Tribunale di Mantova – G.U. Dr. Luigi Pagliuca – 8
novembre 2005. (219) Danno morale –
Morte del congiunto – Presunzione a favore dei prossimi congiunti – Prova del
legame con i congiunti meno prossimi – Necessità. Ove non emergano elementi da
cui inferire la sussistenza di contrasti e dissapori tra i soggetti legati da
vincoli familiari, tenendo conto della particolare intensità degli affetti e
dei rapporti esistente tra determinati congiunti secondo l’id quod plerumque
accidit, potrà riconoscersi la lesione del rapporto parentale solo ai
congiunti più prossimi, e cioè al coniuge, ai figli e ai genitori mentre
nessuna presunzione potrà
operare a favore dei
congiunti meno stretti. Nel caso in cui il
risarcimento del danno sia invocato dal congiunto non stretto ( es. i nonni)
e non convivente dovrà essere data prova del fatto che, nonostante la
mancanza di convivenza, i rapporti tra le parti erano costanti e comunque
caratterizzati da affetto reciproco e solidarietà. Morte del
congiunto - Liquidazione del danno ai parenti – Criterio equitativo –
Interpretazione della domanda. La liquidazione del danno da
lesione parentale, trattandosi di valore inerente alla persona
privo in quanto tale di contenuto economico, deve avvenire in base a
valutazione equitativa (artt. 1226 e
2056 c.c.), tenuto conto dell’intensità del vincolo familiare, della
situazione di convivenza e di ogni
ulteriore utile
circostanza, quali la consistenza
più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l'età
della vittima e dei singoli superstiti, le esigenze di questi ultimi rimaste
definitivamente compromesse. Qualora la parte, con domanda
proposta prima del 2003, abbia richiesto genericamente il risarcimento del
“danno morale” per la morte del proprio congiunto, in difetto di elementi
concreti da cui inferire che la pretesa fosse limitata al pregiudizio
conseguente al mero dolore transeunte per la perdita del congiunto (ossia al
danno morale soggettivo), deve ritenersi che la richiesta attenga anche al
risarcimento di tutte le altre voci di danno non patrimoniale ed in primis a
quello conseguente alla lesione del rapporto parentale. Morte del
congiunto – Danno parentale – Liquidazione – Natura e intensità del legame -
Rilevanza. Nel procedere alla
liquidazione del danno da lesione parentale debbono applicarsi le tabelle
elaborate dal Tribunale di Milano disancorandosi la commisurazione del danno
non patrimoniale risarcibile (comprensivo sia del danno morale soggettivo che
di quello conseguente alla lesione del rapporto parentale) da ogni astratto
riferimento ad un ipotetico danno biologico del 100% subito dalla vittima
primaria, privilegiandosi il legame familiare tra la vittima primaria e
quelle secondarie e tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto
ed in particolare della sopravvivenza o meno di altri congiunti, della
convivenza o meno di questi ultimi, della qualità ed intensità della
relazione affettiva familiare residua, della qualità ed intensità della
relazione affettiva che caratterizzava il rapporto parentale con la persona
perduta utilizzandosi, in tale prospettiva, forbici risarcitorie variabili a
seconda del tipo di parentela che viene in rilievo. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con citazione notificata in data 31.8.02 e 3.9.02 E. F., V. F., F. F.,
S. F., G. F. e L. F. convenivano in giudizio l’Assitalia spa e L. T. per sentirli condannare, in solido,
al risarcimento di tutti i danni – patrimoniali e non patrimoniali – patiti
in conseguenza del sinistro stradale occorso in Volta Mantovana il giorno **
alle ore 1,00 circa in cui era deceduto il proprio congiunto A. F. all’epoca
di 20 anni. Assumevano in particolare gli attori: a) di essere i genitori (E. F. e V. F.), il fratello (F. F.) e le
sorelle (S., G. e L. F.) della vittima;
b) che la responsabilità in ordine al sinistro e, quindi, al decesso
del loro congiunto era ascrivibile unicamente al convenuto L. T., conducente
del veicolo su cui A. T. era trasportato; c) che dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti da essi attori
in seguito alla perdita del congiunto erano tenuti a rispondere, in solido
con il T., l’Assitalia spa in qualità di compagnia assicuratrice del veicolo: d) di avere già ricevuto in data 23.12.01 dall’assicurazione la somma
di euro 258.228,40, insufficiente rispetto alla reale entità del danno e
trattenuta a titolo di mero acconto. Tutto ciò premesso gli attori concludevano chiedendo la condanna dei
convenuti, in solido, al risarcimento dell’ulteriore danno patito, oltre
rivalutazione monetaria e interessi. L. T., costituitosi in giudizio, eccepiva il concorso di colpa di A.
