Fallimento di socio occulto di società di persone - Elementi
indiziari: scarsa conoscenza delle vicende sociali da parte del legale
rappresentante; intervento del socio occulto in trattative con clienti;
concessione gratuita da parte dello stesso dei locali per lo svolgimento
dell'attività ed inoltre disbrigo di pratiche amministrative, intrattenimento
dei rapporti con le banche, pagamenti di imposte e rilascio di quietanze -
Necessità di una valutazione complessiva di tutti gli elementi indiziari. Corte d'Appello di Brescia –
Sentenza del 18 settembre 2002. SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO Il
Tribunale di Mantova con sentenza in data 22-23 dicembre 1994 estendeva nei
confronti di Paolo ROSSI il fallimento della società ALFA di GIOLITTI Paola
& C. S.n.c. sul presupposto che quegli fosse socio occulto della stessa.
Con atto di citazione notificato il XXX a Sergio VERDI, nella sua duplice
qualità di curatore del fallimento della società e di quello personale di
Rossi e il XXX (a seguito di rinnovazione della notificazione) alla società
BETA S.r.l., creditrice istante per il fallimento sociale, Paolo Rossi
proponeva opposizione alla predetta sentenza dichiarativa del proprio
personale fallimento. Lamentava che il Tribunale avesse deciso sulla base di
meri elementi indiziari, presuntivi e privi, anche se complessivamente
valutati, dai requisiti necessari per attribuire allo stesso Rossi la
qualità di socio della Alfa. In particolare, lamentava che egli stesso
aveva fornito in sede prefallimentare appaganti spiegazioni idonee a vincere
il valore indiziante invece attribuito dal Tribunale Fallimentare agli
elementi quindi indicati nella sentenza opposta e consistenti : in una
fideiussione prestata in favore della società (da spiegarsi invero più che in
ragione della veste di reale amministratore avuta dal deducente, in forza
dell’affectio maritalis e filialis verso le socie della società
stessa, madre e moglie dello stesso Rossi); nella scarsa conoscenza
delle vicende sociali, che avrebbero avuto le due socie; nell’avere
fornito ROSSI i locali per lo svolgimento dell’attività sociale ;
nell’avere svolto lo stesso funzioni di gestione del settore tecnico-
produttivo; nell’essere stato l’attore socio della società GAMMA, principale
cliente della ALFA. Censurava ancora l’attore che il Tribunale Fallimentare
avesse per contro completamente trascurato altri elementi invece idonei, a
suo dire, a dimostrare l’inesistenza del rapporto societario e principalmente
consistenti nell’avere egli stipulato con la società un contratto di
associazione in partecipazione che,dietro corresponsione di quota di utili
(peraltro percepiti solo nel 1988), lo avevano impegnato nell’attività di
progettazione e di collaudo di macchinari; nelle dichiarazioni delle socie
che comunque avevano affermato di essersi sempre occupate della gestione
della società; nel fatto che egli aveva sì firmato bolle di accompagnamento
per conto di ALFA ma solamente nella qualità di conducente del mezzo, nella
circostanza che egli aveva prestato la propria attività di lavoratore
subordinato in favore di altra società distante centinaia di chilometri dalla
sede di Alfa. Conclusivamente affermava Rossi che non esisteva in atti né la
dimostrazione del patto sociale, né la prova che egli avesse posto in essere
condotte idonee a ingenerare nei terzi il ragionevole affidamento circa
l’esistenza del rapporto sociale, essendosi limitata la sua attività alle
mere mansioni indicate nel contratto di associazione in partecipazione,
svolte peraltro per breve periodo e senza quella costane opera di sostegno
all’impresa qualificabile come collaborazione del socio diretta al
raggiungimento degli scopi sociali. Esposte queste ragioni, l’attore
