Tribunale di Mantova, Sez. II – G.U. Dr. Laura De Simone – 7 novembre 2005 – Fall. Belleli S.p.a. (Avv. C. Silvetti) c. Banca Naz. Lavoro S.p.A. (Avv.ti G. Tarzia, E. Maccari). (205)

Revocatoria di rimesse in conto corrente – Apertura di credito – Prova scritta – Data Certa – Necessità – Rapporto di accessorietà tra apertura di credito e conto corrente – Omessa produzione in giudizio.

Con l’entrata in vigore dell’art. 3 della l. 17.2.1992 n. 154 - poi recepito nell’art. 117 del T.U. D. lgs.1.9.1993 n. 385 - il contratto di apertura di credito, come tutti i contratti bancari, deve stipularsi per iscritto a pena di nullità e, per essere opponibile alla curatela che agisce in revocatoria, deve risultare da atto avente data certa.

Qualora non vengano prodotti in giudizio i contratti di conto corrente, non è possibile riscontrare se almeno per essi sia stata rispettata la forma prevista dalla legge né se  prevedessero (e in che termini) un’accessoria apertura di credito: non può quindi affermarsi che la forma scritta per gli affidamenti non sarebbe obbligatoria ai sensi dell’art. 117 II co. t.u.l.b. (come integrato prima dal decreto del Ministero del Tesoro 24.4.1992, dalla circolare della Banca d’Italia 24.5.1992, dalle Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia dell’agosto 1996 e poi dalla delibera C.I.C.R.  del 4.3.2003 e dalle Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia del luglio del 2003) in quanto innestati su contratti di conto corrente redatti per iscritto.

Ove sussista per ciascun conto corrente una pluralità di aperture di credito, anche per importi molto ingenti, non è verosimile ritenere che i contratti di conto corrente disciplinassero dette aperture di credito, apparendo i primi accessori e funzionali all’utilizzo delle seconde e non invece il contrario.

Revocatoria di rimesse in conto corrente – Conto evidenza – Revocabilità degli accrediti – Ammissibilità – Accrediti sul conto corrente ordinario - Duplicazione degli importi revocati – Inammissibilità – Provenienza dell’accredito – Irrilevanza.

Il termine conto evidenza identifica un conto specifico, affidato o non, in cui transitano gli importi di documenti rimessi alla banca per l’incasso, effetti, fatture o altro (ad es.  c/SBF, di c/export, di c/anticipo fatture) e sul quale viene registrato a debito l’importo dell’effetto o della fattura che, contestualmente, viene accreditato sul conto corrente ordinario.

Pur non potendosi escludere anche per questa tipologia di conto la revoca degli accrediti effettuati alla scadenza, in seguito al pagamento da parte dei terzi debitori del fallito, deve evitarsi che la stessa operazione venga revocata due volte, una prima volta come anticipazione sul c/c ordinario e una seconda volta come versamento sul c/c di appoggio sicché debbono ritenersi revocabili unicamente le rimesse confluite nel c/c ordinario, tale essendo il rapporto in cui i versamenti effettuati riducono l’esposizione del correntista nei confronti dell’istituto di credito: ove tali rimesse vengano effettuate su conto corrente scoperto esse hanno natura solutoria, non rilevando la provenienza della provvista confluita sul conto (versamenti in contanti effettuati direttamente dal correntista, bonifici di somme provenienti da terzi, ricavi conseguenti a smobilizzo di foglio o anticipi su fatture) atteso che, se pure l’importo anticipato proviene dalla banca, nondimeno il correntista avrebbe potuto riscuoterlo per cassa e disporne autonomamente.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Con atto di citazione notificato in data 3.10.2001 il Fallimento Belleli S.p.A., in persona del curatore fallimentare dott.Dante Lanfredi, conveniva in giudizio la Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. affinché fossero revocate, ai sensi dell'art.67 comma 2 L.F., le rimesse eseguite dalla Belleli S.p.A. in favore della Banca Nazionale del Lavoro, sul c/c n.20789 acceso presso la Filiale di Mantova e sui c/c n.35400 e 280614 presso la Filiale di Taranto, nel periodo compreso tra il 16.11.1994 ed il 15.11.1995 per complessive £.16.827.974.373 (ora € ).

Esponeva il Fallimento attore che, nel caso di consecuzione di procedure concorsuali sfociate nel fallimento, il computo a ritroso del periodo sospetto per l'inizio dell'azione revocatoria andava calcolato dalla data di ammissione alla procedura minore, e che le rimesse eseguite sul conto corrente acceso presso la convenuta presentavano  tutte natura solutoria, essendo volte a ridurre l'esposizione maturata nei confronti della Banca in assenza di concessione di affidamento, non potendo tenersi conto delle linee di credito invocate dall'Istituto di credito in quanto prive dei requisiti formali necessari per essere opposte al Fallimento, non presentando forma scritta e data certa i contratti di apertura di credito. Rilevava, altresì, la curatela che la Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. conosceva lo stato di insolvenza della Belleli S.p.A., essendo la situazione di decozione del Gruppo Belleli, a quell'epoca, ormai nota a tutta l'opinione pubblica, per le allarmanti notizie di stampa divulgate, ed in particolar modo nota agli Istituti di credito, imprenditori commerciali particolarmente qualificati nel valutare le reali possibilità finanziarie di propri clienti. Nello specifico la Banca convenuta aveva sempre avuto un quadro effettivo e completo della situazione finanziaria e patrimoniale dell'azienda, avendo  esaminato i bilanci della società fallita, conoscendo necessariamente la revoca degli affidamenti alle varie società del Gruppo operata da diversi Istituti di credito, la nomina di un advisor finanziario e le notizie apparse sulla stampa. Anche dalla corrispondenza intercorsa tra la Banca e la Holding del Gruppo emergeva la consapevolezza e la preoccupazione della convenuta per la crisi finanziaria della società poi fallita.

Si costituiva ritualmente in giudizio la Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. insistendo per il rigetto della domanda proposta ed eccependo preliminarmente che il periodo sospetto non poteva farsi decorrere dalla procedura di amministrazione controllata ma solo dal fallimento, in considerazione dei diversi presupposti delle due procedure concorsuali. Osservava, poi, la società convenuta che non poteva affermarsi la natura solutoria delle rimesse indicate dalla curatela, atteso che  la fallita fruiva presso la Filiale di Mantova di: 1) apertura di credito in c/c per £.1.500 milioni; 2) apertura di credito in c/c di US $6.634.195 quale quota di partecipazione ad un finanziamento in pool denominato TLP-MARS; 3) apertura di credito in c/c di US $2.144.645 per necessità finanziarie connesse all'esecuzione di un impianto commissionato dalla tampa Electric co (USA); 4) apertura di credito in c/c di US $ 2.500.000 per esegienze specifiche da individuarsi di volta in volta; 5) apertura di credito in c/c di £.2.000.000.000 per il pagamento di documenti rimessi per l'incasso. Presso la Filiale di Taranto la Belleli S.p.A. godeva di: a) apertura di credito in c/c per £.1.000 milioni; b) apertura di credito in c/c per £.1.000 milioni utilizzabile a fronte di crediti vantati nei confronti di primaria clientela. Gli affidamenti erano stati tutti stipulati per iscritto. Doveva inoltre tenersi conti dei pagamenti non aventi natura solutoria e delle operazioni bilanciate.  Quanto al c/c n.280614, su di esso non erano mai affluite rimesse, trattandosi di un conto c.d. di "evidenza", finalizzato all'annotazione dei limiti dell'utilizzo dell'apertura di credito condizionata. Contestava, inoltre, la convenuta di aver conosciuto lo stato di insolvenza della Belleli S.p.A. e rilevava l'inidoneità della documentazione dimessa dal Fallimento a fornire prova adeguata sul punto.

Nel corso del procedimento era dato parziale ingresso alle prove orali indicate dalle parti ed era espletata  una consulenza tecnica di natura contabile.

Sulle conclusioni come sopra riportate, la causa veniva trattenuta per la decisione all'udienza del 17.5.2005, ove era concesso alle parti il termine di cui all'art.190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

Secondo la distribuzione dell’onere probatorio sancita dall’art.67 L.F., la Curatela fallimentare deve dimostrare l’esistenza delle rimesse, l’effettuazione delle stesse nel periodo sospetto, nonché la scientia decoctionis da parte della Banca, mentre quest’ultima ha l’onere di provare la natura non solutoria dei versamenti, documentando l’esistenza, all’epoca delle rimesse, di un contratto di apertura di credito e/o eventualmente la presenza di operazioni bilanciate e/o compensabili con altre.