F., per non avere indossato la cintura di sicurezza. Sosteneva inoltre
l’eccessività della pretesa risarcitoria degli attori e concludeva chiedendo,
in via principale, il rigetto della domanda attorea, in subordine, la
condanna dell’Assitalia spa all’integrale risarcimento del danno. L’Assitalia spa, costituitasi anch’essa in giudizio, non contestava
invece l’esclusiva responsabilità del T. in ordine al sinistro, limitandosi
ad eccepire l’eccessività della
pretesa creditoria avanzata dagli attori ed affermando che l’importo già
corrisposto era ampiamente sattisfattivo di ogni pretesa risarcitoria. Affermava inoltre la convenuta che al momento del sinistro il T. stava
guidando in stato di ebbrezza e che ai sensi delle condizioni di polizza ciò
comportava l’esclusione della copertura assicurativa, con conseguente diritto
dell’Assitalia spa ad agire in rivalsa nei confronti del proprio assicurato
per ripetere quanto corrisposto alle persone rimaste danneggiate
nell’incidente. Tutto ciò premesso l’Assitalia spa concludeva chiedendo il rigetto
della domanda attorea e, in via riconvenzionale, la condanna del T. a
rifonderle ogni somma, presente e futura, corrisposta ai soggetti rimasti
danneggiati nel sinistro. Con ricorso depositato in data 31.10.02 l’Assitalia spa chiedeva di
essere autorizzata a sottoporre a sequestro conservativo i beni del T. sino
alla concorrenza dell’importo di euro 320.000,00. Con dichiarazione resa a
verbale dell’udienza del 4.3.03 il procuratore dell’Assitalia spa rinunciava
all’istanza di sequestro ed il giudice dichiarava abbandonata la procedura. Sempre in data 4.3.03 il procuratore dell’Assitalia rinunciava anche
alla domanda riconvenzionale di rivalsa formulata nei confronti del T.. La causa, istruita documentalmente e oralmente, veniva trattenuta in
decisione all’udienza del 21.6.05, sulla base delle conclusioni delle
parti come riportate in
epigrafe. MOTIVI DELLA DECISIONE 1) Istanze istruttorie del convenuto L. T. – inammissibilità. Domanda
di rivalsa - rinuncia La prova testimoniale richiesta dal T. nella memoria ex art. 184 cpc
del 15.4.03 è già stata ammessa ed assunta nel corso dell’istruttoria. Pertanto l’istanza di (ri)ammissione di detta prova, del tutto
incomprensibilmente reiterata dal convenuto in sede di precisazione delle
conclusioni, va senz’altro dichiarata inammissibile. L’Assitalia spa ha rinunciato alla domanda di rivalsa nei confronti del
T., manifestando espressa volontà in tal senso con dichiarazione resa a
verbale dell’udienza del 4.3.03 ed omettendo di riproporla in sede di
precisazione delle conclusioni.. Su detta domanda non dovrà quindi
provvedersi. 2) Dinamica del sinistro – esclusiva responsabilità di L. T. 2.1 - Non vi è contestazione in merito al fatto che il sinistro per cui
è causa sia avvenuto secondo la dinamica ricostruita dalla Polizia stradale
intervenuta sul posto. Pertanto, mutuando quanto riferito nell’informativa inviata dalla
Polizia stradale alla Procura della Repubblica di Mantova in data 12.9.00
(doc. prodotto dal T.) può certamente ritenersi provato che “verso le ore
01,00 del giorno 27 agosto 2000 T. L., alla guida della propria autovettura
**, con a bordo P. I., che prendeva posto sul sedile anteriore di destra, F.
A., che prendeva posto sul sedile posteriore di sinistra e P. M. che prendeva
posto su quello di destra, percorreva la strada provinciale n. 21 Marmirolo –
Volta, diretto verso Volta Mantovana. Il T. che viaggiava in stato di
ebbrezza dovuto all’ingerimento di bevande alcoliche (120 mg/dl accertato
presso l’ospedale civile di Mantova) ed a velocità non particolarmente
moderata, pervenuto all’altezza della progressiva chilometrica 15,671 –
territorio del comune di Volta Mantovana (Mn) - all’uscita da un tratto di
strada curvilineo ad ampio raggio volgente a sinistra e con limitazione di
velocità di 70 km/orari, perdeva il controllo dell’autovettura. Lo stesso
conducente, probabilmente, per evitare una possibile fuoriuscita a destra del
piano viabile, correggeva la traiettoria del veicolo con una brusca sterzata
verso sinistra, provocando in tal modo, un incontrollato sbandamento
dell’automezzo. Nel tentativo di riportare in assetto l’autovettura, il T.
sterzava nuovamente verso destra ma il veicolo entrava in derapata con la
parte posteriore. In tali condizioni l’autovettura, priva di controllo,
deviava verso destra, fuoriusciva dalla sede viaria, si piegava sul fianco
sinistro per la presenza di una piccola scarpata facente parte del fossato
asciutto esistente e cozzava con la parte laterale posteriore sinistra e con
il tettuccio, lato sinistro, contro un albero di ceppaia situato a lato della
strada, oltre il fossato innanzi descritto. Nell’incidente F. A. decedeva
all’istante a causa delle gravi ferite riportate, mentre T. L., P. M. e P. I.
