Tribunale di Mantova – Giudice unico Dr.
Laura De Simone – 3 ottobre 2005. (186) Revocatoria di rimesse in conto corrente bancario – Apertura di
credito – Modificazione del soggetto richiedente e dell’importo – Revisione
interna e nuova negoziazione. Ove, in relazione ad una concessione di fido, intervenga una
modificazione del soggetto giuridico richiedente, dell’importo richiesto ed
erogato per apertura di credito nonché del rapporto di conto corrente su cui
l’apertura è concessa, deve ritenersi che sia intervenuta non già una mera
“revisione interna” del rapporto di affidamento precedentemente in essere
bensì una nuova negoziazione. Revocatoria bancaria – Prova dell’apertura di credito – Produzione in giudizio della
richiesta di affidamento – Forma scritta – Insussistenza. Non può ritenersi che la produzione in giudizio della richiesta
di affidamento ad opera della parte che non l’ha sottoscritta determini il
perfezionamento del contratto nella forma documentale prescritta qualora la
produzione sia effettuata nel
giudizio promosso dopo il fallimento del sottoscrittore atteso che il
fallimento che agisce in revocatoria va considerato come terzo e non come
successore del fallito. Revocatoria bancaria – Apertura di credito - Annotazione sul libro fidi – Anteriorità
della vidimazione – Necessità. Le risultanze del libro fidi pur non essendo idonee a provare la
sussistenza di un contratto di concessione di credito tra la banca e
l’imprenditore poi fallito, possono rivestire efficacia probatoria, in
relazione alla data della stipula, solo laddove l’annotazione che interessa
sia anteriore ad una vidimazione di chiusura
a sua volta precedente la dichiarazione di fallimento. Revocatoria bancaria – Prova dell’apertura di credito – Prova testimoniale - Inammissibilità. E' inammissibile la prova testimoniale dedotta al fine di
dimostrare l'esistenza del contratto di affidamento sia in quanto non possono
provarsi per testimoni i contratti per i quali è prevista la forma scritta ad
substantiam sia in quanto non sono
stati dedotti quei fatti indicati nell’art. 2704 c.c. come idonei a fornire
la dimostrazione della data di formazione del documento. Revocatoria bancaria – Ricostruzione del saldo infragiornaliero – Criterio favorevole
alla banca – Adeguatezza. In assenza di prova fornita dal fallimento circa la cronologia
delle operazioni deve ritenersi, quanto ai saldi infragiornalieri, che il
criterio più prudente da utilizzare al fine di individuare le operazioni
revocabili, sia quello più favorevole alla banca dovendosi computare
prioritariamente tutte le rimesse a credito atteso che l’ordine delle
operazioni eseguite in un’unica giornata e riportate nell’estratto conto non
ne individua necessariamente la cronologia. Revocatoria bancaria – Accrediti per anticipazione su fatture – Natura solutoria - Sussistenza. Le rimesse in conto effettuate per anticipazione su fatture
all’esportazione non differiscono da altre forme di smobilizzo crediti (ad
esempio, il cosiddetto “castelletto SBF”, piuttosto che l’anticipo del
credito IVA) e consistono in accrediti anticipati sul conto dell’importo dei
crediti stessi o di parte di essi: se dette
rimesse sono effettuate su conto corrente scoperto, esse hanno natura solutoria,
non rilevando la provenienza della provvista confluita sul conto, non potendo
distinguersi l’ipotesi di versamenti
in contanti effettuati direttamente dal correntista da quella di bonifici di
somme provenienti da terzi o di ricavi conseguenti a smobilizzo di foglio o
ancora di anticipi su fatture. Revocatoria bancaria – Accrediti effettuati mediante giroconto – Prova dell’addebito
in contropartita - Necessità. La causale giroconto, nella pratica bancaria, viene utilizzata
per qualsiasi trasferimento di fondi tra conti accesi presso la stessa banca,
anche non dello stesso correntista: in assenza di specifica documentazione
riguardante i conti della società fallita addebitati in contropartita, tali
operazioni non possono ritenersi esenti da revocatoria. Revocatoria bancaria – Rimessa su conto attivo poi confluita su conto scoperto - Revocabilità. La rimessa giunta su un conto attivo e poi subito girata su un
conto scoperto produce gli effetti finali della rimessa affluita su
quest’ultimo conto e, conseguentemente, deve ritenersi revocabile. Revocatoria bancaria – Partite bilanciate – Natura solutoria - Esclusione. Non sono revocabili, non avendo natura solutoria, le operazioni
bilanciate e cioè quegli accrediti sul conto corrente effettuati dal correntista
al fine di costituire la provvista per l’esecuzione di specifiche operazioni
a debito atteso che, con tali operazioni, la banca non fa credito al
correntista ma esegue un incarico ed il cliente, dal canto suo, non paga un
debito ma somministra i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato. Revocatoria bancaria – Partite bilanciate – Prova dell’accordo tra banca e cliente
– Effettuazione della rimessa su
conto scoperto – Necessità – Retrodatazione per valuta ed esecuzione
dell’ordine dopo l’acquisizione della rimessa. L’onere della prova incombente sulla banca circa la natura
bilanciata della rimessa non può dirsi assolto con l’allegazione della mera
coincidenza cronologica tra le operazioni di versamento e di pagamento,
essendo necessaria la prova della chiara finalità dell’operazione, dovendo
riscontrarsi che entrambe le partite siano state effettuate con una specifica
ed inequivoca volontà del correntista e stabilire se sia intervenuto un accordo
tra il cliente e la banca che consenta di non considerare la somma versata
sul c/c quale copertura, anche parziale, dello scoperto e di valutare quindi
revocabile non già l’accreditamento sul c/c ma il pagamento effettuato con la
somma accreditata dalla Banca per conto del cliente in favore di un terzo
beneficiario. Al fine di riscontrare la volontà del correntista di finalizzare
determinati versamenti a determinati prelievi, in assenza di specifica
documentazione, è indispensabile che le rimesse siano confluite mentre il
conto, nella prospettazione delle parti, era non solo passivo ma anche
scoperto non apparendo possibile
ritenere che il correntista abbia concordato con la banca una
finalizzazione della rimessa quando sul conto vi era comunque una provvista
sufficiente ad effettuare i pagamenti voluti. Debbono ritenersi circostanze significative ai fini del
riscontro di un accordo tra il correntista e la banca per la destinazione
specifica della rimessa, la retrodatazione per valuta della rimessa, con riconoscimento di pari valuta
al beneficiario del prelievo, e il non aver la banca eseguito immediatamente
gli ordini del cliente, provvedendovi, anche a distanza di giorni o
settimane, solo dopo l’acquisizione della rimessa a copertura. Revocatoria bancaria – Andamento del conto
– Difficoltà nel pagamento di salari – Emergenze di bilancio – Incremento
delle garanzie reali – Revoca degli affidamenti – notizie stampa - Scientia
decoctionis – Sussistenza. Il conto costantemente passivo per un ingente importo, le
evidenti difficoltà riscontrabili dalla convenuta nel pagamento di salari e
stipendi, l'esistenza di bilanci raffiguranti una situazione aziendale
pesantemente compromessa ed il progressivo e rapido incremento delle garanzie
reali prestate, a fronte di un evidente ritiro del credito bancario ed a
fronte di notizie giornalistiche inquietanti, costituiscono elementi tali da
far ritenere l’ufficio fidi della banca,
dotato di competenza specifica proprio nel monitorare l’andamento dei
clienti, non potesse non avere contezza della precarietà della situazione
finanziaria ed economica della società poi fallita. Revocatoria bancaria – Consapevolezza dello
stato di crisi - Temporanea difficoltà e stato di insolvenza – Differenza. Il favorevole giudizio prognostico in ordine alla possibile reversibilità
della crisi in cui versa l’impresa, desumibile dall'ammissione della stessa
alla procedura di amministrazione controllata, non rileva ai fini della
mancata conoscenza dello stato d’insolvenza, poiché la prospettiva di
risanamento non incide sulla consapevolezza circa lo stato di grave crisi
economica costituendo l'insolvenza e la temporanea difficoltà nozioni che
divergono solo per l’aspetto quantitativo. SVOLGIMENTO DEL
PROCESSO Con atto di citazione notificato in
data 5 luglio 2001 il Fallimento Belleli S.p.A., in persona del curatore
fallimentare dott.Dante Lanfredi, conveniva in giudizio la Cassa di Risparmio
di Parma e Piacenza S.p.A., quale incorporante il Credito Commerciale S.p.A.
affinché fossero revocate, ai sensi dell’art.67 comma 2 L.F., le rimesse
eseguite dalla Belleli S.p.A. sul conto corrente bancario nn.13726 acceso presso l’Agenzia di Mantova del
Credito Commerciale S.p.A., nel periodo compreso tra il 16.11.1994 ed il
16.11.1995, per complessive £.58.410.594.585 (ora € 30.166.554,55). Esponeva il Fallimento attore che le
rimesse eseguite sul conto corrente acceso presso la convenuta
presentavano tutte natura solutoria,
essendo volte a ridurre l’esposizione maturata nei confronti della Banca in
assenza di un’apertura di credito opponibile alla curatela. Inoltre
l’Istituto di credito conosceva lo stato di insolvenza della Belleli S.p.A.,
essendo la situazione di decozione del Gruppo Belleli, a quell’epoca, ormai
nota a tutta l’opinione pubblica, per le allarmanti notizie di stampa
divulgate e per i numerosi (847) provvedimenti monitori esecutivi in corso.
Nello specifico, la Banca convenuta aveva sempre avuto un quadro effettivo e
completo della situazione finanziaria e patrimoniale dell’azienda,
avendo esaminato i bilanci della
società fallita e conoscendo necessariamente le molteplici iscrizioni di
ipoteche e di privilegi speciali risultanti dai pubblici registri, nonché la
revoca degli affidamenti alle varie società del Gruppo operata da diversi
Istituti di credito. Si costituiva ritualmente in giudizio
IntesaBci Gestione Crediti S.p.A., in qualità di procuratrice della convenuta
Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza S.p.A., eccependo preliminarmente la
nullità della domanda ex art.164 IV co. c.p.c., risultando incerta la determinazione
della cosa oggetto della domanda. Nel merito insisteva la Banca per il
rigetto della domanda proposta in assenza dei presupposti oggettivi e
soggettivi dell’azione. Osservava la convenuta che non poteva affermarsi la
natura solutoria delle rimesse indicate dalla curatela, atteso che la fallita godeva di affidamenti, ed
ancora che molte delle operazioni di cui era chiesta la revoca dovevano
considerarsi bilanciate o compensate con altre. Rilevava, infine, di non aver
conosciuto lo stato di insolvenza della Belleli S.p.A. e che la
documentazione dimessa dal Fallimento sul punto non poteva ritenersi idonea
prova dell’assunto. Nel corso del procedimento era dato
parziale ingresso alle prove orali dedotte da parte attrice ed era espletata
una consulenza tecnica di natura contabile. Sulle conclusioni delle parti come
sopra rassegnate la causa veniva trattenuta per la decisione all’udienza del
21.4.2005, ove era concesso alle stesse il termine di cui all’art.190 c.p.c.
