Tribunale di Mantova – Giudice unico Dr. Laura De Simone – 3 ottobre 2005. (186)

 

Revocatoria di rimesse in conto corrente bancario – Apertura di credito – Modificazione del soggetto richiedente e dell’importo – Revisione interna e nuova negoziazione.

Ove, in relazione ad una concessione di fido, intervenga una modificazione del soggetto giuridico richiedente, dell’importo richiesto ed erogato per apertura di credito nonché del rapporto di conto corrente su cui l’apertura è concessa, deve ritenersi che sia intervenuta non già una mera “revisione interna” del rapporto di affidamento precedentemente in essere bensì una nuova negoziazione.

 

Revocatoria bancaria – Prova dell’apertura di credito – Produzione in giudizio della richiesta di affidamento – Forma scritta – Insussistenza.

Non può ritenersi che la produzione in giudizio della richiesta di affidamento ad opera della parte che non l’ha sottoscritta determini il perfezionamento del contratto nella forma documentale prescritta qualora la produzione sia effettuata  nel giudizio promosso dopo il fallimento del sottoscrittore atteso che il fallimento che agisce in revocatoria va considerato come terzo e non come successore del fallito.

 

Revocatoria bancaria – Apertura di credito - Annotazione sul libro fidi – Anteriorità della vidimazione – Necessità.

Le risultanze del libro fidi pur non essendo idonee a provare la sussistenza di un contratto di concessione di credito tra la banca e l’imprenditore poi fallito, possono rivestire efficacia probatoria, in relazione alla data della stipula, solo laddove l’annotazione che interessa sia anteriore ad una vidimazione di chiusura  a sua volta precedente la dichiarazione di fallimento.

 

Revocatoria bancaria – Prova dell’apertura di credito – Prova testimoniale - Inammissibilità.

E' inammissibile la prova testimoniale dedotta al fine di dimostrare l'esistenza del contratto di affidamento sia in quanto non possono provarsi per testimoni i contratti per i quali è prevista la forma scritta ad substantiam  sia in quanto non sono stati dedotti quei fatti indicati nell’art. 2704 c.c. come idonei a fornire la dimostrazione della data di formazione del documento.

 

Revocatoria bancaria – Ricostruzione del saldo infragiornaliero – Criterio favorevole alla  banca – Adeguatezza.

In assenza di prova fornita dal fallimento circa la cronologia delle operazioni deve ritenersi, quanto ai saldi infragiornalieri, che il criterio più prudente da utilizzare al fine di individuare le operazioni revocabili, sia quello più favorevole alla banca dovendosi computare prioritariamente tutte le rimesse a credito atteso che l’ordine delle operazioni eseguite in un’unica giornata e riportate nell’estratto conto non ne individua necessariamente la cronologia.

 

Revocatoria bancaria – Accrediti per anticipazione su fatture – Natura solutoria - Sussistenza.

Le rimesse in conto effettuate per anticipazione su fatture all’esportazione non differiscono da altre forme di smobilizzo crediti (ad esempio, il cosiddetto “castelletto SBF”, piuttosto che l’anticipo del credito IVA) e consistono in accrediti anticipati sul conto dell’importo dei crediti stessi o di parte di essi: se dette  rimesse sono effettuate su conto corrente scoperto, esse hanno natura solutoria, non rilevando la provenienza della provvista confluita sul conto, non potendo distinguersi l’ipotesi  di versamenti in contanti effettuati direttamente dal correntista da quella di bonifici di somme provenienti da terzi o di ricavi conseguenti a smobilizzo di foglio o ancora di anticipi su fatture.

 

Revocatoria bancaria – Accrediti effettuati mediante giroconto – Prova dell’addebito in contropartita - Necessità.

La causale giroconto, nella pratica bancaria, viene utilizzata per qualsiasi trasferimento di fondi tra conti accesi presso la stessa banca, anche non dello stesso correntista: in assenza di specifica documentazione riguardante i conti della società fallita addebitati in contropartita, tali operazioni non possono ritenersi esenti da revocatoria.

 

Revocatoria bancaria – Rimessa su conto attivo poi confluita su conto scoperto - Revocabilità.

La rimessa giunta su un conto attivo e poi subito girata su un conto scoperto produce gli effetti finali della rimessa affluita su quest’ultimo conto e, conseguentemente, deve ritenersi revocabile.

 

Revocatoria bancaria – Partite bilanciate – Natura solutoria - Esclusione.

Non sono revocabili, non avendo natura solutoria, le operazioni bilanciate e cioè quegli accrediti sul conto corrente effettuati dal correntista al fine di costituire la provvista per l’esecuzione di specifiche operazioni a debito atteso che, con tali operazioni, la banca non fa credito al correntista ma esegue un incarico ed il cliente, dal canto suo, non paga un debito ma somministra i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato.

 

Revocatoria bancaria – Partite bilanciate – Prova dell’accordo tra banca e cliente –  Effettuazione della rimessa su conto scoperto – Necessità – Retrodatazione per valuta ed esecuzione dell’ordine dopo l’acquisizione della rimessa.

L’onere della prova incombente sulla banca circa la natura bilanciata della rimessa non può dirsi assolto con l’allegazione della mera coincidenza cronologica tra le operazioni di versamento e di pagamento, essendo necessaria la prova della chiara finalità dell’operazione, dovendo riscontrarsi che entrambe le partite siano state effettuate con una specifica ed inequivoca volontà del correntista e stabilire se sia intervenuto un accordo tra il cliente e la banca che consenta di non considerare la somma versata sul c/c quale copertura, anche parziale, dello scoperto e di valutare quindi revocabile non già l’accreditamento sul c/c ma il pagamento effettuato con la somma accreditata dalla Banca per conto del cliente in favore di un terzo beneficiario.

Al fine di riscontrare la volontà del correntista di finalizzare determinati versamenti a determinati prelievi, in assenza di specifica documentazione, è indispensabile che le rimesse siano confluite mentre il conto, nella prospettazione delle parti, era non solo passivo ma anche scoperto non apparendo possibile  ritenere che il correntista abbia concordato con la banca una finalizzazione della rimessa quando sul conto vi era comunque una provvista sufficiente ad effettuare i pagamenti voluti. 

Debbono ritenersi circostanze significative ai fini del riscontro di un accordo tra il correntista e la banca per la destinazione specifica della rimessa, la retrodatazione per valuta della  rimessa, con riconoscimento di pari valuta al beneficiario del prelievo, e il non aver la banca eseguito immediatamente gli ordini del cliente, provvedendovi, anche a distanza di giorni o settimane, solo dopo l’acquisizione della rimessa a copertura. 

 

 

Revocatoria bancaria – Andamento del conto – Difficoltà nel pagamento di salari – Emergenze di bilancio – Incremento delle garanzie reali – Revoca degli affidamenti – notizie stampa - Scientia decoctionis – Sussistenza.

Il conto costantemente passivo per un ingente importo, le evidenti difficoltà riscontrabili dalla convenuta nel pagamento di salari e stipendi, l'esistenza di bilanci raffiguranti una situazione aziendale pesantemente compromessa ed il progressivo e rapido incremento delle garanzie reali prestate, a fronte di un evidente ritiro del credito bancario ed a fronte di notizie giornalistiche inquietanti, costituiscono elementi tali da far ritenere l’ufficio fidi della banca,  dotato di competenza specifica proprio nel monitorare l’andamento dei clienti, non potesse non avere contezza della precarietà della situazione finanziaria ed economica della società poi fallita.

 

 

Revocatoria bancaria – Consapevolezza dello stato di crisi - Temporanea difficoltà e stato di insolvenza – Differenza.

Il favorevole giudizio prognostico in ordine alla possibile reversibilità della crisi in cui versa l’impresa, desumibile dall'ammissione della stessa alla procedura di amministrazione controllata, non rileva ai fini della mancata conoscenza dello stato d’insolvenza, poiché la prospettiva di risanamento non incide sulla consapevolezza circa lo stato di grave crisi economica costituendo l'insolvenza e la temporanea difficoltà nozioni che divergono solo per l’aspetto quantitativo.

 

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 5 luglio 2001 il Fallimento Belleli S.p.A., in persona del curatore fallimentare dott.Dante Lanfredi, conveniva in giudizio la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza S.p.A., quale incorporante il Credito Commerciale S.p.A. affinché fossero revocate, ai sensi dell’art.67 comma 2 L.F., le rimesse eseguite dalla Belleli S.p.A. sul conto corrente bancario nn.13726  acceso presso l’Agenzia di Mantova del Credito Commerciale S.p.A., nel periodo compreso tra il 16.11.1994 ed il 16.11.1995, per complessive £.58.410.594.585 (ora € 30.166.554,55).

Esponeva il Fallimento attore che le rimesse eseguite sul conto corrente acceso presso la convenuta presentavano  tutte natura solutoria, essendo volte a ridurre l’esposizione maturata nei confronti della Banca in assenza di un’apertura di credito opponibile alla curatela. Inoltre l’Istituto di credito conosceva lo stato di insolvenza della Belleli S.p.A., essendo la situazione di decozione del Gruppo Belleli, a quell’epoca, ormai nota a tutta l’opinione pubblica, per le allarmanti notizie di stampa divulgate e per i numerosi (847) provvedimenti monitori esecutivi in corso. Nello specifico, la Banca convenuta aveva sempre avuto un quadro effettivo e completo della situazione finanziaria e patrimoniale dell’azienda, avendo  esaminato i bilanci della società fallita e conoscendo necessariamente le molteplici iscrizioni di ipoteche e di privilegi speciali risultanti dai pubblici registri, nonché la revoca degli affidamenti alle varie società del Gruppo operata da diversi Istituti di credito.

Si costituiva ritualmente in giudizio IntesaBci Gestione Crediti S.p.A., in qualità di procuratrice della convenuta Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza S.p.A., eccependo preliminarmente la nullità della domanda ex art.164 IV co. c.p.c., risultando incerta la determinazione della cosa oggetto della domanda. Nel merito insisteva la Banca per il rigetto della domanda proposta in assenza dei presupposti oggettivi e soggettivi dell’azione. Osservava la convenuta che non poteva affermarsi la natura solutoria delle rimesse indicate dalla curatela, atteso che  la fallita godeva di affidamenti, ed ancora che molte delle operazioni di cui era chiesta la revoca dovevano considerarsi bilanciate o compensate con altre. Rilevava, infine, di non aver conosciuto lo stato di insolvenza della Belleli S.p.A. e che la documentazione dimessa dal Fallimento sul punto non poteva ritenersi idonea prova dell’assunto.

Nel corso del procedimento era dato parziale ingresso alle prove orali dedotte da parte attrice ed era espletata una consulenza tecnica di natura contabile.

Sulle conclusioni delle parti come sopra rassegnate la causa veniva trattenuta per la decisione all’udienza del 21.4.2005, ove era concesso alle stesse il termine di cui all’art.190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.