riportavano lesioni”. 2.2 - Sulla scorta di detta dinamica appare in primo luogo evidente
che responsabilità in ordine al
sinistro è senz’altro ascrivibile al convenuto L. T., per non aver tenuto una
condotta di guida improntata a prudenza e tale da consentirgli di mantenere
sempre il controllo della vettura ed evitare che la stessa potesse uscire di
strada. Invero, poiché dagli accertamenti effettuati non risultano elementi
da cui inferire che la sbandata dell’auto fosse stata determinata da cause
esterne quali, ad esempio, la condotta di guida del conducente di altro
veicolo antagonista o la presenza di ostacoli imprevedibili sulla sede
stradale, deve ritenersi che la perdita di controllo dell’autovettura, in
tratto di strada non rettilineo, fosse stata determinata dall’eccessiva
velocità di marcia tenuta dal T., come peraltro ritenuto anche dalla Polizia
stradale (che, nel verbale, ha ritenuto appunto che il T. viaggiasse a
velocità “non particolarmente moderata”). 2.3 – Secondo il convenuto L. T. con la sua responsabilità dovrebbe
concorrere anche quella di A. F.. Afferma infatti il convenuto che al momento
del sinistro la vittima non indossava le cinture di sicurezza e che,
pertanto, il risarcimento dovuto agli attori deve essere ridotto ai sensi
dell’art. 1227 c.1 c.c. vertendosi in ipotesi di concorso del fatto colposo
del danneggiato nella causazione del danno. Osserva in proposito questo giudice che l’accoglimento dell’eccezione
presuppone la prova, non solo del mancato uso della cintura da parte del F.,
ma anche del nesso di causalità tra detta omissione e l’evento letale, ossia
del fatto che con certezza o “con alto grado di credibilità razionale o
probabilità logica” (in tal senso Cass. pen. s.u. 27/02) in caso di uso della
cintura la vittima non sarebbe deceduta, ma sarebbe rimasta semplicemente
ferita. Nella fattispecie, se si ha riguardo alla causa specifica del decesso
del F. ed alla dinamica del sinistro quale sopra riferita, deve senz’altro
escludersi che l’uso del dispositivo di trattenuta (in ipotesi assunto come
omesso) avrebbe potuto evitare l’evento letale. Invero il F. era seduto sul sedile posteriore sinistro dell’Audi
condotta dal T. (testi P. e P.), ossia proprio nella parte dell’auto che era
andata ad urtare violentemente contro il ceppo di albero posto oltre il
margine destro della sede stradale. Più in particolare subito dopo essere
uscita dalla sede stradale l’auto si era piegata sul lato sinistro e l’urto
era avvenuto tra il ceppo d’albero e la parte di tettuccio posta sopra la testa del F.. Dalle foto allegate
al verbale risulta chiaramente che l’urto aveva provocato l’abbassamento del tetto
dell’auto nella parte posteriore sinistra e, tenuto conto che la causa
specifica della morte del F. è stata individuata dalla dott.sa Doriana
Bertazzo nello sfondamento della base cranica, è del tutto probabile che ciò
sia avvenuto proprio in conseguenza dello schiacciamento o comunque dell’urto
del capo contro le lamiere del tetto medesimo. In considerazione della particolare violenza dell’impatto, della
tipologia di lesioni che hanno provocato la morte e, soprattutto, della
direzione dell’urto (dall’alto verso il basso) deve ritenersi che l’uso o
meno dei dispositivi di trattenuta costituisca circostanza del tutto
irrilevante rispetto all’evento, essendo evidente che anche in caso di uso
della cintura non si sarebbe comunque potuto evitare l’urto del capo contro
la struttura del tettuccio, improvvisamente abbassatosi a seguito dell’urto. In difetto di prova del nesso di causalità tra omesso uso della cintura
ed evento letale è quindi irrilevante appurare se il F. avesse o meno
utilizzato le cinture di sicurezza. 2.4 - Risulta quindi esclusa la ricorrenza di un concorso di colpa
della vittima e la responsabilità del sinistro va perciò ascritta unicamente
al conducente L. T.. Il T. è quindi tenuto all’integrale risarcimento dei danni patiti dagli
attori prossimi congiunti della vittima. Di detti danni dovrà inoltre
rispondere, per l’intero ed in solido con il T., anche la convenuta Assitalia
spa, trattandosi della società presso cui il veicolo condotto dal T. era
assicurato per la responsabilità civile, ai sensi della legge 890/69. 3) Quantificazione del risarcimento dovuto agli attori 3.1 Premessa Come è noto a seguito delle pronunce n. 8827 e 8828 del 31.5.03 della
Corte di Cassazione e n. 233/03 della Corte Costituzionale è stato operato un
nuovo inquadramento sistematico delle varie figure di danno risarcibili. In particolare, ad un
sistema risarcitorio tripolare, incentrato sulle figure del danno biologico
(risarcibile ex artt. 2043 cc. e 32 Cost), del danno morale c.d. soggettivo
(risarcibile ex artt. 2059 c.c. ed art. 185 c.p.) e del danno patrimoniale
(risarcibile ex art. 2043 c.c.), è stato sostituito un inquadramento di tipo
bipolare che, in modo del tutto condivisibile e maggiormente aderente
all’effettiva natura dei pregiudizi da risarcire, individua unicamente le due
categorie del danno patrimoniale (risarcibile ex art. 2043 c.c. nelle due
componenti del danno emergente e del lucro cessante) e del danno non
patrimoniale (risarcibile ex art. 2059 c.c. costituzionalmente reinterpretato
e, quindi, senza limitazioni), comprendendo in questo ogni danno di natura non patrimoniale
derivante da lesione di valori inerenti alla persona e quindi sia il danno
morale c.d. soggettivo, sia il danno biologico, sia infine il danno
conseguente alla lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti
alla persona. Ciò premesso in via generale sull’inquadramento sistematico della
materia, deve precisarsi che secondo quanto sostenuto nella medesima
pronuncia n. 8828 sopra citata, tra i pregiudizi di natura non patrimoniale
risarcibili ex art. 2059 c.c. in quanto conseguenti alla lesione di interessi
di rango costituzionale inerenti alla persona è certamente compreso anche
quello derivante dalla lesione del rapporto parentale intercorrente con il
prossimo congiunto deceduto. Invero, afferma la Corte, “l'interesse fatto
valere nel caso di danno da uccisione di congiunto è quello
all’intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà
nell'ambito della famiglia, alla
inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività
realizzatrici della persona umana nell'ambito di quella peculiare
formazione sociale
costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e
30 Cost. Si tratta, quindi, di interesse protetto,
di rilievo costituzionale, non avente natura economica, la cui
lesione non apre la via ad un risarcimento ai sensi dell'art. 2043, nel cui ambito
rientrano i danni patrimoniali, ma
ad un risarcimento (o meglio: ad una riparazione), ai sensi dell'art.