 

Profilo temporale

Sotto il profilo temporale i limiti posti dall’art.67 II co. L.F. debbono ritenersi rispettati atteso che, nel caso di consecuzione di procedure concorsuali, per giurisprudenza consolidata e condivisibile, il termine a ritroso per la revoca dei pagamenti compiuti dall’imprenditore decorre dalla data del provvedimento di ammissione alla prima procedura -nel caso di specie l’amministrazione controllata, a cui la Belleli S.p.A. è stata ammessa con decreto del 16.11.1995 - (Cass.2.9.1996 n.7994, Cass.6.6.1997 n.5071- nello stesso senso Corte Costituzionale nella sentenza n.110/1995 e nelle ordinanze n.224/1995 e n.12/1997).

 

Presupposto oggettivo dell’azione

Sussistenza di rimesse revocabili- Contratto di apertura di credito – Opponibilità alla curatela

Poiché la revocatoria di cui al secondo comma dell'art.67 L.F. colpisce i pagamenti dei debiti liquidi ed esigibili, con riguardo alla revoca di rimesse in conto corrente, assumono rilevanza  solamente le rimesse compiute su conto scoperto, vale a dire passivo non affidato oppure passivo oltre l'affidamento concesso dalla banca. L'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato e qui condiviso è stato introdotto dalla Corte di Cassazione con la sentenza 18.10.1982 n.5413, ove si osservava  che  “nell'ipotesi  di conto  corrente  bancario in  cui  la provvista  sia costituita  da  un'apertura di  credito,  ai  fini della  revocatoria fallimentare, nei  confronti della  banca, dei  versamenti effettuati sul  suo  conto  dal  correntista   poi  fallito  (o  da  terzi),  è necessario  che dallo  svolgimento del  conto rimanga  accertato che, nel  periodo   considerato  dall'art.   67,  comma  2,   della  legge fallimentare,  si sia  verificato  (per  l'utilizzazione fattane  dal correntista) uno  " scoperto " del  conto per avere la  banca pagato, per  conto del  cliente,  una  somma superiore  a  quella postagli  a disposizione e che il successivo  versamento sia stato imputato dalla banca a  pagamento del relativo  debito sorto in capo  al correntista (stante  l'immediata esigibilità  del corrispondente  credito): solo in questo caso, infatti, può  farsi luogo alla revocatoria, poiché, ove tale scoperto non si sia  verificato, il versamento nel conto (si tratti  di  un  versamento  in  contanti del  correntista,  o  di  un bonifico  di somme  provenienti  da terzi,  ovvero  di un  giroconto) configura  un  mero accreditamento  di  somme  per la  reintegrazione della  somma posta  dalla banca  a disposizione  del correntista,  di volta in volta  decurtata da operazioni passive, che,  in sé stesso, non è  atto né  gratuito, né  oneroso e,  quindi, non  è soggetto alla  revocatoria  fallimentare,  consistendo, invece,  in  una  mera operazione contabile” (nello stesso senso più di recente a solo titolo esemplificativo Cass. 26.2.1999 n.1672, Cass.26.8.1996 n.7829, Cass.22.3.1994 n.2744, Trib.Milano 21.2.2002). 

La Banca, quindi, che allega di aver concesso al un fido al cliente poi fallito, deve prima di tutto provare la sussistenza del dedotto affidamento, affinché le rimesse sul conto nel periodo sospetto possano ritenersi ripristinatorie di una provvista e non già solutorie.

A tal fine parte convenuta produce: 1) richiesta di concessione fido in data 14.4.1994 a firma del Presidente e Amministratore delegato di Belleli S.p.A. (doc.4), 2) conferma affidamenti da parte di B.N.L. S.p.A. in data 20.4.1994 (doc.5), 3) accettazione della conferma affidamenti da parte di Belleli S.p.A. in data 28.4.1994 (doc.6), 4) lettera di B.N.L. S.p.A. al Commissario di Belleli S.p.A. in data 15.12.1995 e relativi allegati (doc.7), 5) estratto autentico del 21.2.2002 dal verbale n.345, seduta del 14.4.1994, riportato nel libro dei verbali del Comitato fidi di B.N.L. S.p.A., con vidimazione iniziale del 3.9.1993 (doc.8), 6) estratto autentico del 21.2.2002 dal verbale n.50, seduta del 6.6.1995, riportato nel libro dei verbali del Comitato fidi di B.N.L. S.p.A., con vidimazione iniziale del 10.10.1994 (doc.9).

 La curatela deduce che le scritture prodotte non documentano l’esistenza di un contratto scritto di apertura di credito – indispensabile ex art.117 D.Lgs.1.9.1993 n.385 - e comunque non hanno data certa opponibile al Fallimento.

Osserva questo giudice che con l’entrata in vigore dell’art.3 della L.17.2.1992 n.154 – poi recepito nell’art.117 del T.U. D.lgs.1.9.1993 n.385 - il contratto di apertura di credito, così come tutti i contratti bancari, deve necessariamente stipularsi per iscritto a pena di  nullità (v.Trib.Torino 13.1.2003, Trib.Napoli 16.1.2001).

Né può affermarsi che i contratti di apertura di credito de quo si innestino su rapporti  di conto corrente redatti per iscritto in cui siano stati disciplinati compiutamente i contratti di apertura di credito, di talché la forma scritta non sarebbe obbligatoria ai sensi dell’art.117 II co. T.u.b., come integrato prima dal decreto del Ministero del Tesoro 24.4.1992, dalla circolare della Banca d’Italia 24.5.1992, dalle Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia dell’agosto 1996 e poi dalla delibera C.I.C.R.  del 4.3.2003 e dalle Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia del luglio del 2003, (Cass.9.7.2005 n.14.470). Non risultano, infatti,  prodotti i contratti di conto corrente relativi ai rapporti di cui si discute in causa per cui non è possibile riscontrare se almeno per gli stessi sia stata rispettata la forma prevista dalla legge e, tanto meno, se in essi fosse già prevista ed in che termini un’accessoria apertura di credito.

Va, peraltro, osservato che nella fattispecie in esame, in cui la  Banca assume sussistere per ciascun conto corrente una pluralità di aperture di credito di vario genere e valuta, anche per importi molto ingenti, risulta poco verosimile che i contratti di conto corrente eventualmente stipulati tra le parti potessero prevedere e disciplinare dette aperture di credito, apparendo i contratti di conto corrente accessori e funzionali all’utilizzo delle aperture di credito e non già le aperture di credito funzionali ai conti correnti.

       Ciò posto,   per   le    considerazioni   sopra  espresse, non essendo in discussione che i contratti di apertura di credito di cui si tratta siano stati redatti successivamente all’entrata in vigore dell’art.3 della   L.17.2.1992 n.154 e   dell’art.117 del t.U. D.L. 1.9.1993 n.385 – tenuto conto anche dell’assenza di contratti di conto corrente redatti per iscritto - , la forma scritta per la loro stipulazione doveva ritenersi obbligatoria.

La proposta e l'accettazione di cui ai documenti 4), 5), 6) di parte convenuta potrebbe ritenersi prova idonea del requisito formale imposto dalla normativa indicata se non fosse che la Banca convenuta non solo doveva provare per iscritto la conclusione degli asseriti contratti di affidamento, ma anche che la data di redazione degli stessi fosse efficace nei confronti del Fallimento attore. E’, invero, pacifico in giurisprudenza che nell’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare il curatore si pone come terzo, in quanto rappresenta non già il fallito ma la massa dei creditori (Cass.15.1.2003 n.520, Cass.30.1.1995 n.1.110), e conseguentemente l’opponibilità delle scritture prodotte nei confronti del Fallimento è regolata dal disposto dell’art.2704 c.c..

I documenti allegati dall’Istituto di credito convenuto non rispettano i requisiti previsti dalla norma indicata trattandosi di scritture non autenticate, non registrate, non riprodotte in atti pubblici e non essendo intervenuta la morte o altra sopravvenuta impossibilità fisica  di coloro che le hanno sottoscritte o  qualsiasi altro fatto che stabilisca in modo certo l’anteriorità della formazione del documento rispetto ai pagamenti revocandi.

Per quanto specificatamente riguarda le risultanze del libro fidi, quand’anche si tratti di atti interni alla banca che di per sé non provano la sussistenza di un contratto di concessione di credito tra la banca e l’imprenditore poi fallito, esse potrebbero rivestire efficacia probatoria, in relazione alla data della stipula, solo laddove l’annotazione che interessa fosse anteriore ad una vidimazione di chiusura  a sua volta precedente la dichiarazione di fallimento. Nella specie gli affidamenti concessi risulterebbero - almeno in parte (nell'estratto prodotto relativo alla delibera del 14.4.1994 non vi è riportato l'affidamento di £.1.500 milioni da utilizzarsi per apertura di credito in c/c presso la Filiale di Mantova)-  nei verbali del Comitato fidi del 14.4.1994 e 6.6.1995, verbali inseriti in libri che recano unicamente vidimazioni iniziali, rispettivamente del 3.9.1993 e 10.10.1994, e nessuna vidimazione finale.