insisteva perché il proprio fallimento personale fosse revocato. Si costituiva in giudizio il curatore del fallimento della società e personale di Rossi che insisteva per il rigetto della opposizione rilevando che la qualità di socio occulto dell’attore risultava dalla documentazione a disposizione della procedura. Nella contumacia di BETA, la causa era quindi decisa con sentenza in data XXX che rigettava la domanda di Rossi al quale erano anche addebitate le spese di giudizio sostenute dalla procedura convenuta. Premesso che il fallimento in estensione dell’attore era stato pronunciato non già attribuendo a questi la qualità di socio apparente ma quella di socio occulto, il Tribunale elencava innanzitutto una serie di circostanze, desunte dalle produzioni delle parti e dai documenti contenuti nei fascicoli delle procedure concorsuali e consistenti. Nella fideiussione prestata da Rossi in favore di Alfa fin dal 1985; in due contratti di comodato gratuito con i quali l’attore aveva posto a disposizione della società locali di sua proprietà per l’esercizio dell’attività sociale; nel contratto di associazione in partecipazione col quale Rossi si era impegnato a seguire il settore tecnico produttivo della società; nelle dichiarazioni rese al curatore dalle socie che si erano dimostrate del tutto ignare delle attività sociali; nella firma di Rossi apposta sulla matrice di un assegno circolare emesso per conto di Alfa per il pagamento dell’IVA dovuta per il 1987; nelle bolle di accompagnamento dell’anno 1985 relative a beni di pertinenza della società nelle quali compariva la firma di Rossi quale conducente o destinarlo dei beni stessi; in una fattura emessa da Alfa nei confronti di Gamma quietanziata da Rossi per conto della prima società; in altre bolle di vendita relative al 1988 nelle quali Rossi compariva e firmava ancora come conducente. Il giudice di primo grado considerava quindi i così elencati elementi come dati univoci e convergenti nel dimostrare l’esistenza del rapporto societario in essere tra Rossi e le altre socie di Alfa e l’ingerenza attiva del primo negli affari sociali . In particolare, si riteneva che l’attore avesse eseguito conferimenti diretti al conseguimento dei fini sociali, sia con riferimento alla messa a disposizione gratuita degli immobili, sia con riferimento alla prestata fideiussione; inoltre, la sottoscrizione di bolle, la firma per la quietanza, il pagamento IVA, i rapporti intrattenuti con banche e fornitori di cui avevano detto le fonti testimoniali venivano reputati inequivocabilmente dimostrativi della partecipazione dell’opponente alle attività commerciali e amministrative della società. Né a diversa conclusione, secondo i primo giudici , poteva pervenirsi sulla scorta del contratto di associazione in partecipazione su cui aveva insistito l’attore. Infatti, la limitatezza dell’oggetto di quest’ultimo non avrebbe comunque giustificato i conferimenti effettuati dallo stesso Rossi nè quell’attività gestoria chiaramente dimostrata dagli elementi acquisiti. Esclusa altresì rilevanza dell’attività di lavoro subordinato svolta dall’attore, il Tribunale rilevava infine che neppure dalle assunte testimonianze potevano trarsi spunti utili nella direzione segnalata dall’opponente ; infatti, si osservava, sulla base dal fatto che taluni dei stesti avessero affermato di avere tenuto i rapporti commerciali con le socie effettive di Alfa non poteva erto escludersi che altri soggetti non avessero tenuto i detti rapporti anche con Rossi. La sentenza,
istante il Fallimento, era notificata il 18 settembre 2000 al soccombente e
da questi tempestivamente impugnata. Rossi, infatti, con atto di citazione
notificato il XXX conveniva in giudizio davanti alla Corte di appello di
Brescia il curatore del fallimento Alfa nonché suo personale e la società
BETA concludendo perché, in riforma della sentenza impugnata, fosse accolta
l’opposizione a fallimento invece disattesa in prime cure. Affidava il
gravame. a un unico e articolato motivo con quale, in sostanza, si
doleva che il giudice di primo grafo avesse addotto a sostegno della propria
decisione argomentazioni ictu oculi superficiali nonché
aprioristicamente orientate in senso sfavorevole alle prospettazioni di parte
attrice, trascurando peraltro le prove testimoniali contrarie fornite dallo
stesso deducente. In particolare, l’appellante prendeva in esame tutti gli
elementi specificatamente indicati dal giudice di primo grado a supporto
della decisione e ne contestava la concludenza ai fini della dimostrazione
del rapporto sociale (della fideiussione negava peraltro anche la realtà, in
ciò fondandosi sulle risultanze del procedimento penale svoltosi a suo carico
per il reato di bancarotta). Evidenziava inoltre le testimonianze di quei
testi che avevano dichiarato di avere trattato solo con le due socie