2059 c.c., senza il limite ivi previsto in
correlazione all'art. 185 c.p. in
ragione della natura del
valore inciso,
vertendosi in tema di danno che non si presta ad una valutazione
monetaria di mercato”. Detto pregiudizio si distingue nettamente sia dal
danno biologico che da quello morale soggettivo in quanto non consiste in una
lesione dell’integrità psico-fisica della persona, né può ritenersi
coincidente con la transeunte sofferenza che naturalmente consegue alla perdita
del prossimo congiunto. Tuttavia, se è vero che quello in esame è un interesse alla
intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole
solidarietà che connota la famiglia,
ritiene questo giudice che per accertare l’effettiva sussistenza
dell’interesse medesimo e della sua lesione sia necessario fornire la prova
dell’esistenza in concreto tra la persona deceduta e quella che invoca il
risarcimento dei rapporti di affetto, reciproco affidamento e frequentazione
che, secondo il comune sentire, costituiscono il proprium del suddetto
rapporto parentale. Peraltro, nelle ipotesi in cui dall’istruttoria non risulti il concreto
assetto dei rapporti intercorrenti prima della morte tra vittima e congiunto,
e sempre che non emergano elementi da cui inferire la sussistenza di
contrasti e dissapori tra loro, in applicazione di massime di esperienza e
tenendo conto della particolare intensità degli affetti e dei rapporti
esistente tra determinati congiunti secondo l’ id quod plerumque accidit, potrà
tuttavia riconoscersi la lesione del rapporto e, quindi, l’invocato
risarcimento solo ai congiunti più prossimi, e cioè al coniuge, ai figli e ai
genitori. Nessuna presunzione potrà invece operare a favore dei congiunti meno stretti quali, ad esempio, i
nonni, che generalmente non fanno parte del nucleo familiare (inteso in senso
stretto) di pertinenza della vittima. Rispetto a questi ultimi, tuttavia,
particolare rilievo potrebbe assumere l’eventuale convivenza con la vittima,
atteso che proprio l’assidua frequentazione costituisce uno dei fattori che
rende possibile l’approfondimento ed il rafforzamento dei rapporti tra
familiari. Nel caso in cui il risarcimento del danno sia invocato dal
congiunto non stretto (es: i nonni) e non convivente, quindi, non ci si potrà
accontentare della mera lesione oggettiva del rapporto parentale, dovendo
invece essere data prova del fatto che, nonostante la mancanza di convivenza,
i rapporti tra le parti erano ciononostante costanti e comunque
caratterizzati da affetto reciproco e solidarietà. Solo in questo caso
infatti potrà ritenersi effettivamente sussistente un pregiudizio non
patrimoniale in capo al parente non convivente, conseguente alla forzosa
rinuncia a quell’affetto che seppur con cadenza non quotidiana (tipica della
coabitazione) egli riceveva dalla persona deceduta; in ogni caso e salvo
diverse contrarie risultanze la rottura del rapporto parentale sarà
certamente patita maggiormente dal familiare convivente che, per ovvie
ragioni, avvertirà quotidianamente l’assenza della persona scomparsa e farà
perciò più fatica ad elaborare il lutto. In adesione, quindi, con l’orientamento espresso dalla Cassazione nella
citata sentenza (ed anche da Cass. 12124/03) deve ritenersi che quello in
esame sia un danno c.d. conseguenza, non coincidente con la lesione del
rapporto parentale e, quindi, con l’interesse leso. Pertanto, in caso di
morte, il prossimo congiunto che chieda il risarcimento della voce di danno
in esame sarà tenuto ad allegare e provare il pregiudizio patito in
conseguenza della lesione del rapporto parentale, potendo i congiunti più
stretti usufruire delle
semplificazioni probatorie (fondate su massime di esperienza) di cui
si è ora detto. Quanto ai criteri di liquidazione di detto danno, vertendosi in tema di lesione di valori
inerenti alla persona, in quanto tali privi di
contenuto economico, non potrà
che avvenire in base a valutazione equitativa (artt. 1226 e 2056 c.c.), tenuto conto dell’intensità del vincolo
familiare, della
situazione
di convivenza, e di ogni ulteriore utile circostanza,
quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini
di vita, l'età della vittima e dei singoli superstiti, le esigenze di questi ultimi
rimaste definitivamente compromesse (così anche Cass. 15022/05). Da ultimo deve rilevarsi che il danno non patrimoniale da perdita del rapporto
parentale, in quanto
ontologicamente diverso dal
danno morale c.d.
soggettivo (consistente nella sofferenza transeunte per la perdita del
congiunto: Cass. 2915/71, Cass. 1016/73, Cass. 6854/88, Cass. 11396/97), può
essere riconosciuto a favore
dei congiunti unitamente a
quest'ultimo, senza che
possa ravvisarsi una duplicazione di risarcimento (Cass. 8828/03, Cass.