 

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

Preliminarmente devono essere ribadite le considerazioni già svolte nel corso del procedimento, nell’ordinanza del 22 febbraio 2002, con riguardo all’eccezione di nullità dell’atto di citazione per mancata determinazione della cosa oggetto della domanda (art.163 n.3 c.p.c.) e mancata esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti l’oggetto della domanda (art.163 n.4 c.p.c.) e, nella specie, per mancata indicazione delle singole rimesse ritenute revocabili da parte del Fallimento.

Rileva il giudicante che, contrariamente all’assunto dell’Istituto di Credito convenuto, l’atto di citazione specifica in maniera adeguata le rimesse aventi connotati solutori revocabili ex art.67 L.F., attraverso il richiamo ad un prospetto contabile allegato (doc.6, 6bis, 6ter), da considerarsi parte integrante dell’atto introduttivo e da valutarsi unitamente agli estratti conto relativi ai singoli conti correnti del periodo interessato (doc.3,4,5). Per giurisprudenza consolidata della Suprema Corte deve ritenersi possibile l’individuazione per relationem dell’oggetto della domanda, atteso  l’idoneità di tale modus operandi a consentire un’adeguata difesa del soggetto evocato in giudizio (Cass.27.11.1999 n.850). La giurisprudenza di merito richiamata da parte convenuta, conosciuta e condivisa da questo giudicante, attiene ad ipotesi, tutt’affatto diverse da quella in esame, in cui l’atto di citazione proposto dalla curatela fallimentare non contiene alcuna indicazione, neppure sintetica o per relationem delle rimesse da dichiararsi inefficaci, per cui effettivamente né il giudice, né la controparte sono posti nella condizione di conoscere con determinatezza gli estremi della controversia.

Alla luce di queste considerazioni l’eccezione indicata non può che essere rigettata.

Passando al merito deve osservarsi che, secondo la distribuzione dell’onere probatorio sancita dall’art.67  L.F., la Curatela fallimentare deve dimostrare l’esistenza delle rimesse, l’effettuazione delle stesse nel periodo sospetto, nonché la scientia decoctionis da parte della Banca, mentre quest’ultima ha l’onere di provare la natura non solutoria dei versamenti, documentando l’esistenza, all’epoca delle rimesse, di un contratto di apertura di credito e/o eventualmente la presenza di operazioni bilanciate e/o compensabili con altre.

Profilo temporale

Sotto il profilo temporale i limiti posti dall’art.67 II co. L.F. debbono ritenersi rispettati atteso che, nel caso di consecuzione di procedure concorsuali, per giurisprudenza consolidata e condivisibile, il termine a ritroso per la revoca dei pagamenti compiuti dall’imprenditore decorre dalla data del provvedimento di ammissione alla prima procedura -nel caso di specie l’amministrazione controllata a cui la Belleli S.p.A. è stata ammessa con decreto del 16.11.1995 - (Cass.2.9.1996 n.7994, Cass.6.6.1997 n.5071- nello stesso senso Corte Costituzionale nella sentenza n.110/1995 e nelle ordinanze n.224/1995 e n.12/1997).

 Presupposto oggettivo dell’azione

Sussistenza di rimesse revocabili- Contratto di apertura di credito – Opponibilità alla curatela

Poiché la revocatoria di cui al secondo comma dell'art.67 L.F. colpisce i pagamenti dei debiti liquidi ed esigibili, con riguardo alla revoca di rimesse in conto corrente, assumono rilevanza  solamente le rimesse compiute su conto scoperto, vale a dire passivo non affidato oppure passivo oltre l'affidamento concesso dalla banca. L'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato e qui condiviso è stato introdotto dalla Corte di Cassazione con la sentenza 18.10.1982 n.5413, ove si osservava  che  “nell'ipotesi  di conto  corrente  bancario in  cui  la provvista  sia costituita  da  un'apertura di  credito,  ai  fini della  revocatoria fallimentare, nei  confronti della  banca, dei  versamenti effettuati sul  suo  conto  dal  correntista   poi  fallito  (o  da  terzi),  è necessario  che dallo  svolgimento del  conto rimanga  accertato che, nel  periodo   considerato  dall'art.   67,  comma  2,   della  legge fallimentare,  si sia  verificato  (per  l'utilizzazione fattane  dal correntista) uno  " scoperto " del  conto per avere la  banca pagato, per  conto del  cliente,  una  somma superiore  a  quella postagli  a disposizione e che il successivo  versamento sia stato imputato dalla banca a  pagamento del relativo  debito sorto in capo  al correntista (stante  l'immediata esigibilità  del corrispondente  credito): solo in questo caso, infatti, può  farsi luogo alla revocatoria, poiché, ove tale scoperto non si sia  verificato, il versamento nel conto (si tratti  di  un  versamento  in  contanti del  correntista,  o  di  un bonifico  di somme  provenienti  da terzi,  ovvero  di un  giroconto) configura  un  mero accreditamento  di  somme  per la  reintegrazione della  somma posta  dalla banca  a disposizione  del correntista,  di volta in volta  decurtata da operazioni passive, che,  in sé stesso, non è  atto né  gratuito, né  oneroso e,  quindi, non  è soggetto alla  revocatoria  fallimentare,  consistendo, invece,  in  una  mera operazione contabile” (nello stesso senso più di recente a solo titolo esemplificativo Cass. 26.2.1999 n.1672, Cass.26.8.1996 n.7829, Cass.22.3.1994 n.2744, Trib.Milano 21.2.2002). 

La Banca, quindi, che allega di aver concesso un fido al cliente poi fallito, deve prima di tutto provare la sussistenza del dedotto affidamento, affinché le rimesse sul conto nel periodo sospetto possano ritenersi ripristinatorie di una provvista e non già solutorie.

A tal fine parte convenuta produce: 1) proposta di fido fuori autonomia avanzata alla Direzione centrale servizio fidi dal Direttore della Filiale di Mantova relativamente al c/c 13863, datata 13.2.1992 (doc.11), 2) estratto autentico effettuato il 25.2.2002 delle pagine 430 e 1000 del Libro Fidi del Credito Commerciale S.p.A., la cui vidimazione iniziale è del 19.12.1991 (doc.12), 3) stampa delle variazioni fidi/garanzie del c/c 13863 del 4.6.1992 (doc.13), 4) estratto autentico effettuato il 25.2.2002 delle pagine 283 e 1000 del Libro Fidi del Credito Commerciale S.p.A., la cui vidimazione iniziale è del 26.6.1992 (doc.14), 5) estratto autentico effettuato il 25.2.2002 delle pagine 357 e 1000 del Libro Fidi del Credito Commerciale S.p.A., la cui vidimazione iniziale è del 17.5.1993 (doc.15), 6) proposte di fido fuori autonomia avanzata alla Direzione centrale servizio fidi dal Direttore della Filiale di Mantova relativamente al c/c 13863, datate 17.11.1993 e 14.6.1993 (doc.16), 7) richiesta di concessione di fido datata 7.2.1994  (doc.17), 8)  proposta di fido fuori autonomia avanzata alla Direzione centrale servizio fidi dal Direttore della Filiale di Mantova datata 25.2.1994 relativa al c/c 13726 (doc.18), 9) estratto autentico del 25.2.2002 delle pagine 195 e 1000 del Libro Fidi del Credito Commerciale S.p.A., la cui vidimazione iniziale è stata effettuata in data 5.11.1993 (doc.19), 10) proposta di fido fuori autonomia avanzata alla Direzione centrale servizio fidi dal Direttore della Filiale di Mantova datata 30.11.1994 relativa al c/c 13726 (doc.20), 11) estratto autentico effettuato il 25.2.2002 delle pagine 91 e 1000 del Libro Fidi del Credito Commerciale S.p.A., la cui vidimazione iniziale è dell’ 1.6.1994 (doc.21), 12) stampa delle variazioni fidi/garanzie dell’1.12.1994 relativa al c/c 13726 (doc.22), 13) estratto autentico effettuato il 27.11.2001 delle pagine 182 e 1000 del Libro Fidi del Credito Commerciale S.p.A., la cui vidimazione iniziale è del 1.2.1995 (doc.23), 14) stampa delle variazioni fidi/garanzie del 3.5.1995 relativa al c/c 13726 (doc.24), 15) stampa delle variazioni fidi/garanzie dell’8.5.1995 relativa al c/c 13726 (doc.25, 26), 16) proposta di fido fuori autonomia avanzata alla Direzione centrale servizio fidi dal Direttore della Filiale di Mantova datata 28.7.1995 relativa al c/c 13726 (doc.27), 17) estratto autentico effettuato il 27.11.2001 delle pagine 848, 849 e 1000 del Libro Fidi del Credito Commerciale S.p.A., la cui vidimazione iniziale è del 1.2.1995 (doc.28), 18) stampa delle variazioni fidi/garanzie del 4.8.1995 relativa al c/c 13726 (doc.29), 20) mandato di credito della Belleli Holding Industriale S.p.A. del 27.3.1995.

La curatela deduce che le scritture prodotte non documentano l’esistenza di un contratto scritto di apertura di credito – indispensabile ex art.117 D.Lgs.1.9.1993 n.385 - e comunque non hanno data certa opponibile al Fallimento.

Rileva questo giudice che è con l’entrata in vigore dell’art.3 della L.17.2.1992 n.154 – poi recepito nell’art.117 del T.U. D.lgs.1.9.1993 n.385 – che il contratto di apertura di credito, così come tutti i contratti bancari, deve necessariamente stipularsi per iscritto, a pena di  nullità (III comma dell’articolo citato).

Precedentemente all’introduzione della normativa indicata  non vi era alcun obbligo di forma ed espressamente l’art.161 D.L.385/1993 specifica che i contratti già conclusi restano regolati dalle norme anteriori.

Senz’altro, quindi, per i contratti bancari stipulati prima del luglio del 1992 trova applicazione il principio generale della libertà di forma.

Va osservato, tuttavia, che nel caso di specie il rapporto di cui si discute intercorso tra la società fallita ed il Credito Commerciale S.p.A. non solo nel corso degli anni ha subito revisioni periodiche e modificazioni con riguardo agli importi erogati, ma addirittura è mutato il soggetto titolare del rapporto ed il c/c  su cui l’apertura di credito concessa era resa utilizzabile. Se si esamina attentamente la documentazione dimessa – a prescindere quindi dall’ opponibilità della stessa alla Curatela, di cui si dirà oltre -si evidenzia che, nella stessa prospettazione della convenuta, già nel febbraio del 1992 era concessa un’apertura di credito per £.1.500.000.000 in c/c sul c/c 13863 (doc. da 11 a 16), mentre nel febbraio del 1994 Belleli S.p.A. avrebbe richiesto un incremento dell’importo concessole per apertura di credito, passando da £.1.500.000.000 di affidamento a £.2.500.000.000 (doc.17), ed il fido richiesto sarebbe stato proposto dalla Filiale di Mantova ed approvato dalla Direzione Centrale del Credito Commerciale S.p.A. il 20.4.1994 sul c/c 13726 (doc.18 e 19). Successivamente poi, su questo stesso c/c l’affidamento sarebbe stato riconfermato con delibera del 30.11.1994, ridotto a £.2.000.000.000 per apertura di credito con delibera del 30.4.1995 e riconfermato per lo stesso  importo il 1.8.1995.