per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. MOTIVI DELLA
DECISIONE Preliminarmente devono essere
ribadite le considerazioni già svolte nel corso del procedimento,
nell’ordinanza del 22 febbraio 2002, con riguardo all’eccezione di nullità
dell’atto di citazione per mancata determinazione della cosa oggetto della
domanda (art.163 n.3 c.p.c.) e mancata esposizione dei fatti e degli elementi
di diritto costituenti l’oggetto della domanda (art.163 n.4 c.p.c.) e, nella
specie, per mancata indicazione delle singole rimesse ritenute revocabili da
parte del Fallimento. Rileva il giudicante che,
contrariamente all’assunto dell’Istituto di Credito convenuto, l’atto di
citazione specifica in maniera adeguata le rimesse aventi connotati solutori
revocabili ex art.67 L.F., attraverso il richiamo ad un prospetto contabile
allegato (doc.6, 6bis, 6ter), da considerarsi parte integrante dell’atto
introduttivo e da valutarsi unitamente agli estratti conto relativi ai
singoli conti correnti del periodo interessato (doc.3,4,5). Per giurisprudenza
consolidata della Suprema Corte deve ritenersi possibile l’individuazione per
relationem dell’oggetto della domanda, atteso l’idoneità di tale modus operandi a consentire un’adeguata
difesa del soggetto evocato in giudizio (Cass.27.11.1999 n.850). La giurisprudenza
di merito richiamata da parte convenuta, conosciuta e condivisa da questo
giudicante, attiene ad ipotesi, tutt’affatto diverse da quella in esame, in
cui l’atto di citazione proposto dalla curatela fallimentare non contiene
alcuna indicazione, neppure sintetica o per relationem delle rimesse da
dichiararsi inefficaci, per cui effettivamente né il giudice, né la
controparte sono posti nella condizione di conoscere con determinatezza gli
estremi della controversia. Alla luce di queste considerazioni
l’eccezione indicata non può che essere rigettata. Passando al merito deve osservarsi
che, secondo la distribuzione dell’onere probatorio sancita dall’art.67 L.F., la Curatela fallimentare deve
dimostrare l’esistenza delle rimesse, l’effettuazione delle stesse nel
periodo sospetto, nonché la scientia decoctionis da parte della Banca, mentre
quest’ultima ha l’onere di provare la natura non solutoria dei versamenti, documentando
l’esistenza, all’epoca delle rimesse, di un contratto di apertura di credito
e/o eventualmente la presenza di operazioni bilanciate e/o compensabili con
altre. Profilo temporale Sotto il profilo temporale i limiti
posti dall’art.67 II co. L.F. debbono ritenersi rispettati atteso che, nel
caso di consecuzione di procedure concorsuali, per giurisprudenza consolidata
e condivisibile, il termine a ritroso per la revoca dei pagamenti compiuti
dall’imprenditore decorre dalla data del provvedimento di ammissione alla
prima procedura -nel caso di specie l’amministrazione controllata a cui la
Belleli S.p.A. è stata ammessa con decreto del 16.11.1995 - (Cass.2.9.1996
n.7994, Cass.6.6.1997 n.5071- nello stesso senso Corte Costituzionale nella
sentenza n.110/1995 e nelle ordinanze n.224/1995 e n.12/1997). Presupposto oggettivo dell’azione Sussistenza di rimesse revocabili- Contratto di apertura di
credito – Opponibilità alla curatela Poiché la revocatoria di cui al
secondo comma dell'art.67 L.F. colpisce i pagamenti dei debiti liquidi ed esigibili,
con riguardo alla revoca di rimesse in conto corrente, assumono
rilevanza solamente le rimesse
compiute su conto scoperto, vale a dire passivo non affidato oppure passivo
oltre l'affidamento concesso dalla banca. L'orientamento giurisprudenziale
ormai consolidato e qui condiviso è stato introdotto dalla Corte di
Cassazione con la sentenza 18.10.1982 n.5413, ove si osservava che
“nell'ipotesi di conto corrente
bancario in cui la provvista sia costituita da un'apertura di credito, ai fini della revocatoria fallimentare, nei
confronti della banca,
dei versamenti effettuati sul suo
conto dal correntista poi fallito (o
da terzi), è necessario che dallo svolgimento
del conto rimanga accertato che, nel periodo
considerato dall'art. 67,
comma 2, della
legge fallimentare, si
sia verificato (per
l'utilizzazione fattane dal
correntista) uno " scoperto
" del conto per avere la banca pagato, per conto del
cliente, una somma superiore a quella postagli a disposizione e che il successivo versamento sia stato imputato dalla banca
a pagamento del relativo debito sorto in capo al correntista (stante l'immediata esigibilità del corrispondente credito): solo in questo caso, infatti,
può farsi luogo alla revocatoria,
poiché, ove tale scoperto non si sia
verificato, il versamento nel conto (si tratti di
un versamento in
contanti del correntista, o
di un bonifico di somme
provenienti da terzi, ovvero
di un giroconto)
configura un mero accreditamento di
somme per la reintegrazione della somma posta dalla banca a disposizione del correntista, di volta in volta
decurtata da operazioni passive, che,
in sé stesso, non è atto
né gratuito, né oneroso e, quindi, non è soggetto
alla revocatoria fallimentare, consistendo, invece,
in una mera operazione contabile” (nello stesso
senso più di recente a solo titolo esemplificativo Cass. 26.2.1999 n.1672,
Cass.26.8.1996 n.7829, Cass.22.3.1994 n.2744, Trib.Milano 21.2.2002). La Banca, quindi, che allega di aver
concesso un fido al cliente poi fallito, deve prima di tutto provare la
sussistenza del dedotto affidamento, affinché le rimesse sul conto nel
periodo sospetto possano ritenersi ripristinatorie di una provvista e non già
solutorie. A tal fine parte convenuta produce:
1) proposta di fido fuori autonomia avanzata alla Direzione centrale servizio
fidi dal Direttore della Filiale di Mantova relativamente al c/c 13863, datata
13.2.1992 (doc.11), 2) estratto autentico effettuato il 25.2.2002 delle pagine
430 e 1000 del Libro Fidi del Credito Commerciale S.p.A., la cui vidimazione
iniziale è del 19.12.1991 (doc.12), 3) stampa delle variazioni fidi/garanzie
del c/c 13863 del 4.6.1992 (doc.13), 4) estratto autentico effettuato il
25.2.2002 delle pagine 283 e 1000 del Libro Fidi del Credito Commerciale
S.p.A., la cui vidimazione iniziale è del 26.6.1992 (doc.14), 5) estratto
autentico effettuato il 25.2.2002 delle pagine 357 e 1000 del Libro Fidi del
Credito Commerciale S.p.A., la cui vidimazione iniziale è del 17.5.1993
(doc.15), 6) proposte di fido fuori autonomia avanzata alla Direzione
centrale servizio fidi dal Direttore della Filiale di Mantova relativamente
al c/c 13863, datate 17.11.1993 e 14.6.1993 (doc.16), 7) richiesta di
concessione di fido datata 7.2.1994
(doc.17), 8) proposta di fido
fuori autonomia avanzata alla Direzione centrale servizio fidi dal Direttore
della Filiale di Mantova datata 25.2.1994 relativa al c/c 13726 (doc.18), 9)
estratto autentico del 25.2.2002 delle pagine 195 e 1000 del Libro Fidi del
Credito Commerciale S.p.A., la cui vidimazione iniziale è stata effettuata in
data 5.11.1993 (doc.19), 10) proposta di fido fuori autonomia avanzata alla
Direzione centrale servizio fidi dal Direttore della Filiale di Mantova
datata 30.11.1994 relativa al c/c 13726 (doc.20), 11) estratto autentico
effettuato il 25.2.2002 delle pagine 91 e 1000 del Libro Fidi del Credito
Commerciale S.p.A., la cui vidimazione iniziale è dell’ 1.6.1994 (doc.21),
12) stampa delle variazioni fidi/garanzie dell’1.12.1994 relativa al c/c
13726 (doc.22), 13) estratto autentico effettuato il 27.11.2001 delle pagine
182 e 1000 del Libro Fidi del Credito Commerciale S.p.A., la cui vidimazione
iniziale è del 1.2.1995 (doc.23), 14) stampa delle variazioni fidi/garanzie
del 3.5.1995 relativa al c/c 13726 (doc.24), 15) stampa delle variazioni fidi/garanzie
dell’8.5.1995 relativa al c/c 13726 (doc.25, 26), 16) proposta di fido fuori
autonomia avanzata alla Direzione centrale servizio fidi dal Direttore della
Filiale di Mantova datata 28.7.1995 relativa al c/c 13726 (doc.27), 17)
estratto autentico effettuato il 27.11.2001 delle pagine 848, 849 e 1000 del
Libro Fidi del Credito Commerciale S.p.A., la cui vidimazione iniziale è del
1.2.1995 (doc.28), 18) stampa delle variazioni fidi/garanzie del 4.8.1995
relativa al c/c 13726 (doc.29), 20) mandato di credito della Belleli Holding
Industriale S.p.A. del 27.3.1995. La curatela deduce che le scritture
prodotte non documentano l’esistenza di un contratto scritto di apertura di
credito – indispensabile ex art.117 D.Lgs.1.9.1993 n.385 - e comunque non
hanno data certa opponibile al Fallimento. Rileva questo giudice che è con
l’entrata in vigore dell’art.3 della L.17.2.1992 n.154 – poi recepito
nell’art.117 del T.U. D.lgs.1.9.1993 n.385 – che il contratto di apertura di
credito, così come tutti i contratti bancari, deve necessariamente stipularsi
per iscritto, a pena di nullità (III
comma dell’articolo citato). Precedentemente all’introduzione
della normativa indicata non vi era
alcun obbligo di forma ed espressamente l’art.161 D.L.385/1993 specifica che
i contratti già conclusi restano regolati dalle norme anteriori. Senz’altro, quindi, per i contratti
bancari stipulati prima del luglio del 1992 trova applicazione il principio
generale della libertà di forma. Va osservato, tuttavia, che nel caso
di specie il rapporto di cui si discute intercorso tra la società fallita ed
il Credito Commerciale S.p.A. non solo nel corso degli anni ha subito revisioni
periodiche e modificazioni con riguardo agli importi erogati, ma addirittura
è mutato il soggetto titolare del rapporto ed il c/c su cui l’apertura di credito concessa era
resa utilizzabile. Se si esamina attentamente la documentazione dimessa – a
prescindere quindi dall’ opponibilità della stessa alla Curatela, di cui si
dirà oltre -si evidenzia che, nella stessa prospettazione della convenuta,
già nel febbraio del 1992 era concessa un’apertura di credito per
£.1.500.000.000 in c/c sul c/c 13863 (doc. da 11 a 16), mentre nel febbraio
del 1994 Belleli S.p.A. avrebbe richiesto un incremento dell’importo concessole
per apertura di credito, passando da £.1.500.000.000 di affidamento a
£.2.500.000.000 (doc.17), ed il fido richiesto sarebbe stato proposto dalla
Filiale di Mantova ed approvato dalla Direzione Centrale del Credito
Commerciale S.p.A. il 20.4.1994 sul c/c 13726 (doc.18 e 19). Successivamente
poi, su questo stesso c/c l’affidamento sarebbe stato riconfermato con
delibera del 30.11.1994, ridotto a £.2.000.000.000 per apertura di credito
con delibera del 30.4.1995 e riconfermato per lo stesso importo il 1.8.1995. Va a questo punto notato che dalla
documentazione in atti emerge altresì che la società Belleli S.p.A., affidata
dal Credito Commerciale S.p.A. sino al 1993, non è la stessa Belleli S.p.A.