effettive e censurava che il Tribunale avesse sottovalutato queste emergenze
e anche la circostanze che egli, dipendente di altra società, era stato
impegnato altrove nella sua attività lavorativa e dunque
impossibilitato a seguire le vicende di Alfa. Ribadiva infine l’irrilevanza
o, comunque, lo scarso significato che poteva attribuirsi agli altri residui
elementi invece utilizzati dal Tribunale di Mantova per motivare il
convincimento circa l’esistenza di un patto sociale tra esso deducente e le
altre socie di Alfa. Si
costituiva in giudizio davanti alla Corte il solo curatore del fallimento
Alfa e del fallimento personale di Rossi che insisteva per il rigetto
del gravame. Non si costituiva invece la società BETA di cui era
dichiarata la contumacia. La causa,
in esito all’istruzione, perveniva una prima volta all’esame collegiale
all’udienza del 28 novembre 2001. Con ordinanza in pari data, veniva però
disposta l’acquisizione del fascicolo fallimentare.; datosi corso
all’incombente, le parti erano nuovamente rimesse davanti al Collegio per
l’udienza del 18 settembre 2002. A questa comparsi, i costituiti procuratori
insistevano perché la stessa fosse finalmente trattenuta per la decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con
l’unico e articolato motivo di gravame, l’appellante in sostanza rimprovera
al Tribunale di avere fatto cattivo governo delle risultanze del giudizio di
primo grado e di avere speso, a motivazione della decisione con cui ha
rigettato l’opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, argomenti
superficiali e aprioristicamente orientati in assenza di un’effettiva analisi
della vicenda sottostante. Inoltre, secondo l’appellante, i primi giudici
avrebbero trascurato le risultanze testimoniali che, se correttamente
valutate, avrebbero invece dimostrato che la sua partecipazione alle vicende
di Alfa aveva avuto un ruolo “decisamente marginale e non di direzione e di
controllo della società” e che, in ogni caso, essa non si era spinta
all’ambito commerciale “per evidente mancanza di affectio societatis”.
L’argomentare di Rossi si è quindi sviluppato in un’analitica esposizione dei
singoli elementi considerati dal giudice di primo grado e nella confutazione
del valore indiziario che agli stessi è stato dato nella sentenza impugnata
nonché nell’illustrazione di quegli spunti, essenzialmente di provenienza
testimoniale, che, secondo gli assunti dello stesso appellante, avrebbero
decisamente smentito la tesi secondo cui egli avrebbe partecipato quale socio
alle vicende della società fallita. Tanto
premesso, conviene sinteticamente dare conto degli elementi che, valorizzati
dal Tribunale, sono stati poi oggetto di critico esame da parte
dell’appellante. I primi
giudici hanno per la prima evidenziato la fideiussione omnibus
prestata il 16 settembre 1985 da Rossi a garanzia degli affidamenti concessi
a Alfa dall’Istituto YYY, garanzia quindi limitata a L. 210.000.000
solo in data 8 giugno 1992. Per secondi, risultando elencati due contratti di
comodato gratuito stipulati, rispettivamente, il primo gennaio e il 10
novembre 1986, con i quali Rossi aveva concesso gratuitamente a Alfa una
stanza della propria abitazione familiare da adibire a ufficio e un
laboratorio artigianale sempre di sua proprietà. In terzo luogo, è stato
menzionato il contratto di associazione in partecipazione concluso tra Rossi
e Alfa nel settembre 1986 col quale il primo si era incaricato della
“progettazione e sovrintendenza alle costruzioni dei relativi macchinari ed
il relativo collaudo”. Assolutamente rilevanti, poi, si sono reputate le
dichiarazioni rese al curatore dalle sue socie Alfa e cioè Anna Giolitti,
madre dell’odierno appellante, nata nel 1909, legale rappresentante della
società e da Chiara Felisetti, moglie del Rossi medesimo; la prima, in
particolare, ebbe a dichiarare al curatore di non ricordare neppure di essere
stata socia di Alfa mentre la seconda, pur precisando di avere sempre
partecipato alla gestione della società, non era stata in grado di ricordare
con quali istituti di credito essa avesse operato, quali utili la stessa
Alfa avesse conseguito, quale fosse stato l’ammontare approssimativo
delle vendite e neppure si era detta in grado di riferire dell’esistenza di
