Concordato
preventivo – Prescrizione del credito vantato nei confronti del debitore
ammesso alla procedura di concordato preventivo – Eccezione di sospensione
del decorso della prescrizione durante la procedura ex art. 2741 n. 6 c.c.
-Fondatezza Corte d’Appello di Brescia, Sez.
I civile - Sentenza del giorno 7 aprile 2004. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato in
data 8/11 febbraio 1999 la società Mozzini F.lli di Mozzinì Garibaldi &
C. s.r.l., in liquidazione, conveniva in giudizio Stefano Bianchi davanti al
Tribunale di Mantova, esponendo: di essere stata ammessa dallo stesso
Tribunale di Mantova al concordato preventivo per cessione dei beni,
omologato con sentenza - passata in giudicato - dell' 11 marzo 1987; di
avere, con propria lettera in data 15 settembre 1997, invitato i liquidatori
a soprassedere alla distribuzione dell'attivo, nel frattempo liquidato,
manifestando la convinzione che i crediti concorsuali si fossero estinti per
prescrizione. Aggiungeva l'attrice che i liquidatori, nel febbraio del 1998,
avevano inviato a tutti i creditori l'invito a quantificare i rispettivi
crediti e a produrre eventuali atti interruttivi della prescrizione; che il
Bianchi aveva risposto professandosi creditore della somma di lire
303.867.493 in via privilegiata, in quanto artigiano, e deducendo
l'inopponibilità della prescrizione; che con relazione in data 14 maggio 1998
il collegio dei liquidatori aveva segnalato al giudice delegato l'impossibilità,
con l'attivo liquidato, di soddisfare integralmente il ceto privilegiato,
dando così l'avvio alla procedura per la risoluzione del concordato; che il
Tribunale fallimentare, con proprio provvedimento in data 30 giugno 1998,
preso atto dell'eccezione di prescrizione sollevata dall'esponente, le aveva
assegnato termine per la radicazione dei giudizi di accertamento negativo dei
crediti concorsuali, dal cui esito sarebbe dipesa la dichiarazione di
fallimento. Tanto premesso, ed esposte le ragioni in diritto sulle quali
riteneva di poter fondare il proprio assunto, la società attrice chiedeva che
il Tribunale dichiarasse estinto per prescrizione il credito di lire
303.867.493 vantato dal convenuto nei propri confronti; in subordine chiedeva
che fosse dichiarata la natura meramente chirografaria del credito stesso. Col medesimo atto veniva evocato in
giudizio anche il collegio dei liquidatori, affinché ne fosse accertato
l'obbligo di escludere il Bianchi dal riparto dell'attivo concorsuale. Il convenuto si costituiva depositando
comparsa di risposta con la quale, argomentando sotto più profili,
contrastava l'assunto della Mozzini F.lli e chiedeva il rigetto della
domanda. Pervenuta la causa in decisione il Tribunale,
in composizione monocratica ex art. 50 ter c.p.c., con sentenza in data 8/26
giugno 2001 respingeva la domanda ponendo a carico dell'attrice le spese di
giudizio. La motivazione prendeva le mosse dal
rilevare che nella procedura di concordato preventivo, a differenza di quella
fallimentare, non si svolge una verifica del passivo volta ad accertare i
crediti concorsuali e la loro natura, ma soltanto un'indagine di natura
amministrativa diretta a identificare i creditori aventi diritto al voto e a calcolare
le maggioranze necessarie per l'approvazione della procedura: non vi è,
dunque, nel procedimento concorsuale in questione, una domanda cui possano
riconoscersi gli effetti di quella prevista dall'art. 94 legge fall., tant'è
che i creditori i quali intendano far accertareuna loro pretesa obbligatoria
devono ricorrere al giudizio di cognizione ordinario. Muovendo da tale premessa, riteneva il
giudicante che la verifica di fondatezza dell'eccezione di prescrizione
dovesse effettuarsi alla stregua della generale disciplina codicistica. E, nell'ambito
di questa, si soffermava sulla causa di sospensione della prescrizione
invocata dal convenuto ai sensi dell'art. 2941 n. 6 c.c.. In proposito
considerava: che, a seguito dell'omologazione del concordato preventivo con
cessione dei beni, viene conferito al liquidatore un mandato irrevocabile
(perché attribuito anche nell'interesse dei creditori); che, d'altra parte,
la cessione dei beni di cui all'art. 160 c. II legge fall. non è inquadrabile
semplicemente nello schema contrattuale di cui agli art. 1977 e segg. c.c.,
in quanto si inserisce in un articolato procedimento connotato da finalità
pubblicistiche; che ad essa risulta perfettamente attagliarsi la previsione
di cui all'art. 2941 n. 6 c.c., facente riferimento alle persone i cui beni sono
sottoposti per provvedimento del giudice all'amministrazione altrui: con la
conseguente infondatezza della domanda proposta in questa sede al fine di far
accertare il compimento della prescrizione. Quanto alla natura privilegiata del
credito spettante al Bianchi, osservava il Tribunale che il convenuto,
titolare di impresa individuale iscritta all'albo delle imprese artigiane,
risultava svolgere un'attività senz'altro compatibile con tale qualifica
(taglio e commercio di piante); le dimensioni dell'impresa, poi, non erano
tali da eccedere i limiti dell'attività propriamente artigianale. Avverso tale sentenza interponeva
appello a questa Corte la società Mozzini F.lli di Mozzini Garibaldi & C.
