagli artt. 188 e 167 legge fallimentare. Infondata era quindi reputata anche la
pretesa relativa al privilegio sia perché le norme all’uopo invocate – non suscettibili
di interpretazione analogica – accordavano il privilegio stesso al mandante
ma non al mandatario, sia perché il privilegio medesimo non avrebbe potuto
esercitarsi su un bene di natura fungibile quale è il denaro. Per queste ragioni l’opposizione era
respinta e l’opponente era condannato a rifondere alla procedura opposta le
spese di causa. La sentenza, notificata il 28 giugno
2002, veniva tempestivamente impugnata dalla società soccombente che, con
atto notificato il 12 luglio 2002 conveniva il Fallimento di Belleli S.p.A.
davanti alla Corte di appello di Brescia. Con unico e articolato motivo si doleva
che il giudice di primo grado non avesse esaminato la fattispecie nella
prospettiva del contratto di vendita a consegne ripartite dall’opponente proposta
in sede di comparsa conclusionale; negava al riguardo che in questa
precisazione riferita alla qualificazione del rapporto si potesse ravvisare
alcuna mutatio libelli. Veniva quindi ribadita la validità della
proposta prospettazione e si segnalava che nei fatti gli organi della
procedura avevano tenuto un comportamento concludente nettamente significativo
di un subingresso degli stessi nell’esecuzione del contratto. Inoltre, osservava l’appellante, al
momento del fallimento il curatore si era trovato anche di fronte alla
pendenza del contratto di mandato che però, essendo in rem propriam, non si era affatto
sciolto ex art. 78 Legge
Fallimentare. Concludeva l’appellante perché, in riforma
dell’impugnata decisione, il credito di Officine Tosoni Lino fosse ammesso al
passivo di Belleli S.p.A. in prededuzione. Si costituiva la procedura appellata che,
confutate le avversarie deduzioni, concludeva per il rigetto del gravame. In esito alla fase di trattazione (era
rigettata l’istanza di inibitoria formulata dall’appellante nell’atto di
gravame), la causa era rimessa per la precisazione delle conclusioni
all’udienza del 5 novembre 2003. A questa, esperito l’incombente
processuale, era trattenuta dalla Corte per la decisione, previa concessione
alle parti dei termini di legge per il deposito degli scritti difensivi
finali. Spirati detti termini, il Collegio
decideva nella camera di consiglio del 28 gennaio 2004. MOTIVI DELLA DECISIONE
I profili di fatto delle vicenda che ha dato
luogo alla presente causa sono del tutto pacifici e possono così essere
puntualizzati. In vista della partecipazione a una gara
indetta da ENEL per la fornitura e posa in opera di carpenterie metalliche e
accessori destinati alla centrale di Brindisi Sud, venne costituita
un’associazione temporanea di imprese (A.T.I.) di cui facevano parte, tra le
altre, S.M.S.I. (poi Belleli S.p.A.) e Officine Tosoni Lino S.p.A.; la prima
assunse la veste di mandataria. Relativamente al regolamento economico
dei lavori da eseguire si convenne che ciascuna impresa mandante avrebbe
fatturato alla mandataria le proprie prestazioni e la mandataria avrebbe poi
provveduto a emettere nei confronti di ENEL un’unica fattura; i pagamenti ricevuti
dalla committente sarebbero stati poi trasferiti dalla mandataria alle
mandanti, per quanto di rispettiva competenza, “nella stessa data e alle
stesse condizioni ricevute dall’ENEL” (art. 16 del Regolamento dell’A.T.I.). Tra il 12 maggio 1995 e il 30 settembre
1995 Officine Tosoni Lino emise nei confronti della mandataria Belleli
S.p.A., per lavori compiuti nell’ambito dell’associazione temporanea di imprese,
diciotto fatture per complessive £. 2.372.542.617 che non vennero pagate. Nel novembre 1995 Belleli S.p.A. venne
ammessa alla procedura di amministrazione controllata. Il 28 giugno 1996 Officine Tosoni Lino
propose a Belleli S.p.A., “al mero fine di consentire il risanamento” di
quest’ultima “e la sua fuoriuscita dalla procedura di Amministrazione Controllata”,