di cui alla domanda di concessione di fido del 7.2.1994. Dall’allegato 1
della Relazione del Commissario giudiziale ex art.172 L.F. nella procedura di
amministrazione controllata (doc.7), nonché dai bilanci di Belleli S.p.A. e consolidati
del Gruppo, si ricava che nel 1993 Belleli S.p.A. modifica la propria
denominazione sociale in Belleli Impianti S.p.A., Belleli Impianti S.p.A.
acquista da Finmeccanica il 20% della Belleli Industrie Meccaniche S.r.l.,
S.M.S.I. S.r.l. modifica la propria denominazione sociale prima in Belleli
S.r.l. e poi in Belleli S.p.A.. Belleli Impianti S.p.A. e Belleli Industrie
Meccaniche S.r.l. conferiscono i propri rami aziendali alla nuova Belleli
S.p.A. aumentando il capitale sociale da 25 a 50 miliardi di lire. Nel 1994
poi Belleli Impianti S.p.A. e Belleli Industrie Meccaniche S.r.l. vengono
incorporate per fusione in Belleli Holding Industriale S.p.A.. La Banca convenuta era a conoscenza
del mutato soggetto giuridico, tanto che in seguito alla richiesta di
concessione di fido formulata dalla “nuova” Belleli S.p.A., nella proposta di
fido fuori autonomia avanzata dalla Filiale di Mantova (doc.18) si legge:
“…La Belleli S.p.A. (nuova società) potrà quindi godere per patrimonialità e
dai operativi di un’immagine consona all’attività svolta…Ci viene quindi
richiesto di fare confluire gli attuali affidamenti/esposizioni sulla nuova
società…” Orbene, è evidente che nella specie,
con riferimento in particolare alla richiesta di concessione fido del
7.2.1994 (doc.17), considerato che interviene una modificazione tanto del soggetto
giuridico richiedente, quanto dell’importo richiesto ed erogato per apertura
di credito, quanto infine del rapporto di conto corrente su cui l’apertura è
concessa, non può parlarsi di “revisione interna” del rapporto di affidamento
precedentemente in essere, dovendo considerarsi intervenuta una nuova
negoziazione tra le parti, con rinnovato esercizio dell’autonomia
contrattuale. Preme sottolineare che nel febbraio del 1994 un soggetto
giuridico denominato Belleli S.p.A.,
ma diverso dal precedente, chiede alla Banca convenuta un affidamento per apertura
di credito su un conto corrente differente da quello in precedenza affidato
ed intestato alla “vecchia” Belleli S.p.A. e per un importo non
corrispondente a quello precedentemente
a questa erogato. E’ vero anche che un ramo di azienda
della “vecchia” Belleli S.p.A. confluisce nella “nuova” Belleli S.p.A., ma a
prescindere dal fatto che non vi sono elementi in atti che consentano di ritenere
che il rapporto bancario di cui si discute fosse attinente al ramo d’azienda
ceduto, ai sensi e per gli effetti di cui all’art.2558 c.c., è indiscutibile
che l’affidamento del rapporto di c/c n.13726, su cui sono confluite le
rimesse di cui si chiede la revoca in questa sede, è stato richiesto e
concesso nel 1994 alla “nuova” Belleli S.p.A.. Ciò avrebbe dovuto comportare una
stipulazione in forma scritta, alla luce delle disposizioni legislative nel
frattempo emanate (in data 1.1.1994 era entrato in vigore il D.lgs.1.9.1993
n.385). Così però non è stato, se si
considera che la richiesta di concessione di fido datata 7.2.1994 - invero
formulata per iscritto dalla Belleli S.p.A. - non è stata sottoscritta per
accettazione dal Credito Commerciale S.p.A. Non può, d’altro canto, ritenersi che
la produzione in giudizio della richiesta di affidamento ad opera della parte
che non l’ha sottoscritta determini il perfezionamento del contratto nella
forma documentale prescritta, qualora la produzione sia effettuata – come nel
caso in esame - nel giudizio promosso dopo il fallimento del sottoscrittore,
per di più dallo stesso Fallimento
del proponente che agisce in revocatoria, e quindi non come successore del
fallito ma come terzo. Si consideri poi che, in ogni caso,
la Banca convenuta non solo doveva provare per iscritto la conclusione del
contratto di affidamento di cui alla proposta del 7.2.1994, ma anche che la
data di redazione dello stesso fosse efficace nei confronti del Fallimento
attore. E’ pacifico in giurisprudenza che nell’esercizio dell’azione
revocatoria fallimentare il curatore si pone come terzo, in quanto
rappresenta non già il fallito ma la massa dei creditori (Cass.15.1.2003
n.520, Cass.30.1.1995 n.1.110), e conseguentemente l’opponibilità delle scritture
prodotte nei confronti del Fallimento è regolata dal disposto dell’art.2704
c.c.. I documenti allegati dall’Istituto di
credito convenuto non rispettano i requisiti previsti dalla norma indicata
trattandosi di scritture non autenticate, non registrate, non riprodotte in
atti pubblici e non essendo intervenuta la morte o altra sopravvenuta
impossibilità fisica di coloro che le
hanno sottoscritte o qualsiasi altro
fatto che stabilisca in modo certo l’anteriorità della formazione del
documento rispetto ai pagamenti revocandi. Per quanto specificatamente riguarda
le risultanze del libro fidi, quand’anche si tratti di atti interni alla
banca che di per sé non provano la sussistenza di un contratto di concessione
di credito tra la banca e l’imprenditore poi fallito, esse potrebbero
rivestire efficacia probatoria, in relazione alla data della stipula, solo
laddove l’annotazione che interessa fosse anteriore ad una vidimazione di
chiusura a sua volta precedente la
dichiarazione di fallimento. Nella specie l’affidamento concesso, di cui alla
richiesta del 7.2.1994, è riportato alla pagina 195 di un Libro Fidi – il cui
numero non è indicato - , che reca vidimazione iniziale in data 5.11.1993 e
nessuna vidimazione finale. Per le successive modificazioni di detto
affidamento poi, per cui manca del tutto il contratto scritto - quand’anche
siano dedotte essere del 30.11.1994, 30.4.1995 e del 1.8.1995 - la prova
offerta è esclusivamente quella dell’estratto autentico di Libri Fidi
(doc.21, 23, 28), di cui sempre si evidenziano le varie vidimazioni iniziali
ma mai quelle finali in epoca precedente il fallimento. Va anche ribadita l’inammissibilità
della prova testimoniale dedotta sul punto
– in ordine alla quale questo giudice si è già espresso nel corso del
procedimento con ordinanza depositata l’11.11.2002 -, sia in quanto non
possono provarsi per testimoni i contratti per i quali è prevista la forma
scritta ad substantiam (art.2725 c.c.), sia in quanto non sono stati dedotti
quei fatti indicati nell’art.2704 c.c. idonei a fornire la dimostrazione
della data di formazione del documento (Cass.4.6.1986 n.3742). Né può ritenersi che elementi
significativi per attribuire certezza alla data di conclusione del contratto
di apertura di credito emergano dagli estratti conto in atti. E’vero che
questi non sono contestati e dai medesimi
si evince che il c/c de quo,
nel periodo di interesse, presenta sempre un saldo negativo di oltre
£.2.000.000.000, ma nulla in essi è riportato che documenti l’apertura di
credito in essere, la sua entità e decorrenza. Conclusivamente, in assenza di prova
in ordine alla sussistenza di un affidamento provvisto di data certa
anteriore al fallimento, tutte le rimesse affluite sul conto corrente con saldo passivo devono considerarsi come
solutorie e non già ripristinatorie della provvista, assumendo la veste di pagamenti rilevanti ai fini
della revocatoria fallimentare. Saldi di riferimento-criterio del saldo finale giornaliero Al fine di determinare l’andamento del
conto al momento dell’effettuazione delle rimesse della cui revocabilità di
discute, questo Giudice ha ritenuto di aderire all’indirizzo ormai
consolidato della Corte di Cassazione
secondo cui deve farsi riferimento al saldo disponibile, risultante dalla
interpolazione del saldo contabile (per tutte le operazioni a debito e per i
versamenti in contanti e per i bonifici) e del saldo per valuta (per gli
accrediti di titoli di terzi), salva la prova in questo secondo caso
dell’anteriorità dell’incasso rispetto alla valuta o comunque
dell’anteriorità della disponibilità da parte del cliente (Cass.22.3.1994
n.2744, Cass.19.1.1998 n.462, Cass.26.1.1999 n.686). Nel caso in esame la Banca convenuta
ha dedotto, per alcune operazioni, una data di disponibilità diversa da
quella indicata in via presuntiva e addirittura precedente a quella
dell’annotazione delle somme sul conto. Il CTU nominato, tuttavia, ha
puntualmente riscontrato tutte le contabili prodotte in merito ed ha escluso
la congruità della documentazione presentata dall’Istituto di Credito a
provare l’effettiva disponibilità degli importi da parte del correntista
nelle diverse date indicate dalla Banca (pag.21-27 dell’elaborato). Le
conclusioni a cui è pervenuto il CTU, in quanto adeguatamente motivate, possono
essere condivise. Si rileva, in ogni caso, che la questione nella specie è di
scarso pregio, posto che nella sostanza la differente datazione non ha
comportato una modificazione dell’importo complessivo delle rimesse
revocabili. Per ciò che riguarda i saldi
infragiornalieri si ritiene che il criterio più prudente da utilizzare, in
assenza di prova fornita dal Fallimento circa la cronologia delle operazioni,
sia quello più favorevole alla Banca computando prioritariamente tutte le
rimesse a credito (Cass.17.12.1994 n.10.869, Trib.Napoli 15.3.2002,
Trib.Torino 24.5.1999). Non appare, in particolare, condivisibile l’orientamento del Tribunale di Milano che, in
assenza di prova contraria, quando in una medesima giornata sono eseguite
plurime operazioni disegno opposto, considera i movimenti secondo l’ordine
indicato nell’estratto conto, sulla considerazione che l’estratto conto è il documento che viene inviato al
correntista e che, se non è contestato, deve considerarsi approvato dal
cliente (Trib.Milano 30.7.2001, Trib.Milano 16.11.1989). Questo giudice ritiene che l’ordine
delle operazioni eseguite in un’unica giornata e riportate nell’estratto
conto non necessariamente individui la cronologia delle singole operazioni, non assumendo alcun rilevo in proposito la
mancata contestazione dell’estratto conto, che è da riferirsi unicamente alle operazioni di addebito e di accredito
nella loro realtà fattuale. Il dato temporale delle operazioni
infragiornaliere nell’estratto conto rimane generalmente equivoco, non
essendo nella maggior parte dei casi consentito neppure al correntista
riscontrare l’orario esatto in cui le singole operazioni sono state compiute
dalla Banca e quindi di contestarne l’ordine come riportato. Del resto non
può negarsi l’assoluta casualità con cui le operazioni della medesima
giornata vengono contabilizzate nell’estratto conto, considerato che nello
stesso momento potrebbero incrociarsi operazioni compiute da varie postazioni interne dell’Istituto
di credito, con altre effettuate in via centralizzata ed automatica ed altre
ancora eseguite allo sportello dietro
richiesta del cliente. Rimesse non solutorie:
Storni - Anticipazioni - Giroconti - Partite bilanciate Il Consulente tecnico nominato,
dott.Luigi Gualerzi, ha calcolato le rimesse potenzialmente solutorie, sulla
base dei criteri di datazione sopra indicati, quantificandole in
£.61.593.282.240 (pag.46-64 dell’elaborato peritale). La Banca convenuta, sia nella memoria
ex art.180 c.p.c. del 21.1.2002 che nella memoria ex art.184 c.p.c. del
30.9.2002, ha affermato la sussistenza di una pluralità di pagamenti non solutori,
di specifiche compensazioni ed operazioni bilanciate. In primo luogo va senz’altro
condivisa la non revocabilità dell’accredito effettuato sul c/c 13726 per
£.700.000.000 in data 5.1.1995, trattandosi all’evidenza di uno storno contabile,
un’operazione volta ad elidere una scorrettezza verificatasi il giorno
precedente quando la banca, per errore materiale, aveva registrato due volte
un addebito di £.700.000.000 a carico del cliente. Non trattandosi di un
pagamento, l’importo indicato non è, per sua natura, revocabile. Parte convenuta chiede altresì che
sia affermata la non revocabilità dell’operazione in data 10.5.1995 di
£.1.299.985.000, in quanto relativa ad un’anticipazione all’esportazione. Ritiene il giudicante che la tesi non
possa essere condivisa. Le rimesse in
conto effettuate per anticipazione su fatture all’esportazione non
differiscono da altre forme di smobilizzo crediti (ad esempio, il cosiddetto
“castelletto SBF”, piuttosto che l’anticipo del credito IVA), e consistono in accrediti anticipati sul
conto dell’importo dei crediti stessi o di parte di essi. Se dette rimesse sono effettuate su conto
corrente scoperto, esse hanno natura
solutoria, non rilevando la provenienza della provvista confluita sul conto,
non potendo distinguersi l’ipotesi di
versamenti in contanti effettuati direttamente dal correntista piuttosto che
di bonifici di somme provenienti da terzi o di ricavi conseguenti a
smobilizzo di foglio o ancora di anticipi su fatture. E’ senz’altro vero che
l’importo anticipato proviene dalla stessa Banca, ma il correntista ben
avrebbe potuto riscuoterlo per cassa e depositarlo presso un altro Istituto.