rapporti tra la società di cui era socia ed Gamma S.r.l. che, dalla
documentazione acquisita dalla procedura, risultava essere stata la cliente
principale e, per alcuni anni anche esclusiva, della società poi fallita. Ha
poi elencato il Tribunale : la presenza della firma di Rossi sulla matrice di
un assegno circolare emesso il 31 marzo 1988 per conto di Alfa e girato a
saldo del pagamento del saldo Iva; la presenza della firma di Rossi apposta,
come conducente ma in un caso anche come destinatario, su bolle di
accompagnamento dell’anno 1985 e relative a beni acquistati da Alfa; la
quietanza apposta da Rossi su una fattura emessa da Alfa nei confronti di
Gamma e da questa saldata; la presenza della firma di Rossi nella veste di
conducente anche in tre bolle relative a beni venduti da Alfa nel corso del
1988. Sulla
base di questi elementi, il Tribunale ha dunque ritenuto vera e reale
l’effettuazione da parte di Rossi di conferimenti patrimoniali finalizzati al
raggiungimento dello scopo proprio della società e precisamente consistenti
sia nella concessione gratuita degli immobili ove si svolgeva l’attività
sociale sia nella prestazione della fideiussione; ha reputato in secondo
luogo provata l’esistenza di una vera e propria affectio societatis “come
causa qualificante delle prestazioni rese dal Rossi, non certamente
rinunciabili a manifestazioni di pura e semplice affectio faRossis”. Il così
esposto schema argomentativo va ora esaminato alla luce delle censure che
sono state formulate dall’appellante, anticipandosi fin da ora che nessuna di
queste appare alla Corte fondata e meritevole di accoglimento. Principiando
l’esame dalle censure in tesi distruttive della realtà o del valore
significante degli elementi appena sopra illustrati, rileva la Corte che
Rossi ha innanzitutto negato di avere prestato alcuna fideiussione per conto
di Alfa. L’affermazione è certamente sorprendente perché, precedentemente,
l’opponente aveva ammesso la circostanza (si veda la memoria difensiva
nell’interesse di Rossi Paolo presentata nella fase prefallimentare, pag 12:
“ la garanzia fideiussoria a favore dell’Istituto YYY, è stata prestata dal
Rossi a garanzia delle esposizioni ALFA snc in data 16.7.85, allorquando
l’attività aziendale era in piena espansione “), solo lamentando, nel
primo grado, che la prestazione della garanzia non fosse stata intesa dal
Tribunale fallimentare come ispirata, semplicemente, da affectio falialis e
maritalis (pag 3, atto di citazione ). Il cambiamento di rotta è stato
propiziato dalle dichiarazioni testimoniali rese dal curatore nel
dibattimento penale celebratosi a carico di Rossi imputato del delitto di
bancarotta, laddove il curatore stesso ebbe a escludere che sulla
fideiussione ci fosse la sottoscrizione dell’odierno appellato. L’attento
esame delle risultanze processuali conduce però a disattendere la
prospettazione difensiva e a mantenere il rilevante dato rappresentato dalla
fideiussione nel novero degli elementi significativi ai fini della decisione. Si inizia
con l’osservare che la deposizione dibattimentale del dott. VERDI, curatore fallimentare,
non si distingue certamente per la chiarezza. Quegli infatti, premesso di
avere nel frattempo ricevuto la documentazione dalla banca, dichiarò davanti
al collegio penale che sulla fideiussione non si trovava il nome di Rossi, ma
solo la firma di Giolitti che sottoscriveva per Alfa, (“Si tratta di
una fideiussione del Sna Paolo che scrive alla Alfa, quindi San Paolo che
garantisce la Alfa. E per la Alfa firma Giolitti “). E’ però agevole rilevare
che i dati così offerti dal curatore sono in conferenti essendo invero del
tutto irrilevante apprendere che per Alfa aveva firmato Giolitti – legale
rappresentante della prima – e non risultando specificato chi avesse in
realtà prestato la fideiussione (non potendosi ovviamente ammettere che
il garante sia stato, come sembrerebbe affermare il curatore, l’istinto di
credito. In ogni caso, è decisivo rilevare che la fideiussione di cui parla
il curatore davanti al giudice penale non è quella che è stata menzionata dal
Tribunale; infatti il dott. Verdi parla di una fideiussione datata il 19
gennaio 1987 che garantiva un’esposizione per 20 milioni di lire oltre
a un credito di 50 milioni per anticipo su fatture, mentre già si è detto che