Va a questo punto notato che dalla documentazione in atti emerge altresì che la società Belleli S.p.A., affidata dal Credito Commerciale S.p.A. sino al 1993, non è la stessa Belleli S.p.A. di cui alla domanda di concessione di fido del 7.2.1994. Dall’allegato 1 della Relazione del Commissario giudiziale ex art.172 L.F. nella procedura di amministrazione controllata (doc.7), nonché dai bilanci di Belleli S.p.A. e consolidati del Gruppo, si ricava che nel 1993 Belleli S.p.A. modifica la propria denominazione sociale in Belleli Impianti S.p.A., Belleli Impianti S.p.A. acquista da Finmeccanica il 20% della Belleli Industrie Meccaniche S.r.l., S.M.S.I. S.r.l. modifica la propria denominazione sociale prima in Belleli S.r.l. e poi in Belleli S.p.A.. Belleli Impianti S.p.A. e Belleli Industrie Meccaniche S.r.l. conferiscono i propri rami aziendali alla nuova Belleli S.p.A. aumentando il capitale sociale da 25 a 50 miliardi di lire. Nel 1994 poi Belleli Impianti S.p.A. e Belleli Industrie Meccaniche S.r.l. vengono incorporate per fusione in Belleli Holding Industriale S.p.A..

La Banca convenuta era a conoscenza del mutato soggetto giuridico, tanto che in seguito alla richiesta di concessione di fido formulata dalla “nuova” Belleli S.p.A., nella proposta di fido fuori autonomia avanzata dalla Filiale di Mantova (doc.18) si legge: “…La Belleli S.p.A. (nuova società) potrà quindi godere per patrimonialità e dai operativi di un’immagine consona all’attività svolta…Ci viene quindi richiesto di fare confluire gli attuali affidamenti/esposizioni sulla nuova società…”

Orbene, è evidente che nella specie, con riferimento in particolare alla richiesta di concessione fido del 7.2.1994 (doc.17), considerato che interviene una modificazione tanto del soggetto giuridico richiedente, quanto dell’importo richiesto ed erogato per apertura di credito, quanto infine del rapporto di conto corrente su cui l’apertura è concessa, non può parlarsi di “revisione interna” del rapporto di affidamento precedentemente in essere, dovendo considerarsi intervenuta una nuova negoziazione tra le parti, con rinnovato esercizio dell’autonomia contrattuale.

 Preme sottolineare che nel febbraio del 1994 un soggetto giuridico  denominato Belleli S.p.A., ma diverso dal precedente, chiede alla Banca convenuta un affidamento per apertura di credito su un conto corrente differente da quello in precedenza affidato ed intestato alla “vecchia” Belleli S.p.A. e per un importo non corrispondente a  quello precedentemente a questa erogato.

E’ vero anche che un ramo di azienda della “vecchia” Belleli S.p.A. confluisce nella “nuova” Belleli S.p.A., ma a prescindere dal fatto che non vi sono elementi in atti che consentano di ritenere che il rapporto bancario di cui si discute fosse attinente al ramo d’azienda ceduto, ai sensi e per gli effetti di cui all’art.2558 c.c., è indiscutibile che l’affidamento del rapporto di c/c n.13726, su cui sono confluite le rimesse di cui si chiede la revoca in questa sede, è stato richiesto e concesso nel 1994 alla “nuova” Belleli S.p.A..

Ciò avrebbe dovuto comportare una stipulazione in forma scritta, alla luce delle disposizioni legislative nel frattempo emanate (in data 1.1.1994 era entrato in vigore il D.lgs.1.9.1993 n.385).

Così però non è stato, se si considera che la richiesta di concessione di fido datata 7.2.1994 - invero formulata per iscritto dalla Belleli S.p.A. - non è stata sottoscritta per accettazione dal Credito Commerciale S.p.A.

Non può, d’altro canto, ritenersi che la produzione in giudizio della richiesta di affidamento ad opera della parte che non l’ha sottoscritta determini il perfezionamento del contratto nella forma documentale prescritta, qualora la produzione sia effettuata – come nel caso in esame - nel giudizio promosso dopo il fallimento del sottoscrittore, per di più dallo stesso  Fallimento del proponente che agisce in revocatoria, e quindi non come successore del fallito ma come terzo.

Si consideri poi che, in ogni caso, la Banca convenuta non solo doveva provare per iscritto la conclusione del contratto di affidamento di cui alla proposta del 7.2.1994, ma anche che la data di redazione dello stesso fosse efficace nei confronti del Fallimento attore. E’ pacifico in giurisprudenza che nell’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare il curatore si pone come terzo, in quanto rappresenta non già il fallito ma la massa dei creditori (Cass.15.1.2003 n.520, Cass.30.1.1995 n.1.110), e conseguentemente l’opponibilità delle scritture prodotte nei confronti del Fallimento è regolata dal disposto dell’art.2704 c.c..

I documenti allegati dall’Istituto di credito convenuto non rispettano i requisiti previsti dalla norma indicata trattandosi di scritture non autenticate, non registrate, non riprodotte in atti pubblici e non essendo intervenuta la morte o altra sopravvenuta impossibilità fisica  di coloro che le hanno sottoscritte o  qualsiasi altro fatto che stabilisca in modo certo l’anteriorità della formazione del documento rispetto ai pagamenti revocandi.

Per quanto specificatamente riguarda le risultanze del libro fidi, quand’anche si tratti di atti interni alla banca che di per sé non provano la sussistenza di un contratto di concessione di credito tra la banca e l’imprenditore poi fallito, esse potrebbero rivestire efficacia probatoria, in relazione alla data della stipula, solo laddove l’annotazione che interessa fosse anteriore ad una vidimazione di chiusura  a sua volta precedente la dichiarazione di fallimento. Nella specie l’affidamento concesso, di cui alla richiesta del 7.2.1994, è riportato alla pagina 195 di un Libro Fidi – il cui numero non è indicato - , che reca vidimazione iniziale in data 5.11.1993 e nessuna vidimazione finale.

Per le successive modificazioni di detto affidamento poi, per cui manca del tutto il contratto scritto - quand’anche siano dedotte essere del 30.11.1994, 30.4.1995 e del 1.8.1995 - la prova offerta è esclusivamente quella dell’estratto autentico di Libri Fidi (doc.21, 23, 28), di cui sempre si evidenziano le varie vidimazioni iniziali ma mai quelle finali in epoca precedente il fallimento.

Va anche ribadita l’inammissibilità della prova testimoniale dedotta sul punto  – in ordine alla quale questo giudice si è già espresso nel corso del procedimento con ordinanza depositata l’11.11.2002 -, sia in quanto non possono provarsi per testimoni i contratti per i quali è prevista la forma scritta ad substantiam (art.2725 c.c.), sia in quanto non sono stati dedotti quei fatti indicati nell’art.2704 c.c. idonei a fornire la dimostrazione della data di formazione del documento (Cass.4.6.1986 n.3742).

Né può ritenersi che elementi significativi per attribuire certezza alla data di conclusione del contratto di apertura di credito emergano dagli estratti conto in atti. E’vero che questi non sono contestati e dai medesimi  si evince  che il c/c de quo, nel periodo di interesse, presenta sempre un saldo negativo di oltre £.2.000.000.000, ma nulla in essi è riportato che documenti l’apertura di credito in essere, la sua entità e decorrenza.

 

Conclusivamente, in assenza di prova in ordine alla sussistenza di un affidamento provvisto di data certa anteriore al fallimento, tutte le rimesse affluite  sul conto corrente con saldo passivo devono considerarsi come solutorie e non già ripristinatorie della provvista, assumendo  la veste di pagamenti rilevanti ai fini della revocatoria fallimentare.

 

Saldi di riferimento-criterio del saldo finale giornaliero

Al fine di determinare l’andamento del conto al momento dell’effettuazione delle rimesse della cui revocabilità di discute, questo Giudice ha ritenuto di aderire all’indirizzo ormai consolidato della Corte di Cassazione  secondo cui deve farsi riferimento al saldo disponibile, risultante dalla interpolazione del saldo contabile (per tutte le operazioni a debito e per i versamenti in contanti e per i bonifici) e del saldo per valuta (per gli accrediti di titoli di terzi), salva la prova in questo secondo caso dell’anteriorità dell’incasso rispetto alla valuta o comunque dell’anteriorità della disponibilità da parte del cliente (Cass.22.3.1994 n.2744, Cass.19.1.1998 n.462, Cass.26.1.1999 n.686).

Nel caso in esame la Banca convenuta ha dedotto, per alcune operazioni, una data di disponibilità diversa da quella indicata in via presuntiva e addirittura precedente a quella dell’annotazione delle somme sul conto. Il CTU nominato, tuttavia, ha puntualmente riscontrato tutte le contabili prodotte in merito ed ha escluso la congruità della documentazione presentata dall’Istituto di Credito a provare l’effettiva disponibilità degli importi da parte del correntista nelle diverse date indicate dalla Banca (pag.21-27 dell’elaborato). Le conclusioni a cui è pervenuto il CTU, in quanto adeguatamente motivate, possono essere condivise. Si rileva, in ogni caso, che la questione nella specie è di scarso pregio, posto che nella sostanza la differente datazione non ha comportato una modificazione dell’importo complessivo delle rimesse revocabili.

 

Per ciò che riguarda i saldi infragiornalieri si ritiene che il criterio più prudente da utilizzare, in assenza di prova fornita dal Fallimento circa la cronologia delle operazioni, sia quello più favorevole alla Banca computando prioritariamente tutte le rimesse a credito (Cass.17.12.1994 n.10.869, Trib.Napoli 15.3.2002, Trib.Torino 24.5.1999). Non appare, in particolare,  condivisibile l’orientamento del Tribunale di Milano che, in assenza di prova contraria, quando in una medesima giornata sono eseguite plurime operazioni disegno opposto, considera i movimenti secondo l’ordine indicato nell’estratto conto, sulla considerazione  che l’estratto conto è il documento che viene inviato al correntista e che, se non è contestato, deve considerarsi approvato dal cliente (Trib.Milano 30.7.2001, Trib.Milano 16.11.1989).

Questo giudice ritiene che l’ordine delle operazioni eseguite in un’unica giornata e riportate nell’estratto conto non necessariamente individui la cronologia delle singole operazioni,  non assumendo alcun rilevo in proposito la mancata contestazione dell’estratto conto, che è da  riferirsi unicamente alle operazioni di addebito e di accredito nella loro realtà fattuale. Il dato temporale delle operazioni infragiornaliere nell’estratto conto rimane generalmente equivoco, non essendo nella maggior parte dei casi consentito neppure al correntista riscontrare l’orario esatto in cui le singole operazioni sono state compiute dalla Banca e quindi di contestarne l’ordine come riportato. Del resto non può negarsi l’assoluta casualità con cui le operazioni della medesima giornata vengono contabilizzate nell’estratto conto, considerato che nello stesso momento potrebbero incrociarsi operazioni compiute  da varie postazioni interne dell’Istituto di credito, con altre effettuate in via centralizzata ed automatica ed altre ancora eseguite  allo sportello dietro richiesta del cliente.