Né può ritenersi che elementi significativi per attribuire certezza alla data di conclusione del contratto di apertura di credito emergano dagli estratti conto in atti. E’vero che questi non sono contestati e dai medesimi  si evince  che i c/c de quo, nel periodo di interesse, presentano sempre un saldo negativo per miliardi di lire, ma nulla in essi è riportato che documenti l’apertura di credito in essere, la sua entità e decorrenza.

 

Conclusivamente, in assenza di prova in ordine alla sussistenza di  affidamenti provvisti di data certa anteriore al fallimento, tutte le rimesse affluite  su conto corrente con saldo passivo devono considerarsi come solutorie e non già ripristinatorie della provvista, assumendo  la veste di pagamenti rilevanti ai fini della revocatoria fallimentare.

 

Saldi di riferimento-criterio del saldo finale giornaliero

Al fine di determinare l’andamento del conto al momento dell’effettuazione delle rimesse della cui revocabilità di discute, questo Giudice ha ritenuto di aderire all’indirizzo ormai consolidato della Corte di Cassazione  secondo cui deve farsi riferimento al saldo disponibile, risultante dalla interpolazione del saldo contabile (per tutte le operazioni a debito e per i versamenti in contanti e per i bonifici) e del saldo per valuta (per gli accrediti di titoli di terzi), salva la prova in questo secondo caso dell’anteriorità dell’incasso rispetto alla valuta o comunque dell’anteriorità della disponibilità da parte del cliente (Cass.22.3.1994 n.2744, Cass.19.1.1998 n.462, Cass.26.1.1999 n.686).

Per ciò che riguarda i saldi infragiornalieri si ritiene che il criterio più prudente da utilizzare, in assenza di prova fornita dal Fallimento circa la cronologia delle operazioni, sia quello più favorevole alla Banca computando prioritariamente tutte le rimesse a credito (Cass.17.12.1994 n.10.869, Trib.Napoli 15.3.2002, Trib.Torino 24.5.1999). Non appare, in particolare,  condivisibile l’orientamento del Tribunale di Milano che, in assenza di prova contraria, quando in una medesima giornata sono eseguite plurime operazioni disegno opposto, considera i movimenti secondo l’ordine indicato nell’estratto conto, sulla considerazione  che l’estratto conto è il documento che viene inviato al correntista e che, se non è contestato, deve considerarsi approvato dal cliente (Trib.Milano 30.7.2001, Trib.Milano 16.11.1989).

Questo giudice ritiene che l’ordine delle operazioni eseguite in un’unica giornata e riportate nell’estratto conto non necessariamente individui la cronologia delle singole operazioni,  non assumendo alcun rilevo in proposito la mancata contestazione dell’estratto conto, che è da  riferirsi unicamente alle operazioni di addebito e di accredito nella loro realtà fattuale. Il dato temporale delle operazioni infragiornaliere nell’estratto conto rimane generalmente equivoco, non essendo nella maggior parte dei casi consentito neppure al correntista riscontrare l’orario esatto in cui le singole operazioni sono state compiute dalla Banca e quindi di contestarne l’ordine come riportato. Del resto non può negarsi l’assoluta casualità con cui le operazioni della medesima giornata vengono contabilizzate nell’estratto conto, considerato che nello stesso momento potrebbero incrociarsi operazioni compiute  da varie postazioni interne dell’Istituto di credito, con altre effettuate in via centralizzata ed automatica ed altre ancora eseguite  allo sportello dietro richiesta del cliente.

 

Rimesse non solutorie:  Storni - Anticipazioni - Giroconti - Partite bilanciate – Conto evidenza

Il Consulente tecnico nominato, dott.Cesare Scarpanti, ha calcolato le rimesse potenzialmente solutorie, sulla base dei criteri di datazione sopra indicati, quantificandole in £.12.380.627.142 relativamente al c/c n.20789, in £.2.984.819.107 relativamente al c/c n.35400, £.151.470.000  con riguardo al c/c 280614.

 

La Banca convenuta, sin dalla comparsa di costituzione e risposta, ha  eccepito la non revocabilità delle rimesse eseguite sul c/c n.280614, trattandosi di conto evidenza.

Con questo termine, generalmente si identifica un conto specifico, che può essere o meno affidato, in cui transitano gli importi di documenti rimessi alla banca per l’incasso, effetti, fatture o altro (può trattarsi di c/SBF, di c/export, di c/anticipo fatture o altro).

Su tale conto viene registrato a debito l’importo dell’effetto o della fattura che, contestualmente, viene accreditato sul conto corrente ordinario. Alla scadenza dell’effetto o al pagamento della fattura, il conto rileva un accredito di pari importo che pareggia lo scoperto.

Il corrispettivo per l’anticipazione concessa deriva alla banca dalla maturazione di interessi passivi sul conto evidenza fino alla data del pagamento. A determinate scadenze, o anche subito, questi interessi passivi vengono poi girocontati a debito sul c/c ordinario.

Il fatto che il c/c n.280614 sia un conto del tipo sopra indicato non pare discutibile, sia per la specifica indicazione contenuta negli estratti conto, ove è riportata la dicitura “c/speciale finanziamento”, sia per la corrispondenza tra i movimenti “dare” e movimenti “avere” dei due conti.

La curatela, peraltro,  in merito nulla oppone.

In linea di principio, anche per questa tipologia di conti, non può escludersi la revoca degli accrediti effettuati alla scadenza, in seguito al pagamento da parte dei terzi debitori del fallito, accrediti registrati sul conto appoggio a chiusura delle operazioni di anticipazione.

E’ tuttavia pacifico che si impone la necessità di non compiere duplicazioni, evitando la revoca della stessa operazione due volte, una prima volta come anticipazione sul c/c ordinario e una seconda volta come versamento sul c/c di appoggio.

A tal proposito si ritiene di effettuare  la revoca delle rimesse solo nel c/c ordinario, essendo questo il rapporto bancario principale in cui i versamenti effettuati riducono l’esposizione del correntista nei confronti dell’Istituto di credito. Si consideri, infatti, che le rimesse in conto effettuate per anticipazione su documenti consistono in accrediti anticipati sul conto dell’importo del crediti stessi o di parte di essi. Se dette  rimesse sono effettuate su conto corrente  scoperto, esse hanno natura solutoria, non rilevando la provenienza della provvista confluita sul conto, non potendo distinguersi l’ipotesi  di versamenti in contanti effettuati direttamente dal correntista piuttosto che di bonifici di somme provenienti da terzi o di ricavi conseguenti a smobilizzo di foglio o ancora di anticipi su fatture. E’ senz’altro vero che l’importo anticipato proviene dalla stessa Banca, ma il correntista ben avrebbe potuto riscuoterlo per cassa e depositarlo presso un altro Istituto. Viceversa egli ha scelto di versarlo sul conto corrente di cui oggi si discute, riducendone in tal modo lo scoperto. Si tratta quindi di rimesse revocabili a tutti gli effetti.

Al contrario il c/evidenza è solo   un conto di transito, di supporto alle parti in cui vengono evidenziati il foglio presentato, i pagamenti da parte dei clienti,  consentendo un’agevole determinazione degli interessi, mediante il calcolo dei giorni valuta.

Per le ragioni espresse, nessuna rimessa può essere revocata con riguardo al c/c n.280614, ritenendosi revocabili tutte le rimesse corrispondenti eseguite sul c/c 35400.

Parte convenuta afferma, altresì, che non sarebbe revocabile  la rimessa per £.900.000.000 affluita il 15.2.1995 sul c/c n.35400. Si tratterebbe, nella tesi dell'Istituto di Credito, dell'accredito di un'anticipazione su carta commerciale, nella specie di una fattura a carico del Ministero della Difesa, alla quale non avrebbe fatto seguito alcun pagamento da parte del terzo debitore, tanto che il conto evidenza, c/c n. 280614, chiude con un saldo negativo proprio di £.900.000.000.

Ritiene il giudicante che la tesi non possa essere condivisa.

In caso di mancato pagamento dell’importo anticipato la Banca avrebbe dovuto addebitare il c/c ordinario dell’importo, con data valuta corrispondente alla scadenza del titolo. In tal modo le due partite si sarebbero elise e l’anticipazione effettuata non avrebbe potuto essere revocata.

Ma così non è stato, vuoi per scelta dell’Istituto di non aggravare il saldo disponibile del c/c ordinario, vuoi perché il pagamento può essere intervenuto al di fuori del periodo sospetto.

In assenza di un riscontro contabile non è quindi possibile, in questa sede, parlare di insoluto, non essendo stata rinvenuta una partita in “dare” ad esso corrispondente.