Viceversa egli ha scelto di versarlo sul conto corrente di cui oggi si
discute, riducendone in tal modo lo scoperto. Si pensi che l’operazione di
anticipazione avrebbe anche potuto essere compiuta presso una Banca diversa e
poi l’importo anticipato da quell’altro Istituto di Credito versato da Belleli
S.p.A. sul conto corrente in oggetto. Sempre si tratta di rimesse revocabili
a tutti gli effetti. Analogo discorso per l’operazione del
02.02.95, di £.1.500.000.000, relativa a (parte) dell’anticipo di un credito
vantato da Belleli S.p.A. nei confronti dell’ENEL. Per questa rimessa valgono
in buona sostanza le considerazioni appena svolte ed anch’essa, quindi, non
può essere sottratta dalla normale revocabilità. Quanto alle operazioni del 30.03.95
di £ 200.000.000, del 21.04.95 di £ 2.500.000.000, del 11.05.95 di £
208.873.000 e del 01.07.95 di £ 48.658 esse sono accomunate dal fatto che la
causale indicata sull’estratto conto è “giroconto” e per questa ragione la Banca convenuta le considera non
revocabili. Osserva il giudicante che la causale
indicata, nella pratica bancaria, viene utilizzata per qualsiasi
trasferimento di fondi tra conti accesi presso la stessa banca, anche non
dello stesso correntista. In assenza di specifica documentazione riguardante
gli ipotetici conti di Belleli addebitati in contropartita, la prospettazione
svolta non può essere condivisa. Si esaminino ora le operazioni del
02.01.95 di £15.098.400, del 02.01.95 di £ 44.602.900 e del 02.01.95 di
£468.200.000. Per questi giroconti, contrariamente
ai precedenti, è provata la contropartita costituita per tutti dal c/c n.
13863 di Belleli S.p.A. presso la stessa filiale della Banca. Il CTU ha tuttavia riscontrato da un
esame dell’andamento del c/c n.13863, nel periodo 2.1.1995-16.11.1995, che
l’operatività di questo conto, partito con un saldo attivo prossimo allo
zero, è consistita unicamente dall’arrivo di rimesse immediatamente (a distanza
di pochi giorni e con valuta retrocessa) girate in misura esattamente
identica al c/c n.13726, terminando poi con un saldo attivo prossimo allo zero.
Il c/c n.13863 ha svolto quindi esclusivamente la mera funzione di conto di
transito temporaneo, essendo le originarie rimesse destinate ab origine al
conto 13.726 (pag.69-72 dell’elaborato). Ritiene il giudicante di condividere
le risultanze sul punto della consulenza in atti, essendo evidente che la rimessa giunta su un conto attivo e poi
subito girata su un conto scoperto produce gli effetti finali della rimessa
affluita su quest’ultimo conto, e conseguentemente deve ritenersi revocabile
(in questo senso Cass.26.2.1999 n.1672, Trib.Milano 16.9.1993). Viceversa,
con il semplice espediente dell’accensione di 2 conti correnti, non vi
sarebbero mai rimesse di natura solutoria, bastando far giungere su un primo conto attivo e non affidato
tutte le rimesse “dall’esterno”, girocontare la disponibilità da questo al
secondo conto passivo non affidato o affidato ma scoperto, e con quest’ultimo
effettuare tutti i prelevamenti. Indipendentemente dal fido e dall’eventuale
scoperto, anche estremamente rilevante, non vi sarebbero mai rimesse
revocabili. Passando all’esame delle cosiddette
partite bilanciate deve ritenersi, in linea di principio, condivisibile
l’orientamento giurisprudenziale per cui non sono revocabili, non avendo natura
solutoria, le operazioni bilanciate e cioè quegli accrediti sul conto
corrente effettuati dal correntista al fine di costituire la provvista per
l’esecuzione di specifiche operazioni a debito, quali ordini di pagamento a
favore di terzi, accettati ed eseguiti dalla banca (Cass.26.1.1999 n.686,
Cass.17.7.1997 n.6558, Cass.17.12.1994 n.10.869, C.App.Milano 11.10.1994).
Con tali operazioni la Banca non fa credito al correntista ma esegue un incarico
ed il cliente, dal canto suo, non paga un debito ma somministra i mezzi
necessari per l’esecuzione del mandato (art.1720 c.c.). L’onere della prova incombente sulla
Banca non può, tuttavia, dirsi assolto con l’allegazione della mera
coincidenza cronologica tra le operazioni di versamento e di pagamento,
essendo necessaria la prova della chiara finalità dell’operazione, dovendo riscontrarsi
che entrambe le partite siano state effettuate con una specifica ed
inequivoca volontà del correntista. L’indispensabilità di conoscere la
natura dell’operazione giustificativa dell’accreditamento si impone proprio
per stabilire se sia intervenuto un accordo tra il cliente e la banca che consenta
di non considerare la somma versata sul c/c quale copertura, anche parziale,
dello scoperto e di valutare quindi revocabile non già l’accreditamento sul
c/c ma il pagamento effettuato con la somma accreditata dalla Banca per conto
del cliente in favore di un terzo beneficiario. Anche un lieve sfasamento temporale
tra le operazioni, in sé, può non escludere il riscontro di partite
bilanciate, purché emerga chiaramente il nesso logico tra le operazioni in
termini di volontà. Nel caso che si esamina le
considerazioni testé svolte devono arricchirsi di ulteriori valutazioni,
essendo emerse dall’analisi del conto corrente, dalle produzioni effettuate e
dal testimoniale assunto, alcune peculiarità significative del rapporto bancario di cui si discute,
atte ad incidere sul riscontro di operazioni bilanciate. E’ di conforto in questa impostazione
una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass.21.5.2004 n.9698), ove
si specifica che i generali criteri
acquisiti dalla giurisprudenza in tema di operazioni bilanciate non possono
applicasi “ ad una situazione che, in ragione della sua oggettiva
peculiarità, avrebbe richiesto una più accorta, o meno meccanica, trasposizione
di principi ed un approccio non formalistico e, al contempo, più attento alla
natura del fenomeno contrattuale esaminato”. Orbene, nella vicenda che qui
interessa, si è reso evidente a seguito dell’istruzione probatoria svolta che
il conto corrente n° 13.726 era acceso presso il Credito Commerciale di
Mantova, nell’agenzia presente proprio all’interno dello stabilimento Belleli
S.p.A., ed in uscita era utilizzato, in via primaria, per il pagamento degli
stipendi ai dipendenti ed i relativi contributi e ritenute fiscali e solo
secondariamente vi transitavano altre operazioni. Queste ultime, comunque,
quando riscontrate, erano normalmente verso altre società del Gruppo. Era
assolutamente eccezionale, quindi, l’ utilizzo del conto per altri fini,
quali ad esempio il pagamento di fornitori. Conseguenza diretta di questo
atteggiarsi del rapporto era che i prelievi avvenivano ogni mese, in ben
precise scadenze concentrate in uno o due momenti (data di pagamento degli stipendi
come da accordi sindacali, data di versamento delle trattenute al fisco ed
agli enti previdenziali come per legge). In entrata, analogamente, le rimesse
affluivano pressoché sempre da altre società del Gruppo a mezzo giroconti,
raramente dall’estero, praticamente mai da clienti. Va ora considerato che la finanza di
Belleli S.p.A. era gestita a livello di Gruppo, attraverso un sistema di
budget finanziario intergruppo, coordinato dall’ufficio finanziario della
Belleli Holding Industriale S.p.A.. Le operazioni bancarie delle varie
società erano monitoriate dall’ufficio finanziario, il quale si occupava di
spostare le liquidità esistenti tra le varie società, a seconda delle
necessità, facendo affluire su determinati conti intestati ad una qualsiasi
delle società del Gruppo, le risorse indispensabili, provenienti da altre società
del Gruppo, per effettuare determinati pagamenti (v. testimonianze
rag.B.Salvato, dott.A.Testoni). E’ evidente quindi, che nel rapporto
di conto corrente in esame, acceso presso l’Agenzia bancaria presente
all’interno dello stabilimento e finalizzato al pagamento degli emolumenti
dei dipendenti e dei relativi contribuiti, rispetto ad altri ipotetici conti
correnti, dedicati ad altre funzioni, in essere presso altre Banche della
piazza o fuori piazza, il riscontrare la presenza di un accredito per
giroconto, in corrispondenza ad una prevista scadenza, per un importo analogo
ad un pagamento da effettuare costituisce la fisiologia e non certo la
patologia nella gestione del conto. Ma non tutte le operazioni di questo
tipo sono state ritenute bilanciate, considerandosi opportuna una ulteriore
distinzione a seconda della
convinzione delle parti in ordine alla sussistenza di un affidamento al
momento dell’effettuazione delle operazioni, e questo a prescindere dalla
validità dello stesso o dalla sua opponibilità alla curatela. Per riscontrare,
cioè, una volontà del correntista di finalizzare determinati versamenti a
determinati prelievi, manifestata alla banca e da questa accettata, in
assenza di specifica documentazione in proposito, si è ritenuto circostanza
indispensabile che le rimesse siano confluite mentre il conto, nella prospettazione
delle parti, era non solo passivo ma anche scoperto. Non appare infatti
possibile, in assenza di ulteriori elementi di riscontro, ritenere che il
correntista abbia concordato con la Banca una finalizzazione della rimessa
quando sul conto vi era comunque una provvista sufficiente ad effettuare i
pagamenti voluti. E’ il normale fluire del rapporto, nel tetto massimo
consentito dall’affidamento, che consente un numero indefinito di operazioni
in entrata ed in uscita senza necessità di alcun previo accordo tra le parti.