 

Rimesse non solutorie:  Storni - Anticipazioni - Giroconti - Partite bilanciate

Il Consulente tecnico nominato, dott.Luigi Gualerzi, ha calcolato le rimesse potenzialmente solutorie, sulla base dei criteri di datazione sopra indicati, quantificandole in £.61.593.282.240 (pag.46-64 dell’elaborato peritale).

La Banca convenuta, sia nella memoria ex art.180 c.p.c. del 21.1.2002 che nella memoria ex art.184 c.p.c. del 30.9.2002, ha affermato la sussistenza di una pluralità di pagamenti non solutori, di specifiche compensazioni ed operazioni bilanciate.

In primo luogo va senz’altro condivisa la non revocabilità dell’accredito effettuato sul c/c 13726 per £.700.000.000 in data 5.1.1995, trattandosi all’evidenza di uno storno contabile, un’operazione volta ad elidere una scorrettezza verificatasi il giorno precedente quando la banca, per errore materiale, aveva registrato due volte un addebito di £.700.000.000 a carico del cliente. Non trattandosi di un pagamento, l’importo indicato non è, per sua natura, revocabile.

Parte convenuta chiede altresì che sia affermata la non revocabilità dell’operazione in data 10.5.1995 di £.1.299.985.000, in quanto relativa ad un’anticipazione all’esportazione.

Ritiene il giudicante che la tesi non possa essere condivisa.   Le rimesse in conto effettuate per anticipazione su fatture all’esportazione non differiscono da altre forme di smobilizzo crediti (ad esempio, il cosiddetto “castelletto SBF”, piuttosto che l’anticipo del credito IVA),   e consistono in accrediti anticipati sul conto dell’importo dei crediti stessi o di parte di essi. Se dette  rimesse sono effettuate su conto corrente  scoperto, esse hanno natura solutoria, non rilevando la provenienza della provvista confluita sul conto, non potendo distinguersi l’ipotesi  di versamenti in contanti effettuati direttamente dal correntista piuttosto che di bonifici di somme provenienti da terzi o di ricavi conseguenti a smobilizzo di foglio o ancora di anticipi su fatture. E’ senz’altro vero che l’importo anticipato proviene dalla stessa Banca, ma il correntista ben avrebbe potuto riscuoterlo per cassa e depositarlo presso un altro Istituto. Viceversa egli ha scelto di versarlo sul conto corrente di cui oggi si discute, riducendone in tal modo lo scoperto. Si pensi che l’operazione di anticipazione avrebbe anche potuto essere compiuta presso una Banca diversa e poi l’importo anticipato da quell’altro Istituto di Credito versato da Belleli S.p.A. sul conto corrente in oggetto. Sempre si tratta di rimesse revocabili a tutti gli effetti.

Analogo discorso per l’operazione del 02.02.95, di £.1.500.000.000, relativa a (parte) dell’anticipo di un credito vantato da Belleli S.p.A. nei confronti dell’ENEL. Per questa rimessa valgono in buona sostanza le considerazioni appena svolte ed anch’essa, quindi, non può essere sottratta dalla normale revocabilità.

Quanto alle operazioni del 30.03.95 di £ 200.000.000, del 21.04.95 di £ 2.500.000.000, del 11.05.95 di £ 208.873.000 e del 01.07.95 di £ 48.658 esse sono accomunate dal fatto che la causale indicata sull’estratto conto è “giroconto” e per questa ragione  la Banca convenuta le considera non revocabili.

Osserva il giudicante che la causale indicata, nella pratica bancaria, viene utilizzata per qualsiasi trasferimento di fondi tra conti accesi presso la stessa banca, anche non dello stesso correntista. In assenza di specifica documentazione riguardante gli ipotetici conti di Belleli addebitati in contropartita, la prospettazione svolta non può essere condivisa.

Si esaminino ora le operazioni del 02.01.95 di £15.098.400, del 02.01.95 di £ 44.602.900 e del 02.01.95 di £468.200.000.

Per questi giroconti, contrariamente ai precedenti, è provata la contropartita costituita per tutti dal c/c n. 13863 di Belleli S.p.A. presso la stessa filiale della Banca.

Il CTU ha tuttavia riscontrato da un esame dell’andamento del c/c n.13863, nel periodo 2.1.1995-16.11.1995, che l’operatività di questo conto, partito con un saldo attivo prossimo allo zero, è consistita unicamente dall’arrivo di rimesse immediatamente (a distanza di pochi giorni e con valuta retrocessa) girate in misura esattamente identica al c/c n.13726, terminando poi con un saldo attivo prossimo allo zero. Il c/c n.13863 ha svolto quindi esclusivamente la mera funzione di conto di transito temporaneo, essendo le originarie rimesse destinate ab origine al conto 13.726 (pag.69-72 dell’elaborato). Ritiene il giudicante di condividere le risultanze sul punto della consulenza in atti, essendo evidente che  la rimessa giunta su un conto attivo e poi subito girata su un conto scoperto produce gli effetti finali della rimessa affluita su quest’ultimo conto, e conseguentemente deve ritenersi revocabile (in questo senso Cass.26.2.1999 n.1672, Trib.Milano 16.9.1993). Viceversa, con il semplice espediente dell’accensione di 2 conti correnti, non vi sarebbero mai rimesse di natura solutoria, bastando far giungere  su un primo conto attivo e non affidato tutte le rimesse “dall’esterno”, girocontare la disponibilità da questo al secondo conto passivo non affidato o affidato ma scoperto, e con quest’ultimo effettuare tutti i prelevamenti. Indipendentemente dal fido e dall’eventuale scoperto, anche estremamente rilevante, non vi sarebbero mai rimesse revocabili.

 

Passando all’esame delle cosiddette partite bilanciate deve ritenersi, in linea di principio, condivisibile l’orientamento giurisprudenziale per cui non sono revocabili, non avendo natura solutoria, le operazioni bilanciate e cioè quegli accrediti sul conto corrente effettuati dal correntista al fine di costituire la provvista per l’esecuzione di specifiche operazioni a debito, quali ordini di pagamento a favore di terzi, accettati ed eseguiti dalla banca (Cass.26.1.1999 n.686, Cass.17.7.1997 n.6558, Cass.17.12.1994 n.10.869, C.App.Milano 11.10.1994). Con tali operazioni la Banca non fa credito al correntista ma esegue un incarico ed il cliente, dal canto suo, non paga un debito ma somministra i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato (art.1720 c.c.).

L’onere della prova incombente sulla Banca non può, tuttavia, dirsi assolto con l’allegazione della mera coincidenza cronologica tra le operazioni di versamento e di pagamento, essendo necessaria la prova della chiara finalità dell’operazione, dovendo riscontrarsi che entrambe le partite siano state effettuate con una specifica ed inequivoca volontà del correntista.

L’indispensabilità di conoscere la natura dell’operazione giustificativa dell’accreditamento si impone proprio per stabilire se sia intervenuto un accordo tra il cliente e la banca che consenta di non considerare la somma versata sul c/c quale copertura, anche parziale, dello scoperto e di valutare quindi revocabile non già l’accreditamento sul c/c ma il pagamento effettuato con la somma accreditata dalla Banca per conto del cliente in favore di un terzo beneficiario.

Anche un lieve sfasamento temporale tra le operazioni, in sé, può non escludere il riscontro di partite bilanciate, purché emerga chiaramente il nesso logico tra le operazioni in termini di volontà.

Nel caso che si esamina le considerazioni testé svolte devono arricchirsi di ulteriori valutazioni, essendo emerse dall’analisi del conto corrente, dalle produzioni effettuate e dal testimoniale assunto, alcune peculiarità significative  del rapporto bancario di cui si discute, atte ad incidere sul riscontro di operazioni bilanciate.

E’ di conforto in questa impostazione una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass.21.5.2004 n.9698), ove si  specifica che i generali criteri acquisiti dalla giurisprudenza in tema di operazioni bilanciate non possono applicasi “ ad una situazione che, in ragione della sua oggettiva peculiarità, avrebbe richiesto una più accorta, o meno meccanica, trasposizione di principi ed un approccio non formalistico e, al contempo, più attento alla natura del fenomeno contrattuale esaminato”.

Orbene, nella vicenda che qui interessa, si è reso evidente a seguito dell’istruzione probatoria svolta che il conto corrente n° 13.726 era acceso presso il Credito Commerciale di Mantova, nell’agenzia presente proprio all’interno dello stabilimento Belleli S.p.A., ed in uscita era utilizzato, in via primaria, per il pagamento degli stipendi ai dipendenti ed i relativi contributi e ritenute fiscali e solo secondariamente vi transitavano altre operazioni. Queste ultime, comunque, quando riscontrate, erano normalmente verso altre società del Gruppo. Era assolutamente eccezionale, quindi, l’ utilizzo del conto per altri fini, quali ad esempio il pagamento di fornitori.

Conseguenza diretta di questo atteggiarsi del rapporto era che i prelievi avvenivano ogni mese, in ben precise scadenze concentrate in uno o due momenti (data di pagamento degli stipendi come da accordi sindacali, data di versamento delle trattenute al fisco ed agli enti previdenziali come per legge).

In entrata, analogamente, le rimesse affluivano pressoché sempre da altre società del Gruppo a mezzo giroconti, raramente dall’estero, praticamente mai da clienti.

Va ora considerato che la finanza di Belleli S.p.A. era gestita a livello di Gruppo, attraverso un sistema di budget finanziario intergruppo, coordinato dall’ufficio finanziario della Belleli Holding Industriale S.p.A.. Le operazioni bancarie delle varie società erano monitoriate dall’ufficio finanziario, il quale si occupava di spostare le liquidità esistenti tra le varie società, a seconda delle necessità, facendo affluire su determinati conti intestati ad una qualsiasi delle società del Gruppo, le risorse indispensabili, provenienti da altre società del Gruppo, per effettuare determinati pagamenti (v. testimonianze rag.B.Salvato, dott.A.Testoni).

E’ evidente quindi, che nel rapporto di conto corrente in esame, acceso presso l’Agenzia bancaria presente all’interno dello stabilimento e finalizzato al pagamento degli emolumenti dei dipendenti e dei relativi contribuiti, rispetto ad altri ipotetici conti correnti, dedicati ad altre funzioni, in essere presso altre Banche della piazza o fuori piazza, il riscontrare la presenza di un accredito per giroconto, in corrispondenza ad una prevista scadenza, per un importo analogo ad un pagamento da effettuare costituisce la fisiologia e non certo la patologia nella gestione del conto.