Passando all’esame delle cosiddette partite bilanciate, questo giudicante ritiene condivisibile l’orientamento giurisprudenziale per cui non sono revocabili, non avendo natura solutoria, le operazioni bilanciate e cioè quegli accrediti sul conto corrente effettuati dal correntista al fine di costituire la provvista per l’esecuzione di specifiche operazioni a debito, quali ordini di pagamento a favore di terzi, accettati ed eseguiti dalla Banca (Cass.26.1.1999 n.686, Cass.17.7.1997 n.6558, Cass.17.12.1994 n.10.869, C.App.Milano 11.10.1994). Con tali operazioni la Banca non fa credito al correntista ma esegue un incarico ed il cliente, dal canto suo, non paga un debito ma somministra i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato (art.1720 c.c.).

L’onere della prova incombente sulla Banca non può, tuttavia, dirsi assolto con l’allegazione della mera coincidenza cronologica tra le operazioni di versamento e di pagamento, essendo necessaria la prova della chiara finalità dell’operazione, dovendo riscontrarsi che entrambe le partite siano state effettuate con una specifica ed inequivoca volontà del correntista.

L’indispensabilità di conoscere la natura dell’operazione giustificativa dell’accreditamento si impone proprio per stabilire se sia intervenuto un accordo tra il cliente e la banca che consenta di non considerare la somma versata sul c/c quale copertura, anche parziale, dello scoperto e di valutare quindi revocabile non già l’accreditamento sul c/c ma il pagamento effettuato con la somma accreditata dalla Banca per conto del cliente in favore di un terzo beneficiario.

Anche un lieve sfasamento temporale tra le operazioni, in sé, può non escludere il riscontro di partite bilanciate, purché emerga chiaramente il nesso logico tra le operazioni in termini di volontà.

Certamente, ai fini dell’accertamento che qui interessa, rileva anche la convinzione delle parti in ordine alla sussistenza di un affidamento al momento dell’effettuazione delle operazioni, e questo a prescindere dalla validità dello stesso o dalla sua opponibilità alla curatela. Chiarendo meglio, per riscontrare una volontà del correntista di finalizzare determinati versamenti a determinati prelievi, manifestata alla banca e da questa accettata, in assenza di specifica documentazione in proposito, si è ritenuto circostanza indispensabile che le rimesse siano confluite mentre il conto, nella prospettazione delle parti, era non solo passivo ma anche scoperto. Non appare possibile, in assenza di ulteriori elementi di riscontro, ritenere che il correntista abbia concordato con la Banca una finalizzazione della rimessa quando sul conto vi era comunque una provvista sufficiente ad effettuare i pagamenti voluti. E’ il normale fluire del rapporto, nel tetto massimo consentito dall’affidamento, che consente un numero indefinito di operazioni in entrata ed in uscita senza necessità di alcun previo accordo tra le parti.

Tutte le operazioni dedotte dalla Banca convenuta e individuate dal CTU a pag.13 e 14 dell'elaborato peritale non presentano queste caratteristiche. Al di là della coincidenza temporale e della vicinanza degli importi, nessun documento agli atti consente di porle in consequenzialità. In assenza di qualsiasi  riscontro circa la correlazione tra addebiti ed accrediti, soprattutto in  conti correnti molto movimentati quali sono quelli in esame, appare del tutto arbitrario trovare un'operazione, magari sommarla con altre, per farla/e corrispondere ad una o più operazioni di segno contrario. E’ evidente che, trattandosi sostanzialmente di numeri,  scegliendo e sommando più operazioni è probabile riuscire ad arrivare  ad un importo all’incirca corrispondente in un’operazione di segno opposto, ma non è certamente questa la compensazione, la correlazione logica tra le partite,  che consente di escludere il carattere solutorio delle rimesse.

Con riguardo poi   all’operazione del 16.2.1995 di giroconto attivo da altro Istituto sul c/c n.20789 di £.250.000.000,  a sua volta girato sul c/c n.10345, intrattenuto dalla stessa fallita presso la B.N.L. S.p.A. Filiale di Brindisi per £.231.583.690, essa è considerata non revocabile dalla Banca convenuta in quanto “giroconto”. Si osserva innanzi tutto che circa il versamento sul c/c dell’importo di £.250.000.000 nessuna specifica produzione è stata effettuata e la dizione utilizzata nella causale riportata nell’estratto conto “g.conto da/a altr.ist.”, è assolutamente generica ed indica esclusivamente l’avvenuta di un trasferimento di fondi tra conti accesi in Istituti bancari differenti che non è dato sapere neppure se fossero intestati allo stesso correntista, per cui il versamento de quo non differisce in nulla da qualsiasi altra rimessa idonea ad incrementare il conto del beneficiario. Circa il successivo passaggio che renderebbe bilanciate le operazioni, il “girofondi fav. voi stessi cc 1034 c/o Brindisi” del 15.2.1995 per £.231.583.690 (doc.10 di parte convenuta), al di là della non corrispondenza dell’importo con il versamento in “avere” che rende difficoltoso mettere in diretta correlazione le partite, la documentazione in atti non consente di riscontrare alcun elemento relativo alla finalità dell’operazione e all’ipotetico conto di Belleli accreditato in contropartita, per cui la prospettazione svolta non può essere condivisa.

Anche con riguardo alla rimessa di £.1.116.789.172 effettuata in data 06/07/95 sempre sul c/c n.20789  - ritenuta revocabile per £.310.893.948-, di cui la Banca contesta la revocabilità in quanto sostiene trattarsi di un’erogazione dalla stessa effettuata in favore di Belleli S.p.A. al fine di consentire alla società di pagare  le rate di un mutuo assistito da garanzia reale, concesso negli anni 1985-1986 dalla Sezione Credito Industriale della Banca Nazionale del Lavoro S.p.A., valgono le stesse considerazioni sopra svolte. Non solo la Banca convenuta non ha fornito riscontri documentali alla tesi esposta (circa la sussistenza del credito ipotecario, circa la provenienza del bonifico, circa la causale del bonifico) ma quand’anche così fosse la circostanza non rileva, trattandosi di  rimessa effettuata su conto corrente  scoperto, e per la parte di scoperto essa ha natura solutoria, non rilevando  - per le ragioni già sopra espresse - la provenienza della provvista confluita sul conto. Si consideri anche che il prelievo di £.2.054.047.601,  effettuato in data 10.7.1995, corrispondente alla rata di rimborso del finanziamento, non solo non coincide per data ed importo con il versamento sopra indicato, ma è pure disposto quando il c/c si presentava attivo per oltre 2 miliardi di lire, per cui risulta arduo parlare di accordo tra il correntista e la Banca circa l’utilizzo della somma che, in realtà, era nella libera disponibilità di Belleli S.p.A..

       Analogamente  per l’operazione di accredito del c/c n.35400 di £.292.980.042 eseguita in data 2.6.1995, che la Banca asserisce essere stata compiuta per errore. Si sarebbe trattato di un accredito di un bonifico proveniente da un cliente tedesco effettuato allorché  il relativo importo era già stato accreditato mediante anticipazione di £.395.628.065 in data 26.4.1995. Per questa ragione l’operazione era stata stornata con riaddebito del conto di £.293.791.982, sempre in data 2.6.1995, e accredito del conto evidenza  a chiusura dell’operazione di anticipazione. La documentazione fornita dall’istituto non pare adeguata a provare l’assunto, non emergendo, dai documenti 14 e seguenti prodotti in merito, né la causale dell’accredito di £.395.628.065 in data 26.4.1995 - per cui non è possibile conoscere a che anticipazione essa si riferisce - , né la causale dell’addebito di £.293.791.982 in data 2.6.1995 – per cui non è dato comprendere se effettivamente si è trattato di uno storno della rimessa di £.292.980.042 eseguita in pari data.

Conclusivamente, alla luce delle considerazioni sino ad ora svolte, risultano revocabili, relativamente al c/c 20789, rimesse per l’importo di £.12.380.627.142, e relativamente al c/c 35400 rimesse per l’importo di £.2.984.819.107.

 

Eventus damni

Non si pone in dubbio l’esistenza dell’eventus damni attesa la presunzione, prevista dal legislatore, di pregiudizio per i creditori  conseguente agli atti di disposizione del patrimonio compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento (Cass.12.1.2001 n.403, Cass.30.3.2000 n.3878).

 

Presupposto soggettivo dell’azione

Sotto questo profilo, l’indagine che  deve essere compiuta consiste nel riscontrare se la Banca, sulla base degli elementi conosciuti o conoscibili a sua disposizione, non poteva non rendersi conto dello stato di dissesto economico in cui versava il debitore.

In linea generale, essendo raro che la curatela fornisca elementi di prova diretta della scientia decoctionis (es. confessione, es. prove che consentano di riscontrare che l’accipiens era stato informato dal solvens della crisi dell’impresa), la prova è offerta per presunzioni, basata su elementi indiziari che  per assumere  significatività devono presentare i requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art.2729 c.c..