12124/03, Cass. 15022/05). Tuttavia, per evitare il rischio di inammissibili
duplicazioni del risarcimento dovuto, nel caso di attribuzione congiunta del
danno morale soggettivo e del
danno da perdita del
rapporto parentale, dovrà considerarsi,
nel liquidare il primo,
la più limitata
funzione di ristoro della
sofferenza contingente che gli va
riconosciuta. Ciò ovviamente in
generale ed a prescindere dalle particolarità del caso concreto. In ultima
analisi, al di là dei criteri di liquidazioni assunti a fondamento della
quantificazione delle singole voci risarcitorie, ciò che rileva è che
l’importo complessivamente corrisposto a favore del danneggiato a titolo di
danno non patrimoniale (comprensivo del danno biologico, del danno morale
soggettivo e di quello conseguente a lesione di altri interessi
costituzionalmente tutelati, tra cui anche quello in esame) risulti congruo
rispetto alla particolarità del caso concreto. 3.2. – Interpretazione della domanda attorea Per quanto attiene alle domande risarcitorie proposte, come nella
specie, prima del revirement del 2003 la suprema Corte con recente sentenza
(Cass. 15022/05) ha chiarito che “la domanda di risarcimento del danno morale
va interpretata dal giudice di merito, per verificare se la parte aveva
inteso richiedere il solo risarcimento del danno morale soggettivo o anche il
risarcimento di un’altra voce di danno non patrimoniale” (e, in particolare,
del danno conseguente alla lesione del rapporto parentale). Infatti nell’accezione giurisprudenziale antecedente al 2003 si era
soliti equiparare il concetto di danno morale e quello di danno non
patrimoniale cui fa testuale riferimento l’art. 2059 c.c., con la conseguenza
che attraverso l’uso della locuzione “danno morale” si intendeva generalmente
far riferimento non solo al risarcimento del “danno morale soggettivo
contingente”, ossia a quello consistente nella sofferenza transeunte (c.d.
pecunia doloris) conseguente al reato (quindi nei casi analoghi a quello in
esame, all’omicidio del congiunto), ma anche ad ogni altro pregiudizio non
patrimoniale (diverso dal danno morale c.d. soggettivo) risarcibile ex art.
2059 c.c. in relazione al caso concreto. Ed infatti molte delle tabelle di elaborazione giurisprudenziale
applicate per la liquidazione del danno morale da morte o lesioni in favore
dei congiunti, tra cui quella milanese in uso presso il Tribunale di Mantova,
nell’individuare i parametri per la quantificazione del danno morale tenevano
conto anche dei pregiudizi non patrimoniali ulteriori rispetto alla
sofferenza transeunte ed in primis proprio delle conseguenze negative
derivanti dall’ interruzione dei rapporti di frequentazione familiare che,
come sopra rilevato, integrano il c.d. rapporto parentale. Pertanto, qualora la parte, con domanda proposta prima del 2003, abbia
richiesto genericamente il risarcimento del “danno morale” per la morte del
proprio congiunto, in difetto di elementi concreti da cui inferire che la
pretesa fosse limitata al pregiudizio conseguente al mero dolore transeunte
per la perdita del congiunto (ossia al danno morale soggettivo), deve
ritenersi che la richiesta attenga anche al risarcimento di tutte le altre
voci di danno non patrimoniale ed in primis a quello conseguente alla lesione
del rapporto parentale (conclusione peraltro in linea con la c.d. unitarietà
del diritto al risarcimento del danno: cfr Cass. 22897/04, Cass. 2869/03). Nella fattispecie gli attori, prossimi congiunti di A. F., nella citazione
introduttiva avevano chiesto il risarcimento dei danni patrimoniali e,
genericamente, del danno morale patito. Dalla scarna narrativa dell’atto non
si rinvengono elementi tali da far ritenere che la pretesa attorea fosse
limitata al risarcimento del solo pregiudizio conseguente alla transeunte
sofferenza derivante dalla morte del congiunto. Pertanto, interpretando la domanda attorea avuto riguardo all’attuale
sistematica delle voci di danno risarcibili, essa deve ritenersi volta ad
ottenere il risarcimento sia del danno morale soggettivo che di quello
conseguente alla lesione del rapporto parentale. 3.3 – Danni patrimoniali Dall’istruttoria è emerso che: a) A. F., all’epoca di 20 anni, viveva ancora in famiglia (circostanza
pacifica); b) che la vittima conviveva con i genitori E. F. e V. F., mentre F.,
S., G. e L. F., fratello e sorelle del F., non erano più conviventi con i
genitori ed avevano già costituito nuclei familiari autonomi; c) che E. F., padre della vittima, nel 2001 percepiva una pensione di
euro 851,64 mensili (doc. 3 di parte attrice); e) che la vittima dal 1995 lavorava quale operaio di primo livello
presso la Tosi costruzioni snc e percepiva lo stipendio netto di circa euro
1.000,00 mensili (buste paga in atti: doc. 2 di parte attrice). In considerazione del fatto che la contestazione di entrambi i
convenuti è riferita solamente alla quantificazione della voce di danno in
esame, mentre non vi è obiezione in merito all’an della pretesa attorea, può
senz’altro ritenersi pacifica la circostanza, allegata dagli attori, che la
vittima contribuisse al fabbisogno familiare con una parte del suo
stipendio. E’ quindi in primo luogo indubitabile che i genitori abbiano perso il
contributo economico che il figlio avrebbe presumibilmente continuato a
versare loro. D’altra parte è altresì probabile che detta contribuzione
sarebbe continuata solamente sino al momento in cui anche la vittima avrebbe
abbandonato il nucleo familiare e iniziato a condurre una esistenza
indipendente. Invero, al di là del fatto che non è verosimile che E. F. avesse
mantenuto una famiglia composta dalla moglie e da ben cinque figli solamente