Ma non tutte le operazioni di questo tipo sono state ritenute bilanciate, considerandosi opportuna una ulteriore distinzione  a seconda della convinzione delle parti in ordine alla sussistenza di un affidamento al momento dell’effettuazione delle operazioni, e questo a prescindere dalla validità dello stesso o dalla sua opponibilità alla curatela. Per riscontrare, cioè, una volontà del correntista di finalizzare determinati versamenti a determinati prelievi, manifestata alla banca e da questa accettata, in assenza di specifica documentazione in proposito, si è ritenuto circostanza indispensabile che le rimesse siano confluite mentre il conto, nella prospettazione delle parti, era non solo passivo ma anche scoperto. Non appare infatti possibile, in assenza di ulteriori elementi di riscontro, ritenere che il correntista abbia concordato con la Banca una finalizzazione della rimessa quando sul conto vi era comunque una provvista sufficiente ad effettuare i pagamenti voluti. E’ il normale fluire del rapporto, nel tetto massimo consentito dall’affidamento, che consente un numero indefinito di operazioni in entrata ed in uscita senza necessità di alcun previo accordo tra le parti.

Premesso questo, anche la corrispondenza di date e di importi tra versamenti e prelievi assume, nella specie, una significatività minore rispetto a quella che può richiedersi per altri conti correnti con un’operatività tutta diversa. Ad esempio la precedenza della rimessa rispetto al prelievo non è stato valutato elemento imprescindibile, ovviamente a fronte di documentazione (es. contabili di altri Istituti) idonea a far ritenere che  la Banca abbia dato corso al pagamento, anche prima del pervenimento della provvista, ma solo dopo aver accertato che la stessa sarebbe giunta a brevissimo tempo. Viceversa sono state ritenute circostanze significative - sempre ai fini del riscontro di un accordo tra il correntista e la Banca per la destinazione specifica della rimessa -  la retrodatazione per valuta della  rimessa, con riconoscimento di pari valuta al beneficiario del prelievo, e il non aver la Banca eseguito immediatamente gli ordini del cliente, provvedendovi, anche a distanza di giorni o settimane, solo dopo l’acquisizione della rimessa a copertura. 

Condivise, pertanto, tutte le considerazioni svolte dal CTU dott.Gualerzi, ampiamente argomentate in maniera logica e coerente, va in primo luogo senz’altro riconosciuta la natura di operazioni bilanciata alla rimessa del 15.09.95 di £.5.000.000.000.

L’operazione è consistita nel trasferimento di fondi a disposizione di Belleli S.p.A. presso Banca di Roma S.p.A. sul conto corrente n° 13.726 presso Credito Commerciale S.p.A..

 In atti (doc.112 di parte convenuta) è una lettera con cui viene impartito l’ordine di trasferimento a Banca di Roma S.p.A. inviata, per conoscenza, anche al Credito Commerciale S.p.A.. In tale comunicazione, datata 11.09.95, si precisa che i fondi sono destinati <<esclusivamente al pagamento di salari e stipendi dei nostri dipendenti come da accordi intervenuti col sistema bancario>> e si chiede che all’operazione venga riconosciuta valuta 12.09.95. La Banca, che ha contabilizzato la rimessa il 15.09.95, a partire dal 14.09.95 e successivamente sino al 18.09.95, ha poi effettuato una serie di pagamenti, di importo complessivo ben superiore, come da svariati ordini ad essa trasmessi in precedenza, alcuni sin dal luglio 1995 ed ovviamente sino ad allora non evasi. Il conto, che partiva da una posizione di scoperto, lo risultava anche al termine di tutti i pagamenti. Il tenore letterale della missiva, soprattutto il contesto in cui è stata resa  -a quell’epoca erano ancora da pagare gli emolumenti dei dipendenti di Belleli S.p.A. di luglio ed agosto e il pagamento fu possibile solo dopo un accordo con il sistema bancario-, consente di affermare con ragionevole certezza che la partita sia bilanciata per l’intero importo.

Analogamente per tutte le altre rimesse, riassunte dal CTU da pag.174 a pag.176 dell’elaborato peritale, e definite come “operazioni bilanciate con probabilità alta”, quand’anche non siano stati prodotti documenti che espressamente descrivano la specifica destinazione degli importi pervenuti sul conto, ritiene questo giudice che, alla luce delle considerazioni sopra svolte, valutate e condivise tutte le peculiarità riscontrate dal consulente tecnico, esse possano essere considerate partite bilanciate e quindi rimesse non revocabili.

Al contrario, per le rimesse indicate dal consulente come “operazioni bilanciate con probabilità bassa”, al di là delle coincidenze temporali e della vicinanza degli importi, non sussistono elementi univoci agli atti che inducano a porre in consequenzialità le operazioni ed a riscontrare quella correlazione logica tra le partite  che consente di escludere il carattere solutorio delle rimesse.

Conclusivamente, alla luce delle considerazioni sino ad ora svolte, detratte dalle rimesse potenzialmente revocabili - per un importo complessivo di £.61.593.282.240 – tutte le rimesse di natura non solutoria individuate secondo i criteri sopra indicati, risultano revocabili rimesse per l’importo di £.27.657.718.701 (pag.177 dell’elaborato peritale).

 

Eventus damni

Non si pone in dubbio l’esistenza dell’eventus damni attesa la presunzione, prevista dal legislatore, di pregiudizio per i creditori  conseguente agli atti di disposizione del patrimonio compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento (Cass.12.1.2001 n.403, Cass.30.3.2000 n.3878).

 

 

Presupposto soggettivo dell’azione

Sotto questo profilo, l’indagine che  deve essere compiuta consiste nel riscontrare se la Banca, sulla base degli elementi conosciuti o conoscibili a sua disposizione, non poteva non rendersi conto dello stato di dissesto economico in cui versava il debitore.

In linea generale, essendo raro che la curatela fornisca elementi di prova diretta della scientia decoctionis (es. confessione, es. prove che consentano di riscontrare che l’accipiens era stato informato dal solvens della crisi dell’impresa), la prova è offerta per presunzioni, basata su elementi indiziari che  per assumere  significatività devono presentare i requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art.2729 c.c..

E’ pacifico in giurisprudenza che le presunzioni relative alla scientia decoctionis, quando parte convenuta è un Istituto di credito, devono essere valutate in maniera  rigorosa, trattandosi di un operatore economico dotato di speciale sensibilità critica e in condizione di apprezzare segnali che per altri operatori avrebbero scarso significato. Questo non solo perché, generalmente, l’operatore bancario rileva con più attenzione e con più prudenza di altri operatori economici gli elementi che possono denotare una crisi imprenditoriale dovendo preoccuparsi del recupero del credito erogato, ma anche perché svolgendo sovente la Banca un servizio di cassa ed avendo a disposizione i bilanci delle società, può valutare prima e meglio di chiunque altro quelle situazioni di illiquidità e di difficoltà economica tali da far presumere uno stato di insolvenza (Cass.21.1.2000 n.656, Cass.11.11.1998 n.11369, Cass.12.5.1998 n.4769).

Certamente, tuttavia, non è sufficiente la qualifica soggettiva del convenuto per ritenere sempre sussistente la conoscenza dello stato di insolvenza dei debitori falliti, essendo comunque  indispensabile l'accertamento in concreto di  elementi conosciuti o conoscibili che nello specifico caso rendano desumibile la scientia decoctionis.

Nella fattispecie in esame, all’esito dell’istruzione probatoria esperita, le circostanze emerse sono le seguenti:

 

1)    BILANCI

Conformemente alle istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia ed all’art.53 t.u.l.b. del 1993, la Banca convenuta ha richiesto annualmente alla società fallita i bilanci dell’impresa e consolidati del Gruppo.

Risultano agli atti i bilanci al 31.12.1992, al 31.12.1993, al 31.12.1994 della Belleli S.p.A. e consolidati del Gruppo al 31.12.1992 e al 31.12.1993.

Dalla consulenza tecnica espletata, che in parte è stata  finalizzata anche all’esame dei bilanci prodotti,  emergono in maniera chiara alcuni dati significativi ai fini che qui interessano.

Va certamente rilevato che  la comparabilità dello stato patrimoniale della Belleli S.p.A. al 1992 con quelli del 1993 e 1994 è fortemente influenzata dall’operazione di conferimento nella società fallita, con effetto dal 31.12.1993, di parte delle attività e delle passività della Belleli Impianti S.p.A. e della Belleli Industrie Meccaniche S.r.l., come si evince nella nota integrativa al bilancio 1993.

Il bilancio più significativo per l’indagine da svolgersi resta quello  al 31.12.1993, essendo presumibile che il bilancio al 31.12.1994 sia entrato nella disponibilità dell’Istituto di credito solo nell’estate del 1995, quando ormai buona parte delle rimesse di cui si discute era stata effettuata.

Tenuto conto anche questi aspetti, si ritiene che le conclusioni a cui è pervenuto il CTU dott. Luigi Gualerzi, anche con riguardo alle risultanze dei bilanci esaminati, possano essere pienamente condivise.

 In particolare il consulente è stato incaricato di riclassificare i bilanci della società fallita, determinando i principali i indici di bilancio – con specifico riferimento agli indici di liquidità, di indebitamento, di garanzia dei debiti a medio e lungo termine e quant’altro reputato significativo al fine richiesto – ponendo in risalto le risultanze sotto il profilo della composizione della liquidità, della struttura finanziaria e della redditività e riscontrando la rispondenza o meno degli indici  accertati rispetto agli standard di normalità.

Rientra nei compiti dell’Ufficio Fidi di ogni Istituto bancario effettuare un’analisi dei bilanci delle società con cui i rapporti sono intrattenuti e questo al fine di cogliere quelle informazioni,  circa la realtà aziendale, essenziali per l’istruzione delle pratiche di fido e per valutare, attraverso dati oggettivi, confrontabili con parametri standard e con clientela omogenea per dimensione e settore d’attività,  l’efficienza, la redditività, la liquidità e la consistenza patrimoniale del proprio cliente.

E’ anche lecito supporre che la struttura organizzativa dell’Istituto di Credito convenuto comprendesse un ufficio specializzato nella gestione dell’area grandi clienti – tra i quali verosimilmente rientrava Belleli S.p.A. se si considera la costante e rilevante esposizione debitoria evidenziata dagli estratti conto in atti -, appositamente predisposto per la cura dei rapporti con i clienti di maggiori dimensioni (la circostanza è stata confermata dai testi di parte convenuta Ferrarono Mario e Mognetti Giovanni). Ragionevolmente deve ritenersi che,in quella sede, vi fossero tutte le competenze ed esperienze necessarie per valutare la situazione della fallita ad un livello anche superiore a quello dell’operatore economico di media capacità del settore creditizio.

Il metodo più diffuso utilizzato per trarre dai bilanci le valutazioni indispensabili circa lo stato di salute delle aziende è l’analisi per indici, che si effettua calcolando rapporti tra valori ed altre quantità tratte dallo stato patrimoniale e dal conto economico in precedenza rielaborati.

 Circa gli indici riscontrati nel caso di specie, da pag. 180 a pag.206 dell’elaborato peritale, va evidenziato in particolar modo  quanto segue.