s.n.c., in liquidazione, deducendo censure riconducibili a due motivi.
L'appellato si costituiva per resistere al gravame, di cui eccepiva
pregiudizialmente l'inammissibilità. Con ordinanza in data 17 aprile/15
luglio 2002 la Corte rigettava l'istanza di sospensione dell'esecutorietà della
sentenza di primo grado, proposta dall'appellante. Precisate le conclusioni come in
epigrafe, all'udienza del 21 gennaio 2004 la Corte assegnava termine alle
parti per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche,
riservandosi la decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE Prima di addentrarsi nella trattazione
del merito, corre l'obbligo di prendere in esame l'eccezione pregiudiziale
con cui l'appellato deduce l'inammissibilità del gravame, in quanto proposto
da soggetto a ciò non legittimato. Osserva, al riguardo, che la società che
ha assunto la qualità di parte nel procedimento di primo grado aveva la
denominazione "Mozzini F.lli di Mozzini Garibaldi & C. s.r.l. -in
liquidazione", mentre l'odierna appellante figura essere la
"Mozzini F.lli di Mozzini Garibaldi & C. s.n.c."; fra l'altro,
aggiunge, il difensore che ha interposto l'appello neppure era munito di
valido mandato a rappresentare tecnicamente in giudizio la società, atteso
che la procura a margine dell'atto di citazione risulta rilasciata dal legale
rappresentante della Mozzini F.lli di Mozzini Garibaldi & C. s.r.l. in
liquidazione, e non della s.n.c.. L'eccezione è priva di fondamento. L'indicazione, contenuta nell'atto di
appello, facente riferimento al tipo sociale di s.n.c. (società in nome
collettivo) in luogo di quello proprio della s.r.l. (società a responsabilità
limitata), è il chiaro frutto di un errore materiale che non inficia la
validità dell'atto, né la sua riferibilità alla parte; è certa, infatti,
l'identificazione dell'appellante nella società "Mozzini F.lli di
Mozzini Garibaldi & C. s.r.l." in liquidazione, così come risultante
dal certificato camerale prodotto, senza che vi sia possibilità di confusione
con altro soggetto giuridico avente la ,stessa denominazione, ma appartenente
a diverso tipo socia-le, di cui neppure consta l'esistenza. La denominazione così inesattamente
indicata nell'atto di appello - con errore poi perpetuatosi nella comparsa di
costituzione di nuovo difensore - va, dunque, correttamente intesa come riferita
alla società "Mozzini F.lli di Mozzini Garibaldi & C. s.r.l."