Premesso questo, anche la
corrispondenza di date e di importi tra versamenti e prelievi assume, nella
specie, una significatività minore rispetto a quella che può richiedersi per
altri conti correnti con un’operatività tutta diversa. Ad esempio la
precedenza della rimessa rispetto al prelievo non è stato valutato elemento
imprescindibile, ovviamente a fronte di documentazione (es. contabili di
altri Istituti) idonea a far ritenere che
la Banca abbia dato corso al pagamento, anche prima del pervenimento
della provvista, ma solo dopo aver accertato che la stessa sarebbe giunta a
brevissimo tempo. Viceversa sono state ritenute circostanze significative -
sempre ai fini del riscontro di un accordo tra il correntista e la Banca per
la destinazione specifica della rimessa -
la retrodatazione per valuta della
rimessa, con riconoscimento di pari valuta al beneficiario del
prelievo, e il non aver la Banca eseguito immediatamente gli ordini del
cliente, provvedendovi, anche a distanza di giorni o settimane, solo dopo
l’acquisizione della rimessa a copertura.
Condivise, pertanto, tutte le
considerazioni svolte dal CTU dott.Gualerzi, ampiamente argomentate in
maniera logica e coerente, va in primo luogo senz’altro riconosciuta la natura
di operazioni bilanciata alla rimessa del 15.09.95 di £.5.000.000.000. L’operazione è consistita nel
trasferimento di fondi a disposizione di Belleli S.p.A. presso Banca di Roma
S.p.A. sul conto corrente n° 13.726 presso Credito Commerciale S.p.A.. In atti (doc.112 di parte convenuta) è una lettera con cui viene
impartito l’ordine di trasferimento a Banca di Roma S.p.A. inviata, per
conoscenza, anche al Credito Commerciale S.p.A.. In tale comunicazione,
datata 11.09.95, si precisa che i fondi sono destinati <<esclusivamente
al pagamento di salari e stipendi dei nostri dipendenti come da accordi intervenuti
col sistema bancario>> e si chiede che all’operazione venga
riconosciuta valuta 12.09.95. La Banca, che ha contabilizzato la rimessa il
15.09.95, a partire dal 14.09.95 e successivamente sino al 18.09.95, ha poi
effettuato una serie di pagamenti, di importo complessivo ben superiore, come
da svariati ordini ad essa trasmessi in precedenza, alcuni sin dal luglio
1995 ed ovviamente sino ad allora non evasi. Il conto, che partiva da una
posizione di scoperto, lo risultava anche al termine di tutti i pagamenti. Il
tenore letterale della missiva, soprattutto il contesto in cui è stata
resa -a quell’epoca erano ancora da
pagare gli emolumenti dei dipendenti di Belleli S.p.A. di luglio ed agosto e
il pagamento fu possibile solo dopo un accordo con il sistema bancario-,
consente di affermare con ragionevole certezza che la partita sia bilanciata
per l’intero importo. Analogamente per tutte le altre
rimesse, riassunte dal CTU da pag.174 a pag.176 dell’elaborato peritale, e
definite come “operazioni bilanciate con probabilità alta”, quand’anche non
siano stati prodotti documenti che espressamente descrivano la specifica
destinazione degli importi pervenuti sul conto, ritiene questo giudice che,
alla luce delle considerazioni sopra svolte, valutate e condivise tutte le
peculiarità riscontrate dal consulente tecnico, esse possano essere
considerate partite bilanciate e quindi rimesse non revocabili. Al contrario, per le rimesse indicate
dal consulente come “operazioni bilanciate con probabilità bassa”, al di là
delle coincidenze temporali e della vicinanza degli importi, non sussistono
elementi univoci agli atti che inducano a porre in consequenzialità le operazioni
ed a riscontrare quella correlazione logica tra le partite che consente di escludere il carattere
solutorio delle rimesse. Conclusivamente, alla luce delle
considerazioni sino ad ora svolte, detratte dalle rimesse potenzialmente
revocabili - per un importo complessivo di £.61.593.282.240 – tutte le rimesse
di natura non solutoria individuate secondo i criteri sopra indicati, risultano
revocabili rimesse per l’importo di £.27.657.718.701 (pag.177 dell’elaborato
peritale). Eventus damni Non si pone in dubbio l’esistenza
dell’eventus damni attesa la presunzione, prevista dal legislatore, di
pregiudizio per i creditori
conseguente agli atti di disposizione del patrimonio compiuti
nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento (Cass.12.1.2001 n.403,
Cass.30.3.2000 n.3878). Presupposto soggettivo dell’azione Sotto questo profilo, l’indagine
che deve essere compiuta consiste nel
riscontrare se la Banca, sulla base degli elementi conosciuti o conoscibili a
sua disposizione, non poteva non rendersi conto dello stato di dissesto
economico in cui versava il debitore. In linea generale, essendo raro che
la curatela fornisca elementi di prova diretta della scientia decoctionis
(es. confessione, es. prove che consentano di riscontrare che l’accipiens era
stato informato dal solvens della crisi dell’impresa), la prova è offerta per
presunzioni, basata su elementi indiziari che per assumere
significatività devono presentare i requisiti di gravità, precisione e
concordanza di cui all’art.2729 c.c.. E’ pacifico in giurisprudenza che le
presunzioni relative alla scientia decoctionis, quando parte convenuta è un
Istituto di credito, devono essere valutate in maniera rigorosa, trattandosi di un operatore
economico dotato di speciale sensibilità critica e in condizione di
apprezzare segnali che per altri operatori avrebbero scarso significato.
Questo non solo perché, generalmente, l’operatore bancario rileva con più
attenzione e con più prudenza di altri operatori economici gli elementi che
possono denotare una crisi imprenditoriale dovendo preoccuparsi del recupero
del credito erogato, ma anche perché svolgendo sovente la Banca un servizio
di cassa ed avendo a disposizione i bilanci delle società, può valutare prima
e meglio di chiunque altro quelle situazioni di illiquidità e di difficoltà
economica tali da far presumere uno stato di insolvenza (Cass.21.1.2000
n.656, Cass.11.11.1998 n.11369, Cass.12.5.1998 n.4769). Certamente, tuttavia, non è
sufficiente la qualifica soggettiva del convenuto per ritenere sempre
sussistente la conoscenza dello stato di insolvenza dei debitori falliti,
essendo comunque indispensabile
l'accertamento in concreto di elementi
conosciuti o conoscibili che nello specifico caso rendano desumibile la
scientia decoctionis. Nella fattispecie in esame, all’esito
dell’istruzione probatoria esperita, le circostanze emerse sono le seguenti: 1) BILANCI
Conformemente alle istruzioni di
vigilanza della Banca d’Italia ed all’art.53 t.u.l.b. del 1993, la Banca
convenuta ha richiesto annualmente alla società fallita i bilanci
dell’impresa e consolidati del Gruppo. Risultano agli atti i bilanci al
31.12.1992, al 31.12.1993, al 31.12.1994 della Belleli S.p.A. e consolidati
del Gruppo al 31.12.1992 e al 31.12.1993. Dalla consulenza tecnica espletata,
che in parte è stata finalizzata
anche all’esame dei bilanci prodotti,
emergono in maniera chiara alcuni dati significativi ai fini che qui
interessano. Va certamente rilevato che la comparabilità dello stato patrimoniale
della Belleli S.p.A. al 1992 con quelli del 1993 e 1994 è fortemente
influenzata dall’operazione di conferimento nella società fallita, con
effetto dal 31.12.1993, di parte delle attività e delle passività della
Belleli Impianti S.p.A. e della Belleli Industrie Meccaniche S.r.l., come si
evince nella nota integrativa al bilancio 1993. Il bilancio più significativo per
l’indagine da svolgersi resta quello
al 31.12.1993, essendo presumibile che il bilancio al 31.12.1994 sia
entrato nella disponibilità dell’Istituto di credito solo nell’estate del
1995, quando ormai buona parte delle rimesse di cui si discute era stata effettuata. Tenuto conto anche questi aspetti, si
ritiene che le conclusioni a cui è pervenuto il CTU dott. Luigi Gualerzi,
anche con riguardo alle risultanze dei bilanci esaminati, possano essere pienamente
condivise. In particolare il consulente è stato incaricato di
riclassificare i bilanci della società fallita, determinando i principali i
indici di bilancio – con specifico riferimento agli indici di liquidità, di indebitamento,
di garanzia dei debiti a medio e lungo termine e quant’altro reputato
significativo al fine richiesto – ponendo in risalto le risultanze sotto il
profilo della composizione della liquidità, della struttura finanziaria e
della redditività e riscontrando la rispondenza o meno degli indici accertati rispetto agli standard di
normalità. Rientra nei compiti dell’Ufficio Fidi
di ogni Istituto bancario effettuare un’analisi dei bilanci delle società con
cui i rapporti sono intrattenuti e questo al fine di cogliere quelle informazioni, circa la realtà aziendale, essenziali per
l’istruzione delle pratiche di fido e per valutare, attraverso dati
oggettivi, confrontabili con parametri standard e con clientela omogenea per
dimensione e settore d’attività,
l’efficienza, la redditività, la liquidità e la consistenza patrimoniale
del proprio cliente. E’ anche lecito supporre che la
struttura organizzativa dell’Istituto di Credito convenuto comprendesse un
ufficio specializzato nella gestione dell’area grandi clienti – tra i quali
verosimilmente rientrava Belleli S.p.A. se si considera la costante e
rilevante esposizione debitoria evidenziata dagli estratti conto in atti -,
appositamente predisposto per la cura dei rapporti con i clienti di maggiori
dimensioni (la circostanza è stata confermata dai testi di parte convenuta
Ferrarono Mario e Mognetti Giovanni). Ragionevolmente deve ritenersi che,in
quella sede, vi fossero tutte le competenze ed esperienze necessarie per valutare
la situazione della fallita ad un livello anche superiore a quello
dell’operatore economico di media capacità del settore creditizio. Il metodo più diffuso utilizzato per
trarre dai bilanci le valutazioni indispensabili circa lo stato di salute
delle aziende è l’analisi per indici, che si effettua calcolando rapporti tra
valori ed altre quantità tratte dallo stato patrimoniale e dal conto
economico in precedenza rielaborati. Circa gli indici riscontrati nel caso di specie, da pag. 180 a
pag.206 dell’elaborato peritale, va evidenziato in particolar modo quanto segue.