con l’entrata costituita dal suo non ingente stipendio e pagando addirittura
l’affitto dell’appartamento ove la famiglia abitava (e, quindi, in difetto di
prova rigorosa sul punto, deve quantomeno dubitarsi che l’ unica entrata
della famiglia fosse costituita dallo stipendio e, poi, dalla pensione del
padre della vittima), deve in ogni caso osservarsi che lo stipendio della
vittima era di entità tale (circa euro 1.000,00 nel 2001) da non
consentirgli, una volta uscito di casa, di poter contribuire al proprio
mantenimento e, contemporaneamente, anche a quello dei genitori. Infatti se la contribuzione poteva giustificarsi in pendenza della
convivenza con i genitori, atteso che le spese di vitto e alloggio venivano
evidentemente sostenute dal nucleo familiare nell’interesse di tutti i
componenti, essa sarebbe
divenuta oltremodo onerosa allorché la vittima, andando a vivere da sola, avrebbe
dovuto far fronte autonomamente al proprio mantenimento. Non può quindi liquidarsi alcunché per il periodo successivo al
presumibile allontanamento della vittima, a titolo di danno patrimoniale per
perdita di future contribuzioni ai congiunti (danno ritenuto in astratto
risarcibile da Cass. 3929/69, Cass. 2063/75, Cass. 4137/81, Cass. 11453/95,
Cass. 1085/98, Cass. 15103/02),
non essendovi alcun elemento da cui inferire se e quanto A. F. avrebbe
continuato a conferire ai genitori, e non potendosi peraltro ritenere
sufficiente una prova in termini di semplice possibilità. In conclusione l’entità del risarcimento dovuto ai genitori della
vittima per perdita della contribuzione economica apportata dal figlio deve
essere determinata con riferimento al limitato periodo in cui,
presumibilmente, lo stesso avrebbe continuato a vivere in famiglia. Periodo che, tenuto conto del fatto che la vittima aveva terminato il
percorso di studi ed aveva già reperito una stabile attività lavorativa
(atteso che dalle buste paga in atti risulta che il F. lavorava per la Tosi
snc già da quasi 5 anni), si stima non sarebbe durato più di 4 anni. Pertanto, ritenuto che il Peccini trattenesse per le proprie esigenze
almeno 1/2 del proprio stipendio, ne deriva che lo stesso avrebbe continuato
a versare per ulteriori 4 anni (e quindi per 52 mensilità, considerando anche
la corresponsione della tredicesima) ai genitori la somma mensile di euro
500,00, per un importo totale di euro 26.000,00. Va altresì riconosciuto ai genitori della vittima il rimborso delle
spese funerarie sostenute, importo non contestato dai convenuti e che ammonta
alla somma di lire 9.918.800, pari ad euro 5.123,00 (cfr docc. 4, 5, 6, 7 e 8
di parte attrice) che rivalutata ammonta oggi ad euro 5.750,00. 3.4 – Danni non patrimoniali 3.4.1 – Danno morale c.d. soggettivo Detto pregiudizio consiste come è noto nella transeunte sofferenza
conseguita alla perdita del congiunto (atteso che, in caso di incapacità di
elaborazione del lutto tale da degenerare in vera e propria malattia
psichica, il relativo – e diverso - pregiudizio sarebbe risarcibile a titolo
di danno biologico jure proprio del congiunto). Dagli atti non risulta il
concreto atteggiarsi della sofferenza patita da ciascuno dei singoli
congiunti, odierni attori; tuttavia, non risultando neppure che il nucleo
familiare fosse travagliato da particolari divisioni o incomprensioni, può,
in base a massime di esperienza e all’id quod plerumque accidit, certamente
ritenersi che il dolore per la perdita di A. F. vi sia stato e sia stato
particolarmente intenso, a causa della prematurità del decesso. Tutti gli attori hanno quindi senz’altro diritto al risarcimento di
detta voce di danno. 3.4.2 – Danno conseguente a lesione del rapporto parentale Parte attrice non ha allegato e dimostrato il concreto e specifico
atteggiarsi dei rapporti intercorrenti tra la vittima e ciascuno dei
familiari che hanno chiesto il risarcimento. Tuttavia, sulla scorta di quanto affermato al precedente punto sub. 3.1
può certamente ritenersi provato, in base a massime di esperienza, che tra la
vittima ed i genitori, in ragione del rapporto di convivenza e di stretta
parentela, intercorressero i normali rapporti di frequentazione, affetto ed
affidamento reciproco che di solito sussistono tra dette categorie di
parenti. Quanto, invece, ai fratelli non conviventi F., S., G. e L. F., in
assenza di prova dei rapporti intercorrenti con la vittima non può sulla base
dell’allegazione del solo rapporto di parentela ritenersi la sussistenza
dell’interesse in considerazione e, quindi, della sua lesione. Tanto più che
è probabile che, secondo ciò che generalmente avviene, questi ultimi abbiano lasciato il
nucleo familiare di origine per crearne uno nuovo ed autonomo, ai cui
componenti (marito, mogli, figli) avranno dedicato la quasi totalità del loro
tempo, destinando alla frequentazione con il fratello deceduto (con cui, in
considerazione della notevole differenza di età, è probabile non avessero
molti interessi in comune) spazi di tempo necessariamente saltuari e
limitati. Ne consegue che il risarcimento del danno per lesione del rapporto
parentale, nell’accezione sopra precisata, può essere riconosciuto unicamente
a E. F. e V. F., genitori della vittima. 3.4.3. Liquidazione Venendo quindi all’individuazione del criterio di liquidazione di detti
pregiudizi non patrimoniali deve rilevarsi che, con riferimento alle vittime
secondarie per l’ipotesi di morte di un familiare, l’osservatorio presso il
Tribunale di Milano, le cui tabelle sono recepite da questo ufficio
giudiziario (da ciò derivando l’insussistenza di obbligo di motivazione in
ordine alle ragioni del loro utilizzo da parte di questo giudice: Cass.