  Per quanto riguarda i bilanci di Belleli S.p.A.:

-il capitale circolante netto, che è dato dalla differenza fra le attività correnti e le passività correnti, e segnala la capacità dell’impresa di far fronte ai propri impegni finanziari di breve periodo con le risorse della gestione corrente, e per esservi equilibrio finanziario dovrebbe essere assolutamente positivo, mentre nella specie è ampiamente negativo (salvo per il 1994 in cui è positivo ma il valore è di scarsa entità);

- il margine di tesoreria, che è costituito dalla differenza tra le attività correnti al netto del magazzino e le passività correnti, e se negativo segnala difficoltà finanziarie dell’azienda nel breve periodo, è sempre ampiamente negativo per tutto il periodo esaminato;

osserva nello specifico il CTU che “I risultati dei due aggregati esaminati portano ad individuare una situazione di estrema difficoltà (univocamente per quanto riguarda il 1993, data di riferimento sicuramente di gran lunga più importante; solo un po’ mitigata per quanto riguarda il 1994 dal dato del capitale circolante netto), che non poteva certo passare inosservata al sistema bancario” (pag.185 dell’elaborato);

- l’indice di liquidità o acid test, che esprime la capacità dell’azienda di far fronte alle passività correnti ricorrendo unicamente alle liquidità immediate, al netto del magazzino (algebricamente è dato dal rapporto tra liquidità immediate e passività correnti), per l’intero periodo esaminato, presenta valori al di sotto degli standard di normalità;

- l’indice di disponibilità o current ratio, che individua la capacità dell’azienda di soddisfare l’indebitamento a breve attraverso le proprie attività correnti (algebricamente è dato dal rapporto tra attività correnti e passività correnti), riflette una situazione appena compatibile con il limite minimo degli standard di normalità;

- il margine di struttura di primo livello (Patrimonio netto – attivo immobilizzato) evidenzia la parte di attivo immobilizzato non coperta da patrimonio netto. Nel caso di specie tale margine assume valori negativi assai rilevanti, nel senso che, ad esempio nel 1993, su 494,7 miliardi di attivo immobilizzato solo 150,0 sono coperti da patrimonio netto, per cui la parte non coperta da patrimonio netto è pari a 344,7 miliardi (299,5 miliardi nel 1994);

- il margine di struttura di secondo livello, (Patrimonio netto + Passività consolidate – Attivo immobilizzato). In una struttura patrimoniale equilibrata l’attivo immobilizzato (cioè gli impieghi a medio/lungo termine) dovrebbe essere finanziato da fonti a medio/lungo termine, ossia dal patrimonio netto e dalle passività consolidate. Ebbene, nel caso di specie si evidenzia un forte squilibrio nel 1993, pari a 138,8 miliardi ed un sostanziale equilibrio nel 1994;

- l’indice di indebitamento, che evidenzia il peso dei mezzi propri nella copertura del capitale investito o totale attività (algebricamente è dato dal rapporto tra patrimonio netto e totale attività), si presenta lontano dagli standard di normalità, dimostrando una elevata dipendenza dell’azienda dai finanziamenti di terzi. E’ vero che il fenomeno della scarsa capitalizzazione è assai diffuso tra le aziende italiane, ma il caso in esame presenta comunque valori inferiori alle medie riscontrate;

- l’indice “Debt / Equity” (Debiti finanziari – Crediti finanziari) / Patrimonio netto. Anche tale indice, come il precedente, analizza l’indebitamento dell’azienda e la sua composizione. Qui, in particolare, si prende in considerazione la posizione finanziaria netta, costituita appunto dalla differenza tra crediti finanziari e debiti finanziari, e la si rapporta al patrimonio netto. Un valore elevato di tale indice, in particolare se maggiore di 1, significa un elevato ricorso dell’impresa al finanziamento oneroso di terzi rispetto al finanziamento con mezzi propri. Ciò può comportare difficoltà nel reperimento di ulteriori finanziamenti da terzi, segnatamente dal sistema bancario.  Nel caso di specie, sono stati determinati due distinti valori di tale indice: nel sottocaso (a) la voce “crediti finanziari” comprende i soli crediti denominati in bilancio “crediti finanziari”; nel sottocaso (b) la voce “crediti finanziari” comprende anche i crediti iscritti tra le immobilizzazioni finanziarie.  In entrambi i casi, comunque, si riscontrano valori assai elevati (1,68 e 1,35 nel sottocaso (a) e 1,17 e 0,88 nel sottocaso (b). Solo tale ultimo valore (0,88) si potrebbe considerare rientrante entro limiti accettabili;

- l’indice di garanzia dei debiti a medio e lungo termine, che segnala la possibilità della società di reperire ulteriore credito a medio e lungo termine (algebricamente è dato dal rapporto tra attività immobilizzate e passività consolidate), riflette valori lontani da quelli che caratterizzano una struttura equilibrata;

- il R.O.E. o redditività del capitale proprio, che è costituito dal rapporto fra utile d’esercizio e patrimonio netto ed indica, in buona sostanza, la redditività del capitale di rischio, cioè dei mezzi impiegati nell’azienda dai soci. Il valore dell’indice per essere soddisfacente dovrebbe essere almeno pari al tasso rappresentato dal costo del denaro a breve termine ed esente da rischi, ma nel periodo     esaminato    risulta ad esso inferiore;

- il R.O.I. o redditività del capitale investito, che è costituito dal rapporto fra reddito operativo (ossia il reddito prima delle imposte, degli oneri finanziari e degli oneri e /o proventi estranei alla gestione caratteristica dell’impresa) ed il totale delle  attività, ed esprime la redditività operativa del complesso del capitale investito nell’azienda, sia quello proprio che quello di terzi. Il valore minimo soddisfacente dell’indice dovrebbe consistere in una percentuale pari al tasso rappresentativo del costo medio del denaro (media di quello a rischio e a lungo termine, esente da rischio e a breve termine), ma nel periodo esaminato risulta  ad esso inferiore.

       Per quanto riguarda i bilanci consolidati del Gruppo:

- il capitale circolante netto risulta ampiamente negativo.

- il margine di tesoreria è sempre negativo;

Con riguardo a questi aggregati osserva il CTU “Se dal bilancio della S.p.A. si individuava una situazione di notevole difficoltà, dal bilancio consolidato emerge una situazione ancora peggiore, che non può certo passare inosservata al sistema bancario” (pag.195 della perizia).

- l’indice di liquidità secca o acid test, per l’intero biennio esaminato, presenta valori al di sotto degli standard di normalità;

- l’indice di disponibilità o current ratio per l’intero biennio esaminato, presenta valori inferiori agli standard di normalità;

- il margine di struttura di primo livello, che evidenzia la parte di attivo immobilizzato non coperta da patrimonio netto, assume valori negativi assai rilevanti, nel senso che: - nel 1992 su 644,1 miliardi di attivo immobilizzato solo 179,7 sono coperti da patrimonio netto, per cui la parte non coperta da patrimonio netto è pari a 464,4 miliardi; - nel 1993 su 743,4 miliardi di attivo immobilizzato solo 208,0 sono coperti da patrimonio netto, per cui la parte non coperta da patrimonio netto è pari a 535,4 miliardi;

- il margine di struttura di secondo livello In una struttura patrimoniale equilibrata l’attivo immobilizzato (cioè gli impieghi a medio/lungo termine) dovrebbe essere finanziato da fonti a medio/lungo termine, ossia dal patrimonio netto e dalle passività consolidate. Ebbene, nel caso di specie si ottiene ancora un forte squilibrio, pari rispettivamente a 270,9 miliardi nel 1992 ed a 159,8 miliardi nel 1993;

- l’indice di indebitamento, per l’intero biennio esaminato, riflette valori lontani dagli standard di normalità;

- l’indice “Debt / Equity”, presenta valori assai elevati, nettamente superiori a quelli riscontrati nella Belleli Spa, e nessuno di questi valori, a giudizio del CTU, si potrebbe considerare rientrante entro limiti accettabili;

- l’indice di garanzia  dei debiti a medio e lungo termine, presenta sempre valori lontani da quelli che caratterizzano una struttura equilibrata;

- il R.O.E. o redditività del capitale proprio è inferiore al minimo;

- il R.O.I. o redditività del capitale investito tende ad approssimarsi alla soglia accettabile.

Conclude il CTU affermando che, quand’anche a causa del conferimento di notevole entità effettuato in Belleli S.p.A. con effetto dal 31.12.1993 non sia particolarmente significativo il confronto tra i  dati di bilancio al 31.12.1992 e al 31.12.1993, ciò riguarda specificatamente la valutazione dei valori economici e dei trends evolutivi, mentre non impedisce  di formulare giudizi sulla situazione finanziaria e patrimoniale. Osserva quindi il dott.Gualerzi che “l’azienda era:

     non valutabile sotto il profilo della redditività (se non dopo l’acquisizione del bilancio del 1994), ad eccezione dei bilanci consolidati, che evidenziano una redditività, tutto sommato, soddisfacente (sicché un giudizio basato sull’analisi esclusivamente di Belleli Spa, senza il Gruppo, sarebbe inevitabilmente peggiore);

     decisamente sottocapitalizzata;

     caratterizzata da uno strutturale squilibrio tra fonti ed impieghi, nel senso di mancata corrispondenza tra durata delle fonti e durata degli impieghi;

     caratterizzata, soprattutto, da un forte squilibrio finanziario, che si evidenzia soprattutto nei valori assunti dal “margine di tesoreria” e dal “capitale circolante netto”.

Dopodiché, intendendo per standard di normalità quelli postulati ed accettati dalla migliore dottrina italiana ed internazionale e che sono stati singolarmente evidenziati precedentemente, si può tranquillamente affermare che Belleli Spa e il Gruppo Belleli se ne discostavano negativamente in misura sicuramente consistente. Tale scostamento negativo risultava vieppiù accentuato sotto il profilo finanziario e di liquidità”. Ed ancora, con riguardo al fatto Belleli era un’azienda unica nel panorama italiano e confrontabile solamente con altre 3 o 4 al mondo, sicché non le si potrebbero applicare i suaccennati standards, “Ritiene il CTU che tale singolarità possa e debba essere presa in considerazione soprattutto con riferimento agli aspetti economici, che però, guarda caso, erano proprio quelli dove tutto sommato, il quadro complessivo di Belleli non era completamente negativo.

Per quanto riguarda gli aspetti finanziari e patrimoniali, invece, determinati canoni, pur con tutte le riserve espresse sopra, devono intendersi universali (non può esistere un’azienda dove non sia negativo che i debiti a breve superino di gran lunga la somma di crediti a breve e liquidità ovvero che le attività immobilizzate siano finanziate in buona parte con fonti a breve termine, ecc.). Tutte le considerazioni svolte sopra, sull’anormalità generale del sistema industriale italiano e sulla situazione di Belleli peggiore rispetto a qualsiasi ipotesi di normalità, erano tranquillamente alla portata di qualsiasi operatore bancario” (pag.204-205 dell’elaborato).

Le considerazioni espresse vanno senz’altro condivise, in quanto la presenza di indici di bilancio generalmente lontani da standard di normalità soprattutto se soppesati congiuntamente agli altri elementi di valutazione - che pure l’Istituto possedeva, come in seguito si vedrà - non potevano non essere percepiti, già negli anni 1993 e 1994, come segnali di una grave crisi soprattutto finanziaria della società poi fallita.