Per quanto riguarda i bilanci di Belleli S.p.A.: -il capitale circolante netto, che è
dato dalla differenza fra le attività correnti e le passività correnti, e
segnala la capacità dell’impresa di far fronte ai propri impegni finanziari
di breve periodo con le risorse della gestione corrente, e per esservi
equilibrio finanziario dovrebbe essere assolutamente positivo, mentre nella
specie è ampiamente negativo (salvo per il 1994 in cui è positivo ma il
valore è di scarsa entità); - il margine di tesoreria, che è
costituito dalla differenza tra le attività correnti al netto del magazzino e
le passività correnti, e se negativo segnala difficoltà finanziarie
dell’azienda nel breve periodo, è sempre ampiamente negativo per tutto il
periodo esaminato; osserva nello specifico il CTU che “I
risultati dei due aggregati esaminati portano ad individuare una situazione
di estrema difficoltà (univocamente per quanto riguarda il 1993, data di
riferimento sicuramente di gran lunga più importante; solo un po’ mitigata
per quanto riguarda il 1994 dal dato del capitale circolante netto), che non
poteva certo passare inosservata al sistema bancario” (pag.185
dell’elaborato); - l’indice di liquidità o acid test,
che esprime la capacità dell’azienda di far fronte alle passività correnti
ricorrendo unicamente alle liquidità immediate, al netto del magazzino
(algebricamente è dato dal rapporto tra liquidità immediate e passività
correnti), per l’intero periodo esaminato, presenta valori al di sotto degli
standard di normalità; - l’indice di disponibilità o current
ratio, che individua la capacità dell’azienda di soddisfare l’indebitamento a
breve attraverso le proprie attività correnti (algebricamente è dato dal rapporto
tra attività correnti e passività correnti), riflette una situazione appena
compatibile con il limite minimo degli standard di normalità; - il margine di struttura di primo
livello (Patrimonio netto – attivo immobilizzato) evidenzia la parte di
attivo immobilizzato non coperta da patrimonio netto. Nel caso di specie tale
margine assume valori negativi assai rilevanti, nel senso che, ad esempio nel
1993, su 494,7 miliardi di attivo immobilizzato solo 150,0 sono coperti da
patrimonio netto, per cui la parte non coperta da patrimonio netto è pari a
344,7 miliardi (299,5 miliardi nel 1994); - il margine di struttura di secondo
livello, (Patrimonio netto + Passività consolidate – Attivo immobilizzato).
In una struttura patrimoniale equilibrata l’attivo immobilizzato (cioè gli
impieghi a medio/lungo termine) dovrebbe essere finanziato da fonti a medio/lungo
termine, ossia dal patrimonio netto e dalle passività consolidate. Ebbene,
nel caso di specie si evidenzia un forte squilibrio nel 1993, pari a 138,8
miliardi ed un sostanziale equilibrio nel 1994; - l’indice di indebitamento, che
evidenzia il peso dei mezzi propri nella copertura del capitale investito o
totale attività (algebricamente è dato dal rapporto tra patrimonio netto e
totale attività), si presenta lontano dagli standard di normalità,
dimostrando una elevata dipendenza dell’azienda dai finanziamenti di terzi. E’
vero che il fenomeno della scarsa capitalizzazione è assai diffuso tra le
aziende italiane, ma il caso in esame presenta comunque valori inferiori alle
medie riscontrate; - l’indice “Debt / Equity” (Debiti
finanziari – Crediti finanziari) / Patrimonio netto. Anche tale indice, come
il precedente, analizza l’indebitamento dell’azienda e la sua composizione.
Qui, in particolare, si prende in considerazione la posizione finanziaria
netta, costituita appunto dalla differenza tra crediti finanziari e debiti finanziari,
e la si rapporta al patrimonio netto. Un valore elevato di tale indice, in
particolare se maggiore di 1, significa un elevato ricorso dell’impresa al
finanziamento oneroso di terzi rispetto al finanziamento con mezzi propri.
Ciò può comportare difficoltà nel reperimento di ulteriori finanziamenti da
terzi, segnatamente dal sistema bancario. Nel
caso di specie, sono stati determinati due distinti valori di tale indice:
nel sottocaso (a) la voce “crediti finanziari” comprende i soli crediti
denominati in bilancio “crediti finanziari”; nel sottocaso (b) la voce
“crediti finanziari” comprende anche i crediti iscritti tra le
immobilizzazioni finanziarie. In
entrambi i casi, comunque, si riscontrano valori assai elevati (1,68 e 1,35
nel sottocaso (a) e 1,17 e 0,88 nel sottocaso (b). Solo tale ultimo valore
(0,88) si potrebbe considerare rientrante entro limiti accettabili; - l’indice di garanzia dei debiti a
medio e lungo termine, che segnala la possibilità della società di reperire
ulteriore credito a medio e lungo termine (algebricamente è dato dal rapporto
tra attività immobilizzate e passività consolidate), riflette valori lontani
da quelli che caratterizzano una struttura equilibrata; - il R.O.E. o redditività del
capitale proprio, che è costituito dal rapporto fra utile d’esercizio e
patrimonio netto ed indica, in buona sostanza, la redditività del capitale di
rischio, cioè dei mezzi impiegati nell’azienda dai soci. Il valore
dell’indice per essere soddisfacente dovrebbe essere almeno pari al tasso rappresentato
dal costo del denaro a breve termine ed esente da rischi, ma nel periodo esaminato risulta ad esso inferiore; - il R.O.I. o redditività del
capitale investito, che è costituito dal rapporto fra reddito operativo
(ossia il reddito prima delle imposte, degli oneri finanziari e degli oneri e
/o proventi estranei alla gestione caratteristica dell’impresa) ed il totale
delle attività, ed esprime la
redditività operativa del complesso del capitale investito nell’azienda, sia
quello proprio che quello di terzi. Il valore minimo soddisfacente
dell’indice dovrebbe consistere in una percentuale pari al tasso
rappresentativo del costo medio del denaro (media di quello a rischio e a
lungo termine, esente da rischio e a breve termine), ma nel periodo esaminato
risulta ad esso inferiore. Per
quanto riguarda i bilanci consolidati del Gruppo: - il capitale circolante netto
risulta ampiamente negativo. - il margine di tesoreria è sempre
negativo; Con riguardo a questi aggregati
osserva il CTU “Se dal bilancio della S.p.A. si individuava una situazione di
notevole difficoltà, dal bilancio consolidato emerge una situazione ancora peggiore,
che non può certo passare inosservata al sistema bancario” (pag.195 della
perizia). - l’indice di liquidità secca o acid
test, per l’intero biennio esaminato, presenta valori al di sotto degli
standard di normalità; - l’indice di disponibilità o current
ratio per l’intero biennio esaminato, presenta valori inferiori agli standard
di normalità; - il margine di struttura di primo
livello, che evidenzia la parte di attivo immobilizzato non coperta da
patrimonio netto, assume valori negativi assai rilevanti, nel senso che: -
nel 1992 su 644,1 miliardi di attivo immobilizzato solo 179,7 sono coperti da
patrimonio netto, per cui la parte non coperta da patrimonio netto è pari a
464,4 miliardi; - nel 1993 su 743,4 miliardi di attivo immobilizzato solo
208,0 sono coperti da patrimonio netto, per cui la parte non coperta da
patrimonio netto è pari a 535,4 miliardi; - il margine di struttura di secondo
livello In una struttura patrimoniale equilibrata l’attivo immobilizzato
(cioè gli impieghi a medio/lungo termine) dovrebbe essere finanziato da fonti
a medio/lungo termine, ossia dal patrimonio netto e dalle passività consolidate.
Ebbene, nel caso di specie si ottiene ancora un forte squilibrio, pari
rispettivamente a 270,9 miliardi nel 1992 ed a 159,8 miliardi nel 1993; - l’indice di indebitamento, per
l’intero biennio esaminato, riflette valori lontani dagli standard di
normalità; - l’indice “Debt / Equity”, presenta
valori assai elevati, nettamente superiori a quelli riscontrati nella Belleli
Spa, e nessuno di questi valori, a giudizio del CTU, si potrebbe considerare
rientrante entro limiti accettabili; - l’indice di garanzia dei debiti a medio e lungo termine,
presenta sempre valori lontani da quelli che caratterizzano una struttura
equilibrata; - il R.O.E. o redditività del
capitale proprio è inferiore al minimo; - il R.O.I. o redditività del
capitale investito tende ad approssimarsi alla soglia accettabile. Conclude il CTU affermando che,
quand’anche a causa del conferimento di notevole entità effettuato in Belleli
S.p.A. con effetto dal 31.12.1993 non sia particolarmente significativo il
confronto tra i dati di bilancio al
31.12.1992 e al 31.12.1993, ciò riguarda specificatamente la valutazione dei
valori economici e dei trends evolutivi, mentre non impedisce di formulare giudizi sulla situazione
finanziaria e patrimoniale. Osserva quindi il dott.Gualerzi che “l’azienda
era: • non
valutabile sotto il profilo della redditività (se non dopo l’acquisizione del
bilancio del 1994), ad eccezione dei bilanci consolidati, che evidenziano una
redditività, tutto sommato, soddisfacente (sicché un giudizio basato sull’analisi
esclusivamente di Belleli Spa, senza il Gruppo, sarebbe inevitabilmente
peggiore); • decisamente
sottocapitalizzata; • caratterizzata
da uno strutturale squilibrio tra fonti ed impieghi, nel senso di mancata
corrispondenza tra durata delle fonti e durata degli impieghi; • caratterizzata,
soprattutto, da un forte squilibrio finanziario, che si evidenzia soprattutto
nei valori assunti dal “margine di tesoreria” e dal “capitale circolante
netto”. Dopodiché, intendendo per standard di
normalità quelli postulati ed accettati dalla migliore dottrina italiana ed
internazionale e che sono stati singolarmente evidenziati precedentemente, si
può tranquillamente affermare che Belleli Spa e il Gruppo Belleli se ne
discostavano negativamente in misura sicuramente consistente. Tale
scostamento negativo risultava vieppiù accentuato sotto il profilo
finanziario e di liquidità”. Ed ancora, con riguardo al fatto Belleli era
un’azienda unica nel panorama italiano e confrontabile solamente con altre 3
o 4 al mondo, sicché non le si potrebbero applicare i suaccennati standards,
“Ritiene il CTU che tale singolarità possa e debba essere presa in
considerazione soprattutto con riferimento agli aspetti economici, che però,
guarda caso, erano proprio quelli dove tutto sommato, il quadro complessivo
di Belleli non era completamente negativo. Per quanto riguarda gli aspetti
finanziari e patrimoniali, invece, determinati canoni, pur con tutte le
riserve espresse sopra, devono intendersi universali (non può esistere
un’azienda dove non sia negativo che i debiti a breve superino di gran lunga
la somma di crediti a breve e liquidità ovvero che le attività immobilizzate
siano finanziate in buona parte con fonti a breve termine, ecc.). Tutte le
considerazioni svolte sopra, sull’anormalità generale del sistema industriale
italiano e sulla situazione di Belleli peggiore rispetto a qualsiasi ipotesi
di normalità, erano tranquillamente alla portata di qualsiasi operatore
bancario” (pag.204-205 dell’elaborato). Le considerazioni espresse vanno
senz’altro condivise, in quanto la presenza di indici di bilancio
generalmente lontani da standard di normalità soprattutto se soppesati congiuntamente
agli altri elementi di valutazione - che pure l’Istituto possedeva, come in