il Tribunale ha valorizzato la sottoscrizione, da parte di Rossi , di una
fideiussione omnibus stipulata il 16 settembre 1985. Maggiori
lumi un senso del tutto contrario agli assunti dell’appellante si rinvengono
piuttosto nel fascicolo del fallimento Rossi dove si rintraccia la domanda di
insinuazione al passivo presentata proprio dall’Istituto YYY. Si rileva
infatti, dalla documentazione allegata, che l’istanza era documentata
mediante la produzione di un decreto ingiuntivo ottenuto dalla banca contro
Alfa e Rossi e che contro quest’ultimo il decreto stesso era stato emesso
proprio in forza della fideiussione prestata dall’odierno appellante il 16
settembre 1985 che veniva prodotta a corredo del ricorso monitorio. La realtà
documentale in tal modo reperita si rinsalda allora con le ricordate
ammissioni formulate da Rossi in sede prefallimentare tanto da far
definitivamente concludere che dell’esistenza di quella garanzia prestata
dall’odierno appellante in favore di Alfa non è certamente lecito, in questa
sede, dubitare. L’appellante
tenta inoltre di sminuire la portata indiziante attribuita dal Tribunale alle
dichiarazioni delle socie Felisetti e Giolitti. Invocando in tempo trascorso
tra la cessazione dell’attività della società (1988) e l’anno del
fallimento (1992) spiega essere plausibile che la prima non si ricordasse con
quali istituti di credito avesse per conto di Alfa trattato e sostiene che
l’ignoranza della moglie circa i volumi delle vendite e gli utili sarebbe del
tutto comprensibile atteso che ella, assieme alla socia Giolitti , si
avvaleva per la gestione contabile e finanziaria di professionisti esterni ai
quali venivano consegnati i documenti di rilievo fiscale. Quanto poi ad
Giolitti, Rossi vuole giustificare l’assenza di ricordi nella madre circa la
qualità di socia con l’età avanzata e con i problemi di salute che avrebbero
colpito la donna appena dopo la cessazione dell’attività di Alfa. Ritiene
la Corte che le spiegazioni addotte sul punto dall’appellante e così per
estrema sintesi riportate siano del tutto insoddisfacenti, inappaganti e
inidonee a smantellare il preciso valore significante che deve senza dubbio
riconoscersi al contegno tenuto dalle sue socie al cospetto degli organi
fallimentari. Non
appare assolutamente credibile, infatti, imputare solamente al tempo
trascorso l’impossibilità per Felisetti, che pure dichiarò al curatore di
essersi personalmente occupata della gestione di Alfa, di ricordare con quali
istituiti bancari la società avesse intrattenuto i normali rapporti inerenti
detta gestione (significativo è peraltro che la stessa Felisetti sia stata in
grado di ricordare davanti al curatore di avere a suo tempo intrattenuto un
rapporto di deposito personale presso CARIPLO), ovvero di rammentare neppure
in via di larga approssimazione l’ammontare delle vendite e degli utili
ritratti dalla gestione negli anni di attività della società. La società,
infatti, operò alcuni annoi e non può seriamente prospettarsi che le sue
vicende ordinarie e quotidiane si siano completamente e
irrimediabilmente cancellate dalla memoria di chi sostiene di avervi
dedicato la propria attività amministrativa per tutto quel periodo . La
circostanza, poi, che Alfa si avvalesse di professionisti esterni non può
all’evidenza comportare che i soci neppure fossero in grado di rendersi conto
dell’andamento degli affari, della produttività aziendale e della
redditività del lavoro da essi svolto. In
relazione alla posizione di Giolitti, casalinga ottantenne all’epoca di
cessazione dell’attività di Alfa , riesce invece difficile giustificare, in
assenza di qualsiasi valida documentazione al riguardo, il suo passaggio da
un attiva posizione di amministratrice quale risulta dalle dichiarazioni di
Rossi alla più completa ignoranza, confessata davanti al curatore, circa la
sua stessa appartenenza alla compagine sociale. Inconsistenti
dunque essendo le giustificazioni addotte dall’appellante, la Corte non può
che apprezzare la realtà, ben segnalata dai primo giudici, caratterizzata
dalla presenza di due socie certamente digiune non solo delle conoscenze
tecniche necessarie per l’espletamento dell’attività industriale propria di
Alfa ( che produceva, commissionandoli a terzi, macchinari per l’edilizia),