E’ pacifico in giurisprudenza che le presunzioni relative alla scientia decoctionis, quando parte convenuta è un Istituto di credito, devono essere valutate in maniera  rigorosa, trattandosi di un operatore economico dotato di speciale sensibilità critica e in condizione di apprezzare segnali che per altri operatori avrebbero scarso significato. Questo non solo perché, generalmente, l’operatore bancario rileva con più attenzione e con più prudenza di altri operatori economici gli elementi che possono denotare una crisi imprenditoriale dovendo preoccuparsi del recupero del credito erogato, ma anche perché svolgendo sovente la Banca un servizio di cassa ed avendo a disposizione i bilanci delle società, può valutare prima e meglio di chiunque altro quelle situazioni di illiquidità e di difficoltà economica tali da far presumere uno stato di insolvenza (Cass.21.1.2000 n.656, Cass.11.11.1998 n.11369, Cass.12.5.1998 n.4769).

Certamente, tuttavia, non è sufficiente la qualifica soggettiva del convenuto per ritenere sempre sussistente la conoscenza dello stato di insolvenza dei debitori falliti, essendo comunque  indispensabile l'accertamento in concreto di  elementi conosciuti o conoscibili che nello specifico caso rendano desumibile la scientia decoctionis.

Nella fattispecie in esame, all’esito dell’istruzione probatoria esperita, le circostanze emerse sono le seguenti:

 

1)    BILANCI

Conformemente alle istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia ed all’art.53 t.u.l.b. del 1993, la Banca convenuta ha richiesto annualmente alla società fallita i bilanci dell’impresa e consolidati del Gruppo.

Dalla consulenza tecnica espletata, che in parte è stata  finalizzata anche all’esame del bilancio al 31.12.1993 di Belleli S.p.A. e consolidati del Gruppo,  emergono in maniera chiara alcuni dati significativi ai fini che qui interessano.

Va subito notata la scarsa significatività di un confronto tra stato patrimoniale della Belleli S.p.A. al 1992 con quello del 1993, essendo la comparibilità fortemente influenzata dall’operazione di conferimento nella società fallita, con effetto dal 31.12.1993, della quasi la totalità delle attività e delle passività della Belleli Impianti S.p.A. e della Belleli Industrie Meccaniche S.r.l., come si evince nella nota integrativa al bilancio 1993.

Tenuto conto anche di questi aspetti, si ritiene che le conclusioni a cui è pervenuto il CTU dott.Cesare Scarpanti, con riguardo alle risultanze del bilancio esaminato, possano essere pienamente condivise.

 In particolare il consulente è stato incaricato di riclassificare il bilancio della società fallita, determinando i principali indici di bilancio – con specifico riferimento agli indici di liquidità, di indebitamento, di garanzia dei debiti a medio e lungo termine e quant’altro reputato significativo al fine richiesto – ponendo in risalto le risultanze sotto il profilo della composizione della liquidità, della struttura finanziaria e della redditività, e riscontrando la rispondenza o meno degli indici  accertati rispetto agli standard di normalità.

Rientra nei compiti dell’Ufficio Fidi di ogni Istituto bancario effettuare un’analisi dei bilanci delle società con cui i rapporti sono intrattenuti e questo al fine di cogliere quelle informazioni,  circa la realtà aziendale, essenziali per l’istruzione delle pratiche di fido e per valutare, attraverso dati oggettivi, confrontabili con parametri standard e con clientela omogenea per dimensione e settore d’attività,  l’efficienza, la redditività, la liquidità e la consistenza patrimoniale del proprio cliente.

E’ anche lecito supporre che la struttura organizzativa dell’Istituto di Credito convenuto comprendesse un ufficio specializzato nella gestione dell’area grandi clienti – tra i quali verosimilmente rientrava Belleli S.p.A. se si considera la costante e rilevante esposizione debitoria evidenziata dagli estratti conto in atti -, appositamente predisposto per la cura dei rapporti con i clienti di maggiori dimensioni. Ragionevolmente deve ritenersi che, in quella sede, vi fossero tutte le competenze ed esperienze necessarie per valutare la situazione della fallita ad un livello anche superiore a quello dell’operatore economico di media capacità del settore creditizio.

Il metodo più diffuso utilizzato per trarre dai bilanci le valutazioni indispensabili circa lo stato di salute delle aziende è l’analisi per indici, che si effettua calcolando rapporti tra valori ed altre quantità tratte dallo stato patrimoniale e dal conto economico in precedenza rielaborati.

 Circa gli indici riscontrati, nel caso di specie, per Belleli S.p.A., da pag. 20 a pag.24 dell’elaborato peritale, va evidenziato in particolar modo  quanto segue.

 Situazione finanziaria:

-il capitale circolante netto, che è dato dalla differenza fra le attività correnti e le passività correnti, e segnala la capacità dell’impresa di far fronte ai propri impegni finanziari di breve periodo con le risorse della gestione corrente, e per esservi equilibrio finanziario dovrebbe essere assolutamente positivo, mentre nella specie è ampiamente negativo ("i debiti a breve superano le liquidità, i crediti a breve e le rimanenze di 138 miliardi di lire);

-     il margine di tesoreria, che è costituito dalla differenza tra le attività correnti al netto del magazzino e le passività correnti, e se negativo segnala difficoltà finanziarie dell’azienda nel breve periodo, è negativo ("il margine di tesoreria assume al 31.12-1993 un valore negativo di 347 miliardi di lire; ciò significa che i debiti a breve superano le liquidità ed i crediti a breve di ben 347 miliardi di lire");

osserva nello specifico il CTU che "i risultati dei due aggregati esaminati portano ad individuare una situazione di estrema difficoltà, che non può certo passare inosservata al sistema bancario";

-     l’indice di liquidità o acid test, che esprime la capacità dell’azienda di far fronte alle passività correnti ricorrendo unicamente alle liquidità immediate, al netto del magazzino (algebricamente è dato dal rapporto tra liquidità immediate e passività correnti), in una situazione equilibrata  dovrebbe essere prossimo a 1, mentre nel caso di specie assume un valore di 0,69;

-     l’indice di disponibilità o current ratio, che individua la capacità dell’azienda di soddisfare l’indebitamento a breve attraverso le proprie attività correnti (algebricamente è dato dal rapporto tra attività correnti e passività correnti), in una situazione finanziaria equilibrata dovrebbe essere compreso tra 1 e 2, mentre nel caso di specie assume un valore di 0,88.

Struttura patrimoniale:

 - il margine di struttura di primo livello (patrimonio netto – attivo immobilizzato) evidenzia la parte di attivo immobilizzato non coperta da patrimonio netto. Nel caso di specie tale margine assume valori negativi assai rilevanti, nel senso che nel 1993, su 494,7 miliardi di attivo immobilizzato solo 150,0 sono coperti da patrimonio netto, per cui la parte non coperta da patrimonio netto è pari a 344,7 miliardi;

- il margine di struttura di secondo livello (patrimonio netto + passività consolidate – attivo immobilizzato). In una struttura patrimoniale equilibrata l’attivo immobilizzato (cioè gli impieghi a medio/lungo termine) dovrebbe essere finanziato da fonti a medio/lungo termine, ossia dal patrimonio netto e dalle passività consolidate. Ebbene, nel caso di specie si evidenzia un forte squilibrio, nel 1993, pari a - 138,8 miliardi;

- l’indice di indebitamento, che evidenzia il peso dei mezzi propri nella copertura del capitale investito o totale attività (algebricamente è dato dal rapporto tra patrimonio netto e totale attività),  dimostra un'elevata dipendenza dell’azienda dai finanziamenti di terzi (l'indice è pari a 10,7, il che significa che su 100 euro di fonti di finanziamento solo 10 euro sono costituite da capitale proprio e 90 euro d capitale di terzi). E’ vero che il fenomeno della scarsa capitalizzazione è assai diffuso tra le aziende italiane, ma il caso in esame presenta comunque valori inferiori alle medie riscontrate;

-     l’indice di copertura delle immobilizzazioni (attivo immobilizzato/ (patrimonio netto + passività consolidate). Tale indice rappresenta, in forma di quoziente, ciò che il margine di struttura di secondo livello rappresenta in valore numerico, ossia il rapporto esistente tra impieghi a medio/lungo termine e fonti medio/lungo termine. L'indice dovrebbe essere sempre minore di 1, nel senso che le fonti a medio/lungo termine dovrebbero interamente finanziare gli impieghi a medio/lungo termine. Nella specie è pari a 1,39, il che significa che per ogni 139 euro di attivo immobilizzato solo 100 sono finanziati da fonti a medio/lungo termine, mentre per i restanti 39 l'azienda ha dovuto ricorrere a fonti a breve termine.