4186/04), ha proposto di disancorare la commisurazione del danno non
patrimoniale risarcibile (comprensivo sia del danno morale soggettivo che di
quello conseguente alla lesione del rapporto parentale) da ogni astratto
riferimento ad un ipotetico danno biologico del 100% subito dalla vittima
primaria, privilegiando essenzialmente il legame familiare tra la vittima
primaria e quelle secondarie, tenendo conto di tutte le circostanze del caso
concreto ed in particolare della sopravvivenza o meno di altri congiunti,
della convivenza o meno di questi ultimi, della qualità ed intensità della
relazione affettiva familiare residua, della qualità ed intensità della
relazione affettiva che caratterizzava il rapporto parentale con la persona
perduta. In tale prospettiva, partendo dal presupposto che il giudice ha
l’obbligo di adeguatamente
motivare la quantificazione operata (senza tuttavia essere tenuto ad una
dimostrazione particolareggiata e minuziosa di ciascuno degli elementi
assunti a fondamento della valutazione operata: Cass. 9226/03) sì da evitare
automatismi di calcolo che non consentano di tenere conto delle
caratteristiche precipue della fattispecie concreta (cfr Cass. 15568/04,
Cass. 13066/04, Cass. 10035/04), si sono proposte una serie di ampie forbici
risarcitorie, variabili a seconda della tipo di parentela che viene in
rilievo. In particolare si è proposto di liquidare il danno non patrimoniale per
la morte del congiunto - comprensivo sia del danno morale c.d. soggettivo che
dei pregiudizi conseguenti alla lesione del rapporto parentale - in misura
compresa: 1) tra € 100.000,00 ed € 200.000,00 a favore di ciascun genitore per
morte di un figlio, nonché a
favore di ciascun figlio per morte del genitore: 2) tra € 100.000,00 ed € 200.000,00 a favore del coniuge non separato o
del convivente sopravvissuto; 3) tra € 20.000 ed e € 120.000 a favore del fratello per morte di un
fratello. Tali valutazioni appaiono condivisibili e vengono pertanto recepite da
questo giudice. In aggiunta deve solamente osservarsi che qualora, come nella
fattispecie, ad alcuno dei congiunti non spetti il risarcimento del danno per
lesione del rapporto parentale (in quanto non provato), di ciò dovrà
ovviamente tenersi conto in sede di quantificazione del danno non
patrimoniale complessivo e, in particolare, si imporrà la scelta di un
importo risarcitorio più basso all’interno della forbice prevista per la
categoria di congiunti a cui il soggetto appartiene. Ciò premesso può quindi procedersi alla quantificazione del danno non
patrimoniale patito dagli attori. Quanto agli attori E. F. e V. F., deve considerarsi: a) che essi hanno
dovuto patire sia la sofferenza transeunte per la perdita del figliolo sia la
lesione del rapporto parentale inteso nell’accezione sopra riferita; b) che
generalmente il dolore per la perdita di un congiunto in giovane età è
massimamente sentito in particolare proprio dai genitori conviventi; c) che
nella fattispecie la vittima era tra l’altro l’ultimo figlio ancora con essi
convivente, al quale erano quindi presumibilmente molto legati. D’altra parte, quale fattore lenitivo della sofferenza, va considerato
(Cass. 15001/04) l’elevato numero di figli superstiti che, unitamente ai
componenti attuali e futuri (in particolare i nipoti) dei rispettivi nuclei
familiari, in adempimento di elementari doveri di solidarietà familiare non
faranno certamente mancare ai genitori il conforto e l’ausilio necessario per
aiutarli ad elaborare il lutto e ad avvertire di meno la mancanza del figlio
deceduto. Pertanto, tenuto conto delle predette circostanze aggravanti ed
attenuanti appare equo riconoscere a ciascuno dei genitori a titolo di danno
non patrimoniale (per danno morale soggettivo e danno per lesione del
rapporto parentale) la somma di € 140.000,00, già liquidata all’attualità. Quanto agli attori F., S., G. e L. F., considerato che: 1) spetta loro
il risarcimento del solo danno morale soggettivo; 2) che non è stata allegata
e dimostrata una particolare intensità della transeunte sofferenza da loro
patita (da presumersi, quindi, di molto inferiore a quella dei genitori); 3)
che anche per essi opererà il
fattore lenitivo costituito dall’affetto e dalla solidarietà degli altri
parenti, si giustifica senz’altro una quantificazione del risarcimento in
misura prossima al minimo della forbice assunta quale parametro di
liquidazione. In particolare, tenuto conto di tutte le circostanze sopra riferite,
appare equo liquidare a ciascun fratello della vittima la somma di euro
30.000,00. 4) - Conclusioni L’Assitalia spa ha già corrisposto agli attori in data 23.12.01 la
somma complessiva di euro 258.222,40. In difetto di contestazione da parte
degli attori deve ritenersi che l’imputazione di detto pagamento sia avvenuta
secondo quanto specificato dalla convenuta in comparsa di risposta e quindi
attribuendo: a) a ciascuno dei genitori euro 74.898,29 a titolo di danno non patrimoniale
e ad entrambi euro 22.700,00 (euro 11.350,00 a testa) per danno patrimoniale
per lucro cessante ed euro 5.164,52 (euro 2.582,26 a testa) per danno
emergente (spese funerarie); l’acconto corrisposto a ciascun genitore ammonta