 

2)    GARANZIE REALI

Il Fallimento attore ha altresì effettuato una molteplicità di produzioni documentali dalle quali è possibile desumere che la situazione di insolvenza della società fallita era, non solo conosciuta da chi aveva rapporti diretti con la Belleli S.p.A., come i fornitori abituali e gli Istituti di Credito, ma addirittura di pubblico dominio, all’epoca del pagamenti revocandi.

Innanzi tutto si considerino la pluralità di ipoteche iscritte sui beni della fallita (v.doc.22 del fascicolo di parte attrice e bilanci in atti), elemento a cui generalmente la giurisprudenza riconosce una  rilevanza presuntiva (Cass.23.1.1997 n.699, Cass.14.4.1983 n.2607,  Trib.Cagliari 26.2.1998).

Ha evidenziato il CTU che le ipoteche, congiuntamente alle altre garanzie reali prestate dalla società,  tra il 1992  e il 1994,   hanno subito un incremento notevole, passando da 179 miliardi nel 1993 e  260 miliardi nel 1994. Si tratta di valori di per sé significativi e che assumono ancora maggior pregnanza se rapportati all’ammontare complessivo delle attività. Una crescita così importate delle garanzie reali prestate è sintomo forte di una mutata e sempre minore affidabilità riconosciuta all’azienda proprio dal sistema bancario che dette garanzie ha preteso a sostegno dei finanziamenti erogati.

 

3) NOTIZIE DI STAMPA

Ulteriore segno esteriore dello stato di insolvenza a cui la giurisprudenza riconosce rilevanza presuntiva sono le notizie riportate dalla stampa nell’epoca di riferimento (Cass.7.2.2001 n.1719, Cass. 23.1.1997 n.699, Trib.Roma 31.1.1987).

Riguardo  gli articoli dei giornali prodotti, è interessante soffermarsi sullo specifico contenuto delle notizie divulgate che non poteva non destare  allarme nei creditori della società, soprattutto se significativamente esposti.

Giornali nazionali, quali il Corriere della Sera, Il Giorno, L’Unità, ed anche finanziari, come  Il Sole 24 Ore e Milano Finanza, hanno in più occasioni pubblicato articoli, sin dal 1994, in cui si evidenzia la tensione finanziaria della società e del Gruppo nonché la preoccupazione del sistema bancario per detta situazione aziendale, fino a che, nell’estate del 1995, hanno iniziato a riportare che la Belleli S.p.A. non erogava, se non con grandi ritardi, gli stipendi ed i salari dei dipendenti tanto di Mantova quanto di Taranto, e gli Istituti di credito stavano valutando ogni possibile rimedio al grave indebitamento del Gruppo, con l’affidamento dell’incarico all’advisor Vitale e Borghesi di redigere un piano di ristrutturazione industriale e finanziario dell’intero Gruppo.

Si consideri che il problema degli stipendi ed il rischio di licenziamenti era stato particolarmente avvertito a Mantova e a Taranto, città sedi degli stabilimenti Belleli, ove risultavano impiegati nell’insieme oltre 3000 dipendenti, e per questo le vicende relative all’andamento della società erano riportate con  frequenza, in particolar modo, nei giornali locali.

Riferiscono decine di articoli pubblicati sulla Gazzetta di Mantova e sulla Voce di Mantova che in questa città si susseguirono nell’estate del 1995 manifestazioni sindacali dentro e fuori gli stabilimenti, scioperi e persino interventi dell’amministrazione comunale, provinciale e regionale.

L’assiduità delle notizie ed il tenore complessivo delle stesse, quand’anche intervallate da qualche positiva descrizione delle acquisizioni di nuove commesse, aveva reso senz’altro di dominio pubblico la grave crisi economica e finanziaria del Gruppo e questo non solo nelle due città menzionate ma sull’intero territorio nazionale. Si pensi anche che gli Istituti di Credito generalmente sono particolarmente attenti alle notizie divulgate dai giornali in merito ai propri importanti clienti e questo proprio per acquisire il numero maggiore di elementi esterni di valutazione dell’andamento aziendale e non limitarsi alle informazioni fornite dal cliente stesso.

 

4) INTERVENTO DELL’ADVISOR

Nel maggio del 1995 alcune banche estere che operavano con il gruppo Belleli si erano rivolte alla Vitale Borghesi & C. S.p.A., primaria società di consulenza in ambito finanziario, affinché fosse offerto agli Istituti di credito un quadro indipendente della situazione economica e finanziaria del Gruppo (v. deposizioni dott.Arnaldo Testoni, rag.Bruno Salvato). Immediatamente la Vitale Borghesi  aveva preso contatto con tutte le banche con cui il Gruppo operava - compresa la convenuta – al fine di iniziare l’elaborazione di un piano di ristrutturazione finanziaria, ed il 1 agosto del 1995 aveva organizzato una riunione in Milano tra tutti gli Istituti di Credito per riferire sommariamente in ordine ai primi riscontri effettuati.

Nell'occasione è stata rappresentata la fragilità finanziaria del Gruppo, le difficoltà che incontrava nel far fronte a nuove commesse e a portare a termine le commesse già acquisite, e la possibilità di superamento della crisi e normalizzazione delle condizioni operative delle società solo a fronte di interventi di finanza straordinari a cui avrebbero dovuto partecipare pro-quota il maggior numero possibile di banche vicine al Gruppo (v. deposizione Arnaldo Testoni).

Il Credito Commerciale S.p.A. ha presenziato  a detta riunione (v.prospetto dei partecipanti in doc.17 di parte attrice),  ed in ogni caso ha ricevuto la notizia dell’esito attraverso la lettera del 3 agosto 1995 in atti ( sempre doc.17 di parte attrice). Il contenuto della missiva è inequivoco, la Vitale Borghesi ha riassunto in essa gli esiti della riunione e formalizzato la richiesta di finanziamenti: 1) di  £.9.000.000.000 con surroga sugli stipendi, 2) di £.36.000.000.000, garantito da crediti Enel, da altri crediti e da flussi delle commesse, 3) di £.70.000.000.000 a fronte di operazioni  straordinarie già avviate, 4) di £.70.000.000.000 a 5 anni. Garanzie offerte erano le fideiussioni personali della famiglia Belleli e pegni sul 100% delle azioni Belleli Industrie Meccaniche S.p.A. e sul 100% delle azioni di Nuova Cimimontubi Holding S.p.A..

Sugli esiti - per il rapporto bancario di cui si discute  - del conferimento del mandato all’advisor  e della riunione dallo stesso tenuta al sistema bancario, ha riferito il teste Mognetti Giovanni, di parte convenuta, “…Dopo la riunione a cui mi sono riferito la gestione del rapporto con la Belleli è stata avocata dalla Direzione Crediti di Parma ed ogni movimentazione del conto doveva essere autorizzata da loro, così pure eventuali richieste di finanziamenti ulteriori…”

 

5) REVOCHE DEGLI AFFIDAMENTI

La Curatela ha altresì documentato che  già a far tempo dall’autunno del 1993 almeno una quindicina di Istituti di Credito avevano revocato gli affidamenti in essere con il Gruppo Belleli chiedendo il sollecito rientro dall’esposizione debitoria ed in molti casi minacciando il ricorso ad una tutela giudiziale del credito.

Ciò significa che piccole e grandi banche di ogni parte d’Italia avevano colto i segnali della profonda crisi in cui la società di trovava ed avevano chiaramente percepito l’incapacità della Belleli S.p.A. di far fronte ai propri impegni.

 

6) SITUAZIONE DEL GRUPPO

Una breve riflessione si impone con riguardo alla rilevanza della conoscenza dello stato di insolvenza del Gruppo (v.sul punto Cass.20.5.1997 n.4473, Cass.3.6.1995 n.6285). Nelle considerazioni sino ad ora espresse si è più volte fatto riferimento alla conoscenza da parte dell’Istituto di credito della crisi del Gruppo più che della singola società qui interessata. Va osservato che il Gruppo Belleli svolgeva, in principalità, un’attività di fornitura e montaggio di impianti di grosse dimensioni (realizzazione di centrali elettriche convenzionali e centrali nucleari, piattaforme petrolifere, impianti petroliferi e petrolchimici, ecc.) attraverso l’acquisizione di commesse sia in Italia che all’estero. Pur mantenendo ciascuna società del Gruppo piena autonomia giuridica e patrimoniale, è evidente  che il fitto intreccio di legami gestionali, economici e finanziari tra la Holding e le società operative del Gruppo, in primis la Belleli S.p.A., esponeva ciascuna società del Gruppo ai contraccolpi derivanti dalla crisi  delle altre società. Questo collegamento tra la società fallita ed il Gruppo Belleli era necessariamente noto alla convenuta, sia emergendo dai bilanci della fallita e dai bilanci consolidati del Gruppo di cui si è detto, sia dalla circostanza che nelle notizie di stampa riferite alla Belleli S.p.A. erano spesso riportate anche le vicende del Gruppo nel suo complesso. Si pensi che la stessa merchant bank Vitale Borghesi & C. S.p.A., nel predisporre un progetto di finanza straordinaria da proporre alle banche, fa esclusivo riferimento al Gruppo Belleli nel suo complesso.

Si aggiunga poi la rilevanza del collegamento tra il Gruppo Belleli ed il Gruppo Interklim, entrambi facenti capo alla famiglia Belleli attraverso la holding Belleli Industrie Meccaniche S.p.A. (v. doc.10 di parte convenuta).

Le revoche degli affidamenti documentate e le notizie di stampa allegate dalla curatela evidenziano che pure il Gruppo Interklim già nel 1994 versava in una situazione di pesante crisi, tanto che  il 14.12.1995 anche la Interklim Sistemi S.r.l. era ammessa ad una procedura concorsuale, e nella specie al concordato preventivo. Le pesanti difficoltà del Gruppo Interklim erano senz’altro note alla Banca convenuta, se si considera che al momento della dichiarazione di Fallimento di Interklim Sistemi S.r.l. essa era creditrice nei confronti della società di Pavia per oltre £.6 miliardi (doc.24 di parte attrice).

 

7) APPALTI

Altro settore significativo per valutare la consapevolezza della reale situazione di crisi della fallita, è quello degli appalti.

L’acquisizione di commesse avveniva mediante una procedura che iniziava con l’iscrizione alla gara e col deposito di garanzia per la presentazione dell’offerta; in caso di aggiudicazione veniva corrisposto anticipo solo in presenza di advance payment (AP), performance bond (PB) e retention money (RT).

Come da prassi del settore, l’esecuzione delle opere ricevute in appalto veniva totalmente finanziata dagli istituti di credito, singolarmente o in pool, alla sola condizione che i pagamenti dei SAL confluissero sul conto aperto presso la banca capofila del finanziamento. Dall’istruzione testimoniale svolta è emerso che anche la convenuta partecipava a questi finanziamenti.