una sistemazione della pendenza debitoria articolata nel modo seguente: A)
l’importo di £. 412.895.497 portato da alcune fatture di Officine Tosoni Lino
confluite in fatture Belleli S.p.A. non ancora pagate da ENEL sarebbe stato
pagato direttamente da quest’ultima alla mandante; B) il 30% della
rimanente esposizione sarebbe stata ceduta pro soluto ad altro soggetto indicato da Belleli S.p.A. dietro
corrispettivo di £. 97.982.356 da pagarsi entro un mese dal rientro in bonis della società debitrice e
comunque entro il 31 dicembre 1996; C) il residuo debito sarebbe stato
saldato da Belleli S.p.A. secondo una rateizzazione corrente fino al 31
dicembre 1997. La proposta venne accettata da Belleli
S.p.A. il 9 luglio 1996 ma successivamente non venne per intero onorata
relativamente ai pagamenti da effettuarsi direttamente dalla debitrice cosicché,
sfociata l’amministrazione controllata nel fallimento, il credito residuo di
Tosoni rimase tale nella misura di £. 893.127.484 capitali e di £. 91.764.465
per interessi maturati fino al novembre 1995. Chiedendo di essere ammessa per tali
somme al passivo fallimentare, Officine Tosoni Lino insistette perché il
credito venisse ammesso in prededuzione (la questione relativa al privilegio,
richiesto in via subordinata, qui più non rileva, non essendo stata impugnata
la decisione del Tribunale negativa sul punto) evidenziando che il debito nei
suoi confronti era stato “assunto e ripianificato dalla procedura di
amministrazione controllata della “Belleli S.p.A.”, anche per l’esigenza di
far proseguire l’attività in corso dell’A.T.I.”. A fronte della decisione negativa del
Giudice Delegato che ammise il suddetto credito al rango chirografario,
Officine Tosoni Lino formulò opposizione allo stato passivo reiterando, in
punto pretesa prededuzione, lo stesso argomento appena sopra riportato. In sede di comparsa conclusionale davanti
al giudice di primo grado Officine Tosoni Lino, ribadito che la prededuzione
spettava in quanto il debito di Belleli era stato assunto e ripianificato
dalla procedura, sostenne che la prededucibilità andava “oltremodo”
configurata in virtù di un altro ordine di considerazioni che così possono
essere sintetizzate. Il contratto stipulato tra ENEL e A.T.I.,
si sostenne, andava in realtà qualificato non come appalto ma come vendita a
consegne ripartite. Ai sensi degli artt. 72 e 74 Legge
Fallimentare il curatore può discrezionalmente scegliere – senza la necessità
di essere autorizzato dal Giudice Delegato e senza bisogno di atti formali –
se subentrare ovvero sciogliere il contratto. Nel caso di specie risulta dalla
documentazione in atti che Belleli aveva proseguito nello svolgimento delle
attività di sua competenza all’interno dell’A.T.I. anche in costanza delle
succedutesi procedure concorsuali, sfruttando la continuità delle prestazioni
della deducente: in questo modo si era venuto concretando il subentro da
parte della procedura fallimentare per comportamenti concludenti. Non solo; il dichiarato fallimento
neppure aveva determinato l’estinzione del mandato sotteso al contratto di
associazione temporanea di imprese cosicché doveva ritenersi che il Curatore
fosse subentrato anche nello stesso. Andava pertanto “riconosciuta … la
prededuzione ai crediti sorti a favore della Officine Tosoni ante amministrazione controllata in
virtù del subentro contrattuale operato dal Curatore del successivo
fallimento e della consequenziale assunzione di ogni correlata obbligazione
da parte dello stesso”. Il Tribunale, ritenuto di qualificare il
rapporto contrattuale tra Belleli e Officine Tosoni come appalto, giusta la
qualificazione allo stesso data nella domanda di insinuazione e nel ricorso
in opposizione allo stato passivo, ha osservato che la diversa qualificazione
come vendita a consegne ripartite data dall’opponente nella comparsa