ma anche della pratica amministrativa necessaria per la ordinaria e
quotidiana conduzione aziendale. In questo quadro, gli altri elementi
evidenziati dal Tribunale relativamente all’ingerenza di Rossi nella gestione
dell’attività sociale sono allora evidentemente destinati ad assumere un
rilievo tutt’affatto particolare che le contrarie osservazioni
dell’appellante non riescono certamente a sminuire. Rossi si
è fatto forte del contratto di associazione in partecipazione stipulato tra
lui e Alfa il primo gennaio 1986, sostenendo che il suo oggettivo operare in
favore della società trovava piena ed esaustiva spiegazione appunto in
forza di questo rapporto certamente non riconducibile a quello sociale. Sul
punto deve però osservarsi quanto segue. L’attività
contemplata dal contratto in questione aveva a oggetto” la progettazione e la
sovrintendenza alle costruzioni dei relativi macchinari ed il relativo
collaudo”, in pratica l’intera attività operativa di carattere tecnico
necessaria per il raggiungimento dello scopo sociale, considerato il fatto
che, com’è pacifico, la materiale produzione di quei macchinari era affidata
a terzi esterni alla società. Dunque, ben può dirsi che Rossi svolgesse da sé
solo l’intera gamma di attività tecnico- operativa della società, progettando
i macchinari, sovrintendo alla loro realizzazione presso le diverse officine
, eseguendo i collaudi presso i clienti. Vi sono
però molteplici elementi che collocano l’agire si Rossi nell’interesse della
società anche al di fuori della pur estesa ed essenziale sfera tecnica di cui
si è appena detto. Viene in considerazione in primo luogo quell’attività di
consegna ai clienti o di prelievo dai fornitori che è comprovata dalla
sottoscrizione delle bolle da parte dell’odierno appellante in qualità di
conducente del mezzo utilizzato per il trasporto, attività che non rientra
certamente in alcuna delle mansioni coperte dal contratto di associazione ,
rilevante è altresì che almeno in un’occasione (bolla BETANER dell’8 novembre
1985) Rossi abbia ricevuto la merce destinata a Alfa qualificandosi come
destinatario. Sicuramente
inerenti ad attività amministrativa risultano poi quietanza apposta da
Rossi su una fattura emessa da Alfa a carico di Gamma e la sottoscrizione di
una matrice di assegno circolare girato a una banca per il pagamento del
s”saldo Iva” 1987. L’appellante ha inteso sminuire la portata di questi dati
spiegando, per il primo, che la fattura fu da lui quietanziata semplicemente
per ragioni di comodità atteso che egli, congiunto delle socie di
Alfa,si trovava presso la Gamma in quanto socio di
quest’ultima e , per il secondo, che la circostanza non avrebbe valenza alcuna
in quanto l’assegno circolare era stato emesso da un istituto bancario e non
avrebbe potuto essere girato. La replica di parte appellante risulta però del
tutto inconsistente in relazione ad entrambi gli elementi che si sono voluti
attaccare. Per quanto attiene alla fattura, resta ineliminabile il fatto che
Rossi ricevette il pagamento destinato a Alfa, si sentì autorizzato a
dare quietanza in nome di tale società e, soprattutto, era considerato dalla
debitrice soggetto che poteva compiere quelle specifiche attività di rilievo
amministrativo. Relativamente all’assegno, al di là della intrinseca fallacia
della difesa secondo cui un assegno circolare non potrebbe essere girato, va
evidenziato che la firma di Rossi (che non l’ha riconosciuta ) vergata sulla
matrice dell’assegno e sotto l’appostazione manoscritta dante atto
dell’avvenuta girata del circolare emesso da Cariplo in favore di Banca
Agricola Mantovana per il pagamento dell’Iva altro significato non può avere
se non quello che fu lo stesso Rossi a curare l’operazione bancaria attestata
dal documento e ad assicurarne la documentazione da conservare agli atti
della società. Questo prodigarsi dell’odierno appellante, all’evidenza,
risulta del tutto eccentrico rispetto alle limitate mansioni che gli erano
state affidate col contratto di associazione e si inserisce in una più ampia
sfera di attività lato sensu gestoria della quale sono segnali anche
le altre tracce documentali appena sopra elencate. Maggiore fortuna,
a giudizio della Corte, non hanno neppure le censure rivolte da Rossi alla
valutazione delle assunte testimonianze operata dai giudici di Mantova.