in liquidazione: soggetto sicuramente legittimato ad impugnare, per avere
rivestito la qualità di parte nel procedimento di primo grado. Superata perciò la questione
pregiudiziale, in base alle considerazioni che precedono, è ora possibile
attendere al vaglio del merito. Col primo motivo di gravame
l'appellante si duole che il Tribunale, nel ritenere applicabile alla
fattispecie il disposto dell'art. 2941 n. 6 c.c., abbia di fatto dato corpo
ad una causa di sospensione della prescrizione del tutto nuova e non prevista
dalla norma stessa. In base a questa, sostiene, la prescrizione è sospesa per
i diritti facenti capo rispettivamente all'amministratore di beni altrui e
all'amministrato, nell'ambito dei reciproci rapporti derivanti dall'amministrazione
dei beni e a questa correlati: donde l'estraneità alla previsione del caso
dei creditori del debitore ammesso alla procedura di concordato preventivo,
nella quale i liquidatori non amministrano i diritti dei creditori, né
assumono la veste di titolari di essi. Sostiene, d'altra parte, il deducente
che il richiamo all'art. 1979 c.c. è fuori luogo, sia per le differenze
strutturali tra l'istituto civilistico e la cessione concordataria, sia per
il fatto che, in quest'ultima, i creditori sono estromessi
dall'amministrazione dei beni e dalla nomina dei liquidatori, all'opposto di
quanto avviene nella cessione civilistica; piuttosto il liquidatore, quale
amministratore dei beni del debitore ai fini della liquidazione, dovrebbe
essere considerato titolare di un ufficio di diritto privato non essendo
mandatario del debitore, né dei creditori. L'assunto si rivela infondato e, come
tale, va disatteso. Il concordato preventivo con cessione
dei beni, che negli aspetti procedurali riguardanti la fase anteriore al
passaggio in giudicato della sentenza di omologazione è compiutamente disciplinato
dalle norme codificate nel titolo III del R.D. 16 marzo 1942 n. 267 (legge
fallimentare), per quanto riguarda invece la fase di esecuzione è
regolamentato da due soli articoli: l'uno - l'art. 185 del R.D. citato -
attribuisce al commissario giudiziale compiti di sorveglianza sull'adempimento,
nonché di relazione al giudice fallimentare; l'altro - il successivo art. 186
- detta norme riguardanti le ipotesi di risoluzione e di annullamento del
concordato. Nulla è precisato, invece, dalla legge fallimentare in ordine
alle modalità della liquidazione dei beni e alla distribuzione dell'attivo
fra i creditori; e la - apparente - lacuna è stata colmata dalla giurisprudenza
di legittimità mediante l'inquadramento dell'istituto nell'ambito della
cessio bonorum regolata dagli artt. 1977 e segg. del codice civile: la cui
disciplina deve, perciò, ritenersi estesa alla cessione dei beni ai
creditori, quale particolare modo di attuazione del concordato preventivo (v.
per tutte Cass. 21 gennaio 1993 n. 709), pur dovendosi tener conto, nella
concreta applicazione delle norme, delle peculiarità che connotano la
procedura concorsuale per le finalità pubblicistiche che essa persegue e per
l'attribuzione di poteri decisionali agli organi giudiziari chiamati a
dirigere la procedura stessa. È principio di indiscussa acquisizione
quello per cui, con la cessione dei beni, il debitore non trasferisce ai
creditori la proprietà dei cespiti costituenti il suo patrimonio, ma soltanto
la legittimazione a disporne per la specifica finalità liquidatoria che, a
sua volta, s'indirizza al soddisfacimento delle ragioni dei creditori. Il
trasferimento di tale legittimazione avviene mediante la stipulazione di un
negozio che, nel caso di cui all'art. 1977 c.c., si identifica in un vero e
proprio contratto, mentre nel caso di cui all'art. 160 n. 2 legge fall. non
opera esclusivamente sul terreno del diritto privato, ma risente delle
notazioni pubblicistiche testé rilevate; in ambedue i casi, peraltro, la
cessio bonorum si traduce nel conferimento di un mandato irrevocabile volto
alla liquidazione dei beni (cfr. Cass. 16 dicembre 1988 n. 6853; Cass. 21 febbraio
1995 n. 1909). Enucleati i suesposti concetti, sui
quali la giurisprudenza converge ampiamente, vi è soltanto da chiedersi a chi
debbano intendersi conferiti, nell'ambito del concordato preventivo, quei
poteri di amministrazione dei beni ceduti che, nel regime ordinario, l'art.
1979 c.c. attribuisce ai creditori cessionari (con facoltà peraltro di
nominare un liquidatore, come si evince dal disposto del secondo comma
dell'art. 1983 c.c.). Orbene, non essendovi una sostanziale
diversità di struttura fra i due istituti, e considerato il tenore dell'art.