conclusionale non trovava in atti conferma alcuna ma anzi smentita dalle
stesse fatture della creditrice nelle quali si parlava infatti di fornitura
in opera di carpenterie metalliche. Ha poi aggiunto il primo giudice che il
tentativo di diversamente qualificare il rapporto era strumentale al richiamo
agli artt. 72 e 74 Legge Fallimentare e che però, in questo modo, veniva a
darsi corpo a un’inammissibile mutamento della causa petendi rispetto alla domanda originaria. Infatti, ha annotato il Tribunale di Mantova, in quest’ultima
la prededuzione era fondata sull’allegazione di un’articolata definizione
transattiva del credito cui avrebbero dato l’assenso gli organi della
procedura; nella prospettazione di cui alla comparsa conclusionale la
invocata prededuzione veniva invece a riposare sul mero subentro della
procedura nel rapporto contrattuale. Tornando quindi all’originaria
impostazione, il primo giudice ha osservato che: le fatture portanti i
crediti per cui si chiedeva l’ammissione erano state emesse tutte prima
dell’ammissione alla procedura di amministrazione controllata ed erano tutte
relative a prestazioni eseguite anteriormente a tale data; poteva applicarsi
al caso di specie l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui ove
nell’appalto sia stato pattuito il pagamento a stati di avanzamento le
singole prestazioni non costituiscono momenti esecutivi di una obbligazione
rigidamente indivisibile di talchè quelle poste in essere prima
dell’ammissione del debitore all’amministrazione controllata non vengono a
godere della prededuzione; all’accordo da cui sarebbe scaturita la ripianificazione
del debito erano rimasti del tutto estranei gli organi della procedura
laddove invece un siffatto accordo di natura transattiva avrebbe richiesto
l’autorizzazione del Giudice Delegato. Proponendo appello avverso la sentenza di
primo grado, Officine Tosoni Lino ha negato che, per effetto delle nuove
argomentazioni contenute nella comparsa conclusionale di primo grado, possa
essersi realizzata una qualsiasi mutatio
libelli. Infatti, osserva, fermi sono restati sia
il petitum (la domanda di
ammissione del credito con prededuzione) sia la causa petendi (subingresso della procedura nelle obbligazioni del
debitore), essendosi semplicemente operato uno sviluppo delle argomentazioni
già contenute negli scritti introduttivi della controversia. In sostanza si è
sempre considerato il medesimo comportamento tenuto dagli organi concorsuali
riguardato, nel ricorso in opposizione allo stato passivo, nel momento in cui
essi hanno prestato adesione agli accordi per la ripianificazione del debito
e, nella comparsa conclusionale nella più ampia prospettiva – della quale
quella condotta era esponenziale – del subingresso nei rapporti di mandato e
di vendita con consegne ripartite. In ogni caso, aggiunge l’appellante,
l’adita Corte di appello non potrebbe esimersi dall’affrontare anche la
prospettazione per ultima versata in causa concretando la stessa,
semplicemente, una diversa ragione giuridica alla luce della quale valutare i
fatti costitutivi del diritto rimasti comunque immutati nella loro valenza
fondatrice del diritto medesimo. Ritiene la Corte che il motivo di gravame
sia infondato. Non può davvero sfuggire che la nuova prospettazione
versata in causa da Officine Tosoni Lino a mezzo della comparsa conclusionale
di primo grado abbia mutato effettivamente gli elementi costitutivi della
fattispecie quali delineati nella domanda di ammissione al passivo prima e
nel ricorso di opposizione allo stato passivo poi. Invero, in questi atti si dava per
scontato che il credito per cui si chiedeva l’ammissione fosse maturato e si
fosse cristallizzato nei confronti della società Belleli allorché questa era
ancora in bonis e che solo
per effetto dell’asserito consenso prestato dagli organi della procedura di
amministrazione controllata – che si era aperta successivamente all’insorgere