Nel corso del 1995, come in precedenza, Belleli S.p.A. aveva avuto l’opportunità di aggiudicarsi importanti commesse, che tuttavia non furono acquisite per mancata erogazione da parte delle Banche dei finanziamenti necessari.

Si consideri, ad esempio, la commessa denominata PP9, di cui parte convenuta ha documentato il risalto dato dalla stampa. E’ emerso in corso di causa che detta commessa non venne  acquisita da Belleli S.p.A. in quanto tutti gli Istituti di credito interpellati rifiutarono di rilasciare le garanzie richieste per £. 15 miliardi, su un ammontare complessivo dell’appalto di competenza della fallita di £. 316 miliardi.

Analogamente è avvenuto per l’appalto teso alla costruzione del ponte Oresund: non venne affidato a Belleli S.p.A. perché incapace di dimettere le fideiussioni bancarie necessarie per £.88 miliardi, a fronte di un valore dell’opera da realizzarsi di circa £.400 miliardi.

Trattandosi di operazioni ingenti, hanno riferito i testi escussi che la società fallita aveva contattato tutti gli Istituti bancari, della piazza e fuori piazza, e verosimilmente quindi anche la Banca convenuta, ma da tutti i nuovi finanziamenti erano stati negati.

 

8) DISLOCAZIONE DELL’AGENZIA E ANDAMENTO DEL CONTO

       Il conto corrente di cui si discute in causa era acceso presso l’agenzia del Credito Commerciale S.p.A. sita all’interno dello stabilimento Belleli S.p.A.. L’osservatorio privilegiato di cui godeva questo Istituto ne rende la situazione assolutamente particolare, atteso che prima di chiunque altro ha potuto riscontrare, anche visivamente,  il progredire della crisi in cui Belleli S.p.A. versava, gli scioperi del personale, le manifestazioni sindacali, le proteste dei fornitori. Si consideri poi che il rapporto bancario intrattenuto era finalizzato al pagamento degli emolumenti dei dipendenti e contributi connessi e quindi la convenuta ha potuto, addirittura prima delle maestranze di Belleli S.p.A., percepire le difficoltà finanziarie dell’azienda che – a fronte di un conto perennemente sconfinato (e questo anche considerando il ragguardevole fido che la Banca allega di aver concesso) –  ad un certo punto ha iniziato ad erogare in ritardo salari e stipendi (autunno 1994) sino ad essere costretta a sospenderne il pagamento (giugno 1995), dopo aver anche percorso la strada dell’alienazione di beni personali della famiglia Belleli. In particolare ha riferito il teste Salvato che “gli stipendi erano pagati in ritardo già dall’autunno del 1994. All’epoca era solo un problema  di valute, nei mesi la situazione si è aggravata al punto tale che gli stipendi non venivano pagati, nel mese di maggio se non dopo la copertura attraverso titoli personali del sig.Rodolfo Belleli e della moglie Luisa Perlin. Il 99% dei dipendenti aveva c/c con questo Istituto”. Ed ancora il teste Testoni “Preciso che ricordo gli avvisi, affissi in bacheca, fuori dall’Agenzia, con cui si comunicava ai dipendenti la postergazione del pagamento dei salari e stipendi”…, ed ancora “la situazione è andata progressivamente peggiorando tant’é che nel maggio del 1995 il sig.Belleli  ha messo in pegno alla Banca £.4.000.000.000 di suoi titoli (CCT) affinché l’Istituto concedesse un fido di pari importo da utilizzarsi per il pagamento dei salari di aprile o maggio. Questo importo non fu più restituito al sig.Rodolfo”. Anche il teste Mognetti, introdotto da parte convenuta, all’epoca dei fatti direttore della Filiale presso cui il conto era acceso,  ha dichiarato “Io sono giunto presso il Credito Commerciale al 1.2.1995. Sino ad aprile non vi sono state difficoltà nel pagare stipendi e contributi. Anzi preciso che da marzo erano pagati in ritardo perché non vi era provvista. Ad aprile o maggio ricordo che il sig.Rodolfo Belleli chiese un affidamento che venne garantito da pegno di titoli suoi. Con questo affidamento finanziammo una società del Gruppo per il pagamento degli stipendi. In seguito gli stipendi non furono più pagati sino ai primi di agosto quando, grazie ad un intervento straordinario di un pool di banche, furono pagati gli stipendi di giugno e luglio”.

 

Conclusivamente, se questa sopra descritta era la situazione in cui si trovava la Belleli S.p.A., se critici erano i dati emergenti dai bilanci consegnati alla Banca e se tanti altri erano i sintomi percepibili delle gravissime difficoltà dell’azienda e del Gruppo a cui apparteneva,  non rileva se nello specifico i vertici della Banca convenuta o i responsabili degli uffici fidi abbiano riscontrato alcuni o tutti gli elementi indiziari evidenziati, dovendo ritenersi che - attesa l’importanza della società fallita, nonché la pluralità ed eterogeneità dei segnali esteriori della crisi in cui versava -, la consapevolezza del dissesto non potesse che essere generalizzata e diffusa.

In particolare, a fronte di un conto  costantemente passivo per un ingente importo, a fronte delle evidenti difficoltà riscontrabili dalla convenuta nel pagamento di salari e stipendi, a  fronte di bilanci che rappresentano una situazione aziendale pesantemente compromessa, a fronte di un progressivo e rapido incremento delle garanzie reali prestate, a fronte di un evidente ritiro del credito bancario ed a fronte di notizie giornalistiche inquietanti, deve ritenersi che l’Ufficio Fidi del Credito Commerciale S.p.A., dotato di competenza specifica proprio nel monitorare l’andamento dei clienti della Banca, non potesse non avere contezza della precarietà della situazione finanziaria ed economica della società poi fallita.

Il fatto poi che l’Istituto non abbia ritenuto di risolvere il rapporto,  nonostante la consapevolezza della gravità della crisi in cui la Belleli S.p.A. si trovava, di per sé non costituisce prova dell’inscientia trattandosi di un comportamento equivoco, che non necessariamente denota fiducia nelle prospettive dell'impresa e sconoscenza delle condizioni patologiche  dell'affidata (Cass.3.4.2002 n.4759, Cass.8.1.1987 n.18). Esso può trovare giustificazione proprio in una valutazione ragionata della gravità della situazione, nella certezza che in assenza di ulteriore liquidità la debitrice sarebbe destinata al fallimento con inevitabile perdita, per la Banca, di tutto quanto sino a quel momento erogato.

 Peraltro verso va osservato che un favorevole giudizio prognostico in ordine alla possibile reversibilità della crisi in cui versa l’impresa – a cui accenna anche il CTU nella consulenza tecnica parlando di andamento economico che “poteva lasciare un po’ di speranza” (pag.205 dell’elaborato)- , e comunque opinione condivisa nel 1995 dal Tribunale di Mantova che ha ammesso Belleli S.p.A. alla procedura di amministrazione controllata, nulla rileva ai fini della conoscenza dello stato d’insolvenza, poiché la prospettiva di risanamento non incide sulla consapevolezza circa lo stato di grave crisi economica. Questo per il fatto che “insolvenza” e “temporanea difficoltà” sono nozioni che divergono solo per l’aspetto quantitativo, dovendo qualitativamente anche la “temporanea difficoltà” valutarsi “insolvenza”, in quanto coincidente con l’incapacità dell’impresa di far fronte regolarmente alla proprie obbligazioni (in questo senso si sono espresse sia la Corte di Cassazione che la Corte Costituzionale con riferimento alla retrodatazione del termine di esercizio della revocatoria in caso di consecuzione di procedure concorsuali, trovando la retrodatazione giustificazione proprio nel fatto che la dicotomia insolvenza sanabile/insanabile non incide sull'essenza del presupposto delle procedure concorsuali che consiste sempre nella patologia dell'impresa, lo stato di insolvenza del debitore v. Cass.29.9.1999 n.10792, Cass.21.2.1997 n.1612 e Corte Cost.n.110 del 1995, confermata nelle ordinanze n.224/1995 e n.12/1997).

Anche la previsione della possibilità di risolvere la crisi nel periodo massimo consentito per la procedura di amministrazione controllata non muta, dunque, l'oggettività del fenomeno che presuppone, cui si aggiunge un elemento valutativo ulteriore, necessario per l'apertura della procedura temporanea. Ma ciò non esclude l’identità qualitativa dei due presupposti oggettivi. Questa opinione, autorevolmente espressa dalla Corte di Cassazione  nella sentenza n.9581 del 1.10.1997, trova conforto nella Relazione Ministeriale  alla Legge Fallimentare (punto 41) che specificando il presupposto dell'amministrazione controllata descrive  una crisi dell'impresa tale da "rendere impossibile l'immediato e regolare soddisfacimento delle obbligazioni", utilizzando quindi espressioni analoghe alla impossibilità di adempiere con regolarità  alle obbligazioni assunte, con cui l'art.5 L.F. descrive il fenomeno dell'insolvenza.

Alla stessa considerazione si giunge osservando l’impianto del sistema fallimentare, laddove è prevista la dichiarazione di fallimento anche nel corso della  procedura di amministrazione controllata, sull'implicita identificazione di presupposti comuni, quando sia venuta meno la previsione di risoluzione della crisi (art. 188 che richiama l'art. 173 L.F., nonché art.192 L.F.).

 Se la dichiarazione di fallimento presuppone l'esistenza dello stato di insolvenza, tale dichiarazione nel corso dell'amministrazione controllata si giustifica proprio in quanto, nella ratio legis, anch’essa presuppone lo stato di insolvenza dell'impresa.

 

Tutte le circostanze sopra delineate  costituiscono indizi gravi, precisi e concordanti della scientia decoctionis in capo alla società convenuta e  denotano una conoscenza effettiva e non solo potenziale dell’insolvenza della società fallita quanto meno a far tempo dal novembre del 1994.

 

In accoglimento della domanda revocatoria formulata, devono essere revocati tutti i pagamenti eseguiti dalla Belleli S.p.A. al Credito Commerciale S.p.A. - di cui al prospetto da pag.46 a pag.63 dell’elaborato peritale del CTU dott. Luigi Gualerzi, con esclusione degli accrediti non aventi natura di rimesse, delle operazioni bilanciate “certe” e delle operazioni bilanciate con “probabilità alta”, di cui al prospetto da pag.173 a pag.176 - per complessivi €14.284.019,64 (pari a £.27.657.718.701) e  condannata la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza S.p.A. alla restituzione al fallimento attore dell’importo complessivo di  €14.284.019,64.

All’importo indicato vanno aggiunti gli interessi che, ex art.1224 II co. c.c., per il periodo 1 luglio 2001 / 30 aprile 2003 possono essere quantificati nella misura del 4,0255%, avendo la Curatela provato per detto periodo questa redditività dei depositi attivi del Fallimento (v.pag.45 dell’elaborato peritale).

Per gli ulteriori periodi, dalla domanda sino al saldo, sono unicamente dovuti gli interessi legali, in assenza di elementi probatori  forniti a riscontro del maggior danno subito.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

Le spese relative alla consulenza tecnica espletata nel corso del giudizio sono poste definitivamente a carico della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza S.p.A..