160 n. 2 della legge fallimentare, il quale espressamente si riferisce
all'ipotesi in cui "il debitore offra ai creditori per il pagamento dei
suoi debiti la cessione di tutti i beni esistenti nel suo patrimonio...",
appare evidente alla Corte come anche nell'ipotesi esaminata i destinatari
del trasferimento della facoltà di disposizione dei beni, e dei connessi
poteri di amministrazione, siano i creditori: i quali peraltro sono vincolati
ad esercitarli all'interno dei canali apprestati dalla procedura concorsuale,
e cioè per il tramite del liquidatore appositamente nominato dal giudice. Proprio per il carattere autoritativo
dell'atto col quale, nel concordato preventivo, il debitore è spogliato
dell'amministrazione dei suoi beni e il potere di disporne è attribuito al
liquidatore, si può affermare - in piena assonanza col giudice di primo grado
- che si verte in una fattispecie nella quale i beni del debitore "sono
sottoposti per provvedimento del giudice all'amministrazione altrui",
secondo il lessico dell'art. 2741 n. 6 c.c.. Né vale addurre, come fa l'appellante,
che il titolare dei poteri di amministrazione è un soggetto diverso dai
creditori, quale il liquidatore: giacché la figura giuridica di costui è, per
l'appunto, quella di un mandatario incaricato della gestione e della
liquidazione dei beni ceduti (Cass. 23 agosto 1991 n. 9073): mandatario
nominato, bensì, dal Tribunale fallimentare nel perseguimento di quegli
interessi pubblicistici che qualificano la procedura, ma operante nell'interesse
dei creditori, destinatari della proposta di concordato approvata nelle forme
di legge e resa vincolante per tutti con la sentenza di omologazione. Può
dunque ben dirsi che attraverso l'adempimento, da parte del liquidatore, del
munus publicum connesso alla sua nomina ad opera del Tribunale, i creditori
esercitano per interposta persona il diritto di amministrare e liquidare il
patrimonio del debitore per soddisfarsi sul ricavato. La situazione così descritta è del
tutto conforme all'ipotesi presa in osservazione dal citato art. 2941 n. 6
c.c., a norma del quale la prescrizione rimane sospesa per tutta la durata dell'amministrazione
altrui, fino all'approvazione definitiva del rendiconto. La sentenza impugnata merita dunque, sul
punto in questione, pieno consenso. Col secondo motivo la società
appellante impugna, sotto il profilo della natura dell'attività espletata, la
qualifica di artigiano attribuita dal Tribunale al Bianchi; rileva che
l'attività dichiarata dall'appellato alla Camera di Commercio non è quella di
taglio e commercio di piante, bensì soltanto quella di abbattimento delle
piante medesime; e, poiché il risultato del lavoro così espletato non si
traduce in una trasformazione della materia prima, né nella realizzazione di
un semilavorato o di un prodotto finito, sostiene non potersi riconoscere gli
estremi dell'impresa artigiana, apparendo piuttosto di carattere commerciale
la vendita dei tronchi tagliati. La censura è priva di fondamento e va,
conseguentemente, respinta. Occorre premettere che, costituendo la
messa in commercio dei prodotti realizzati la finalità tipica di qualsiasi
attività produttiva, non può certamente contraddire la qualità artigianale di
un'impresa il fatto che il risultato della trasformazione da essa attuato sia
fatto oggetto di vendita a terzi, differenziandosi comunque tale attività da
quella, di puro commercio, che consiste nell'acquisto e nella successiva
rivendita di beni senza sottoporli a lavorazione. Non nuoce, pertanto, all'assunto del
Bianchi - che sulla base dell'ottenuta iscrizione all'albo degli artigiani
professa tale sua qualità - il fatto che le fatture da lui prodotte a riprova
del credito si riferiscano a "vendita di tronchi": in ciò
ravvisandosi il momento terminale di un'attività produttiva che presuppone il
taglio delle piante, in conformità all'oggetto dell'impresa dichiarato in
sede di iscrizione alla Camera di Commercio. Che, poi, il taglio delle piante
integri un'attività perfettamente riconducibile al possibile oggetto di
un'impresa artigiana non è revocabile in dubbio, atteso che l'azione
sull'albero vivo per abbatterlo, segarlo e trarne dei tronchi si traduce in
una vera e propria trasformazione della materia, finalizzata ad ottenerne un
prodotto semilavorato utilizzabile nei successivi livelli produttivi
(falegnameria, mobilificio, edilizia ed altro). Poiché in ordine alla modestia
dell'organizzazione aziendale del Bianchi nessun rilievo è mosso dalla
società Mozzini in sede di appello, è giocoforza concludere che la
derivazione del credito concorsuale dall'esercizio di attività artigianale,
fonte del privilegio di cui all'art. 2751 bis n. 5, non può essere
fondatamente contestata. Alla stregua delle suesposte considerazioni,
la sentenza impugnata merita integrale conferma. Le spese del presente grado sono da
porre a carico dell'appellante, risultata soccombente, e vengono liquidate
come in dispositivo. P.Q.M. La Corte, ogni diversa istanza ed
eccezione disattesa, definitivamente pronunciando: rigetta l'appello proposto dalla
società Mozzini F.lli di Mozzini Garibaldi & C. s.r.l., in liquidazione
(così corretto l'errore materiale nell’intestazione dell'atto di citazione)
contro Stefano Bianchi, avverso la sentenza del Tribunale di Mantova in data
8/26 giugno 2001; condanna l'appellante al rimborso in
favore dell'appellato delle ulteriori spese del grado, che liquida in euro
7.306,42, in essi compresi euro 1.368,60 per diritti di procuratore ed euro
2.500,00 per onorari di avvocato. Così deciso in Brescia, il 7 aprile 2004. |