L’appellante si è richiamato innanzitutto alla deposizione di
Aldo Cremini che, avendo lavorato presso la BETA, uno dei fornitori di Alfa,
ha invero affermato che Rossi seguiva la progettazione e sovrintendeva alla
costruzione dei pezzi che venivano costruiti per conto della società poi
fallita. La testimonianza però, lungi dal confermare l’assunto di parte
appellante secondo il quale l’intervento di Rossi si sarebbe limitato
solo alla parte tecnica e tanto in consonanza col contenuto del contratto di
associazione, giustamente è stata invece valorizzata dal Tribunale al fine
di riconoscere la partecipazione dell’odierno appellante anche alle
attività commerciali e amministrative della società stessa. Il testimone,
infatti, ha altresì dichiarato constargli direttamente che Rossi “ha
personalmente gestito i rapporti commerciali della Alfa s.n.c. con la Beta”
in particolare precisando che “anche per il costo delle forniture l’unico
interlocutore della Beta per conto della Alfa era il Rossi”. Di segno
apparentemente contrario è stata invece la testimonianza di Sergio Milli
difatti puntualmente invocata da Rossi che ha contestato al Tribunale di non
averla tenuta nella giusta considerazione. Il teste ha dichiarato di non
essere a conoscenza di rapporti tra Rossi e Alfa e di avere avuto “contatti
commerciali” “con una signora che si qualificava come titolare della Alfa”
che provvedeva anche ai pagamenti. Come giustamente rilevato dai primi
giudici, però questa deposizione testimoniale non è certamente in grado di
elidere la valenza degli elementi che si sono fin qui esponendo. Pur
trascurando di rilevare l’intrinseca debolezza della testimonianza che si
saggia laddove essa ha negato ogni conoscenza di rapporti tra Rossi e Alfa
mentre il primo avrebbe pur dovuto seguire le lavorazioni che, per conto
della seconda, si eseguivano presso l’azienda del testimone, è sufficiente
annotare che, mai essendosi prospettata la natura simulata della
partecipazione societaria in capo ad Giolitti e a Felisetti, la circostanza
che una di costoro in una qualche occasione abbia trattato con uno dei
fornitori non vale certamente a escludere la prospettiva, chiaramente
indicata dal teste Cremini, di un Rossi attivamente impegnato a gestire i
rapporti con taluni altri dei fornitori di Alfa anche dal punto di vista
commerciale. Peraltro, la testimonianza di Milli è talmente generica che
neppure è possibile ricostruire, sulla base della stessa, la realtà di un
preciso ruolo gestionale rivestito dalla “sinora che si qualificava come
titolare della Alfa” che sia preclusivo della possibilità di attribuire
analogo ambito di operatività anche a Rossi. Gli altri
testimoni, diversamente da quanto affermato dall’appellante, nulla aggiungono
e nulla tolgono al quadro così delineato. Anche quanto dichiarato dal
commercialista Assi secondo il quale i documenti fiscali di Alfa gli
erano recapitati dalla moglie di Rossi e le denunce dei redditi erano firmate
dalla madre dello stesso non vale a smentire la ricostruzione operata dal
giudice di primo grado. Le condotte che in tal modo vengono attribuite alle
due socie palesi della società poi fallita sono infatti del tutto
marginali e non impediscono certamente di prospettare l’interessenza di
Rossi nella compagine sociale comprovata dagli altri elementi probatori
fin qui elencati. Detta
efficacia impeditivi non può infine essere riconosciuta neppure al rapporto
di lavoro subordinato che Rossi assume di avere avuto, in quegli anni, con
una società dell’Italia centrale. L’assunto – la veridicità del quale
riposa peraltro sulle sole parole dell’odierno appellante – non è affatto
incompatibile con la prospettazione fatta propria dal Tribunale come
dimostra, nel modo più convincente la seguente considerazione. Secondo
Rossi (si vedano le sue osservazioni presentate dopo la convocazione davanti
al tribunale fallimentare), il rapporto con la società Ramdel S.r.l.,
iniziato nel 1985, cessò nell’ottobre 1986; si è però visto che nel 1985 lo
stesso Rossi era attivo nell’eseguire trasporti per contro di Alfa e
che, dal primo gennaio 1986, egli si era impegnato contrattualmente a seguire
praticamente l’intera attività tecnica della società. Da qui deve quindi
concludersi che quel rapporto di lavoro subordinato non era certamente per
Alfa e quindi di occuparsi, anche, della sua gestione e delle sue sorti. Così
dunque esaurita l’analisi delle specifiche censure formulate dall’appellante
in relazione agli specifici elementi utilizzati dal giudice di primo grado
come fondamenti in fatto della sua decisione e dimostrato che le stesse non s
sono rivelate certamente idonee a disgelare, così come preteso dall’appellante
medesimo, l’inesistenza dei fatti in cui quegli elementi si sostanziano o
della loro valenza indiziante di un reale rapporto societario di cui
anche il Rossi medesimo è stato parte, è agevole, per la Corte, pervenire
alla conclusione della discussione sul gravame proposto contro la sentenza
dei giudici di Mantova. Sulla