Struttura economica:

Rileva il CTU che i dati riscontrati sono di scarsa rilevanza poiché il conto economico è riferito alla situazione ante conferimento e quindi accoglie i valori economici relativi ad una minima parte del complesso aziendale oggetto dell'analisi. In ogni caso, i valori emersi esprimono una redditività dell'impresa - sia globale sia relativa alla gestione caratteristica - pressoché pari a zero.

- il R.O.E. o redditività del capitale proprio, che è costituito dal rapporto fra utile d’esercizio e patrimonio netto ed indica, in buona sostanza, la redditività del capitale di rischio, cioè dei mezzi impiegati nell’azienda dai soci. Il valore dell’indice per essere soddisfacente dovrebbe essere almeno pari al tasso rappresentato dal costo del denaro a breve termine ed esente da rischi, ma nel 1993 risulta pari a 0,03%;

-     il R.O.I. o redditività del capitale investito, che è costituito dal rapporto fra reddito operativo (ossia il reddito prima delle imposte, degli oneri finanziari e degli oneri e /o proventi estranei alla gestione caratteristica dell’impresa) ed il totale delle  attività, ed esprime la redditività operativa del complesso del capitale investito nell’azienda, sia quello proprio che quello di terzi. Il valore minimo soddisfacente dell’indice dovrebbe consistere in una percentuale pari al tasso rappresentativo del costo medio del denaro (media di quello a rischio e a lungo termine, esente da rischio e a breve termine), ma nel 1993 è pari a 0,39%.

 

       Per quanto riguarda i bilanci consolidati del Gruppo, il CTU esamina i due diversi livelli di consolidamento e osserva:

Con riferimento al bilancio consolidato di Belleli Impianti S.p.A.:

Situazione finanziaria

- il capitale circolante netto risulta  negativo per 159,7 miliardi di lire;

- il margine di tesoreria è  negativo per 448 milardi di lire;

Con riguardo a questi aggregati osserva il CTU “Se dal bilancio della S.p.A. si individuava una situazione di notevole difficoltà, dal bilancio consolidato emerge una situazione ancora peggiore, che non può certo passare inosservata al sistema bancario” (pag.28 della perizia).

- l’indice di liquidità secca o acid test  presenta un valore di 0,57, al di sotto degli standard di normalità e ancora inferiore al bilancio della S.p.A.;

- l’indice di disponibilità o current ratio presenta un valore di 0,85, inferiore agli standard di normalità;

Struttura patrimoniale

- il margine di struttura di primo livello, che evidenzia la parte di attivo immobilizzato non coperta da patrimonio netto, assume valori negativi assai rilevanti, nel senso che nel 1993 su 743,4 miliardi di attivo immobilizzato solo 208,0 sono coperti da patrimonio netto, per cui la parte non coperta da patrimonio netto è pari a 535,4 miliardi;

- il margine di struttura di secondo livello In una struttura patrimoniale equilibrata l’attivo immobilizzato (cioè gli impieghi a medio/lungo termine) dovrebbe essere finanziato da fonti a medio/lungo termine, ossia dal patrimonio netto e dalle passività consolidate. Ebbene, nel caso di specie si ottiene ancora un forte squilibrio, pari  a 159,8 miliardi nel 1993;

- l’indice di indebitamento  è pari a 12,87%, e riflette valori lontani dagli standard di normalità;

- l’indice di copertura delle immobilizzazioni, è pari a 1,27, inequivocabile segno di squilibrio;

Situazione economica

- il R.O.E. o redditività del capitale proprio è pari al 10,19%, nel complesso, soddisfacente;

- il R.O.I. o redditività del capitale investito è pari a 6,5%, nel complesso, soddisfacente.

Con riferimento al bilancio consolidato di Belleli Holding Industriale  S.p.A.:

Situazione finanziaria

- il capitale circolante netto risulta  negativo per 17,9 miliardi di lire;

- il margine di tesoreria è  negativo per 290,4 milardi di lire;

Con riguardo a questi aggregati osserva il CTU “Il giudizio sulla situazione finanziaria è, in questo caso, meno negativo rispetto ai due casi esaminati in precedenza. Tuttavia il margine di tesoreria di -290,4 miliardi (-347,4 nella S.p.A. e -448 miliardi nel consolidato S.p.A.) permane su valori difficilmente compatibili con l’ipotesi di continuazione duratura dlel’attività aziendale” (pag.33 della perizia).

- l’indice di liquidità secca o acid test  presenta un valore di 0,75, valore migliore rispetto agli altri bilanci ma sempre lontano da valori di equilibrio;

- l’indice di disponibilità o current ratio presenta un valore di 0,98, si avvicina a valori di equilibrio che dovrebbero essere compresi tra 1 e 2;

Struttura patrimoniale

- il margine di struttura di primo livello, che evidenzia la parte di attivo immobilizzato non coperta da patrimonio netto, assume valori negativi assai rilevanti, nel senso che nel 1993 su 832,6 miliardi di attivo immobilizzato solo 306,2 sono coperti da patrimonio netto, per cui la parte non coperta da patrimonio netto è pari a 526,4 miliardi;

- il margine di struttura di secondo livello In una struttura patrimoniale equilibrata l’attivo immobilizzato (cioè gli impieghi a medio/lungo termine) dovrebbe essere finanziato da fonti a medio/lungo termine, ossia dal patrimonio netto e dalle passività consolidate. Ebbene, nel caso di specie si ottiene ancora un forte squilibrio, pari  a 17,9 miliardi di lire;

- l’indice di indebitamento  è pari a 15,66%, ed è indice di elevata dipendenza dell’azienda da finanziamenti di terzi e riflette valori lontani dagli standard di normalità, anche considerata la scarsa capitalizzazione delle aziende italiane;

- l’indice di copertura delle immobilizzazioni, è pari a 1,02, modesto segno di squilibrio;

Situazione economica

- il R.O.E. o redditività del capitale proprio è pari al 7,22%, nel complesso, discretamente soddisfacente;

- il R.O.I. o redditività del capitale investito è pari a 5,54%, nel complesso, discretamente soddisfacente.

 

Conclude il CTU (pag.45-46 dell’elaborato) affermando che l’analisi condotta porta ad evidenziare che l’azienda era:

“- assai poco redditizia, ad eccezione dei bilanci consolidati, che evidenziano una redditività soddisfacente;

- decisamente sottocapitalizzata;

- caratterizzata da uno strutturale squilibrio fra fonti ed impieghi, nel senso di mancata corrispondenza tra durata delle fonti e durata degli impieghi;

- caratterizzata, soprattutto da un forte squilibrio finanziario, sintetizzato nei valori sopra descritti.

Di fronte a questa situazione, è opinione del sottoscritto che un operatore bancario dotato di normali capacità nella interpretazione dei dati di bilancio non potesse non rilevare segnali di forte allarme sulla capacità patrimoniale e finanziaria della Belleli S.p.A. e del Gruppo a cui essa apparteneva”.

 

 

Le considerazioni espresse vanno senz’altro condivise, in quanto la presenza di indici di bilancio generalmente lontani da standard di normalità soprattutto se soppesati congiuntamente agli altri elementi di valutazione - che pure l’Istituto possedeva, come in seguito si vedrà - non potevano non essere percepiti, già negli anni 1993 e 1994, come segnali di una grave crisi soprattutto finanziaria della società poi fallita.

 

2)    GARANZIE REALI

Il Fallimento attore ha altresì effettuato una molteplicità di produzioni documentali dalle quali è possibile desumere che la situazione di insolvenza della società fallita era, non solo conosciuta da chi aveva rapporti diretti con la Belleli S.p.A., come i fornitori abituali e gli Istituti di Credito, ma addirittura di pubblico dominio, all’epoca del pagamenti revocandi.

Innanzi tutto si considerino la pluralità di ipoteche iscritte sui beni della fallita, elemento a cui generalmente la giurisprudenza riconosce una  rilevanza presuntiva (Cass.23.1.1997 n.699, Cass.14.4.1983 n.2607,  Trib.Cagliari 26.2.1998).

Può evidenziarsi che le ipoteche, congiuntamente alle altre garanzie reali prestate dalla società,  tra il 1992  e il 1994,   hanno subito un incremento notevole, passando da 179 miliardi di lire nel 1993 e  260 miliardi di lire nel 1994. Si tratta di valori di per sé significativi e che assumono ancora maggior pregnanza se rapportati all’ammontare complessivo delle attività. Una crescita così importate delle garanzie reali prestate è sintomo forte di una mutata e sempre minore affidabilità riconosciuta all’azienda proprio dal sistema bancario che dette garanzie ha preteso a sostegno dei finanziamenti erogati.

 

3) NOTIZIE DI STAMPA

Ulteriore segno esteriore dello stato di insolvenza a cui la giurisprudenza riconosce rilevanza presuntiva sono le notizie riportate dalla stampa nell’epoca di riferimento (Cass.7.2.2001 n.1719, Cass. 23.1.1997 n.699, Trib.Roma 31.1.1987).