seguito si vedrà - non potevano non essere percepiti, già negli anni 1993 e
1994, come segnali di una grave crisi soprattutto finanziaria della società
poi fallita. 2) GARANZIE
REALI Il Fallimento attore ha altresì
effettuato una molteplicità di produzioni documentali dalle quali è possibile
desumere che la situazione di insolvenza della società fallita era, non solo
conosciuta da chi aveva rapporti diretti con la Belleli S.p.A., come i
fornitori abituali e gli Istituti di Credito, ma addirittura di pubblico
dominio, all’epoca del pagamenti revocandi. Innanzi tutto si considerino la
pluralità di ipoteche iscritte sui beni della fallita (v.doc.22 del fascicolo
di parte attrice e bilanci in atti), elemento a cui generalmente la giurisprudenza
riconosce una rilevanza presuntiva (Cass.23.1.1997
n.699, Cass.14.4.1983 n.2607,
Trib.Cagliari 26.2.1998). Ha evidenziato il CTU che le
ipoteche, congiuntamente alle altre garanzie reali prestate dalla
società, tra il 1992 e il 1994, hanno subito un incremento notevole, passando da 179 miliardi
nel 1993 e 260 miliardi nel 1994. Si
tratta di valori di per sé significativi e che assumono ancora maggior
pregnanza se rapportati all’ammontare complessivo delle attività. Una crescita
così importate delle garanzie reali prestate è sintomo forte di una mutata e
sempre minore affidabilità riconosciuta all’azienda proprio dal sistema
bancario che dette garanzie ha preteso a sostegno dei finanziamenti erogati. 3) NOTIZIE DI STAMPA Ulteriore segno esteriore dello stato
di insolvenza a cui la giurisprudenza riconosce rilevanza presuntiva sono le
notizie riportate dalla stampa nell’epoca di riferimento (Cass.7.2.2001
n.1719, Cass. 23.1.1997 n.699, Trib.Roma 31.1.1987). Riguardo gli articoli dei giornali prodotti, è interessante soffermarsi
sullo specifico contenuto delle notizie divulgate che non poteva non
destare allarme nei creditori della società,
soprattutto se significativamente esposti. Giornali nazionali, quali il Corriere
della Sera, Il Giorno, L’Unità, ed anche finanziari, come Il Sole 24 Ore e Milano Finanza, hanno in
più occasioni pubblicato articoli, sin dal 1994, in cui si evidenzia la
tensione finanziaria della società e del Gruppo nonché la preoccupazione del
sistema bancario per detta situazione aziendale, fino a che, nell’estate del
1995, hanno iniziato a riportare che la Belleli S.p.A. non erogava, se non
con grandi ritardi, gli stipendi ed i salari dei dipendenti tanto di Mantova
quanto di Taranto, e gli Istituti di credito stavano valutando ogni possibile
rimedio al grave indebitamento del Gruppo, con l’affidamento dell’incarico
all’advisor Vitale e Borghesi di redigere un piano di ristrutturazione
industriale e finanziario dell’intero Gruppo. Si consideri che il problema degli
stipendi ed il rischio di licenziamenti era stato particolarmente avvertito a
Mantova e a Taranto, città sedi degli stabilimenti Belleli, ove risultavano
impiegati nell’insieme oltre 3000 dipendenti, e per questo le vicende
relative all’andamento della società erano riportate con frequenza, in particolar modo, nei giornali
locali. Riferiscono decine di articoli
pubblicati sulla Gazzetta di Mantova e sulla Voce di Mantova che in questa
città si susseguirono nell’estate del 1995 manifestazioni sindacali dentro e fuori
gli stabilimenti, scioperi e persino interventi dell’amministrazione
comunale, provinciale e regionale. L’assiduità delle notizie ed il
tenore complessivo delle stesse, quand’anche intervallate da qualche positiva
descrizione delle acquisizioni di nuove commesse, aveva reso senz’altro di
dominio pubblico la grave crisi economica e finanziaria del Gruppo e questo
non solo nelle due città menzionate ma sull’intero territorio nazionale. Si
pensi anche che gli Istituti di Credito generalmente sono particolarmente
attenti alle notizie divulgate dai giornali in merito ai propri importanti
clienti e questo proprio per acquisire il numero maggiore di elementi esterni
di valutazione dell’andamento aziendale e non limitarsi alle informazioni
fornite dal cliente stesso. 4) INTERVENTO DELL’ADVISOR Nel maggio del 1995 alcune banche
estere che operavano con il gruppo Belleli si erano rivolte alla Vitale
Borghesi & C. S.p.A., primaria società di consulenza in ambito finanziario,
affinché fosse offerto agli Istituti di credito un quadro indipendente della
situazione economica e finanziaria del Gruppo (v. deposizioni dott.Arnaldo
Testoni, rag.Bruno Salvato). Immediatamente la Vitale Borghesi aveva preso contatto con tutte le banche
con cui il Gruppo operava - compresa la convenuta – al fine di iniziare
l’elaborazione di un piano di ristrutturazione finanziaria, ed il 1 agosto
del 1995 aveva organizzato una riunione in Milano tra tutti gli Istituti di
Credito per riferire sommariamente in ordine ai primi riscontri effettuati. Nell'occasione è stata rappresentata
la fragilità finanziaria del Gruppo, le difficoltà che incontrava nel far
fronte a nuove commesse e a portare a termine le commesse già acquisite, e la
possibilità di superamento della crisi e normalizzazione delle condizioni operative
delle società solo a fronte di interventi di finanza straordinari a cui
avrebbero dovuto partecipare pro-quota il maggior numero possibile di banche
vicine al Gruppo (v. deposizione Arnaldo Testoni). Il Credito Commerciale S.p.A. ha
presenziato a detta riunione
(v.prospetto dei partecipanti in doc.17 di parte attrice), ed in ogni caso ha ricevuto la notizia
dell’esito attraverso la lettera del 3 agosto 1995 in atti ( sempre doc.17 di
parte attrice). Il contenuto della missiva è inequivoco, la Vitale Borghesi
ha riassunto in essa gli esiti della riunione e formalizzato la richiesta di
finanziamenti: 1) di £.9.000.000.000
con surroga sugli stipendi, 2) di £.36.000.000.000, garantito da crediti
Enel, da altri crediti e da flussi delle commesse, 3) di £.70.000.000.000 a
fronte di operazioni straordinarie
già avviate, 4) di £.70.000.000.000 a 5 anni. Garanzie offerte erano le
fideiussioni personali della famiglia Belleli e pegni sul 100% delle azioni
Belleli Industrie Meccaniche S.p.A. e sul 100% delle azioni di Nuova
Cimimontubi Holding S.p.A.. Sugli esiti - per il rapporto
bancario di cui si discute - del
conferimento del mandato all’advisor
e della riunione dallo stesso tenuta al sistema bancario, ha riferito
il teste Mognetti Giovanni, di parte convenuta, “…Dopo la riunione a cui mi
sono riferito la gestione del rapporto con la Belleli è stata avocata dalla
Direzione Crediti di Parma ed ogni movimentazione del conto doveva essere
autorizzata da loro, così pure eventuali richieste di finanziamenti ulteriori…” 5) REVOCHE DEGLI AFFIDAMENTI La Curatela ha altresì documentato
che già a far tempo dall’autunno del
1993 almeno una quindicina di Istituti di Credito avevano revocato gli
affidamenti in essere con il Gruppo Belleli chiedendo il sollecito rientro
dall’esposizione debitoria ed in molti casi minacciando il ricorso ad una
tutela giudiziale del credito. Ciò significa che piccole e grandi
banche di ogni parte d’Italia avevano colto i segnali della profonda crisi in
cui la società di trovava ed avevano chiaramente percepito l’incapacità della
Belleli S.p.A. di far fronte ai propri impegni. 6) SITUAZIONE DEL GRUPPO Una breve riflessione si impone con
riguardo alla rilevanza della conoscenza dello stato di insolvenza del Gruppo
(v.sul punto Cass.20.5.1997 n.4473, Cass.3.6.1995 n.6285). Nelle considerazioni
sino ad ora espresse si è più volte fatto riferimento alla conoscenza da
parte dell’Istituto di credito della crisi del Gruppo più che della singola
società qui interessata. Va osservato che il Gruppo Belleli svolgeva, in
principalità, un’attività di fornitura e montaggio di impianti di grosse
dimensioni (realizzazione di centrali elettriche convenzionali e centrali nucleari,
piattaforme petrolifere, impianti petroliferi e petrolchimici, ecc.)
attraverso l’acquisizione di commesse sia in Italia che all’estero. Pur
mantenendo ciascuna società del Gruppo piena autonomia giuridica e
patrimoniale, è evidente che il fitto
intreccio di legami gestionali, economici e finanziari tra la Holding e le
società operative del Gruppo, in primis la Belleli S.p.A., esponeva ciascuna
società del Gruppo ai contraccolpi derivanti dalla crisi delle altre società. Questo collegamento
tra la società fallita ed il Gruppo Belleli era necessariamente noto alla
convenuta, sia emergendo dai bilanci della fallita e dai bilanci consolidati
del Gruppo di cui si è detto, sia dalla circostanza che nelle notizie di
stampa riferite alla Belleli S.p.A. erano spesso riportate anche le vicende
del Gruppo nel suo complesso. Si pensi che la stessa merchant bank Vitale
Borghesi & C. S.p.A., nel predisporre un progetto di finanza
straordinaria da proporre alle banche, fa esclusivo riferimento al Gruppo
Belleli nel suo complesso. Si aggiunga poi la rilevanza del
collegamento tra il Gruppo Belleli ed il Gruppo Interklim, entrambi facenti
capo alla famiglia Belleli attraverso la holding Belleli Industrie Meccaniche
S.p.A. (v. doc.10 di parte convenuta). Le revoche degli affidamenti
documentate e le notizie di stampa allegate dalla curatela evidenziano che
pure il Gruppo Interklim già nel 1994 versava in una situazione di pesante
crisi, tanto che il 14.12.1995 anche
la Interklim Sistemi S.r.l. era ammessa ad una procedura concorsuale, e nella
specie al concordato preventivo. Le pesanti difficoltà del Gruppo Interklim
erano senz’altro note alla Banca convenuta, se si considera che al momento
della dichiarazione di Fallimento di Interklim Sistemi S.r.l. essa era
creditrice nei confronti della società di Pavia per oltre £.6 miliardi (doc.24
di parte attrice). 7) APPALTI Altro settore significativo per
valutare la consapevolezza della reale situazione di crisi della fallita, è
quello degli appalti. L’acquisizione di commesse avveniva
mediante una procedura che iniziava con l’iscrizione alla gara e col deposito
di garanzia per la presentazione dell’offerta; in caso di aggiudicazione veniva
corrisposto anticipo solo in presenza di advance payment (AP), performance
bond (PB) e retention money (RT). Come da prassi del settore,
l’esecuzione delle opere ricevute in appalto veniva totalmente finanziata
dagli istituti di credito, singolarmente o in pool, alla sola condizione che
i pagamenti dei SAL confluissero sul conto aperto presso la banca capofila
del finanziamento. Dall’istruzione testimoniale svolta è emerso che anche la
convenuta partecipava a questi finanziamenti. Nel corso del 1995, come in
precedenza, Belleli S.p.A. aveva avuto l’opportunità di aggiudicarsi
importanti commesse, che tuttavia non furono acquisite per mancata erogazione
da parte delle Banche dei finanziamenti necessari. Si consideri, ad esempio, la commessa
denominata PP9, di cui parte convenuta ha documentato il risalto dato dalla
stampa. E’ emerso in corso di causa che detta commessa non venne acquisita da Belleli S.p.A. in quanto
tutti gli Istituti di credito interpellati rifiutarono di rilasciare le
garanzie richieste per £. 15 miliardi, su un ammontare complessivo
dell’appalto di competenza della fallita di £. 316 miliardi. Analogamente è avvenuto per l’appalto
teso alla costruzione del ponte Oresund: non venne affidato a Belleli S.p.A.