di quel credito – alla ripianificazione del debito quest’ultimo fosse stato
“fatto proprio” dalla procedura stessa venendo così a equipararsi a quei
debiti contartti nella prospettiva del risanamento dell’azienda per i quali
viene riconosciuta la prededuzione nel caso in cui all’amministrazione
controllata segua poi una procedura liquidatoria. Nella nuova prospettazione, invece, la
prededuzione competerebbe perché il debito è stato contratto dal curatore del
fallimento a seguito del subentro dello stesso nel contratto (di vendita a
consegne ripartite) ai sensi degli artt. 72 e 74 Legge Fallimentare. Subentrando nel rapporto, infatti, il
curatore si sarebbe sostituito all’originario contraente (acquirente)
cosicché egli sarebbe tenuto per un’obbligazione sostanzialmente unitaria
(quella del corrispettivo) che non può sorgere in capo ad altri se non in
capo al curatore medesimo appunto in virtù di quel subingresso. Le differenze sostanziali che
contraddistinguono le due ricostruzioni appaiono alla Corte davvero evidenti. Nella prima ipotesi si configura un
credito che, ove non fosse stato “ripianificato” (nella tesi formulata
nell’istanza di ammissione) dagli organi della procedura, sarebbe rimasto
credito maturato nei confronti del debitore in bonis e confinato al rango chirografario; nella seconda ipotesi
si configura un credito nato direttamente nei confronti della procedura
(debito di massa) per essere il curatore subentrato nel contratto da cui quel
credito è sorto. Non è inutile poi sottolineare che mentre
nella prima prospettazione la prededuzione scaturisce da un asserito
comportamento degli organi della procedura di amministrazione controllata,
nella seconda scaturisce dalla condotta del curatore fallimentare
specificamente individuata negli artt. 72 e 74 Legge Fallimentare. Così delineati i caratteri distintivi
delle due fattispecie, deve rammentarsi che perché si abbia mutatio libelli è sufficiente la
deduzione di una nuova causa petendi,
“che comporti, attraverso la prospettazione di nuove circostanze o situazioni
giuridiche, il mutamento dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in
giudizio e l’introduzione nel processo di un nuovo tema di indagine e di
decisione, alterando l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della
controversia” (così, da ultimo, Cassazione Civile, Sez. Lav., 19 agosto 2003,
n. 12133). Questo è proprio quanto è avvenuto nel
caso concreto dove la nuova tesi affacciata dall’odierno appellante nella
comparsa conclusionale di primo grado ha mutato i termini sostanziali della
domanda azionata a mezzo dell’istanza di ammissione al passivo e ha introdotto
nel giudizio temi di indagine tutt’affatto nuovi. A quest’ultimo riguardo, basti infatti
osservare che per tutto il corso del primo grado di difesa della procedura
era stata chiamata solamente a misurarsi sul valore degli accordi di ripianamento
del pregresso debito e sul loro supposto effetto di attrazione del debito
stesso nella titolarità della procedura concorsuale laddove mai era stata
affacciata l’ipotesi che la prededuzione dovesse essere riconosciuta per
essere stato il debito contratto in una delle ipotesi previste dall’art. 111
n. 1 Legge Fallimentare in relazione al subentro del curatore nell’esecuzione
di un contratto. Il mutamento della causa petendi è stato dunque, a giudizio
della Corte, effettivo e reale e quindi giustamente il Tribunale di Mantova
ha reputato inammissibile e non suscettibile di esame la nuova prospettazione
irritualmente versata in causa. Essa neppure può essere esaminata nella
presente sede atteso che l’oggetto del giudizio di opposizione allo stato
passivo, nei diversi gradi, rimane fisso e immutabile negli elementi costitutivi
che sono stati individuati fin dalla istanza di ammissione sia con
riferimento al petitum e cioè