Riguardo  gli articoli dei giornali prodotti, preme soffermarsi sullo specifico contenuto delle notizie divulgate che non poteva non destare  allarme nei creditori della società, soprattutto se significativamente esposti.

Tra il 1994 ed il 1995 i quotidiani locali e nazionali hanno  pubblicato articoli in cui si evidenziava la tensione finanziaria della società e del Gruppo nonché la preoccupazione del sistema bancario per la situazione aziendale. Nell’estate del 1995 la stampa riportava altresì che la Belleli S.p.A. non erogava, se non con grandi ritardi, gli stipendi ed i salari dei dipendenti tanto di Mantova quanto di Taranto, e gli Istituti di credito stavano valutando ogni possibile rimedio al grave indebitamento del Gruppo.

Si consideri che il problema degli stipendi ed il rischio di licenziamenti era stato particolarmente avvertito a Mantova e a Taranto, città sedi degli stabilimenti Belleli, nonché delle Filiali di B.N.L. S.p.A. con cui la società fallita operava, risultando occupati presso detti stabilimenti nell’insieme oltre 3000 dipendenti.

Riferiscono gli articoli prodotti della Gazzetta di Mantova  che in questa città si susseguirono nell’estate del 1995 manifestazioni sindacali, scioperi, con interventi persino  dell’amministrazione comunale ed a Taranto, per protesta contro il mancato pagamento dello stipendio, un dipendente Belleli si era addirittura incatenato ai cancelli dello stabilimento.

Ora, il tenore complessivo delle notizie riportate non poteva essere sfuggito alla Banca convenuta, soprattutto se si valuta che gli Istituti di Credito generalmente sono particolarmente attenti alle informazioni divulgate dai giornali in merito ai propri importanti clienti, e questo proprio per acquisire il numero maggiore di elementi esterni di valutazione dell’andamento aziendale e non limitarsi alle informazioni fornite dal cliente stesso.

 

4) REVOCHE DEGLI AFFIDAMENTI

La Curatela ha  documentato che  già a far tempo dall’autunno del 1993 diversi Istituti di Credito avevano revocato gli affidamenti in essere con il Gruppo Belleli chiedendo il sollecito rientro dall’esposizione debitoria ed in molti casi minacciando il ricorso ad una tutela giudiziale del credito (doc.15 di parte attrice).

Ciò significa che piccole e grandi banche di ogni parte d’Italia avevano colto i segnali della profonda crisi in cui la società di trovava ed avevano chiaramente percepito l’incapacità della Belleli S.p.A. di far fronte ai propri impegni.

 

5) SITUAZIONE DEL GRUPPO

Una breve riflessione si impone con riguardo alla rilevanza della conoscenza dello stato di insolvenza del Gruppo (v.sul punto Cass.20.5.1997 n.4473, Cass.3.6.1995 n.6285). Nelle considerazioni sino ad ora espresse si è più volte fatto riferimento alla conoscenza da parte dell’Istituto di credito della crisi del Gruppo più che della singola società qui interessata. Va osservato che il Gruppo Belleli di cui sino ad ora si è parlato svolgeva, in principalità, un’attività di fornitura e montaggio di impianti di grosse dimensioni (realizzazione di centrali elettriche convenzionali e centrali nucleari, piattaforme petrolifere, impianti petroliferi e petrolchimici, ecc.) attraverso l’acquisizione di commesse sia in Italia che all’estero. Pur mantenendo ciascuna società del Gruppo piena autonomia giuridica e patrimoniale, è evidente  che il fitto intreccio di legami gestionali, economici e finanziari tra la Holding e le società operative del Gruppo, in primis la Belleli S.p.A., esponeva ciascuna società del Gruppo ai contraccolpi derivanti dalla crisi  delle altre società. Questo collegamento tra la società fallita ed il Gruppo Belleli era necessariamente noto alla convenuta, sia emergendo dai bilanci della fallita e dai bilanci consolidati del Gruppo di cui si è detto, sia dalla circostanza che nelle notizie di stampa riferite alla Belleli S.p.A. erano spesso riportate anche le vicende del Gruppo nel suo complesso.

Si aggiunga poi la rilevanza del collegamento tra il Gruppo Belleli ed il Gruppo Interklim, entrambi facenti capo alla famiglia Belleli.

Le  notizie di stampa allegate dalla curatela evidenziano che il Gruppo Interklim già nel 1994 versava in una situazione di pesante crisi, tanto che  il 14.12.1995 anche la Interklim Sistemi S.r.l. era ammessa ad una procedura concorsuale, e nella specie al concordato preventivo. Le pesanti difficoltà del Gruppo Interklim erano  note alla Banca convenuta (v. doc.14 di parte attrice, datato 24.10.1994 “…vi preghiamo di provvedere con tutta urgenza alla sistemazione delle posizioni insolute che si protraggono e si cumulano ormai da tempo…), e sicuramente monitorate, attesa la rilevante esposizione anche di Interklim Sistemi S.r.l. nei confronti di Banca Nazionale del Lavoro s.p.A., creditrice,  al momento della dichiarazione di fallimento della società di Pavia, per oltre  4 miliardi  di lire (doc.27 di parte attrice).

 

6) APPALTI

Altro settore significativo per valutare la consapevolezza della reale situazione di crisi della fallita, è quello degli appalti.

Come da prassi del settore, l’esecuzione delle opere ricevute in appalto veniva totalmente finanziata dagli istituti di credito, singolarmente o in pool, alla sola condizione che i pagamenti dei SAL confluissero sul conto aperto presso la banca capofila del finanziamento. Dall’istruzione testimoniale svolta è emerso che anche la convenuta partecipava a questi finanziamenti.

Nel corso del 1995, come in precedenza, Belleli S.p.A. aveva avuto l’opportunità di acquisire importanti commesse, che tuttavia non furono acquisite per mancata erogazione da parte delle Banche dei finanziamenti necessari.

Trattandosi di operazioni ingenti, hanno riferito i testi escussi che la società fallita aveva contattato tutti gli Istituti bancari, tra cui la Banca convenuta, ma da tutti i nuovi finanziamenti erano stati negati.

 

8) ANDAMENTO DEL RAPPORTO BANCARIO

       I conti correnti di cui si discute in causa erano accesi presso le agenzie della Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. di Mantova e di Taranto, i due comuni in cui erano presenti gli stabilimenti Belleli S.p.A. e che nel complesso impiegavano all’incirca 3000 dipendenti. Si è già visto che in entrambe le città, soprattutto in ragione delle implicazioni occupazionali che le vicende Belleli rischiavano di comportare, i mezzi di informazione davano particolare risalto agli scioperi del personale, alle manifestazioni sindacali e più in generale al progredire della crisi in cui Belleli S.p.A. versava.

Oltre a queste informazioni note a tutta l’opinione pubblica, ulteriori elementi di valutazione potevano essere tratti dalla Banca convenuta anche solo dall’esame della movimentazione dei rapporti in essere.

  Dagli estratti conto in atti si evidenzia che soprattutto il conto corrente acceso presso l’Agenzia di Mantova  presentava una operatività quotidiana ed era utilizzato per la normale gestione aziendale,  per il pagamento di fornitori, per la riscossione di crediti da clienti o anche per rapporti tra le varie società del Gruppo.

E’ emerso dalle testimonianze assunte che dalla metà del 1994 la carenza di liquidità di cui Belleli soffriva da tempo aveva portato a progressivi ritardi nel pagamento dei fornitori correnti e anche al mancato pagamento delle ricevute bancarie da questi emesse. Le  sempre maggiori difficoltà finanziarie della società fallita non potevano non essere avvertite dalla Banca convenuta che seguiva quotidianamente l’attività della Belleli S.p.A. e che, trattandosi di un primario Istituto di credito a livello nazionale, spesso veniva indicato dagli stessi fornitori per l’esecuzione dei pagamenti, e che sovente erano ritardati o non eseguiti per assenza di provvista (v.testi Salvato, Testoni, Gemelli; Mironi).

La consapevolezza della pesante situazione finanziaria ed economica di Belleli S.p.A. trova un riscontro documentale nella lettera che ancora nel gennaio 1995 (doc.12 di parte attrice) la Direzione della Filiale di Mantova di B.N.L. S.p.A. ha inviato a Belleli Holding Industriale S.p.A..

La ragione per cui la Banca aveva come interlocutore la Holding del Gruppo e non già direttamente Belleli S.p.A. è emersa nel corso dell’istruzione orale: la finanza di Belleli S.p.A. era gestita a livello di Gruppo, attraverso un sistema di budget finanziario intergruppo, coordinato dall’ufficio finanziario della Belleli Holding Industriale S.p.A.. Le operazioni bancarie delle varie società erano monitoriate dall’ufficio finanziario, il quale si occupava di spostare le liquidità esistenti tra le varie società, a seconda delle necessità, facendo affluire su determinati conti intestati ad una qualsiasi delle società del Gruppo, le risorse indispensabili, provenienti da altre società del Gruppo, per effettuare determinati pagamenti (v. testimonianze Salvato, Testoni, Gemelli).