perché incapace di dimettere le fideiussioni bancarie necessarie per £.88
miliardi, a fronte di un valore dell’opera da realizzarsi di circa £.400 miliardi. Trattandosi di operazioni ingenti,
hanno riferito i testi escussi che la società fallita aveva contattato tutti
gli Istituti bancari, della piazza e fuori piazza, e verosimilmente quindi
anche la Banca convenuta, ma da tutti i nuovi finanziamenti erano stati
negati. 8) DISLOCAZIONE DELL’AGENZIA E
ANDAMENTO DEL CONTO Il
conto corrente di cui si discute in causa era acceso presso l’agenzia del
Credito Commerciale S.p.A. sita all’interno
dello stabilimento Belleli S.p.A.. L’osservatorio
privilegiato di cui godeva questo Istituto ne rende la situazione
assolutamente particolare, atteso che prima di chiunque altro ha potuto
riscontrare, anche visivamente, il
progredire della crisi in cui Belleli S.p.A. versava, gli scioperi del
personale, le manifestazioni sindacali, le proteste dei fornitori. Si
consideri poi che il rapporto bancario intrattenuto era finalizzato al
pagamento degli emolumenti dei dipendenti e contributi connessi e quindi la
convenuta ha potuto, addirittura prima delle maestranze di Belleli S.p.A.,
percepire le difficoltà finanziarie dell’azienda che – a fronte di un conto
perennemente sconfinato (e questo anche considerando il ragguardevole fido
che la Banca allega di aver concesso) –
ad un certo punto ha iniziato ad erogare in ritardo salari e stipendi
(autunno 1994) sino ad essere costretta a sospenderne il pagamento (giugno
1995), dopo aver anche percorso la strada dell’alienazione di beni personali
della famiglia Belleli. In particolare ha riferito il teste Salvato che “gli
stipendi erano pagati in ritardo già dall’autunno del 1994. All’epoca era
solo un problema di valute, nei mesi
la situazione si è aggravata al punto tale che gli stipendi non venivano
pagati, nel mese di maggio se non dopo la copertura attraverso titoli
personali del sig.Rodolfo Belleli e della moglie Luisa Perlin. Il 99% dei
dipendenti aveva c/c con questo Istituto”. Ed ancora il teste Testoni
“Preciso che ricordo gli avvisi, affissi in bacheca, fuori dall’Agenzia, con
cui si comunicava ai dipendenti la postergazione del pagamento dei salari e
stipendi”…, ed ancora “la situazione è andata progressivamente peggiorando
tant’é che nel maggio del 1995 il sig.Belleli ha messo in pegno alla Banca £.4.000.000.000 di suoi titoli
(CCT) affinché l’Istituto concedesse un fido di pari importo da utilizzarsi
per il pagamento dei salari di aprile o maggio. Questo importo non fu più
restituito al sig.Rodolfo”. Anche il teste Mognetti, introdotto da parte
convenuta, all’epoca dei fatti direttore della Filiale presso cui il conto
era acceso, ha dichiarato “Io sono
giunto presso il Credito Commerciale al 1.2.1995. Sino ad aprile non vi sono
state difficoltà nel pagare stipendi e contributi. Anzi preciso che da marzo
erano pagati in ritardo perché non vi era provvista. Ad aprile o maggio
ricordo che il sig.Rodolfo Belleli chiese un affidamento che venne garantito
da pegno di titoli suoi. Con questo affidamento finanziammo una società del
Gruppo per il pagamento degli stipendi. In seguito gli stipendi non furono
più pagati sino ai primi di agosto quando, grazie ad un intervento
straordinario di un pool di banche, furono pagati gli stipendi di giugno e
luglio”. Conclusivamente, se questa sopra
descritta era la situazione in cui si trovava la Belleli S.p.A., se critici
erano i dati emergenti dai bilanci consegnati alla Banca e se tanti altri
erano i sintomi percepibili delle gravissime difficoltà dell’azienda e del
Gruppo a cui apparteneva, non rileva
se nello specifico i vertici della Banca convenuta o i responsabili degli
uffici fidi abbiano riscontrato alcuni o tutti gli elementi indiziari
evidenziati, dovendo ritenersi che - attesa l’importanza della società
fallita, nonché la pluralità ed eterogeneità dei segnali esteriori della
crisi in cui versava -, la consapevolezza del dissesto non potesse che essere
generalizzata e diffusa. In particolare, a fronte di un
conto costantemente passivo per un
ingente importo, a fronte delle evidenti difficoltà riscontrabili dalla
convenuta nel pagamento di salari e stipendi, a fronte di bilanci che rappresentano una situazione aziendale
pesantemente compromessa, a fronte di un progressivo e rapido incremento
delle garanzie reali prestate, a fronte di un evidente ritiro del credito
bancario ed a fronte di notizie giornalistiche inquietanti, deve ritenersi
che l’Ufficio Fidi del Credito Commerciale S.p.A., dotato di competenza
specifica proprio nel monitorare l’andamento dei clienti della Banca, non potesse
non avere contezza della precarietà della situazione finanziaria ed economica
della società poi fallita. Il fatto poi che l’Istituto non abbia
ritenuto di risolvere il rapporto,
nonostante la consapevolezza della gravità della crisi in cui la
Belleli S.p.A. si trovava, di per sé non costituisce prova dell’inscientia
trattandosi di un comportamento equivoco, che non necessariamente denota
fiducia nelle prospettive dell'impresa e sconoscenza delle condizioni patologiche dell'affidata (Cass.3.4.2002 n.4759,
Cass.8.1.1987 n.18). Esso può trovare giustificazione proprio in una
valutazione ragionata della gravità della situazione, nella certezza che in
assenza di ulteriore liquidità la debitrice sarebbe destinata al fallimento
con inevitabile perdita, per la Banca, di tutto quanto sino a quel momento
erogato. Peraltro verso va osservato che un favorevole giudizio
prognostico in ordine alla possibile reversibilità della crisi in cui versa
l’impresa – a cui accenna anche il CTU nella consulenza tecnica parlando di
andamento economico che “poteva lasciare un po’ di speranza” (pag.205
dell’elaborato)- , e comunque opinione condivisa nel 1995 dal Tribunale di Mantova
che ha ammesso Belleli S.p.A. alla procedura di amministrazione controllata,
nulla rileva ai fini della conoscenza dello stato d’insolvenza, poiché la
prospettiva di risanamento non incide sulla consapevolezza circa lo stato di
grave crisi economica. Questo per il fatto che “insolvenza” e “temporanea
difficoltà” sono nozioni che divergono solo per l’aspetto quantitativo,
dovendo qualitativamente anche la “temporanea difficoltà” valutarsi
“insolvenza”, in quanto coincidente con l’incapacità dell’impresa di far
fronte regolarmente alla proprie obbligazioni (in questo senso si sono
espresse sia la Corte di Cassazione che la Corte Costituzionale con
riferimento alla retrodatazione del termine di esercizio della revocatoria in
caso di consecuzione di procedure concorsuali, trovando la retrodatazione
giustificazione proprio nel fatto che la dicotomia insolvenza sanabile/insanabile
non incide sull'essenza del presupposto delle procedure concorsuali che
consiste sempre nella patologia dell'impresa, lo stato di insolvenza del
debitore v. Cass.29.9.1999 n.10792, Cass.21.2.1997 n.1612 e Corte Cost.n.110
del 1995, confermata nelle ordinanze n.224/1995 e n.12/1997). Anche la previsione della possibilità
di risolvere la crisi nel periodo massimo consentito per la procedura di
amministrazione controllata non muta, dunque, l'oggettività del fenomeno che
presuppone, cui si aggiunge un elemento valutativo ulteriore, necessario per
l'apertura della procedura temporanea. Ma ciò non esclude l’identità
qualitativa dei due presupposti oggettivi. Questa opinione, autorevolmente
espressa dalla Corte di Cassazione
nella sentenza n.9581 del 1.10.1997, trova conforto nella Relazione
Ministeriale alla Legge Fallimentare
(punto 41) che specificando il presupposto dell'amministrazione controllata
descrive una crisi dell'impresa tale
da "rendere impossibile l'immediato e regolare soddisfacimento delle
obbligazioni", utilizzando quindi espressioni analoghe alla
impossibilità di adempiere con regolarità alle obbligazioni assunte, con cui l'art.5 L.F. descrive il
fenomeno dell'insolvenza. Alla stessa considerazione si giunge
osservando l’impianto del sistema fallimentare, laddove è prevista la
dichiarazione di fallimento anche nel corso della procedura di amministrazione controllata, sull'implicita
identificazione di presupposti comuni, quando sia venuta meno la previsione
di risoluzione della crisi (art. 188 che richiama l'art. 173 L.F., nonché art.192 L.F.). Se la
dichiarazione di fallimento presuppone l'esistenza dello stato di insolvenza,
tale dichiarazione nel corso dell'amministrazione controllata si giustifica
proprio in quanto, nella ratio legis, anch’essa presuppone lo stato di
insolvenza dell'impresa. Tutte le circostanze sopra
delineate costituiscono indizi gravi,
precisi e concordanti della scientia decoctionis in capo alla società
convenuta e denotano una conoscenza
effettiva e non solo potenziale dell’insolvenza della società fallita quanto
meno a far tempo dal novembre del 1994. In accoglimento della domanda
revocatoria formulata, devono essere revocati tutti i pagamenti eseguiti
dalla Belleli S.p.A. al Credito Commerciale S.p.A. - di cui al prospetto da
pag.46 a pag.63 dell’elaborato peritale del CTU dott. Luigi Gualerzi, con
esclusione degli accrediti non aventi natura di rimesse, delle operazioni
bilanciate “certe” e delle operazioni bilanciate con “probabilità alta”, di
cui al prospetto da pag.173 a pag.176 - per complessivi €14.284.019,64 (pari
a £.27.657.718.701) e condannata la
Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza S.p.A. alla restituzione al fallimento
attore dell’importo complessivo di
€14.284.019,64. All’importo indicato vanno aggiunti
gli interessi che, ex art.1224 II co. c.c., per il periodo 1 luglio 2001 / 30
aprile 2003 possono essere quantificati nella misura del 4,0255%, avendo la
Curatela provato per detto periodo questa redditività dei depositi attivi del
Fallimento (v.pag.45 dell’elaborato peritale). Per gli ulteriori periodi, dalla
domanda sino al saldo, sono unicamente dovuti gli interessi legali, in
assenza di elementi probatori forniti
a riscontro del maggior danno subito. Le spese seguono la soccombenza e si
liquidano come in dispositivo. Le spese relative alla consulenza
tecnica espletata nel corso del giudizio sono poste definitivamente a carico
della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza S.p.A.. |