base di una complessiva ricognizione del materiale probatorio, non pare possa
seriamente dubitarsi che questo, complessivamente e sinteticamente
apprezzato, deponga per la realtà della qualità di socio di Alfa attribuita a
Rossi dal Tribunale Fallimentare. Certamente
i detti elementi, singolarmente considerati, non si presterebbero a
sorreggere detta conclusione. Così la sottoscrizione, da parte dell’odierno
appellante, di singole bolle di consegna, insolatamente apprezzata, potrebbe
essere sintomo si sporadica collaborazione prestata dall’appellante alle
congiunte socie della società poi fallita. Anche la prestazione della
fideiussione, allorché sia effettuata in favore di società di cui siano
titolari persone di famiglia, può essere interpretata, più che alla stregua
di un conferimento in vista del raggiungimento dello scopo sociale, come
gesto ispirato dalla solidarietà familiare; similmente, allo stesso
sentimento può rispondere il mettere a disposizione gratuita dei congiunti
locali di proprietà affinché costoro vi svolgano attività commerciale. Qualora
però tutti questi elementi concorrano e vi aggiunga la positiva dimostrazione
di una diretta partecipazione del soggetto all’attività operativa e
commerciale della società. La scomposizione del quadro complessivo e la
separata considerazione di singoli elementi apparirebbe come errata
applicazione delle ordinarie regole in tema di valutazione della prova,
dovendosi invece procedere alla valutazione del compendio probatorio con
visione necessariamente complessiva nella quale il significato indiziario di
ciascuno dei dati raccolti va apprezzato alla luce e la stregua di quello
proprio degli altri parimenti presenti agli atti. Il
suddetto modo di procedere porta, nella fattispecie, a rinserrare i dati
raccolti in questa rappresentazione. Rossi esperto nel settore della
costruzione di macchine utensili, fornisce i locali nei quali può iniziare
l’operatività di una società formata dalla madre e dalla moglie, entrambe
sicuramente assai poco esperte, proclivi e interessate all’attività
commerciale. In favore della neo istituita società quegli presta anche
fideiussione personale illimitata, affinché il soggetto commerciale possa
espandersi facendo ricorso al credito bancario. Rossi si occupa anche
dell’intera parte tecnica dell’attività sociale eseguendo le necessarie
progettazioni, sovrintendendo ai lavori di realizzazione presso terzi,
eseguendo i collaudi presso i fornitori, tratta i prezzi delle forniture, che
in talune occasioni riscuote presso i clienti il corrispettivo e dà
quietanza, che disbriga pratiche amministrative presso le banche con le quali
le socie – a tutto concedere - non dimostrano di avere alcuna
dimestichezza. Il quadro
che si è così venuto formando, a giudizio della Corte, non può che essere
univocamente significativo, come giustamente ha reputato il giudice di
primo grado, dell’esistenza del rapporto di società tra lo stesso Rossi e le
due socie palesi di Alfa. L’importanza
e l’estensione dell’attivarsi di Rossi nell’ambito operativo della società,
infatti, non appare altrimenti spiegabile con risultati di altrettanto
plausibile verosimiglianza e, in particolare, non può essere certamente
spiegato in forza di quel contratto di associazione i partecipazione
col quale si è fatto scudo l’odierno appellante perché questo non riesce
certamente a dare ragione di quelle attività ulteriori che esulano dalle
specifiche mansioni che nello stesso sono ricompresse. L’affectio
societatis, l’attivarsi per la società alle cui sorti Rossi è
fattivamente interessato si disvela poi definitivamente alla luce
dei contributi che lo stesso presta affinché la società possa vivere e
prosperare e tanto sia con riferimento agli immobili che con riferimento alla
garanzia tale, quest’ultima da legare, anche sotto il profilo della
responsabilità patrimoniale, il garante ai futuri destini della garantita. La
conclusione sui è giunto il Tribunale di Mantova che ha respinto
l’opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento proposta da Rossi
riconoscendo la sua veste di socio occulto della società Alfa s.n.c. si
rivela pertanto del tutto corretta e aderente alle risultanza processuali. Il
gravame contro di essa proposto da Paolo Rossi va pertanto respinto ,
con la conseguente conferma della decisione impugnata. La
soccombenza dell’appellante comporta che questi debba essere condannato a
rifondere alla procedura appellata le spese del grafo. Esse, in ragione
dell’attività defensionale effettivamente espletata quale risulta dal
fascicolo di parte e dai verbali di causa, si liquidano in complessivi euro
4.445,66 ( di cui 876,65 per diritti e 3.098,74 per onorari). P.Q.M. La Corte
definitivamente pronunciando, rigetta l’appello proposto da
Paolo ROSSI avverso la sentenza n° WWW del Tribunale di Mantova in data XXX;
condanna l’appellante a rifondere agli appellati FALLIMENTO della società
ALFA S.N.C. e FALLIMENTO di ROSSI PAOLO le spese del presente grado liquidate
in euro 4.445,66. |