all’importo del credito e al suo rango sia con riguardo alla causa petendi e cioè alla fonte del
credito e alle specifiche ragioni che giustificano la richiesta prelazione e
prededuzione (Cassazione Civile, Sez. I, 5 settembre 1992, n. 10241). Per quanto poi residualmente attiene alla
questione della contestata qualificazione del rapporto che dal giudice di
primo grado è stato qualificato come appalto mentre secondo l’appellante
andrebbe riportato all’ambito della vendita a consegne ripartite, rileva la
Corte che, una volta esclusa l’ammissibilità della nuova prospettazione che
da tale ultima qualificazione vorrebbe muovere per approdare alla disciplina
dettata dagli artt. 72 e 74 Legge Fallimentare, la problematica appare di
assai scarso rilievo. A ben vedere, infatti, detta
qualificazione rileva nel rapporto tra ENEL e associazione temporanea di
imprese e non già nel diverso ambito del rapporto tra mandante Officine
Tosoni Lino e mandataria Belleli S.p.A. – E’ infatti certo che l’obbligo, per
quest’ultima, di riversare alla prima quanto pagato da ENEL (naturalmente per
la quota di lavori eseguita dalla mandante) derivava dal rapporto interno che
regolava l’associazione temporanea di imprese e che faceva riferimento allo
schema del mandato. Il diritto di credito in capo a Officine
Tosoni Lino è sorto, proprio a termini del contratto di associazione
temporanea di imprese, nel momento in cui Belleli S.p.A. ha incassato da ENEL
gli stati di avanzamento che poi avrebbero dovuto essere ripartiti tra le
mandanti. Questo però conferma che i crediti per
cui l’odierna appellante ha chiesto di essere ammessa al passivo sono sorti
tutti anteriormente all’ammissione della mandataria alla procedura di
amministrazione controllata perché tutte le fatture azionate sono relative a
lavori che, a quella data, già la committente ENEL aveva pagato alla
Mandataria medesima. Nessun argomento può valere a trasformare
questi crediti – lo si ripete, sorti allorquando Belleli S.p.A. era
ancora in bonis – in
crediti contratti in corso di procedura e per i fini della procedura stessa e
cioè in crediti che potrebbero godere del regime di cui all’art. 111 Legge Fallimentare. Giustamente il Tribunale ha escluso che a
tanto possa valere lo scambio di lettere tra creditore e l’imprenditore già
sottoposto alla procedura circa un piano di rientro dall’esposizione. A tale accordo, come è stato rilevato
nella sentenza gravata, sono invero rimasti estranei gli organi della
procedura laddove perché il pagamento di debiti preesistenti non possa dirsi eseguito
in lesione della par condicio
è invece necessaria l’autorizzazione del Giudice Delegato (il solo che
potrebbe valutare se detto pagamento si voglia fare in frode ai creditori ovvero
per contribuire al risanamento dell’impresa: Cassazione Civile, Sez. II, 5
novembre 1990, n. 10620). Alla luce di queste concorrenti
considerazioni, si deve quindi concludere la Corte che la sentenza di primo
grado è corretta e resiste alle censure che le sono state rivolte avendo i giudici
mantovani correttamente escluso che ai crediti insorti prima dell’ammissione
di Belleli S.p.A. all’amministrazione controllata competesse la prededuzione. Rigettato quindi l’appello, l’appellante
deve essere condannato a rifondere alla procedura appellata le spese del
grado. Esse, in relazione all’attività difensiva
espletata quale risulta dal fascicolo di ufficio e dai verbali di causa, si
liquidano in complessivi € 6.065,52 (di cui 1.327,32 per diritti e 4.000,00
per onorari). P. Q. M. La Corte, definitivamente pronunciando, rigetta l’appello proposto da OFFICINE
TOSONI LINO S.P.A. avverso la sentenza N. 651/02 del Tribunale di Mantova in data
18 aprile – 28 maggio 2002; condanna la società appellante, in
persona del legale rappresentante, a rifondere all’appellato FALLIMENTO della
società BELLELI S.P.A. le spese del grado liquidate in € 6.065,52. Così deciso in Brescia, il 28 gennaio
2004. |