Si legge in detta nota del gennaio 1995 “In relazione ai disallineamenti, più volte verificatisi nel recente passato, tra i flussi finanziari in entrata ed in uscita (disallineamenti che appaiono di natura non transitoria), è indispensabile che il citato piano finanziario faccia specifico riferimento ai supporti finanziari “extragestionali” che sono stati programmati…., Sottolineiamo l’urgenza e l’importanza di questa occasione per consentire il sereno proseguimento delle relazioni con le varie società dell’intero  Gruppo Belleli…”.

Nel marzo poi del 1995 B.N.L. S.p.A. scrive nuovamente sia alla Holding che a Belleli S.p.A. per “sollecitare urgenti chiarimenti” ed evidenziare di aver riscontrato insoluti per alcuni miliardi di lire (doc.13 di parte  attrice).

Il fatto che la Banca convenuta fosse più di altre vicina alle vicende di Belleli S.p.A. e seguisse con particolare attenzione l’evolversi della crisi, vuoi per la pluralità dei rapporti in essere vuoi per la rilevante esposizione della società nei confronti di questo Istituto, è anche evidenziato dal fatto che fu proprio B.N.L. S.p.A. ad organizzare una riunione riservata, tenutasi a Mantova a fine luglio 1995, tra la dirigenza Belleli e le c.d. banche della piazza per valutare di concerto la situazione venutasi a creare. “Ricordo che la situazione andò progressivamente peggiorando finché a fine luglio 1995 proprio la BNL organizzò una riunione tra numerose banche e Rodolfo Belleli presso la sede della società per cercare una soluzione proprio perché in quel momento non eravamo più in grado di pagare fornitori e stipendi. Questa riunione era stata concertata qualche giorno prima tra il dott.Roselli e il dott.Fava, direttore della BNL di Mantova, che si era fatto promotore dell’iniziativa anche per conto delle altre banche della piazza” (teste Salvato) .

Se nonostante la consapevolezza della  gravità crisi in cui la Belleli S.p.A. si trovava, l’Istituto non abbia poi ritenuto di risolvere il rapporto, di per sé non significa certamente che sino a quella data vi fosse la c.d. inscientia, non denotando la prosecuzione del rapporto necessariamente fiducia nelle prospettive dell'impresa e sconoscenza delle condizioni patologiche  dell'affidata (Cass.3.4.2002 n.4759, Cass.8.1.1987 n.18). Esso può aver trovato giustificazione proprio in una valutazione ragionata della gravità della situazione, nella certezza che in assenza di ulteriore liquidità la debitrice sarebbe senz’altro fallita con inevitabile perdita, per la Banca, di tutto quanto sino a quel momento erogato.

 

Conclusivamente, se questa sopra descritta era la situazione in cui si trovava la Belleli S.p.A., se tanto critici erano i dati emergenti dai bilanci consegnati alla Banca e se tanti altri erano i sintomi percepibili delle gravissime difficoltà dell’azienda e del Gruppo a cui apparteneva,  non rileva se nello specifico i vertici della Banca convenuta o i responsabili degli uffici fidi abbiano riscontrato alcuni o tutti gli elementi indiziari evidenziati, dovendo ritenersi che - attesa l’importanza della società fallita, nonché la pluralità ed eterogeneità dei segnali esteriori della crisi in cui versava -, la consapevolezza del dissesto non potesse che essere generalizzata e diffusa.

In particolare, a fronte di conti  costantemente passivi per ingenti importi, a fronte delle evidenti difficoltà riscontrabili dalla convenuta nel pagamento dei fornitori, a  fronte di bilanci che rappresentavano una situazione aziendale compromessa, a fronte di un progressivo e rapido incremento delle garanzie reali prestate, a fronte di un evidente ritiro del credito bancario ed a fronte di notizie giornalistiche inquietanti, deve ritenersi che l’Ufficio Fidi della Banca Nazionale del Lavoro  S.p.A., dotato di competenza specifica proprio nel monitorare l’andamento dei clienti della Banca, non potesse non avere contezza della precarietà della situazione finanziaria ed economica della società poi fallita.

Va anche osservato che un favorevole giudizio prognostico in ordine alla possibile reversibilità della crisi in cui versava l’impresa, opinione peraltro condivisa nel 1995 dal Tribunale di Mantova che aveva ammesso Belleli S.p.A. alla procedura di amministrazione controllata, nulla rileva ai fini della conoscenza dello stato d’insolvenza, poiché la prospettiva di risanamento non incide sulla consapevolezza circa lo stato di grave crisi economica. Questo per il fatto che “insolvenza” e “temporanea difficoltà” sono nozioni che divergono solo per l’aspetto quantitativo, dovendo qualitativamente anche la “temporanea difficoltà” valutarsi “insolvenza”, in quanto coincidente con l’incapacità dell’impresa di far fronte regolarmente alla proprie obbligazioni (in questo senso si sono espresse sia la Corte di Cassazione che la Corte Costituzionale con riferimento alla retrodatazione del termine di esercizio della revocatoria in caso di consecuzione di procedure concorsuali, trovando la retrodatazione giustificazione proprio nel fatto che la dicotomia insolvenza sanabile/insanabile non incide sull'essenza del presupposto delle procedure concorsuali che consiste sempre nella patologia dell'impresa, lo stato di insolvenza del debitore v. Cass.29.9.1999 n.10792, Cass.21.2.1997 n.1612 e Corte Cost.n.110 del 1995, confermata nelle ordinanze n.224/1995 e n.12/1997).

Anche la previsione della possibilità di risolvere la crisi nel periodo massimo consentito per la procedura di amministrazione controllata non muta, dunque, l'oggettività del fenomeno che presuppone, cui si aggiunge un elemento valutativo ulteriore, necessario per l'apertura della procedura temporanea. Ma ciò non esclude l’identità qualitativa dei due presupposti oggettivi.

 Questa opinione, autorevolmente espressa dalla Corte di Cassazione  nella sentenza n.9581 del 1.10.1997, trova conforto nella Relazione Ministeriale  alla Legge Fallimentare (punto 41) che specificando il presupposto dell'amministrazione controllata descrive  una crisi dell'impresa tale da "rendere impossibile l'immediato e regolare soddisfacimento delle obbligazioni", utilizzando quindi espressioni analoghe alla impossibilità di adempiere con regolarità  alle obbligazioni assunte, con cui l'art.5 L.F. descrive il fenomeno dell'insolvenza.

Alla stessa considerazione si giunge osservando l’impianto del sistema fallimentare, laddove è prevista la dichiarazione di fallimento anche nel corso della  procedura di amministrazione controllata, sull'implicita identificazione di presupposti comuni, quando sia venuta meno la previsione di risoluzione della crisi (art. 188 che richiama l'art. 173 L.F., nonché art.192 L.F.).

 Se la dichiarazione di fallimento presuppone l'esistenza dello stato di insolvenza, tale dichiarazione nel corso dell'amministrazione controllata si giustifica proprio in quanto, nella ratio legis, anch’essa presuppone lo stato di insolvenza dell'impresa.

 

Tutte le circostanze sopra delineate  costituiscono indizi gravi, precisi e concordanti della scientia decoctionis in capo alla società convenuta e  denotano una conoscenza effettiva e non solo potenziale dell’insolvenza della società fallita quanto meno a far tempo dal novembre del 1994.

 

In accoglimento della domanda revocatoria formulata, devono essere revocati tutti i pagamenti eseguiti dalla Belleli S.p.A. alla Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. di cui alle tabelle di seguito riportate per complessivi €6.394.060,30 (pari a  £.12.380.627.142) relativamente al c/c n.20789 (TABELLLA A) e  €1.541.530,42  (pari a £.2.984.819.107 relativamente al c/c n.35400 (TABELLA B) e  condannata la Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. alla restituzione al Fallimento attore dell’importo complessivo di  €7.935.590,72.

All’importo indicato vanno aggiunti gli interessi che, ex art.1224 II co. c.c., per il periodo 3 ottobre 2001 / 10 settembre 2003 possono essere quantificati nella misura del 3,925%, avendo la Curatela provato per detto periodo questa redditività dei depositi attivi del Fallimento (v.pag.46 dell’elaborato peritale).

Per gli ulteriori periodi, sino al saldo, sono unicamente dovuti gli interessi legali, in assenza di elementi probatori  forniti a riscontro del maggior danno subito.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

Le spese relative alla consulenza tecnica espletata nel corso del giudizio sono poste definitivamente a carico della Banca Nazionale del Lavoro S.p.A..

(omissis)