quindi ad euro 88.830,55 (74.898,29 + 11.350,00 + 2582,26). b) euro 20.141,82 a ciascuno dei quattro fratelli a titolo di danno non
patrimoniale. Come sopra rilevato E. F. e V. F. hanno patito un danno complessivo,
quantificato all’attualità, di euro 155.875,00 a testa (di cui euro 15.875,00
a titolo di danno patrimoniale ed euro 140.000,00 a titolo di danno non
patrimoniale). Da detto importo va detratto l’acconto di euro 88.830,55 a testa
percepito in data 23.12.01, che per poter operare con termini omogenei, viene
rivalutato, all’attualità, in euro 96.412,00. Pertanto E. F. e V. F. hanno diritto alla corresponsione della
ulteriore somma di euro 59,463,00 (155.875,00 – 96.412,00), oltre interessi
compensativi del ritardato pagamento al tasso legale (potendosi ritenere che
in caso di immediata percezione della somma gli attori ne avrebbero fatto un
uso che avrebbe consentito di ottenere una remunerazione pari almeno
all’interesse legale) dalla data del sinistro (27.8.00) al 23.12.01
sull’intera somma di euro 155.875,00 e dal 24.12.01 al saldo sulla residua
somma di euro 59.463,00. F., S., G. e L. F., fratello e sorelle della vittima, hanno invece
patito un danno, quantificato all’attualità, di euro 30.000,00 a testa. Da detto importo va detratto l’acconto di euro 20.141,82 a testa
percepito in data 23.12.01, che per poter operare con termini omogenei, viene
rivalutato, all’attualità, in euro 21.861,00. Pertanto F., S., G. e L. F. hanno diritto alla corresponsione della
ulteriore somma di euro 8.139,00 (30.000,00 – 21.861,00), oltre interessi
compensativi del ritardato pagamento al tasso legale (potendosi ritenere che
in caso di immediata percezione della somma gli attori ne avrebbero fatto un
uso che avrebbe consentito di ottenere una remunerazione pari almeno
all’interesse legale) dalla data del sinistro (27.8.00) al 23.12.01
sull’intera somma di euro 30.000,00 e dal 24.12.01 al saldo sulla residua
somma di euro 8.139,00. Ai fini della liquidazione degli interessi, tutte le somme indicate
(liquidate all’attualità), vanno però devalutate, secondo l’indice Istat di
variazione dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, sino
alla data di decorrenza degli interessi per ciascuna di esse indicata e poi
rivalutate anno per anno secondo il medesimo indice da detta data
all’attualità, con calcolo degli interessi, al saggio legale, sulla somma via
via rivalutata con cadenza annuale. 5) - Spese Le spese seguono la soccombenza dei convenuti e si liquidano (avuto
riguardo unicamente all’importo ottenuto dagli attori in aggiunta all’acconto
ricevuto prima del giudizio) nell’importo complessivo di euro 11.100,00, di
cui euro 1.600,00 per spese (comprensive di quelle forfetarie), euro 2.500,00
per diritti ed euro 7.000,00 per
onorario, oltre iva e cpa. PQM pronunciando definitivamente, disattesa e respinta ogni diversa
domanda, istanza ed eccezione: - accerta l’esclusiva responsabilità di L. T. in ordine al sinistro per
cui è causa e, per l’effetto, condanna L. T. e l’Assitalia – le assicurazioni
d’Italia spa al pagamento, in solido: a) a favore di E. F. dell’importo di euro 59.463,00, oltre ad interessi
al tasso legale dal 27.8.00 al 23.12.01 sulla somma di euro 155.875,00 e dal
24.12.01 al saldo sulla somma di euro 59.463,00, da computarsi come
specificato in motivazione, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale e
non patrimoniale; b) a favore di V. F. dell’importo di euro 59.463,00, oltre ad interessi
al tasso legale dal 27.8.00 al 23.12.01 sulla somma di euro 155.875,00 e dal
24.12.01 al saldo sulla somma di euro 59.463,00, da computarsi come
specificato in motivazione, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale e
non patrimoniale; c) a favore di F. F. dell’importo di euro 8.139,00, oltre ad interessi
al tasso legale dal 27.8.00 al 23.12.01 sulla somma di euro 30.000,00 e dal
24.12.01 al saldo sulla somma di euro 8.139,00, da computarsi come
specificato in motivazione, a titolo di risarcimento del danno non
patrimoniale; d) a favore di S. F. dell’importo di euro 8.139,00, oltre ad interessi
al tasso legale dal 27.8.00 al 23.12.01 sulla somma di euro 30.000,00 e dal
24.12.01 al saldo sulla somma di euro 8.139,00, da computarsi come
specificato in motivazione, a titolo di risarcimento del danno non
patrimoniale; e) a favore di G. F. dell’importo di euro 8.139,00, oltre ad interessi
al tasso legale dal 27.8.00 al 23.12.01 sulla somma di euro 30.000,00 e dal
24.12.01 al saldo sulla somma di euro 8.139,00, da computarsi come
specificato in motivazione, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale; f) a favore di L. F. dell’importo di euro 8.139,00, oltre ad interessi
al tasso legale dal 27.8.00 al 23.12.01 sulla somma di euro 30.000,00 e dal
24.12.01 al saldo sulla somma di euro 8.139,00, da computarsi come
specificato in motivazione, a titolo di risarcimento del danno non
patrimoniale; - condanna L. T. e l’Assitalia – le Assicurazioni d’Italia spa al
pagamento, in solido, a favore di V. F. e di E., F., S., G. e L. F.
dell’importo di euro 11.100,00, oltre iva e cpa a titolo di rimborso delle
spese di lite. |